Barbarie e barbarie (R. Arcadi)

Barbarie e barbarie

R. Arcadi

  Le ultime note vicende, sui cui particolari non reputiamo valga la pena di soffermarsi, hanno risvegliato da più parti un violento ritorno di fiamma dei più abusati luoghi comuni sulla presunta “barbarie” di taluni atti che, rifacendosi alla più genuina tradizione profetica, non sembrerebbero più trovare posto in un mondo come il nostro, sempre più dominato da un vieto umanitarismo, fasullo e simulatore, che dietro il fragore incessante di frasi fatte ripetute a iosa, e dietro le apparenze speciose ed ingannevoli di una libertà apparente ridotta a mero arbitrio coattivo e regressivo, cela la sua autentica natura infera e disgregatrice.

 Non è certo facile parlare a questo medesimo riguardo, né in questa sede ci proponiamo una discussione concreta e puntuale di questi argomenti, quanto piuttosto di considerare azioni siffatte, ed in genere le azioni umane “ex causis altissimis”, vale a dire, da un punto di vista eminente, con tutte le conseguenze che esso comporta.        

 Dicevamo che in questo, come in altri casi, le parole d’ordine, dilaganti come un’ondata incontenibile, alimentata dai soliti luoghi comuni di un’abitudine tralignante assurta a seconda natura, fanno sì che ogni qualvolta s’abbia l’ardire soltanto di nominare l’aspetto penale e concreto della legge in generale, e non soltanto di quella profetica e tradizionale, tanto più se riferita ad un ambito che non s’esaurisca nella garanzia del semplice, minimo equilibrio sociale, o del massimo disordine tollerabile, ma vada a coinvolgere il dominio della morale, o dei suoi principi primi, si venga subissati da una gragnola micidiale d’interdetti e di moti d’indignazione, artefatti o no che siano; il tutto avente di mira l’asserita “barbarie oscurantista” di certi fatti, che offenderebbero i pretesi “diritti dell’uomo”, o meglio, di non si sa quale uomo, se non certo una dignità umana che non si saprebbe in questi casi comecchessia ravvisare, e la coscienza dei sedicenti uomini “liberi”, non si sa bene da chi e da che cosa, o per chi e per che cosa.

 Non abbiamo a questo medesimo riguardo nulla da nascondere: le prescrizioni della legge tradizionale e profetica sono quelle norme o tramandate, o successivamente promulgate, che opponendosi alla degradazione della volontà informe, indifferente al contenuto, che riteniamo sia la radice prima di quello che si è soliti chiamare, in senso consequenziale e subordinato, “peccato”, hanno le loro scaturigini nell’originarietà suprema della Volontà Divina, e nella promulgazione e nel deposito superno dei Suoi Intimi, la pace su di loro, ravvisabile ad extra, al di là dal radicamento interiore, obnubilato di volta in volta dalle vicende del tralignamento umano, nei corsi e ricorsi della sua esternazione, vale a dire, del Messaggio di cui essi sono i latori.

 Nulla di tutto ciò nello spettacolo miserevole degli eventi contemporanei. E non è certo questo un fatto nuovo. Sono oramai secoli e secoli che questo nostro mondo, nella fattispecie quello occidentale, e non vogliamo qui limitare questo appellativo ad una mera configurazione territoriale, è immerso in una siffatta temperie. La superstizione mendace e letale dell'”individuo”, ivi venutasi man mano affermando e radicando, ha indotto l’abito pernicioso di trascurare in primo luogo le radici eminenti e trascendenti della persona umana, che ne sono la realtà primaria ed autentica, vale a dire, l’origine, il mezzo, e la destinazione, riducendola, in secondo luogo, ai suoi aspetti più degradati, astraendola da ogni attribuzione e compito perfettivo, tale che, da ultimo, non abbia a rimanerne altro che una massa informe, sulla quale rimangono come sospese qualificazioni contrapposte o separate, in cui essa s’insinua senza comprenderle, non potendone dare, a cagione della sua indigenza esistenziale, ragione alcuna.

