Ahmad Vaezi
Perché la Wilayat al-Faqih?
Nel capitolo precedente si è fatta presente la priorità assoluta di Dio in quanto fondamento della dottrina politica Imamita: è Iddio che ha conferito al santo Profeta (S) e agli Imam (as) l’autorità ed il mandato di guidare e governare la comunità islamica (umma), e la wilayat al-faqih è una estensione di tale autorità. Comunque, mentre la wilayat degli Imam può essere tradizionalmente verificata secondo la teologia islamica (kalam), l’autorità dei giuristi (wilayat al-faqih) è quasi esclusivamente discussa nella sfera della giurisprudenza (fiqh), poiché l’autorità universale del faqih (wilayat al-amma) deve essere stabilita grazie all’ijtihad (deduzione giuridica). Questo metodo va considerato come una “giustificazione interna” poiché si ripropone di convincere coloro che già hanno accettato i principi basilari del credo Sciita. Dall’altra parte, la wilayat al-faqih in quanto modello politico di autorità, deve essere in grado di giustificarsi nei confronti delle altre ideologie politiche, specialmente quelle democratiche, che essenzialmente criticano il concetto di autorità. A tale approccio ci riferiamo designandolo come “giustificazione esterna” per la wilayat al-faqih.
La giustificazione interna si affida primariamente alle Tradizioni narrate dal Santo Profeta (S) e dagli Imam (as), sebbene alcuni giuristi si avvalgano anche di argomenti razionali. Di conseguenza, rispetto alle basi della giurisprudenza islamica, l’autorità del faqih può essere stabilita conformemente alla sunna (Tradizione) e all’intelletto (dalil al-aql).
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Prove tradizionali per la Wilayat al-Faqih
I giuristi Imamiti fanno riferimento ad un insieme di narrazioni del Profeta Muhammad (S) e degli Imam (as), al fine di stabilire la wilayat al-amma per i fuqaha. Di seguito ne esamineremo alcune.
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Un Tuqih[1] dall’Imam occulto
Una delle tradizioni più affidabili a cui fanno ricorso i sapienti[2] a questo proposito, viene riferita al dodicesimo Imam, l’Imam occulto (che Dio affretti la sua manifestazione). Shaykh Saduq ha riportato nella sua opera “Ikmal al-Din wa Itmam al-Ni’ma” che Ishaq Ibn Yaqub scrisse una lettera all’Imam occulto chiedendogli alcuni chiarimenti. Il rappresentante dell’Imam (Muhammad Ibn Uthman al-Umari) gli consegnò una lettera. L’Imam rispose:
“Per quanto riguarda gli eventi futuri (al-hawadit al-waqi’a) fate riferimento ai trasmettitori (ruwat) dei nostri insegnamenti, i quali sono la mia prova (hujja) su di voi, ed io sono la prova di Dio (hujjatullah) su tutti voi”[3]
Anche Shaykh Tusi riporta tale narrazione nell’opera “al-Ghayba”[4], e altre raccolte di ahadith Imamiti fanno lo stesso.
I difensori della wilayat al-faqih si riferiscono spesso alla seconda parte della Tradizione, laddove essa dice “i quali sono la mia prova su di voi ed io sono la prova di Dio su tutti voi”, al fine di stabilire l’autorità dei fuqaha. Inoltre, alcuni sapienti (come l’Imam Khomeini) ritengono che anche la prima parte dell’hadith possa essere usata al fine di stabilire l’autorità del faqih. La prima parte di questa narrazione incoraggia le genti a rivolgersi ai narratori delle Tradizioni degli Imam riguardo egli avvenimenti che potranno accadere. E’ assai improbabile che Ishaq Ibn Yaqub avesse chiesto all’Imam ciò che debba essere fatto riguardo alle questioni religiose, poiché ogni sciita sapeva che in questi casi poteva far riferimento ai fuqaha (giuristi). Infatti, secondo diverse narrazioni, le genti si rivolgevano anche a discepoli degli Imam nel tempo della loro esistenza visibile. Di conseguenza, Ishaq deve aver inteso qualcos’altro con “al-hawadith al-waqi’ah”. L’Imam Khomeini dice:
“Hawadith al-waqi’a indica piuttosto i futuri problemi che affliggeranno l’umanità e i Musulmani. La domanda di Ishaq Ibn Yaqub si riferiva implicitamente a questo: adesso che non abbiamo più accesso diretto alla vostra presenza, che cosa dobbiamo fare riguardo ai problemi sociali? Quale è il nostro dovere?”[5]
E’ inoltre necessario stabilire ciò che l’Imam avesse voluto dire con “ruwat” (narratori), quand’egli ordinò ai suoi seguaci di far riferimento ai narratori delle Tradizioni nell’affrontare le nuove circostanze. In effetti, è ovvio che chi si limita a trasmettere le Tradizioni ed a narrare ciò che ha visto e sentito, senza una comprensione autentica della scienza degli ahadith o della giurisprudenza, non è qualificato per questo compito. Quindi l’Imam deve aver fatto riferimento a quei fuqaha (giuristi) esperti nell’interpretazione e nella spiegazione delle fonti islamiche.
Abbiamo detto precedentemente, che per lo più i giuristi imamiti si riferiscono alla seconda parte di questa Tradizione, al fine di stabilire l’autorità dei giuristi. In essa si afferma che i fuqaha (ruwat) agiscono in quanto “prova di Dio” (hujja), avendoli Iddio designati perché guidassero la comunità: tutte le loro azioni e i loro detti costituiscono una prova per i Musulmani. Se la prova vi ordina di compiere un determinato atto e voi non obbedite, o se nonostante la sua presenza manifesta, ricorrete ad autorità illegittime per la soluzione delle vostre faccende, allora Dio l’Altissimo addurrà una prova contro di voi nel Giorno del Giudizio[6].
In breve, essere una hujja implica l’autorità, ed alle ingiunzioni di chi ne è investito si deve obbedire. Poiché l’Imam, hujja di Dio (una prova per la cui disobbedienza Dio non accetterà nessuna scusa), ha designato i fuqaha come sua hujjah, gli ordini e le direttive dei fuqaha sono come quelli degli Imam.
Riguardo alla catena di trasmissione (sanad), l’unico problema che sorge è l’esistenza di Ishaq Ibn Yaqub. Non vi è nessuna menzione particolare che lo riguardi nelle opere imamite che trattano dei narratori (Iml al-Rijal). Dato che la questione è stata sollevata, come si può esser certi che la lettera fu realmente scritta dall’Imam, e che Ishaq Ibn Yaqub la ricevette? Vi è una differenza tra riportare una Tradizione, e l’affermare che qualcuno abbia ricevuto una lettera dall’Imam nel tempo dell’occultamento minore, quando era possibile consultarlo attraverso il suo rappresentante designato. Il punto chiave, comunque, è che molti grandi sapienti imamiti, quali Shaykh Saduq, Shaykh Tusi e specialmente Shaykh Kulayni, il quale era vivo durante il periodo dell’occultazione minore (ed era esperto negli ahadith) citano la Tradizione in quanto “tuqih”; è questa una dimostrazione sufficiente per la validità di una catena di trasmissione[7].
