Considerazioni sulla Giustizia (R. Arcadi)

Considerazioni sulla Giustizia

Roberto Arcadi

La nozione di giustizia è uno dei fondamenti dell’Islam, e nella fattispecie dell’Islam nella sua integrità e purezza, di cui sono depositari le Genti della Casa ed i loro seguaci. Il chiarimento di questa nozione può avere diversi approcci, in relazione alle sue modalità concrete e alla sua realtà esemplare. Ma l’approccio che, conformemente alle indicazioni coraniche, a noi appare basilare, è quello che procede dalla considerazione della realtà stessa, e quindi dell’unicità del Tawhid, come fondamento e coronamento della fede nell’unico, vero Iddio, e nella sussistenza stessa dell’uomo e del mondo.

Questo in conformità con il principio per cui l’Islam è una fede, o piuttosto, la fede teocentrica, che da Dio proviene ed a Dio fa ritorno, e non una credenza fenomenologica o antropocentrica, a sfondo socio-politico, economico, razziale, sentimentale, o che dir si voglia.

Possiamo pertanto rilevare come i gradi della giustizia, in arabo “’Adl”, siano in perfetta sintesi con i gradi del Tawhid, dell’Unità Divina, da essa, dall’unità ed unicità, derivando. Dio è Giusto (“’Adil”), e questo, oltre ad essere uno dei Suoi 99 nomi, è uno di quegli aspetti essenziali, onnicomprensivi ad intra e ad extra, suscettibili di derivazioni ed applicazioni a tutti i livelli dell’esistenza creata.

Ed invero, dal punto di vista primario, la giustizia può ben essere considerata come uno degli attributi d’Essenza, in quanto il senso supremo del suo concetto e della sua realtà non può non identificarsi con la realtà sintetica ed onnicomprensiva fonte sublime ed inattingibile d’ogni essere, con la luce superna immersa e profusa in sé medesima, in sé medesima infinitamente effondentesi, che è identicamente, di là da ogni mediazione e distinzione, tutto quel che le è dovuto.

Donde, dall’unità e giustizia essenziale, l’unicità e la giustizia dei nomi, che comprendono tutto quello che è loro dovuto dalla loro distinzione nell’unicità e medesimezza della loro sostanza, dell’effusione divina primordiale. Donde l’unicità e distinzione degli atti, delle energie divine increate, con tutto quello che è loro dovuto e di per sé, in loro stesse, e secondo quanto compete alla creazione del mondo che da esse procede, conformemente a quello che è il canone imprescindibile d’ogni giustizia creata. E questo canone è per parte sua duplice.

Da un lato la corrispondenza della creatura all’atto creatore, di Dio, al “Sii” coranico esistenziatore, corrispondenza indefettibile; e dall’altro lato, nel mondo della varietà e del cambiamento, ovverosia in relazione ad un livello particolare dell’essere creato, la rispondenza o non rispondenza a determinati stati d’essere che vi son dati come esemplari, e questo da due punti di vista, e dal punto di vista della necessità di natura, e da quello della potenza della volontà foriera degli atti del libero arbitrio.

Quindi, da una parte i difetti di natura, mancamenti quanto alla giustizia della natura esemplare, ma dovuti quanto all’imperativo creatore; e dall’altro canto, i difetti volontari, funzioni del libero arbitrio, debiti sì anch’essi all’atto creatore, ma pur sempre, in ragione della libertà creata, tali da esser debiti anche quanto all’esemplare da cui si discostano, ma questa volta in modo non naturale, non necessario, ma libero e volontario.