 È questo il dominio regressivo, a dispetto della sua mirabolante pretesa di spacciarsi come il fastigio di quelle sorti “progressive” in cui si attuerebbe la tanto millantata vicenda dell’emancipazione umana, dei pretesi diritti di non si sa quale uomo, della tanto esaltata democrazia, inverantesi come tirannide delle pulsioni e dei poteri satanici, di una libertà artefatta ed insussistente, ad uso e consumo di chi, di fatto, la stravolge e la nega; sino a tutto il conseguente armamentario d’errori e d’orrori, quali il diritto incondizionato a non si sa bene quale vita, forse quella della sanguisuga, della vipera, o dello scorpione, e non nel loro diritto primario di creature d’Iddio Altissimo, ma come quello a cui può ridursi la creatura umana nel precipitare dalle vette della sua perfezione, nell’infimo dell’abiezione; oppure della dignità di un essere umano che avrebbe solo, a questa stregua, da vergognarsi di sé stesso, o di quei diritti civili che non si sa bene di quale città gli diano la cittadinanza, non certo di quella “città d’Iddio” che ben altro postulerebbe; oppure di un’uguaglianza ridotta ad informe sostrato tellurico ed infero del suo tralignamento, privo di qualifiche perfettive, piuttosto che identità di perfezione eminente, siccome termine e fine unitivo di tutte le svariate vie che ad esso conducono; o di un umanitarismo insulso e devastatore, che riducendosi all’uomo effettuale, astrattamente inteso, lo assume nondimeno indebitamente, come un tutto esaustivo, riducendolo così da ultimo, in questa sua insussistenza prevaricatrice e velleitaria, al fondo dell’abiezione, dalle altezze della sua ottima postura originaria, vale a dire, dalla sua destinazione superna.

 E si faccia bene attenzione a questo medesimo riguardo. È sin troppo facile oggigiorno, a procedere da queste ingannevoli premesse, lesive degli stessi aspetti inferiori della realtà umana, essere sommariamente condannati, essendo accusati d’essersi lasciati incatenare alle sembianze esteriori del mondo corporeo, d’essere a questa stregua reputati “barbari”, al cospetto di quanti invece pretendono di librarsi nelle altezze aeree ed imponderabili dell’interiorità spirituale: che orrore il solo pensare che la Legge d’Iddio abbia ad incidere anche nella carne e nel sangue, a procedere dai suoi più alti sensi e stazioni. È sin troppo facile, a questa stregua, strepitare di un orrore il più delle volte simulato ed artefatto, quando non sia il frutto della melensaggine di un’ignoranza colpevole, anche al minimo accenno non soltanto di punizione, ma anche di condanna, e persino di giudizio e di discrimine.

 Ora, traviamento e retta via non si equivalgono, e non certo sotto il riguardo d’equilibri che garantiscano la sopravvivenza sociale e la legge del profitto e del benessere sensibile, o della soddisfazione sentimentale, imposti come meta suprema di tutti, ma sotto il riguardo di una trascendenza, di una perfezione esaustiva, di un termine ultimo che trascende sì ogni qualificazione, ma che è la fonte eminente d’ogni qualità, d’ogni esistenza; mentre gli equilibri suddetti finiscono col ricondursi da ultimo a quell’indistinzione insussistente, a cui si riduce necessariamente un mondo sensibile lasciato a se stesso, ma che non è in grado di dare ragione di se stesso, destinato pertanto a sprofondare, a questa medesima stregua, quando pretenda velleitariamente d’emanciparsi dal suo Principio eminente, in quelle propaggini telluriche ed infere dell’esistenza, ove si ritroverà, per sua stessa mano, al cospetto di quel Principio a cui s’illudeva di sfuggire, ma riducendosi alle sue possibilità infime, le più regressive e dissolutive, e perciò stesso punitive, che procedono dall’attributo divino di Maestà, in quanto distinto, ma non separato, nell’identità unitiva dell’unicità, da quello di Bellezza.