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La Maqbula di Umar Ibn Hanzala
Secondo la scienza degli ahadith, la “maqbula” è una narrazione accettata dai fuqaha come Tradizione valida senza aver esaminato l’autenticità o la debolezza della sua catena di trasmissione. In altre parole, anche se alcune figure nella catena di trasmissione possano essere deboli o inaffidabili, vi sono alcuni elementi a sostegno dell’affidabilità del testo presentato dai fuqaha, che ci autorizzano ad ignorare tali debolezze.
Umar Ibn Hanzala, discepolo dell’Imam Sadiq (as), ha riportato8:
“Ho chiesto all’Imam Sadiq (as) se sia lecito per due sciiti tra i quali vi sia diversità di vedute circa un debito o un’eredità, aver un verdetto dal governante o dal giudice. Egli mi ha risposto:- Chiunque faccia ricorso ai taghut (il potere costituito illegittimo), chiunque ottenga vantaggi dai loro verdetti, li avrà ottenuti tramite mezzi illeciti, anche se prova di essere dalla parte della ragione, poiché egli li ha ottenuti grazie al verdetto ed al giudizio di un taghut, il potere che Iddio Onnipotente ci ha ordinato di rinnegare. ‘Essi ricorrono all’arbitrato degli idoli, mentre è stato loro ordinato di rinnegarli (4:60)’”
Umar Ibn Hanzala chiese poi che cosa i due Sciiti avrebbero dovuto fare in tali circostanze. L’Imam Sadiq (as) rispose:
“Essi devono far riferimento a uno che narri le nostre Tradizioni, sapiente in ciò che è lecito e ciò che è proibito, ben versato nelle nostre leggi e ordinanze, ed accettarlo come giudice ed arbitro, poiché io l’ho nominato hakim (giudice).”[8]
Nessun giurista imamita ha messo in discussione il fatto che questa Tradizione stabilisca l’autorità del faqih riguardo all’amministrazione della giustizia (wilayat al-qada’). Ma molti tra i principali sapienti come Mirza al-Nayini, Seyyed Muhammad Reza Gulpaygani, Shaykh al-Ansari9 e l’Imam Khomeyni credono che il testo non confini l’autorità del faqih alla wilayat al-qada’. Essi ritengono che l’Imam abbia designato il faqih come depositario dell’autorità universale (wilayat al–amma), quando ha detto: “L’ho nominato [il faqih] come hakim [giudice]”.
Il ruolo di giudice non si limita solamente a risolvere le controversie giuridiche; i conflitti inducono la gente a fare ricorso non solo ai giudici, bensì anche ai detentori del potere politico. La Tradizione riferita all’Imam Sadiq (as) proibisce incondizionatamente qualsiasi ricorso alle autorità illegittime (taghut), e non vi è ragione di supporre che l’Imam abbia proibito ai suoi seguaci solo di avvalersi dei giudici nominati da un governo illegittimo, permettendo invece loro di ricorrere a questo stesso governo. Designando il faqih in quanto hakim, l’Imam ha reso obbligatorio per tutti gli sciiti il rifiuto di ogni sorta di ricorso al potere illegittimo. In ogni sorta di disaccordo è necessario per loro fare riferimento ad un faqih, sia nel campo giuridico che in quello degli affari di governo.
Non ci sono problemi riguardo a questa catena di trasmissione. Tutti i narratori – Muhammad Ibn Yahya, Muhammad Ibn Husayn, Muhammad Ibn Isa, Safwan Ibn Yahya e Dawud Ibn Husayn – sono affidabili. Sebbene non vi siano conferme specifiche che Umar Ibn Hanzala sia realmente esistito, i fuqaha generalmente accettano questa Tradizione ed altre da lui narrate.
Fuqaha come l’Imam Khomeini e Shaykh Muhammad Hasan Najaf[9] fanno riferimento ad una famosa narrazione trasmessa da Abu Khadija (che era un compagno dell’Imam Sadiq), a sostegno della wilayat al-amma. La Tradizione è stata menzionata da Shaykh Tusi, Shaykh Saduq e Shaykh Kulayni. Abu Khadija ha detto:
“Mi è stato comandato dall’Imam (Jafar al-Sadiq) di portare il seguente messaggio ai nostri sciiti:- Quando l’inimicizia e le dispute crescono fra voi, o voi venite in disaccordo riguardo al pagamento di una somma di denaro, assicuratevi di non far riferimento ad uno dei malfattori per il giudizio. Designate come giudice e arbitro qualcuno fra voi che sia ben informato sulle nostre ingiunzioni riguardo a ciò che è permesso e ciò che è proibito, poiché sono io che nomino questa persona giudice fra voi. Non lasciate che nessuno fra voi si faccia avanti contro l’altro ricorrendo al potere dei tiranni-”[10]
L’argomento viene qui trattato in modo simile a quello della narrazione precedente. Anche se l’Imam dice “sono io che nomino tale persona quale giudice”, una dichiarazione che concerne esplicitamente la wilayat al-qada’, è essenziale riconoscere che la parte finale di questa narrazione non si limita a ripetere quel che precede. Piuttosto, vi si proibisce di far ricorso all’autorità dei tiranni nelle questioni concernenti il potere esecutivo. Nel primo esempio, l’Imam esorta i suoi seguaci ad evitare i giudici illegittimi, mentre nel secondo egli proibisce loro di avvalersi degli altri poteri illegittimi nelle questioni non-giudiziarie. Ciò indica che la nomina di un faqih è necessaria in tutte le faccende, sia giudiziarie che politiche.
Molti esperti nel campo della biografia dei trasmettitori (Ilm al-Rijal) testimoniano che Abu Khadija è un narratore affidabile. Inoltre, l’hadith è ben noto tra i fuqaha, che lo classificano come mashhur (famoso), e di conseguenza non vi sono problemi per la sua catena di trasmissione.
Si potrebbe supporre che le designazioni dell’Imam Sadiq (as) nelle due Tradizioni precedenti siano da reputarsi temporanee e limitate alla sua epoca. Tale possibilità si basa sull’assunzione che i suoi successori possano aver destituito i fuqaha dall’autorità, proprio come i successori di un governante possono cancellare i suoi ordini precedenti. Comunque, questa supposizione ignora il rango degli Imam all’interno della Shi’a Imamita: i loro comandi e le loro istruzioni non sono paragonabili a quelli di un governante qualsiasi, e ai loro ordini si deve obbedire, sia durante la loro vita che dopo. Inoltre, l’Imam Sadiq (as) fa riferimento ad un versetto coranico (4:60), che ingiunge il rifiuto dei taghut (l’autorità illegittima) e proibisce il ricorso al loro governo, come base per la designazione del faqih in quanto “hakim”. È questa una prova inconfutabile del fatto che il suo editto non è ristretto ad un periodo specifico, e che è sempre obbligatorio non fare affidamento sulle autorità illegittime.
Queste tre Tradizioni sono considerate affidabili, e fungono da solido fondamento per la wilayat al-amma. Comunque, vi è qualche divergenza tra i giuristi imamiti riguardo alla trasmissione e all’interpretazione dei testi. La maggior parte delle critiche ritengono che le Tradizioni sopraccitate concernano poco più dell’amministrazione della giustizia (wilayat al-qada’) da parte dei fuqaha.
A parte queste tre Tradizioni citate, i difensori della wilayat al-amma si riferiscono anche ad altre che, sebbene troppo deboli al fine di provare l’autorità universale del faqih, certamente rafforzano e verificano tale dottrina.