Sarebbe da discutersi, ma questo è certo compito dei maestri, delle guide e dei sapienti, e nient’affatto nostro, sulla possibile relazione di causalità tra le due forme della giustizia creata, in base ai riscontri coranici e tradizionali. Ma quel che ci preme di ribadire in questa sede, è che la deviazione che deriva dal libero arbitrio ha per necessario riscontro un contrappasso, una riparazione, una pena, così come la conformità, l’una e l’altra secondo i suoi gradi, ha per corrispettivo un ampliamento ontologico, una ricompensa. Si tratta non soltanto della rispondenza o della difformità dell’esemplare creato, quanto piuttosto delle conseguenze che da esse derivano di là dal loro dominio d’esistenza.

E’ questo un motivo costante del sacro Corano, così come delle tradizioni delle Genti della Dimora Profetica (Ahl ul-Bayt): la conformità all’esemplare, per gli esseri dotati di libero arbitrio, ha conseguenze, o meglio, ha più gradi, forieri a loro volta di conseguenze: lo sforzo di purificazione e perfezione avente per protagonista la persona umana ha una portata che trascende questa sua vita mortale, e si proietta in tal senso nel verso della compiutezza muhammadica, della luce superna prossima ed intima di Dio; così come un altro verso, il precipitare di livello in livello, dalla “stazione sublime” sino al “fondo dell’abiezione” (1), sulle soglie del nulla, della dissoluzione assoluta, avrà per corrispettivo una delle forme della presenza divina, uno dei suoi nomi e delle sue funzioni, la collera divina, che si effonderà e manifesterà nel luogo stesso dell’insussistenza assoluta della dissoluzione pura.

Possiamo ben dire a questo riguardo che, se nella prima fase della purificazione (così come della discesa all’inferno, dell’abiezione), secondo quel che ci dice un celebre hadith, è l’uomo ad agire grazie a Dio, è l’atto umano che include in sé l’effusione e l’azione della grazia divina, nella seconda fase è invece Dio stesso ad effondersi e ad agire nell’uomo, senza nessuna forma o apparenza separativa o limitativa, sino ai vertici della soggezione assoluta, della pura povertà spirituale, della prossimità e dell’intimità, dove la sua luce è immediatamente a contatto con la Luce Suprema (2), laddove nell’altro verso invece aderisce e si immerge nella mera manifestazione della Sua collera, senza potersi sottrarre, nell’uno o nell’altro caso, alla Sua presenza.

E’ questo il livello in cui l’uomo viene come attirato verso la dannazione o la beatitudine, in piena conformità con la pienezza della libertà della sua natura intellettuale, per cui il libero arbitrio, da libertà d’indifferenza, diviene libertà di perfezione o di defezione, nell’uno o nell’altro verso, libertà di perfezione che è un aspetto dell’infinita libertà e perfezione divina, e libertà di defezione che è l’adesione inevitabile e indefettibile, per quanto indebita, a quel nome e a quella presenza di collera esternatesi all’estremo della sofferenza e della difformità dalla natura creata.

Vediamo a questa stregua come la giustizia divina sia comprensiva di altri nomi a loro volta comprensivi, quali la misericordia, la munificenza, o la stessa collera, intesi come presenze divine a quale che sia livello dell’effusione e della soggezione, della prossimità e della distanza della Santa Essenza Suprema. Vediamo pertanto come la nozione e la stessa realtà sussistente della giustizia, come avevamo anticipato, coinvolgano il mondo creato in quanto concretizzazione del Tawhid, dell’unità ed unicità divine ai loro vari livelli.

Livelli che peraltro s’articolano anche entro il nostro stato d’esistenza, concernendo i vari riguardi della natura umana, e nella fattispecie l’individuale e il collettivo. Ed in effetti, uno dei suoi aspetti più appariscenti, quantunque non certo il solo, e neppure fondamentale, sebbene a suo modo necessario, è quello dell’inveramento collettivo della giustizia in questo nostro basso mondo, e della lotta che ad esso conduce.