 Sarebbe anche troppo facile, a questa stregua, confrontare le magagne, quelle reali e quelle apparenti, dell’uno e dell’altro caso, comparare la violenza immane, nel senso e dell’intensità e dell’estensione, concepita ed attuata contro tutti gli aspetti di questa creatura umana regressiva e, sia pur velleitariamente, mutila, con quegli atti d’apparente, e sia pur minima asprezza, se confrontati con le magagne istituzionali ed accessorie dell’immane e mostruoso apparato che si sforza di conculcarli ed impedirli; di fronte ai quali siamo condannati ad essere quotidianamente spettatori degli scomposti contorcimenti sentimentali di quelle anime belle, che celano dietro le quinte del proprio narcisismo, o sono persino orgogliose d’ostentarlo, tutto il putridume immondo della loro natura fracida e corrotta, pronta a prostrarsi al cospetto d’ogni idolo impuro, concreto o fittizio che sia; idolo ai quali è disposta a sacrificarsi, oltre che a prostituirsi, per proclamare, se non che “Iddio è morto”, che è morta la Sua Legge, che i Profeti sarebbero venuti non a portare regole, bensì ad abrogarle, ed a blandire le magagne della vanagloria umana, ed i suoi pretesi “diritti”, la sua pretesa dignità; quasi che non fosse Iddio Altissimo a dovere essere adorato e soddisfatto, ma dovesse invece essere quest’omiciattolo tralignato ed impudente il centro attorno al quale Iddio, o piuttosto, un dio immaginario, sarebbe tenuto ad affannarsi, per soddisfare le sue voglie più incresciose, a giustificare le sue magagne più vergognose, ad offrirsi umilmente al suo servizio, fatta salva l’integrità, pretesa e velleitaria, della compagine delle escrescenze che procedono da quei falsi principi inferi, a cui in ogni caso, stando così le cose, egli finisce col ricondursi.

 Tutto questo sarebbe anche sin troppo facile. Sarebbe sin troppo agevole e scontato soppesare su uno dei piatti della bilancia, orrore, orrore, e ci si perdoni l’apparente crudezza dell’eloquio, una mano mozzata, un’adultera lapidata, qualche patibolo, qualche frustata, con gli innumerevoli orrori che in un crescendo d’intensità ed estensione, hanno contraddistinto l’età moderna ed il predominio dell’Occidente sul mondo, testimone quest’ultimo d’innumerevoli stragi di gruppi, comunità, popoli interi, per lo più inermi ed innocenti, trucidati, arsi vivi, o polverizzati senza residuo, o costretti a portare nelle carni, le loro e quelle dei figli, le piaghe non rimarginabili della “civiltà e del progresso”, o condannati ad una morte lenta per fame, in nome delle leggi del progresso,del mercato e del profitto, o ridotti a zimbello dei poteri forti di questo basso mondo e di quelli inferiori, nell’esclusiva ricerca della soddisfazione corporea e passionale; il tutto con strumenti sempre più feroci, efficaci, raffinati, a bollare con un perenne marchio d’infamia, in questo mondo e nell’altro, quelli che ne sono stati e ne sono gli autori e gli ispiratori palesi ed occulti, e che oggigiorno, dalla cattedra della simulazione e della menzogna dietro la quale si cela il Nemico dell’Uomo, osano ergersi a giudici di quanti s’adoperino per seguire la via d’Iddio, nell’integrità suoi segni esteriori, imprescindibile gradino quanto al nostro stato presente, ed imprescindibile conseguenza in esso per le stazioni superiori della realizzazione esistenziale, e dei suoi sensi ed effetti interiori; proclamandosi a questa stregua, senza ragione alcuna, fautori della promozione della dignità dell’uomo, essi che se ne adoperano invece per il tralignamento e la dissoluzione.

 Non sembri questo il partito preso di una petizione di principio. Già dianzi avevamo accennato, da un punto di vista complessivo, a questa questione della perfezione umana, e della via che ne conduce al Principio, nella fattispecie, sotto il riguardo dei suoi aspetti sensibili, ed alla possibilità che se ne venga sviati. Questi accenni precedenti si ricollegano alla seconda parte dell’argomento che ci proponevamo qui di discutere, vale a dire, non soltanto il confronto tra le magagne massime e somme della barbarie moderna e modernista, con quelle minime ed apparenti delle norme esteriori della tradizione profetica, anche nel sembiante della loro pretesa crudezza. Quel che è importante, a questo medesimo riguardo, è d’avere bene in vista le prospettive e le conseguenze dell’una e dell’altra, onde s’abbia ben certo che le une sono incomparabili alle altre sotto il rispetto del loro contenuto perfettivo esistenziale.       