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Prima Tradizione: la trasmissione di Qadah
Narra Ali Ibn Ibrahim, da suo padre, da Hamad Ibn Isa, da Qadah (Abdallah Ibn Maimun) dall’Imam Sadiq (as), il quale riporta che il Profeta (S) ha detto:
“La superiorità dell’uomo sapiente sul semplice adoratore è come quella di una luna piena sulle stelle. Invero gli ulamà (i sapienti) sono gli eredi del Profeta: i profeti non hanno lasciato oro (dinar) e argento (dirham), ma hanno tramandato la conoscenza, e chiunque l’acquisisca ha in verità acquisito una nobile porzione della loro eredità.”[11]
Secondo questa Tradizione i sapienti religiosi (ulamà) giusti e timorati sono gli eredi dei Profeti. Di conseguenza, essi devono farsi carico di tutte le responsabilità e gli attributi che Dio ha stabilito per loro (eccezion fatta per quello che li qualifica come destinatari della rivelazione divina). Essi sono i fiduciari che mantengono la sua autorità (wilayat) e l’integrità dell’Islam e, come si è notato nelle trattazioni precedenti, il Profeta (S) è stato designato come guida e autorità dell’umma. Il Corano dice:
“Il Profeta ha più autorità sui credenti di loro stessi” (33:6)
Quindi anche il suo diritto di governare i credenti viene affidato ai sapienti.
Le critiche ritengono che la Tradizione riguardi la conoscenza piuttosto che il rango dei Profeti, e che quindi i sapienti sarebbero gli eredi dei Profeti solo nel campo della conoscenza. La catena di trasmissione dell’hadith è buona e i fuqaha generalmente la accettano come valida.
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La Seconda Tradizione: il Mursal[12] di Saduq
Shaykh Saduq in diverse delle sue molte opere cita il seguente hadith:
“L’Imam Alì riferisce che il Profeta ha detto:- O Dio! Abbi misericordia dei miei successori-. Egli ripeté tale frase per due volte e poi gli venne chiesto:- O Messaggero di Dio, chi sono questi tuoi successori?-. Egli rispose:- Essi sono coloro che vengono dopo di me, trasmettono le mie Tradizioni, le mettono in pratica e le insegnano alle genti dopo di me-”[13]
L’interpretazione di questa Tradizione è simile a quella della precedente. I successori del Profeta (S) devono possedere ogni sua qualificazione, tranne quella di ricevere la rivelazione divina. L’Imam Khomeini afferma:
“Essere un successore significa succedere in tutte le funzioni della Profezia. A questo riguardo, ciò che si intende nella frase ‘O Dio! Abbi misericordia dei miei successori’ non è meno di ciò che si intende nella frase ‘Ali è il mio successore’, poiché il significato di successione è lo stesso in entrambi i casi.”[14]
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Terza Tradizione: i Fuqaha sono i fiduciari dei Profeti
Shaykh Kulayni riporta il seguente hadith del Profeta (S):
“I fuqaha sono i fiduciari dei Profeti fintanto che non cadano nelle tentazioni mondane (dunya). Al Profeta fu chiesto:- Quale è il segno delle loro tentazioni mondane?- Egli rispose:- Osserva se essi seguono i Sultani o meno. Se lo fanno, preoccupati per la tua religione-”[15]
L’argomento qui è che i fuqaha sono i fiduciari dei Profeti non soltanto per la deduzione delle leggi religiose, ma anche per quel che concerne la costituzione di un governo religioso e di un ordinamento sociale giusto.
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Quarta Tradizione: gli Ulama e i governanti
Amudi riporta una Tradizione del Principe dei Credenti ‘Ali (as) sull’autorità:
“Gli ulamà (sapienti) sono i governanti (hukama) delle genti”[16]
Il significato di questa Tradizione sostiene esplicitamente la wilayat al-amma, ma la catena di trasmissione è debole.
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Quinta Tradizione: il sermone dell’Imam Husayn (as)
Durante un sermone che trattava del comando di fare il bene e del divieto di fare il male, l’Imam Husayn (as) si rivolse ai sapienti e disse:
“Il disastro che vi ha colpiti è maggiore di quello che ha colpito gli altri, poiché la dignità di ulamà vi è stata tolta. Il governo della nazione con i suoi decreti deve essere affidato ai sapienti (ulamà), i quali, in quanto garanti dei diritti di Dio, sono a conoscenza degli ordini di Dio su ciò che è permesso e ciò che è proibito. Ma la vostra posizione vi è stata usurpata per causa vostra, poiché siete stati voi stessi, e nessun altro, ad aver abbandonato il fulcro della verità e tralasciato la Sunna, sebbene vi fossero prove chiare. Se foste stati forti davanti alla tortura e alla sofferenza, e pronti a resistere alle difficoltà per amore d’Iddio, allora le regole proposte sarebbero state sottoposte alla vostra approvazione.”[17]
Se non fosse stato per la debolezza della sua catena di trasmissione, questa Tradizione sarebbe stata la verifica più esplicita della wilayat al-amma.
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Sesta Tradizione: i Fuqaha sono la fortezza dell’Islam
Shaykh Kulayni riporta una Tradizione dell’Imam Kadhim (as) sull’autorità:
“I credenti che sono fuqaha sono la fortezza dell’Islam come le mura che proteggono una città”[18]
Il fatto che i fuqaha siano la fortezza dell’Islam, significa che essi hanno il dovere di proteggere l’Islam. Essi devono fare ciò che è necessario al fine di adempiere questo dovere e seguire il Profeta (S) quale modello per ogni credente. Il Corano afferma:
“Invero avete in lui un bell’esempio per chi spera in Iddio e nell’Ultimo Giorno” (60:6)
Il Profeta (S), in quanto fortezza dell’Islam, non si limita all’insegnamento, ma si fa anche carico di doveri e funzioni socio-politiche: tutti i compiti affidati al Profeta Muhammad (S) devono essere mantenuti dai fuqaha competenti, al fine di essere veramente la fortezza dell’Islam.
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La Wilayat al-Amma in quanto Hisba
Riferendosi alle prove testuali (il Corano e gli ahadith), si è difesa l’autorità universale (wilayat al-amma), e si è dimostrato che i fuqaha competenti non solo hanno la priorità sugli altri per il governo dei credenti, ma sono anche stati designati esplicitamente in quanto guide (wali) della comunità islamica. Peraltro, alcuni giuristi imamiti ritengono che anche quando analizziamo le prove tradizionali della wilayat al-faqih, si debba ugualmente stabilire la stessa autorità per il faqih in considerazione dell’hisba. Sebbene tale metodo di ragionamento non possa confermare la designazione del faqih, in quanto tale, come wali, esso sottolinea la priorità dei fuqaha nell’adempimento di questi doveri religiosi, e chiarisce che la loro autorità è legittima.
Hisba significa letteralmente “merito” o “conquista spirituale” e tale termine viene generalmente applicato alle azioni fatte per compiacere Dio ed ottenere ricompense paradisiache (thawab). Nella giurisprudenza islamica questo termine si riferisce a qualcosa che Dio non vuole ignorare o sottovalutare. Ad esempio, vi sono minori o persone malate di mente incapaci di curare i propri affari, e che hanno bisogno di qualcuno che si prenda cura di loro. Se essi non hanno il padre o il nonno che badi loro, qualcun altro dovrà prendersene la responsabilità, e poiché queste persone si accingono a farsi carico dei loro affari per amore di Dio, ciò viene chiamato hisba.