E’ certo questo un aspetto che riflette conseguenzialmente i vari gradi superiori d’attuazione della giustizia, a procedere da quello poc’anzi descritto dell’adeguazione dell’uomo alla sua natura originaria, che viene designato nelle tradizioni profetiche come “al-Jihad al-Akbar”, il “grande sforzo”. Svariati sono i passi coranici che ci ingiungono di combattere per l’attuazione della giustizia in questo basso mondo, e svariate sono a questo medesimo proposito le tradizioni profetiche ed imamiche.

Questa lotta è uno degli imperativi centrali della Rivelazione, e della stessa prassi esemplare del Profeta (S) e degli Imam (as). E per la vittoria della giustizia si batterà, al momento della sua parusia, il Mahdi atteso, il 12° Imam (aj). Centralità che peraltro, come poc’anzi accennato, va intesa nella sua giusta prospettiva. Così come in tal senso va intesa del resto, nel suo complesso, l’azione politica, che è la concretizzazione stessa, il fondamento ed il coronamento, di questa lotta nella sua dimensione collettiva, e non certo un abuso, un’innovazione, una deviazione, come vanno blaterando certuni, nell’ipocrisia della loro mala fede, o nella loro colpevole ignoranza.

Fatto sta che, data che sia l’universalità della giustizia creata e increata, a procedere dagli archetipi e dalla Santa Essenza, l’impegno per la sua attuazione nella sua dimensione esteriore e collettiva appare inscindibile da quegli aspetti interiori di purificazione spirituale che costituiscono il cuore pulsante della Rivelazione. Nessuna soluzione di continuità, nessuna cesura ontologica entro o tra i vari livelli dell’esistenza potrà mai giustificare un’assunzione siffatta.

Il Tawhid, la dottrina dell’unità divina e la sua stessa realtà sussistente, non ammettono giustapposizione o associazione a qualsivoglia livello, non ammettono un al di là scisso da questo nostro mondo, come non ammettono un’interiorità indifferentemente giustapposta all’esteriorità, o un’esteriorità priva d’interiorità. Dall’unità dell’Essenza e dell’unicità dei Nomi e degli Atti, discende l’unicità della santa effusione, e l’intima articolazione dei suoi molteplici livelli, a dispetto d’ogni interiorismo che pretenda di giustapporsi al mondo fenomenico, e d’ogni esteriorismo che pretenda di negare l’ampiezza e l’esaltazione dei gradi di realizzazione spirituale, dato che “vi sono gradi distinti presso Allah” (3) ed in definitiva, nel rifiuto di quella Wilayat imamica che è garante della sintesi e del dettaglio dell’articolazione dei gradi dell’essere dal punto di vista e della loro sussistenza, e della prassi ad essa relativa.

Ma d’altro canto, dobbiamo anche rilevare la centralità di questa dimensione della giustizia nella Rivelazione. Centralità che potrebbe sembrare sproporzionata, Dio ci perdoni, al suo rango esistenziale. Fatto sta che nel Sacro Corano e nelle tradizioni la Jihad, l’imperativo della lotta per la giustizia nel senso suddetto (detta volgarmente ed impropriamente “guerra santa”), mostra di coinvolgere ogni aspetto dell’individualità umana, a procedere dalla sua realtà interiore. Questa è la transazione, ce lo assicura il Sacro Corano (4), che ci eviterà la collera di Dio e ci assicurerà la Sua prossimità: combattere sulla Sua via con tutto il nostro essere.

Sappiamo bene che è questo il punto in cui i nodi vengono al pettine, e che la fa da pietra di scandalo per tutti gli ipocriti, gli empi, gli ingenui, gli ignoranti: questo imperativo affatto chiaro, questo versetto del tutto privo di ambiguità, che nulla concede all’allegoria, al parlar figurato, all’interpretazione ambigua. Da qui le più astiose e violente accuse contro l’Islam, farneticanti o capziose o sciocche che siano, ma pur sempre miranti, consciamente o no, ad un unico fine perverso: alla dissociazione della realtà umana, ad una separazione che è associazione d’aspetti giustapposti esteriormente, in contrapposizione illusoria e velleitaria con l’unicità dell’atto creatore, conformemente a quello che è il modulo stesso, lo schema dello Shirk, dell’associazione idolatrica: associare a Dio dei simili altri da Lui, il che equivale a dissociare i livelli dell’articolazione dell’essere, ed a separarli così illusoriamente da Dio stesso, giustapponendoGlieli al di là di ogni subordinazione.