 Quelle stesse norme che suscitano tutto l’orrore ed il rifiuto dell’omuncolo moderno, sviato e traviato, avvolto ed obnubilato dai veli di tenebra della sua compagine corporea, e dal marasma dell’immaginativa concupiscibile e passionale, hanno un loro senso profondo e recondito, che farebbe sì che, se esso fosse soltanto concepito per via di vaga similitudine rappresentativa, e non soltanto accennato a prescindere da ogni contenuto, se non appreso con l’occhio e la scienza della certezza, di cui recita il Sacro Corano, farebbe sì che chi vi fosse destinato, se le sobbarcherebbe anzi con gioia, ravvisando in esse lo strumento per eccellenza di una cura a questa stregua infallibile, atta al miracolo della guarigione, della rigenerazione perfettiva della persona umana dai suoi difetti e dai suoi falli, prima che diventino incurabili, portandola all’ineluttabilità del castigo perenne.

 E non sembri questo, sia pur nella sua contrarietà alla corrente opinione comune, un nonsenso di menti ottenebrate, sin troppo accese nel loro zelo mal concepito, e peggio attuato. Nulla di tutto questo. Il fatto è che la persona umana non si esaurisce ai suoi livelli sensibili ed immaginali a noi noti. Vi sono livelli immaginali ulteriori, ed altri ancora superiori a questi, che pur esulando dal dominio presente, ne danno ragione, come ve ne sono altri ad essa sottesi, come conseguenza e termine della sua regressione, frutto della sua velleitaria separazione dai domini superiori, che invece di renderne conto in senso principiale, ne mostrano a questa stregua l’autentica natura, di là da ogni menzogna e contraffazione.

 Non si tratta qui più, come nel caso precedente, di soppesare l’una e l’altra eventualità, bensì di stabilirne i risultati finali, d’ordine esistenziale e perfettivo, che si risolvono in definitiva in un’incomparabilità ed incommensurabilità delle due vie, data l’assoluta opposizione dei due termini in questione, dei quali l’uno non lascia nessun luogo all’altro. Questo, naturalmente di là da ogni ingannevole sembiante, di là dalle apparenze suadenti di questo nostro basso mondo, e dalla sostanza dissolutiva dei domini inferi e tellurici.

 Lo ripetiamo, e reputiamo di rifarci così ad un’ovvietà inoppugnabile: questo nostro basso mondo, di per sé stesso, non ha nessun significato, e deve accennare pur sempre, in un modo o nell’altro, ad una sua sorta di trascendimento, o verso l’alto, o verso il basso, o nel verso della completezza e perfezione che diano ragione della sua sussistenza mutila e transeunte, e la includono in senso eminente, o nel verso opposto ed ineluttabile di una degradazione infera, luciferina, di quel che si sia chiuso velleitariamente alle vie dell’ascesa, di quel che vada a decomporsi ed annichilirsi, avendo perso, sia pur illusoriamente, ogni contatto e rapporto con la sua radice eminente.

 Rapporto e contatto che, a dire il vero, non andranno mai perduti, anche nel delirio delle illusioni più fuorvianti, dato che questo sostegno continui a sussistere, anche per il più mutilo dei sostrati esistenziali del fallo e dell’abiezione, sino a quell’insussistente sostanza infima a cui esso si riconduce da ultimo, nella sua fallace indeterminatezza, che è il riflesso invertito dell’eminenza principiale nell’insussistenza finale, e nei suoi riflessi ignei, nelle figure di un’attività distruttrice perenne, giammai compiuta nella perennità dei singoli ricorsi esistenziali.

 Iddio ha dunque mostrato la Sua via, illustrandola grazie ai Suoi Inviati. la pace su di loro: la via del trascendimento perfettivo e dell’eterna beatitudine per tutti gli aspetti della compagine umana, che passa attraverso il superamento dei limiti esistenziali, di quelli connaturati, e di quelli indotti dagli atti regressivi e dalle loro violazioni, esterne ed interne che siano, sino ad indicare la via della punizione anche esteriore del fallo come una medicina personale e comunitaria, ed anche universale, a mo’ di sacrificio che emenda ed annichila, violando sì, ma non tanto sotto il riguardo della morte esteriore, corporea, quanto piuttosto sotto quello del limite, e della morte assoluta alla perfezione della prossimità divina, vale a dire, dell’estinzione e dell’obnubilazione nella Sua Maestà e della trasparenza e permanenza che Ne procedono dalla Bellezza, senza tramite; morte assoluta di chi sarebbe altrimenti destinato alla perennità esistenziale e regressiva di una sopravvivenza larvale, letale, ignea, nel fondo dell’infima escrescenza dell’universo creato.