Vi è una differenza importante tra hisba, e ciò a cui ci si riferisce come “obbligo del bastante” (wajib al-kifa’i). L'”obbligo del bastante” è un’incombenza che ognuno è in grado di espletare, ma se è espletata da un numero sufficiente di individui, gli altri ne sono esentati. Ma l’hisba deve essere adempiuta dal faqih. Solo se un giurista qualificato non è disponibile, i credenti giusti (mu’minin al-adil) hanno il diritto di farsi carico solo di certe faccende.
Avendo chiarito il significato della hisba, esamineremo adesso un argomento che comporta l’estensione del suo significato. Le persone che adottano questa linea di ragionamento, affermano che l’hisba non è ristretta a casi quali quelli dei minori o dei malati di mente. Piuttosto, tale ruolo va esteso agli affari sociali e politici. Questo argomento ha due premesse.
I Musulmani sono obbligati ad osservare le ingiunzioni e le proibizioni dell’Islam in ogni ambito della loro vita personale e sociale, ed alcune richiedono l’apparato di uno Stato per essere messe in pratica. Inoltre, non è permesso ai credenti di consentire a governanti illegittimi e ingiusti di guidare la loro società, avendo essi la capacità di provvedere ai propri affari autonomamente. Da un punto di vista giuridico, questa premessa è generalmente accettata.
Un giusto faqih deve farsi carico dei doveri dell’autorità sociale e politica per due ragioni: sia perché le prove tradizionali a favore della wilayat al-amma sono buone, sia perché il giusto faqih ha comunque la priorità sugli altri per quel che riguarda questo compito. La ragione sottesa a questa conclusione, è che nessuno ha il diritto di stabilire la sua autorità sull’altro a meno che non sia qualificato per il ruolo dell’hisba. E la protezione dell’Islam e della società islamica è un esempio di hisba, che Dio non vuole certo sia ignorato o sottovalutato. Di conseguenza, i fuqaha competenti hanno la priorità sulle persone comuni per questo compito. In altre parole, qualcuno deve necessariamente assumersi questa responsabilità. Abbiamo due opzioni: o deleghiamo l’autorità a coloro che non hanno la competenza riguardo all’Islam, o approviamo l’autorità del giusto faqih. Abbiamo già confutato la possibilità della prima ipotesi, e se ne deduce quindi che sono i fuqaha a doversi assumere questo incarico.
A prescindere dagli argomenti tradizionali che dimostrano che i fuqaha sono stati designati come wali, questa prova stabilisce solamente la priorità di un faqih nel farsi carico degli affari di governo, come per altri casi dell’hisba.
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Il ricorso all’argomento razionale ha una lunga storia tra i sapienti sciiti. Alcuni credono che la prova razionale sia stata adottata la prima volta dallo sciita zaidita Qasim Ibn Ibrahim (785-860), il quale affermava che l’autorità politica eletta da Dio è necessaria a motivo dell’imperfezione della natura umana[19]. Mulla Ahmad Naraqi (morto nel 1829), l’autore di Awaid al-Ayyam, fu il primo giurista imamita che fece ricorso al ragionamento al fine di sostenere la tesi dell’autorità universale (wilayat al-amma).
Tale approccio adotta una struttura di pensiero simile a quella degli argomenti razionali sui quali i sapienti sciiti basano la necessità della Profezia e dell’Imamato: Dio doveva designare un Profeta o un Imam infallibili, per dare all’umanità una Guida divina. È quindi ragionevole concludere che, in loro assenza, Dio affidi le responsabilità della guida religiosa e politica alle persone più qualificate per esserne i rappresentanti.
Due argomenti vengono presentati a giustificazione della wilayat al-faqih. Il primo consiste interamente di premesse razionali senza riferimenti al Corano o alle Tradizioni, mentre il secondo combina il ragionamento con le prove fondate sull’autorità. Comunque, le dimostrazioni puramente razionali in genere non sono in grado di stabilire definitivamente la Profezia o l’Imamato di una particolare persona. Gli argomenti meramente razionali consistono di premesse universali, certe e necessarie, e pertanto la ragione pura può provare la necessità della Profezia e dell’Imamato, indicando le qualificazioni della Guida ideale (impeccabilità, giustizia, ecc.). Sebbene vi siano molti modi differenti di argomentare, sarà sufficiente menzionarne alcuni. Nel suo volume sulla teologia, Ibn Sina presenta una dimostrazione basata sulla necessità di un ordine sociale ben organizzato, al fine di stabilire la necessità dei Profeti[20]. Sebbene questo argomento sia stato applicato dai sapienti Musulmani alla Profezia, l’aggiunta di qualche premessa fa sì che esso sia in grado di confermare la necessità della sua continuazione grazie alla vicereggenza dei fuqaha. La struttura della sua versione modificata è la seguente:
I primi quattro punti provano la necessità della Missione Profetica. Il sesto punto concerne l’Imamato e la necessità di un Imam infallibile. E quello finale stabilisce la necessità di una guida religiosa competente durante il periodo di occultamento del XII° Imam.
Un’altra prova razionale è stata addotta dall’Ayatullah Burujardi, che ha fatto uso nella sua argomentazione di premesse basate su fatti storici e su principi religiosi:
La precedente premessa comporta che i giusti fuqaha vengano eletti come loro rappresentanti durante il periodo dell’occultamento maggiore, poiché vi sono solo tre possibilità:
Prima di concludere questa parte dedicata alle giustificazioni interne della wilayat al-faqih, è necessario esaminare quali siano le qualificazioni che un rappresentante dell’Imam debba possedere. Pur avendo in precedenza ricordato che solo un giurista competente può essere considerato un rappresentante (naib) dell’Imam, non abbiamo ancora discusso le sue qualificazioni secondo le fonti islamiche, ossia il Corano e la Sunna.
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Le caratteristiche del Wali al-Faqih e il problema dell’A‘lamiya
Nei confronti delle altre teorie politiche, la dottrina Imamita possiede alcuni vantaggi significativi. Ad esempio, laddove insiste sul fatto che il governante di una società deve possedere tratti specifici. Nei moderni sistemi democratici, elementi quali la popolarità, l’essere telegenico, ed avere il sostegno di fazioni ricche ed influenti, sono i più importanti, mentre le virtù personali vengono spesso trascurate. Nel pensiero politico sciita, al contrario, sono le virtù personali di una guida politica la qualificazione essenziale. Ne riportiamo alcune qui di seguito:
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L’Ijtihad (assiduità, diligenza, competenza nella Giurisprudenza Islamica)
Dato che l’attuazione delle leggi Islamiche nei vari aspetti della vita sociale è la finalità principale di uno Stato Islamico, il governante deve avere esperienza e conoscere le scienze islamiche, per essere in grado di prendere decisioni socio-politiche ed emettere decreti conformi ai principi dell’Islam. Molte prove tradizionali della wilayat al-amma insistono sul fatto che il wali (hakim) debba essere un faqih:
Nella maqbula di Umar Ibn Hanzala, l’Imam Sadiq (as) dice:
“Essi devono far riferimento a uno che narri le nostre Tradizioni, sapiente in ciò che è lecito e ciò che è proibito, ben versato nella nostra legge e nei nostri decreti, ed accettarlo come giudice ed arbitro, poiché io l’ho nominato hakim (giudice)”[21]
Anche nella Tradizione di Abu Khadija l’Imam dice:
“Designate come giudice e arbitro qualcuno fra voi, che sia ben informato sulle nostre ingiunzioni riguardo a ciò che è permesso e ciò che è proibito”[22]
Nella lettera firmata dall’Imam occulto, egli scrive:
“Per quanto riguarda gli eventi futuri, fate riferimento ai trasmettitori dei nostri insegnamenti”
Come abbiamo già spiegato, questi titoli e attributi qualificano un faqih giusto e competente (mujtahid), e non coloro che solamente narrano le Tradizioni.