A questo riguardo, occorre rilevare come la Rivelazione si manifesti a noi secondo la concretezza effettuale del nostro attuale livello d’esistenza. Simbolo, segno, essa discende di livello in livello, sino ad inverarsi per noi qui ed ora in forma sensibile di lettere e di parole, a procedere dalle altezze del “Libro Nascosto” (5), inaccessibile agli uomini comuni, ed a prescindere da ogni concretizzazione e formalizzazione dell’Aldilà, dell’occulto, che preponga la nostra rappresentazione alla sua realizzazione trascendente. Il fatto è che, quando noi, uomini comuni, ci esprimiamo, facciamo riferimento alle nostre povere rappresentazioni, al nostro significare, e solo per loro tramite ai loro sensi trascendenti.

Quando invece è Dio a parlare, sia magnificato e glorificato, fa immediatamente riferimento alla trascendenza, e solo per suo tramite a quale che sia articolazione concreta di significato. Questo vuol dire che l’elemento proprio alla Rivelazione è quello sensibile, come simbolo e segno della trascendenza, e non un vano disquisire e argomentare. Nessuna filosofia sarà mai in grado di dare ragione dei sensi letterali superiori (e non allegorie) della Rivelazione e delle narrazioni imamiche, ma si limiterà all’occorrenza a farne da preliminare d’infimo livello, talvolta assai utile, anche se non necessario, talvolta controproducente.

Nessuna esegesi potrà dare esaurientemente ragione dei veri sensi del Libro, se non la sua stessa trascendenza, e la parola del Profeta (S) e degli Imam (as), anch’essa peraltro in connessione immediata con la trascendenza. E nessuna forma creata potrà giustapporsi a quella onnicomprensiva della Scrittura, col pretesto di darne ragione, sia pur nella forma di visione sovrasensibile.

Il compito della Rivelazione non è certo quello di enunziare teorie, di filosofare, di cadere nel circolo vizioso dell’affabulazione razionale o immaginativa, ma bensì di dare impulso alla trascendenza, a partire da quello che per noi è il primo gradino dell’esistenza, il livello inferiore ma imprescindibile della concretezza sensibile, ovvero del suo nucleo centrale, che è l’effusione sensibile della Parola Divina nella sua forma universale ed onnicomprensiva.

E’ evidente a questa stregua che al nostro livello d’esistenza la giustizia nella sua forma collettiva è inclusiva della dimensione individuale, e che l’interiorità, nel suo significato spirituale, è invece superiore ad entrambe. Tutto ciò è proprio alla forma sensibile, immediata della Rivelazione, che non ammette intromissioni di sorta al suo livello d’esistenza, ma si riconnette direttamente alla trascendenza dei significati che le danno senso e contenuto.

E così come il Sacro Corano non contiene disquisizioni metafisiche o dottrinali, ma segni degli stati superiori dell’essere, del pari in esso ciò che è centrale, è centrale sotto il riguardo del mondo sensibile, e ciò che è superiore, è superiore al di là ed al di sopra della sua forma sensibile.

A questa stregua, quando s’abbia ben chiaro il contenuto ontologico e la dimensione metafisica, sovraformale, della Rivelazione, s’avrà ben chiaro come in essa la realizzazione della giustizia nella sua dimensione collettiva, sotto il riguardo del bene comune, si preponga alle singole individualità, ma venga a sua volta trascesa e compiuta dall’attuazione dell’interiorità spirituale nel senso dell’ascesa alla prossimità divina.