 È quest’ultima la via propalata ed insinuata dai sussurri incessanti del Nemico dell’Uomo, vale a dire, la via della privazione esteriore ed interiore, che nel profondo si corrispondono, così come la pena esterna ha un riscontro interno, laddove chi pretenda di compiersi abusando dei propri e degli altrui limiti, vale a dire, non superandoli nel senso della loro inclusione eminente, ma ledendo gli uni, ed accentuando gli altri nella velleità d’espanderli, non fa invero che ledere e menomare la sua stessa natura, sfigurandola, sottraendola all’irraggiamento perfettivo e sostentatore della sua stessa scaturigine, e così limitata, la fa precipitare di livello in livello inferiore.

 Questo a prescindere da quella fallace, insussistente inclusione che si manifesta come velleitaria accettazione ed esteriore sostrato d’ogni figura esistenziale, sia pure lesiva e regressiva, non potendone dare ragione per l’indigenza esistenziale che, oltre alla sua sostanza informe, null’altro include, e che si contrappone così, volente o nolente, mercé dell’opporsi assoluto ed insussistente d’estremi, dei quali l’uno non lascia luogo altro che alla sembianza insussistente dell’altro, alla radice opima ed eminente che dà ragione d’ogni distinguersi qualificativo, d’ogni contenuto esistenziale, ed assegna alla violazione lesiva dell’essere la propria ragione d’illusoria scaturigine infera, della quale richiede l’emendamento, nel rispetto almeno esteriore da parte di chi emenda, se non di chi è emendato, delle qualificazioni umane connaturate d’intelligenza e volontà.

 Questo è a nostro avviso il nocciolo della questione. Questo è quello di cui occorre tenere conto, davanti ad un’ignoranza colpevole che menoma la libertà del volere, e della finzione mendace di chi si ripropone di trascinare il tutto nel precipizio della propria caduta, quasi che così il Nemico dell’Uomo, accecato dal suo insipiente intendimento in cui il raggio creatore individua le possibilità infime dell’esistenza universale, potesse espandersi a comprendere e dominare il tutto, invece che confermare la miseria della sua impotenza e degradazione.

 È per questo, per questa catena di conseguenze e riflessi, che allorquando si assiste alla punizione corporale, anche la più cruda e severa, di un delitto, oltre e più che provare pena per una creatura colpevole condannata dalla sua stessa colpa, specialmente nel caso in cui questa non abbia a rimorderlo al punto da fargliene accettare le conseguenze penali, nella quale sola eventualità gliene verrebbe diretto beneficio personale; oltre e più che questo, si dovrebbe addirittura provare gioia, oltre che per l’eventuale vantaggio di chi è punito, per le conseguenze benefiche per tutto l’ambiente umano, e per l’intero creato, ai suoi vari livelli, di questo vero e proprio sacrificio, che contribuisce ad annullare il limite menomante e prevaricatore, per esaltare la singola sostanza, portandola all’espansione ed al trascendimento esistenziale, o consentendo, ponendo le condizioni che propiziano che ciò avvenga per le altre sostanze; il che, come avevamo poc’anzi premesso, coinvolge tutti i livelli dell’esistenza, sino alle pure intelligenze spirituali, pronte in questa guisa al loro irraggiamento di gioia superna, che benefica questo nostro basso mondo.

 E non sembri, a questa medesima stregua, che si sia parlato troppo crudamente, checché ne sentano le tante meretrici alle quali è stato affidato il verbo mendace e mortifero dell’emancipazione mondana, ed i loro drudi compiacenti. Non è certo di un’inutile e cruda vendetta che qui si tratta, che sarebbe meramente individuale, e per ciò stesso lesiva dell’integrità della persona, ma di una giustizia sovrapersonale, che è invece universale, perfettiva e della singola persona, e del tutto esistenziale. Senza la quale, quand’essa fosse per assurdo cancellata anche dalle favelle e dalle scritture, il mondo stesso sarebbe condannato a sprofondare nella voragine della sua abiezione, rifiutato che abbia l’ausilio della largizione e dell’elezione divina, per rivoltarsi nel brago letale della sua pervicacia, che Iddio Altissimo ce ne voglia scampare oggi e sempre, in tutti i mondi, dei quali egli è Signore.  

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Writer : shervin | 0 Comments | Category : Attualità, politica e società

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