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La Giustizia
La giustizia è una qualità richiesta in tutte le forme di autorità nella dottrina politica Imamita: i giudici e gli Imam delle Preghiere devono tutti essere all’altezza del loro compito ma il loro ruolo è considerevolmente inferiore a quello di chi ha la responsabilità di guidare un intero Stato. Inoltre, il Corano ingiunge ai Musulmani a non cooperare con gli ingiusti e le autorità tiranniche:
“Non cercate il sostegno degli ingiusti: in tal caso il fuoco vi colpirebbe, non avrete alcun alleato contro Iddio e non sarete soccorsi” (11:113)
In alcuni versetti del Corano, Iddio l’Altissimo invita i credenti a disobbedire agli ingiusti, coloro che commettono gravi peccati:
“Non obbedite ai comandi degli empi che spargono la corruzione sulla terra senza mai emendarsi” (26:151-152)
“Non dar retta a colui il cui cuore abbiamo reso indifferente al Ricordo di Noi, che si abbandona ai suoi bassi desideri ed è oltraggioso nel suo agire” (18:28)
Sebbene la giustizia non sia stata riportata tra le prove della wilayat al-faqih esaminate nella nostra discussione, il Corano ed alcune Tradizioni condannano i governanti ingiusti e coloro che li accettano, stabilendo che una comunità fondata sulle leggi e sugli insegnamenti islamici non possa essere guidata da chi non creda, o il cui comportamento non sia conforme a giustizia. Citiamo una narrazione dell’Imam Baqir (as) tramandato da Muhammad Ibn Muslim:
“O Muhammad, in verità i governanti ingiusti e coloro che li seguono si sono separati dalla religione d’Iddio. Senza dubbio essi sono sviati, ed hanno sviato molti”[23]
Tali qualità sono requisiti ovvi di qualsiasi guida politica, e quindi non vi è bisogno di prove per quel che le riguarda.
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Alcune narrazioni attestano che il depositario dell’autorità politica islamica deve essere tra le persone più sapienti (alim), competenti e qualificate. Tale criterio è discutibile, poiché molte delle Tradizioni a suo sostegno hanno deboli catene di trasmissione.
Secondo il libro di Sulaym Ibn Qais, ‘Ali (as) dice:
“Colui che è degno di essere il governante (califfo) della umma, deve essere il più sapiente riguardo al Libro di Dio (Corano) e alle Tradizioni del Profeta (Sunna). Iddio dice nel Corano:- Quale dei vostri soci può guidare alla verità? Ha più diritto di essere seguito chi conduce alla verità o chi non sa dirigersi a meno che non sia guidato?- (10:35)”[24]
Ed è stato tramandato dal Profeta (S):
“Colui che guida la sua gente quando vi sono in essa altri più sapienti di lui, la sua sovranità inizia il suo inesorabile declino”[25]
Come abbiamo menzionato nel capitolo precedente, un giusto faqih esercita varie funzioni. Alcune, quali l’amministrazione della giustizia (qada’) e l’hisba vengono classificate in quanto “wilayat”, mentre altre, come l’ifta, non richiedono la designazione da parte dell’Imam. Nel contesto della presente discussione è essenziale determinare quali di queste funzioni dipendano dall’“a’lamiyya” (essere il più sapiente).
Il riferimento ai decreti dei giuristi imamiti dimostra che coloro che considerano l’a’lamiyya in quanto condizione si sono riferiti soltanto all’ifta. L’Ayatullah Sayyid Kadhim Yazdi, l’autore di “Al-Urwa al-Wuthqa”, scrive:
“Riguardo alle funzioni del mujtahid, nessuna di esse è limitata dall’a’lamiyya eccettuato il taqlid (ifta). Le questioni inerenti alla wilayat non vengono condizionate dall’a’lamiyyah”[26]
Molti grandi giuristi imamiti, come gli Ayatullah Haeri, Mirza Nayni, Aqa Ziya al-Araki, Sayyid Abdul-Hasan al-Isfahani, Burujardi, Khomeini, Khui, Milani e Gulpayigani, hanno commentato questa opera, senza aggiungere nessuna nota marginale al parere di Yazdi, il che significa che essi concordano con lui sul fatto che le funzioni del faqih nell’esercizio della sua autorità (wilayat) non dipendono dal fatto d’essere egli il più sapiente.
Anche Shaykh al-Ansari ha ritenuto che l’a’lamiyya non sia necessaria nella designazione di un faqih in quanto wali (hakim). Ogni giusto faqih ha il diritto di adempiere i compiti che richiedono l’autorità designata (wilayat). Egli crede che solo quando i fuqaha emettono decreti (fatwa) differenti, il decreto di uno che sia il più sapiente (alam) abbia la priorità sugli altri[27].
Anche Shaykh Muhammad Hasan Najafi, l’autore del “Jawahir al-Kalam”, ha ritenuto che le prove tradizionali del fatto che i fuqaha sono designati in quanto “wali” e rappresentanti dell’Imam, sottolineano la conoscenza dell’Islam (fiqahah), e non il fatto d’essere “il più sapiente”, in quanto condizione per la wilayat di un faqih[28].
Riguardo ad alcune funzioni del faqih, come ad esempio “al-qada’”, sarebbe incredibile supporre che queste siano condizionate dall’a’lamiyya poiché ciò implicherebbe che la comunità sciita debba avere un solo faqih con l’autorità legittima di giudice.
Infine, l’ijtihad ha vari aspetti, e quindi è abbastanza ragionevole assumere che “X” sia il più sapiente (a’lam) nella giurisprudenza Islamica riguardo agli atti d’adorazione (come la Preghiera e il digiuno), mentre “Y” sia l’a’lam nel settore delle transazioni (muamalat) e “Z” sia il più sapiente nell’ambito dell’amministrazione della giustizia e delle punizioni legali (hudud). Di conseguenza, dobbiamo prendere in esame il rapporto tra una funzione che il faqih vuole esercitare e il tipo di conoscenza richiesto per tale funzione. Non vi è argomento atto a convincerci del fatto che il più sapiente nel settore dell’adorazione, sia anche in grado di espletare le funzioni di qada’, meglio di un faqih che sia più sapiente nell’amministrazione della giustizia.
Dall’altra parte, l’ijtihad e la fiqahat sono solo uno degli attributi della Guida della società islamica. Non vi è ragione di dare la priorità all’a’lam e di ignorare le altre qualificazioni che gli awliya (fuqaha) devono possedere, vale a dire, le competenze necessarie e le virtù di un governante. Certamente, in una situazione in cui alcuni faqih si equivalgano in tutte le qualificazioni richieste per la Guida, ad eccezione dell’ijtihad, si potrebbe affermare che l’autorità dell’a’lam abbia la priorità sugli altri, specialmente quando egli è il più sapiente negli aspetti socio-politici della legge islamica. Ma si deve notare che si tratterebbe soltanto di una “preferenza razionale” poiché, come ci ha indicato l’autore del “Jawahir al-Kalam”, le prove tradizionali della wilayat al-faqih sono silenti nei riguardi dell’a’lamiyyah in quanto condizione per la wilayat.