E’ questa una via diretta d’ascesa, superiore alle altre nella sua immediatezza di realizzazione, che è la promessa del giardino e del Volto di Dio a coloro che compiono lo “sforzo” supremo, che cadono martiri sulla Sua via, combattendo per l’Islam, per la Sua Legge, e non certo in una prospettiva individualistica, privata, interioristica, ma nella compagine della comunità militante, e dei suoi “ranghi serrati” (6).

Giustizia che è in tal caso la conformità della realtà creata alla realtà increata sotto il riguardo della perfezione dell’attuazione terrena della comunità dei credenti, che è al nostro livello d’esistenza il coronamento e il fondamento della Legge Rivelata, così come il bene comune è il coronamento e il fondamento del bene particolare ed individuale.

Alla luce del Tawhid, sotto il riguardo dell’unicità degli atti e della santa effusione, appare manifesta l’unicità ed inscindibilità delle esistenze create, compendiate dalle esistenze umane, compendiate a loro volta, nella loro molteplicità, e dalla sussistenza increata della luce muhammadica in cui è radicata la sensibilità terrena del Profeta (S), e dall’unicità dell’Umma, che si manifesta sensibilmente nella realizzazione dell’ordine islamico. Ed il Sacro Corano ingiunge espressamente ai credenti di uscire dalla città degli iniqui a combattere per la giustizia, ammonendo quanti non lo facciano (7).

A questa stregua, la lotta contro l’oppressione assume tutta la sua portata terrena ed il suo senso metafisico: lotta contro le limitazioni e le imperfezioni, per velleitarie ed illusorie che siano, contro ogni separazione ed artificiosa giustapposizione delle individualità umane, con la pretesa di una libertà che non è null’altro che arbitrio, ovverosia l’esito negativo della libertà d’indifferenza, che è l’arbitrio come regressione e limitazione esistenziale, in ragione inversa di una relazione e realizzazione esistenziale che è invece libertà pura; con l’esito scontato di una inevitabile giustapposizione sulla base dei bassifondi ontologici del nostro mondo, della materialità, del suo involucro razionalistico, e della sua sentina psichica, del suo contenuto tellurico ed infero: ovverosia, non sulla base della perfezione e della pienezza, radici d’ogni effusione, ma di un’indeterminatezza priva di perfezioni di sorta, che è l’aspetto infimo dell’essere, comune a suo modo a tutte le esistenze.

E rileviamo come, quanto più spinta sia questa dissociazione individuale ed individualistica, tanto più basso sia il livello della loro giustapposizione, della loro inevitabile dimensione collettiva, che ne costituisce l’illusoria radice comune, l’apparente ed ingannevole dimensione superiore e fondante, l’assurdo coronamento, come empia e velleitaria alternativa e parodia dell’ordine rivelato, della comunità dei credenti, che identifica il Grande Satana di questo nostro mondo nella sua opera incessante di devastazione e corruzione.

E’ questo, come ci ammonisce il Sacro Corano, il partito di Satana, il partito dei perdenti al cospetto di Dio (8), la cerchia di coloro che per ordine di Satana snaturano la creazione di Allah (9).

Ne disattendono i moniti manomettendone la legge. Ed è d’altro canto errore e oppressione ogni pretesa e tentativo di ordinare le individualità secondo un velleitario ordine e modello escogitato in base ad ideologie umane, e non in conformità ai dettami della Rivelazione. Ogni ideologia siffatta, quand’anche non scada nel materialismo e non si lasci risucchiare dall’empietà pura e semplice, è destinata ad imporre alla natura umana quel che non le è proprio, e non quel che le deriva dalla santa effusione, ed è compendiato dai dettami della Profezia.

