Intervista con Ammar De Martino*
All’Islam sciita è giunto dall’estrema destra guenoniana il giornalista sessantenne Ammar Luigi De Martino, napoletano. Sposato, tre figli, di cui due musulmani, è direttore de “Il Puro Islam” e responsabile di una comunità che continua a fare proseliti.
Quali sono state le motivazioni che l’hanno portata ad abbracciare l’Islam?
Prima ero cristiano evangelico praticante, tenevo sermoni; ad un certo punto mi allontanai e iniziai a leggere Guénon, Burckhardt, Evola. Tutto ciò mi portò a far politica: mi identificavo con una certa destra non parlamentare. Andavamo sulle Alpi e la sera ci sedevamo intorno al fuoco a dissertare sui mali della società; poi, scesi a valle, il nostro comportamento era come quello degli altri, se non peggiore. Per caso, mi accorsi che gli scrittori che leggevo, a un certo momento della loro vita, erano entrati nell’Islam.
Quelli erano gli anni della rivoluzione islamica in Iran, ed io me ne sentivo attratto. Mi piaceva, perché era fatta in nome di Dio, in nome di valori spirituali, né marxisti, né imperialisti.
Incominciai a prendere contatto con i musulmani – dirigevo un piccolo circolo culturale a Napoli – così, un giorno, un giovane musulmano mi propose di organizzare una conferenza sull’Islam. Arrivò un professore italiano convertito e ci parlò dell’Islam. Passò un anno ed ebbi modo di riflettere: l’anno successivo decisi di entrare nell’Islam.
Nell’83 lessi “L’Imam nascosto” di Henry Corbin. Nel contempo conobbi degli studenti iraniani. Quel libro squarciò un velo davanti ai miei occhi: abbracciai così la scuola sciita. Passarono alcuni anni e, durante un viaggio in Algeria con mia moglie, divenuta anche lei musulmana, e uno dei miei figli, decidemmo di fare qualcosa che potesse durare nel tempo. Nacque così la rivista “Il Puro Islam”. Ora sono tanti quelli che ci scrivono: la comunità islamica in Italia cresce.
Quali sono i valori che le hanno fatto capire che nell’Islam si trovava la sua strada?
L’unicità di Dio e la sottomissione a Lui. L’Islam offre al credente una via ben precisa, con delle regole, una strada che gli è stata tracciata. Nel cristianesimo si dice “ama il tuo prossimo”, ma, pur essendo un gran concetto, è molto generico, non si sa come amarlo questo prossimo. Nell’Islam, invece, ci sono delle norme chiare. La legge accompagna l’uomo per tutta la vita ed egli sa che è sottomesso a Dio, cioè, in contatto con Lui. Questa scelta ha incanalato la mia vita nel giusto binario, l’ha rivoluzionata. Adesso posso guardare con un’altra ottica anche il prossimo. Prima di essere musulmano ero consapevolmente razzista. Nel momento in cui ho abbracciato l’Islam ho capito che gli uomini vanno visti per la loro fede, non per il colore della pelle.
Quale contributo pensate di poter offrire con i vostri valori alla società italiana?
Un uomo migliore, un comportamento diverso, un fenomeno religioso vissuto intensamente, non un’esperienza di abitudine.
(*Tratto da: “Missioni consolata”, giugno 1999)