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La giustificazione esterna
Molte teorie politiche sono note in quanto fautrici dell’autorità dello Stato, nonostante le loro profonde differenze. Per autorità di Stato si intende un sistema politico guidato da personalità competenti. Il governante o i governanti non assumono l’ufficio di governo grazie a libere elezioni. Essi governano in virtù delle loro qualificazioni e capacità specifiche. Quindi, la delega di autorità, in un modello siffatto, non è dovuta ad un processo democratico, ma piuttosto alle qualità di una Guida. I difensori dell’autorità di Stato ritengono comunemente che l’attribuzione del potere politico ad una minoranza altamente qualificata, garantisca gli interessi e il bene comune, sebbene divergano sulle qualità che una Guida deve possedere, o sulla nozione di felicità e di bene comune. Questo è il motivo per cui l’autorità di Stato sostenuta da Platone differisce sostanzialmente dall’interpretazione marxista-leninista. L’autorità di Stato di Platone è prerogativa di una minoranza di sapienti, laddove nel secondo caso è prerogativa di un’avanguardia organizzata di rivoluzionari.
Esistono molti argomenti che consentono di giustificare l’autorità di Stato, e di considerarla superiore alla democrazia, sebbene, dall’altra parte, essa sia oggetto di molte critiche da parte dei difensori della democrazia. Quindi se ammettiamo che la wilayat al-faqih sia una dottrina politica appartenente a questo medesimo ambito, essa deve essere in grado di far fronte alle critiche, e di affermarsi razionalmente in quanto legittima dottrina politica. Questo è il motivo per cui questa giustificazione, detta “esterna”, contrariamente alla “giustificazione interna”, non si avvale di argomenti d’ordine religioso.
Prima di tutto, si deve chiarire perché e come la wilayat al-faqih si pone in quanto governo di autorità di Stato. Secondo questa teoria, un giurista giusto, capace e timorato di Dio, in possesso di certe qualità, ha l’autorità legittima per governare la società durante il periodo dell’occultamento (ghayba). Ciò implica che altri esperti, e le persone comuni, non hanno accesso al più alto ufficio politico, e solo i giuristi hanno il diritto di pervenirvi. Inoltre, essi non sono eletti dal popolo, ma bensì designati dall’Imam in quanto “awliya” e detentori dell’autorità.
Dall’altra parte, l’unico esempio di questa sorta di sistema politico, i cui particolari sono stabiliti nella Costituzione della Repubblica Islamica dell’Iran, non adotta un sistema puro di autorità di Stato. Questa Costituzione adotta una procedura democratica nella maggioranza delle istituzioni di governo, ed anche la Guida politica viene scelta in seguito ad elezioni. Secondo l’articolo 107, un gruppo di esperti eletti (giuristi eletti dal popolo ogni sette anni) elegge il faqih competente in quanto Guida politica. Sia l’autorità della shari’a (wilayat al-faqih) che la sovranità popolare hanno parte in questo regime politico, rendendolo partecipe della democrazia e dell’autorità di Stato. Deve quindi essere categorizzata come una ‘meritocrazia’, non conformandosi a tutti i criteri dell’autorità. Ciò che distingue questo modello dall’autorità, è il ruolo del popolo, attraverso i suoi rappresentanti, nell’attribuzione del potere e nelle decisioni politiche. Comunque, il popolo e i suoi rappresentanti non sono liberi di delegare l’autorità politica a un non-faqih, o a coloro che non abbiano l’attitudine necessaria per governare, legiferare e attuare le leggi, nel quadro delle leggi divine e dei principi e degli insegnamenti islamici. Di conseguenza, in questa struttura di governo, un giusto giurista imamita, in quanto wali al-faqih, ed un gruppo di fuqaha, il “Consiglio dei Guardiani”, avranno il compito di sovraintendere alle decisioni e all’operato dei rappresentanti e dei pubblici ufficiali, i quali sono peraltro soggetti anche ad una procedura democratica. La discussione centrale riguarda, in questo caso, la relazione tra la wilayat al-faqih e ciò che viene solitamente considerato il fondamento e la giustificazione dell’autorità di Stato. Si dovrà ora giudicare se questo fondamento sia atto a dare ragione della wilayat al-faqih, e verificare come questa dottrina possa far fronte alle obiezioni mosse alla teoria dell’autorità.
Alcuni difensori dell’autorità di Stato ritengono che le persone comuni manchino delle qualificazioni necessarie per governare. Esse non sono in grado, e non hanno nessuna intenzione od opportunità di conseguire una conoscenza in profondità dei propri beni e bisogni, ed anche dei mezzi appropriati per pervenire a questi beni e di soddisfare questi bisogni. Per dirla in breve, la gente comune non ha competenze politiche tali da potersi governare da sé. Le loro carenze riguardano in parte la conoscenza, in parte la virtù, vale a dire, consistono nella mancanza di una forte inclinazione a ricercare, riconoscere, e conseguire il bene, e pertanto costoro non sono qualificati per governare. Tale approccio svaluta i fondamenti della democrazia, sostenendo l’idea che chi è in possesso della necessaria competenza politica, debba governare il popolo.
La dottrina della wilayat al-faqih non si riallaccia all’incompetenza politica del popolo al fine di giustificare l’autorità del faqih. Né le prove tradizionali della wilayat al-faqih, né quelle razionali sono incentrate sulle carenze del popolo. Alcune prove razionali della wilayat al-faqih si fondano sulla concezione che gli esseri umani, senza l’aiuto della rivelazione di Dio, non sono in grado di dar forma ad una società perfetta. Chiaramente, questa premessa esprime la carenza degli esseri umani in quanto tali, e non semplicemente l’imperfezione della gente comune, pur confermando la competenza di una piccola minoranza. In verità, questa carenza giustifica il bisogno della religione, e il suo ruolo fondamentale nell’organizzare le relazioni sociali.
Il secondo argomento di cui ci si avvale per dare ragione dell’autorità di Stato, consiste in una concezione specifica dell’attività governo. Per alcuni, governare il popolo è un’arte. Quindi, i governanti devono essere esperti in una particolare materia, ossia esperti nell’arte di governare. Essi, in quanto autorità, sarebbero specialisti la cui competenza li rende superiori nell’arte della guida, non soltanto rispetto alla gente comune, ma anche nei confronti di esperti d’altra sorta, quali economisti, ingegneri e così via. Sebbene la maggior parte della gente sia potenzialmente capace di acquisire le qualifiche necessarie per la guida, esse mancano del tempo necessario per conseguirle. Una società richiede molte specie differenti di esperti. Il bisogno di acquisire abilità differenti e di attuarle, rende impossibile per qualsiasi persona spendere tempo nell’ottenere le qualificazioni morali e le competenze necessarie nell’arte di governare. Supporre che un numero elevato di persone sia in grado di ottenere ed utilizzare siffatte competenze, non è realistico. Di conseguenza, in una società organizzata, alcune persone dovranno essere rigorosamente selezionate ed istruite per esercitare le funzioni di governo. Tali funzioni sono fondamentali, e niente può esser di maggiore importanza dell’educazione dei governanti[29].