E quand’anche pretenda di rifarsi ai canoni rivelati, ma lo faccia con le sole forze dell’uomo comune, a prescindere dalla sua realizzazione spirituale e dalla grazia divina, a prescindere alla perfezione suprema del suo essere, che nella prossimità ed intimità divine si identifica con l’essenza superna della Rivelazione nel suo scaturire dalle altezze inaccessibili della Santa Essenza, anche ogni umanizzazione e relativizzazione dell’Islam andrà inevitabilmente incontro alla medesima sorte, al medesimo scacco, e non potrà fare a meno di imporre all’uomo quel che non gli è proprio, di opprimerlo, di negargli giustizia.

Questo naturalmente non concerne la cerchia dei sapienti eredi della tradizione, che sono gli eredi degli Imam per loro stessa attestazione, ed ilWaly Faqih che può da essi scaturire, erede della Wilayat, dell’autorità imamica, in quanto il corpo tradizionale è interprete dell’eredità sapienziale e giuridica degli Imam (as) a prescindere da ogni divagazione individualistica e razionalistica, quantunque il rango di costoro non sia quello dell’Uomo Universale: e ciò perché essi si limitano a trasmettere e spiegare la Scrittura e le tradizioni sulla base della Scrittura e delle tradizioni, e ad esplicitarne i dettami con l’aiuto della retta intelligenza, e non sulla base di un vieto razionalismo o empirismo dominati dal Nafs; e le loro stesse teorizzazioni filosofiche ed enunciazioni gnostiche hanno la loro radice nella loro ascesa e realizzazione spirituale, nella scienza di visione sovraformale, nella gnosi del cuore, tramite l’intercessione e l’intervento diretto o indiretto, palese o implicito dell’Imam Occulto (aj), dell’unico iniziatore ai segreti dell’al di là, dell’unico depositario, per decreto di Dio, dei misteri della sapienza increata, e dei dettami del Suo Volere.

A questa stregua, a procedere da questo nucleo centrale, ogni atto di adorazione è atto di giustizia, di realizzazione della giustizia divina sulla Sua via. E vale la pena di rilevare ancora che si tratta di atti sensibili con un diretto riscontro soprasensibile e trascendente, per natura e per grazia, si tratta di una realtà sensibile, quella della Rivelazione e degli atti d’adorazione, centrale rispetto al nostro livello d’esistenza, dato che se tutto è segno di Dio, non è certo in piena evidenza di manifestazione e di realizzazione, non è certo segno e simbolo direttamente, a prescindere dal complesso della concatenazione delle cause seconde del nostro basso mondo, che soltanto in quanto tale procede immediatamente dall’Atto creatore; laddove la Rivelazione al contrario irrompe direttamente nel mondo sensibile fissandosi spiritualmente e carnalmente nel cuore del Profeta (S), dopo avere totalizzato la sintesi e il dettaglio dei mondi superiori, delle nature angeliche, la cui sostanza di sottomette alla natura profetica, si riduce ad esserne dominata, inclusa e assorbita, come un aspetto della sua perfezione realizzatrice di tutti gli stati possibili al cospetto della Santa Essenza, per effondersi e manifestarsi di poi negli splendori della sequela imamica.

Questo è, a nostro avviso, il senso profondo e centrale dell’umana giustizia: attuazione della nostra natura secondo il suo modello universale, qui e nella trascendenza, sino al loto del limite (10), sino alla soglia della Santa Essenza. Realizzazione che ha due aspetti, peraltro inscindibili: realizzazione spirituale ed ascesa metafisica da un lato, che è la base ed il fastigio, la pietra di fondamento e la pietra angolare di tutto il resto, e che si manifesta per noi uomini comuni nella lotta contro il Nafs, nel superamento dei veli di tenebra, e per gli adepti della gnosi del cuore, nella liberazione dei veli di luce dei mondi sovraformali nel verso dell’ascesa al giardino ed al Volto Sublime; ed atto sensibile di adorazione, e lotta contro i nemici esterni dell’ordine rivelato, contro la miscredenza, l’empietà, l’ipocrisia, nella loro forma concreta e sensibile, lotta volta al fine del trionfo della giustizia e dell’armonia nel nostro mondo, nel verso dell’apertura all’azione e alla grazia della Provvidenza Divina, che avrà la sua manifestazione plenaria, all’esaurirsi della totalizzazione delle possibilità umane separative, con la parusia dell’Imam Mahdi (aj), che purificherà l’uomo dall’ingiustizia, da quanto nella sua natura e singola e collettiva pretenda illusoriamente di prescindere da Dio o di opporGlisi; ingiustizia che ne precederà la parusia, nella sua manifestazione plenaria, come contraltare mendace della manifestazione plenaria della potestà divina al nostro livello d’esistenza per il tramite del Suo Servo e Vicario.

Occorre qui peraltro rilevare che gli atti d’adorazione del singolo, quali la preghiera, il digiuno, etc., in quanto atti di giustizia, anch’essi centrali nella sua esistenza mortale, non soltanto hanno un corrispettivo d’ordine collettivo, ma la dimensione collettiva e comunitaria li comprende, così come la comunità comprende, supera e compendia il singolo, ed il bene comune comprende i beni particolari.

Questo naturalmente senza nessuna violenza o costrizione che non siano dovute ai mancamenti dell’umana natura, ma in piena conformità e corrispondenza, in pieno rapporto d’attuazione, nel senso che gli atti d’adorazione realizzano il singolo secondo il suo debito di giustizia, come membro di una comunità che lo trascende e lo realizza esistenzialmente, senza nessuna menomazione o annichilazione.

Soltanto i 14 Puri (as) trascendono invece, nella loro natura universale, onnicomprensiva anche al nostro livello d’esistenza, la comunità dei credenti, e la compendiano, così come compendiano, nell’espansione ed elevazione della loro natura, ogni collettività creata, il complesso stesso della creazione. E da parte sua la comunità dei credenti, compendiandone ed attuandone nella sua sussistenza le particolarità, compendia a sua volta il nostro livello d’esistenza.

L’articolazione della giustizia creata e increata procede pertanto, grazie alla santa effusione, dalle altezze sublimi della Santa Essenza, per determinarsi, sussistere, e concretizzarsi secondo quel che è dovuto ad ogni ente creato, ad ogni natura, o individua, o particolare, o collettiva, in virtù dei Nomi e degli Atti, al cui centro sfavilla il fulgore superno della luce imamica. Ed ogni essere consegue sotto un duplice rispetto quel che gli è dovuto, ed in rapporto all’attuazione della sua natura creata, ed in rapporto al Nome ed all’Atto che in esso s’effondono nella funzione creativa.

All’uomo è dato peraltro di realizzarsi duplicemente, e nella sua esistenza terrena, e nei mondi della prossimità divina, ferma restando la centralità della giustizia nel suo aspetto collettivo al nostro livello d’esistenza, per il cui inveramento gli è ingiunto di lottare: giustizia che consiste nella realizzazione dell’Ummah secondo quanto le è dovuto come totalità e perfezione della legge divina, secondo l’esplicito comando coranico.

Ed ogni pretesa di dissociare i due aspetti, esteriore ed interiore, della giustizia creata, altro non è che il tentativo empio e velleitario di dissolvere l’articolazione unitaria del nostro mondo, o nella pretesa di attuare ad un livello inferiore quel che è proprio alla trascendenza, e che ha per forma l’aspetto sensibile della Rivelazione, o nella pretesa di negare ogni articolazione e mediazione trascendente, ogni funzione vicaria dell’intimità divina, sempre contro le esplicite asserzioni coraniche.

Sennonché, avviene che nel nostro mondo transeunte la giustizia sia più un compito che una realtà data. Un compito che ha il suo adempimento non nel senso di un’azione terrena, orizzontale, proiettata in un futuro vicino o lontano, ma bensì nel verso di un’ascesa alla trascendenza che ha il suo corrispettivo inscindibile in questo nostro basso mondo, come segno e strumento sensibile della realizzazione spirituale. Nel senso che la lotta terrena per la giustizia è nel contempo strumento e conseguenza della crescita spirituale, andando esse di pari passo, e crescendo entrambe, l’una grazie all’altra.