A parte il fatto che molti sapienti non si sono richiamati all’arte di governare, non vi è una singola arte o scienza che possa fornirci le conoscenze morali e tecniche e le capacità richieste per essere la guida ideale. Molte concezioni dell’autorità di Stato, inclusa quella della wilayat al-faqih, non considerano i guardiani in quanto specialisti nell’arte di governo. Piuttosto, esse credono che il dovere di governare debba essere delegato ad alcune persone contraddistinte da certe qualità e capacità. I governanti, in questa prospettiva, hanno un vantaggio sugli altri nelle questioni concernenti la guida, quali la profonda conoscenza dottrinale, l’impegno ad assecondare le ambizioni di un particolar partito, il fatto d’essere l’avanguardia e le guide della rivoluzione, o possedere le conoscenze necessarie per dar vita ad una particolare formazione sociale.
L’unica ragione che giustifica (ad eccezione delle ragioni religiose tradizionali) il governo dei fuqaha in quanto autorità di Stato, concerne la loro conoscenza della shari’a, la quale deve essere accompagnata da virtù personali e da qualità morali. E’ vero che la competenza morale non si limita ad una piccola minoranza, e che anche le persone comuni hanno la possibilità di ottenere la qualificazione morale e diventare giuste e timorate. Comunque, ciò che distingue i giusti fuqaha, e li rende l’unico gruppo legittimato ad esercitare l’autorità di governo sui credenti, è la loro esperienza nella giurisprudenza islamica. La giustificazione dell’autorità dei fuqaha concerne il ruolo fondamentale della Legge Islamica nella vita dei Musulmani. L’Islam esorta i Musulmani ad adottare le leggi ed i principi islamici sia nella vita individuale, sia nella vita pubblica. Di conseguenza, colui che ha (in quanto giurisperito) le capacità richieste per adempiere a questo compito, deve farsi carico del governo del popolo. Quindi, la questione della wilayat al-faqih non riguarda l’apprendimento di un’arte specifica. Essa ha origine in un credo religioso che stabilisce un ruolo cruciale per la shari’a nella società islamica.
La distinzione tra il bene generale e gli interessi personali potrebbe fornire ai difensori dell’autorità di Stato la terza giustificazione. La teoria dell’autorità di Stato ritiene che il bene comune (l’interesse generale) possa accordarsi con l’interesse individuale. Ma se il bene comune risultasse solamente dagli interessi individuali, e se ognuno fosse libero di affermare il proprio interesse personale senza autorità di Stato, allora tale modello basato sull’autorità non sarebbe né necessario né indesiderabile. Se invece il bene comune e l’interesse della società consistono in qualcosa di più di un’aggregazione d’interessi personali, allora il suo conseguimento richiederà qualcosa di più. La promozione del bene comune richiede una comprensione dei modi in cui esso differisce dalla una mera combinazione degli interessi individuali. Se è anche vero che la maggior parte delle persone si riferisce principalmente ai suoi interessi individuali invece che all’interesse pubblico, l’obiettivo di decidere sul bene comune deve essere affidato a particolari persone, che siano in grado di comprendere ciò che va inteso per bene comune. Ovviamente ciò dipende dalla nostra concezione a questo medesimo riguardo[30].
Sebbene i sostenitori della wilayat al-faqih non accettino completamente questo argomento, comunque, una sua versione modificata sarà sufficiente per giustificare questo modello di autorità. L’Islam, in quanto religione perfetta, si prefigge la felicità degli esseri umani, e le sue leggi ed i suoi insegnamenti vengono necessariamente stabiliti in vista della realizzazione ultima dell’essere umano, per ottenere la sua autentica salvezza. Da questo punto di vista, sia il bene dell’individuo che l’interesse pubblico devono conformarsi ai contenuti dell’Islam. Concetti quali quello d’interesse pubblico non devono essere definiti senza considerare il ruolo cruciale dell’Islam sia nelle sfera pubblica che in quella privata. Quando si è coscienti di questo fatto, il che è vero specialmente in una società dove la maggior parte delle persone credono che l’Islam sia la suprema via di salvezza, si può addurre l’argomento seguente a giustificazione esterna per la dottrina della wilayat al-faqih:
La struttura politica, la legislazione, l’organizzazione del sistema dei diritti e dei doveri, ed altre funzioni di governo, devono essere stabilite sotto la supervisione e l’autorità di un faqih competente (o più fuqaha) che sia giusto, coraggioso, onesto, intelligente, competente nelle questioni sociali e politiche, ed esperto nella dottrina islamica.
Questa giustificazione esterna sembra debba essere convincente all’interno di un contesto specifico, ossia per coloro che accettano la dottrina islamica, e sostengono lo stabilirsi di una società islamica. Per coloro che non credono nell’Islam, gli elementi di questa giustificazione (in particolare il secondo ed il quarto), abbisognano di ulteriori aggiunte.
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Le critiche all’autorità di Stato
I difensori della democrazia in genere criticano l’autorità di Stato e le sue giustificazioni. Dobbiamo pertanto considerare brevemente alcune di queste obiezioni. Secondo la mia opinione, i tre argomenti seguenti sono più significativi degli altri:
“Nel giudicare la validità delle dichiarazioni sul bene comune possiamo e dobbiamo far uso della ragione e dell’esperienza. Nondimeno, nessuna asserzione che ‘il bene pubblico consista definitivamente di questo o quello’ può essere ‘oggettivamente vera’ nello stesso senso delle proposizioni della matematica, della logica o delle scienze naturali quando vengono intese come oggettivamente vere”[32]
Al fine di chiarire la relazione tra queste obiezioni e la dottrina politica imamita della wilayat al-faqih, dobbiamo tener presente che il loro bersaglio è l’“autorità di Stato” nella sua forma pura, vale a dire una teoria politica che non lascia spazio al popolo nella vita pubblica, mentre affida un’autorità assoluta ad una minoranza non-eletta (le Guide). In ogni caso, un ordinamento che stabilisce la Guida di un giusto faqih, che rappresenta l’autorità della giurisprudenza islamica, senza trascurare il ruolo attivo del popolo, rende alcune di queste obiezioni, ad esempio il secondo dei punti sopra menzionati, essenzialmente irrilevanti. Inoltre, conformemente a quel che è stato detto nel capitolo precedente a questo medesimo riguardo, il primo argomento è anch’esso irrilevante, poiché l’autorità del faqih è sottoposta ad un gruppo di esperti eletti dal popolo, che sorvegliano il suo operato. Inoltre, è una responsabilità religiosa di tutti i Musulmani quella di non essere indifferenti per quel che concerne il comportamento dei propri governanti e delle proprie Guide.