Il piccolo Jihad prosegue e progredisce di pari passo col grande Jihad, grazie al loro legame ontologico, intimo ed inscindibile, radicato nell’unità dell’Essenza e nell’unicità dei Nomi, grazie alla loro realtà, alla loro origine, al grado di giustizia loro proprio.

Giustizia che pertanto, lungi dal proiettarsi sulla linea orizzontale di un preteso progresso terreno indefinito, si realizza invece verticalmente nel circolo della trascendenza e della creazione, dell’Atto primordiale e della natura originaria,e nel verso, in questo nostro basso mondo, della parusia finale della luce superna del 12° Imam (aj), oggi occulto, ma presente a garanzia della sussistenza del cosmo creato; e che un domani, la cui somma letizia noi invochiamo Dio ci venga al più presto largita, si manifesterà a realizzare tra noi la giustizia in quella forma compiuta ed esemplare, nobile scaturigine e destino conforme alla natura propria del nostro mondo, che sarà la luce che lo avvolgerà e compenetrerà spalancandogli le porte della Maestà e della Bellezza Divina.

Note

(1)   cfr. Santo Corano, 95:4-5: “Invero creammo l’uomo nella forma migliore, quindi lo riducemmo all’infimo dell’abiezione”

(2) cfr. Santo Corano, 24:35: “Allah è la luce dei cieli e della terra. La Sua luce è come quella di una nicchia in cui si trova una lampada, la lampada è in un cristallo, il cristallo è come un astro brillante; il suo combustibile viene da un albero benedetto, un olivo né orientale né occidentale, il cui olio sembra illuminare senza neppure essere toccato dal fuoco. Luce su luce. Allah guida verso la Sua luce chi vuole Lui e propone agli uomini metafore. Allah è onnisciente” .

(3) Santo Corano, 3:163.

(4) cfr. Santo Corano, 61:10-11: “O voi che credete, [volete che] vi indichi una transazione che vi salverà da un doloroso castigo? Credete in Allah e nel Suo Inviato e lottate con i vostri beni e le vostre persone sulla Via di Allah. Ciò è meglio per voi, se lo sapeste”.

(5) Santo Corano, 56: 77-79: “che questo è in verità un Corano nobilissimo, [contenuto] in un Libro custodito che solo i puri toccano”.

(6) Santo Corano, 61: 4: “In verità Allah ama coloro che combattono per la Sua causa in ranghi serrati come fossero un solido edificio.”

(7) cfr. Santo Corano, 4:75-76: “Perché mai non combattete per la causa di Allah e dei più deboli tra gli uomini, le donne e i bambini che dicono: “Signore, facci uscire da questa città di gente iniqua; concedici da parte Tua un patrono, concedici da parte Tua un alleato”? Coloro che credono combattono per la causa di Allah, mentre i miscredenti combattono per la causa degli idoli. Combattete gli alleati di Satana. Deboli sono le astuzie di Satana”.

(8) cfr. Santo Corano, 58:19: “Satana si è impadronito di loro, al punto di far sì che dimenticassero il Ricordo di Allah. Sono il partito di Satana e il partito di Satana in verità è perdente.”

(9) cfr. Santo Corano, 4: 119: “li condurrò alla perdizione, li illuderò con vane speranze, darò loro ordini ed essi taglieranno gli orecchi degli armenti; io darò gli ordini e loro snatureranno la creazione di Allah”. Chi prende Satana per patrono al posto di Allah, si perde irrimediabilmente”.

(10) Santo Corano, 53: 14.

Islamshia.org © E’ autorizzata la riproduzione citando la fonte

Writer : shervin | 0 Comments | Category : Dottrina

Comments are closed.