Dalle pagine precedenti è chiaro che l’autorità del faqih non si basa sull’assunzione che la Guida sia un’arte o una scienza specifica, che consistano di un insieme di conoscenze o capacità. Quindi, l’argomento finale non la può concernere. Quasi tutti i sapienti sciiti credono nella razionalità, e il problema della validità della dottrina, sotto questo riguardo, è per loro molto importante. Ciò è vero non solo per il credo fondamentale islamico, ma anche in altri ambiti, ivi inclusa la dottrina politica. Essi giustificano il loro sistema di convinzioni con argomenti razionali, oltre che con quelli tradizionali e scritturali. Come risultato, il pensiero politico sciita si basa su un insieme di dottrine vere, valide ed oggettive sulla natura, la vita e la morale umana. Esso consiste di un insieme d’asserzioni filosofiche e teologiche, le quali stabiliscono una concezione conforme all’Islam. In verità, questa dottrina dello Stato, come le altre teorie politiche, si basa su una filosofia esaustiva, essendo essa fondata su principi teologici e morali. Cionondimeno, noi non crediamo in un “rigido razionalismo”, il quale richieda che tutte le asserzioni della religione debbano esser confermate da prove razionali incontrovertibili, come nella matematica. La validità dei principi religiosi deve essere stabilita con procedimenti conformi alla loro natura. L’Islam consiste di verità oggettive e di dichiarazioni valide, ma non si può provare la sua validità facendo ricorso ad un mezzo unilaterale (le prove razionali). Sebbene le dottrine fondamentali dell’Islam (usul al-din) possano essere corroborate anche grazie ad argomenti razionali, la validità della Legge Islamica è basata sulla fede nei comandamenti di Dio, che a loro volta possono essere confermati facendo appello alle prove razionali.
Il punto chiave è che la validità di questo modello d’autorità di Stato (wilayat al-faqih), non richiede che vi sia un’arte o una particolare scienza oggettiva per governare un popolo, per determinare il bene pubblico, e trovare i mezzi per conseguirlo. La sua verifica si deve alla validità dei fondamenti morali, filosofici e teologici dell’Islam, includendovi l’importanza della shari’a per la nostra felicità ultima.
La giustificazione esterna della wilayat al-faqih consiste di argomentazioni tra loro indipendenti: quella positiva e quella negativa. La giustificazione positiva considera direttamente la validità di questa dottrina, sottolineando la necessità dell’ordinamento legale islamico e delle sue leggi per la realizzazione di una società perfetta, oltre che per l’esistenza personale. La giustificazione negativa si adopera per provare la superiorità di questa dottrina sulle altre.
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NOTE
[1] “Tuqih” significa “sigillo” o “firma” e nelle opere di storia islamica, così come negli ahadith, il termine si riferisce alle lettere degli Imam, specialmente alle lettere e ai decreti dell’Imam occulto, trasmesseci attraverso i suoi primi quattro vicereggenti.
[2] Ad esempio Shaykh Muhammad Hasan Najafi nel “Jawahir al-Kalam”, vol. 15, p. 422, Shaykh Murtada Ansari in Aada wa Shahadah, p. 46, Shaykh Murtada Haeri in Salat al-Jumu’a, p. 154 e Kashif al-Ghita in Al-Firdus al-A’la, p. 54.
[3] Shaykh Saduq, “Ikmal al-Din”, Ali Akbar al-Qafari (ed), Qom, 1405 d.H., vol. 2, cap. 45, p. 483.
[4] Muhammad Ibn Hasan al-Tusi, “Kitab al-Ghayba”, Qom, 1411 d.H., p. 290.
[5] Imam Khomeini, “Islam and Revolution”, p. 85.
[6] Ibid., p. 86.
[7] Sayyid Kadhim Haeri, “Wilayat al-Amr fi Asr al-Ghayba”, Qom, Majma al-Fikr al-Islami, 1415 d.H., pp. 123-124.
8 Shaykh al-Kulayni riporta la tradizione in Al-Kafi, Kitab al-Fadl al-Ilm, Capitolo del Ekhtelaf al-Hadith, Volume 1, p. 67 e anche Al-Tusi, Tahzib al-Ahkam, Kitab al-Qada, Volume 6, p. 218, Hadith 514.
9 Tradotto in Islam and Revolution, p. 93.
10 In Kitab al-Qada wa al-Shahadat, p. 48
[9] In “Jawahir al-Kalam”, vol. 21, p. 395 e vol. 40, p. 17.
[10] Al-Kulayni, “Al-Furu min al-Kafi”, Kitab al-Qada’, vol. 7, p. 412; Al-Tusi, Al-Tahdhib, Kitab al-Qada’, vol. 6, p. 303; Shaykh Saduq, “Man la Yahduruhu al-Faqih”, vol. 3, p. 2.
[11] Shaykh Kulayni, “Al-Kafi”, Il Libro della Virtù e della Conoscenza, vol. 1, p. 34.
[12] Nello studio degli ahadith si tratta di una trasmissione in cui nome del primo narratore non viene menzionato.
[13] “Uyun al-Akhbar al-Rida”, vol. 2, cap. 31, p. 37; vedi anche “Ma’ani al-Akhbar”, p. 374 e “Man la Yahduruhu al-Faqih”, vol. 4, p. 420.
[14] Imam Khomeini, “Islam and Revolution”, p. 72.
[15] Kulayni, “Al-Kafi”, vol. 1, p. 46.
[16] Amudi, “Qurar al-Hikam”, vol. 1, p. 137, 506.
[17] Harrani Ibn Shubah, “Tuhaf al-Uqul”, Qom, 1404 a.H., vol. 1, p. 238.
[18] Al-Kulayni, “Al-Kafi”, vol. 1, p. 38.
[19] Anthony Black, “The History of Islamic Political Thought”, p. 40.
[20] Ibn Sina, “Al-Shifa”, Il Libro di al-Ilahiyyah, 10o articolo, cap. 2, p. 487.
[21] Muhammad Hasan Hurr al-Amili, “Wasa’il al-Shi’a”, Qom, Ahl al-Bayt Institution, 1412 a.H., vol. 27, p. 137.
[22] Al-Kafi, vol. 7, p. 412.
[23] “Al-Kafi”, vol. 1, p. 184.
[24] Sulaym Ibn Qais al-Hilali, “Kitab al-Sulaym”, Teheran, Dar al-Kutub al-Islamiyyah, p. 118.
[25] Barqi, “Al-Mahasin”, vol. 1, p. 93.
[26] “Al-Urwa al-Wuthqa”, il capitolo del Ijtihad wa Taqlid, domanda 68.
[27] Shaykh al-Ansari, “Taqlid”, pubblicato dal Congresso Internazionale di Shaykh al-Ansari, p. 67.
[28] “Jawahir al-Kalam”, vol. 40, pp. 44-45.
[29] “Democracy and its Critics”, pp. 62-63.
[30] Ibid., pp. 70-71.
[31] Non vi è accordo, tra i difensori dell’autorità, sulla natura di questa conoscenza, quindi essi differiscono sulle qualificazioni della minoranza dei governanti. Ad esempio, secondo la concezione di Platone, questa conoscenza consiste di un insieme di verità riguardo a quel che è meglio per la comunità. Questa conoscenza si fonda sulla certezza intellettuale, a cui la gente comune non ha accesso. Al contrario dei veri filosofi, le persone ordinarie hanno semplicemente opinioni (prive di certezza) invece di conoscenza (certezza intellettuale).
[32] Da un punto di vista totalmente differente, i marxisti-leninisti ritengono che questa conoscenza riguardi le leggi degli sviluppi storici nella prospettiva del “materialismo storico”, in quanto rigoroso approccio metodologico, radicato nella convinzione che la struttura delle relazioni sociali e umane in tutte le loro forme sia il prodotto delle condizioni materiali, piuttosto che delle idee e della coscienza. Di conseguenza, per essi la Guida è prerogativa di quei rivoluzionari che siano a conoscenza delle leggi e delle condizioni materiali che governano gli sviluppi storici (“Democracy and its Critics”, p. 71).
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