Le provviste del viaggiatore spirituale (Mulla Fayd Kashani)

Le provviste del viaggiatore spirituale

di Mullă Fayđ al-Kashānī[1]

     Il presente trattato si intitola Le provviste del viaggiatore spi­ri­tuale. Esso è stato scritto in risposta alla specifica domanda di uno dei miei fratelli spirituali su come si dovesse in­traprendere il viaggio in questione.

     Devi sapere, che Iddio ti aiuti con il Suo spirito, che, così co­me un viag­gio materiale ha un inizio, una meta, una distanza da per­correre ed una guida, allo stesso modo anche il viaggio spirituale ver­so Iddio, sia Egli glo­rificato, ha un suo specifico inizio, a partire dall’igno­ranza e dalle imperfezioni che dovranno essere abbandonate così come avvenne con il grembo materno:  

  E Iddio vi ha fatto uscire dai grembi delle vostre madri quando voi non sapevate [ancora] niente (XVI: 78).

     La meta di questo viaggio è la vera perfezione, la comunione con la Veri­tà, glorificato Egli sia:

E verso il tuo Signore, vi è la meta finale (LIII: 42).

O uomo! Invero ti stai sforzando con tenacia verso il tuo Signore e tu Lo incontrerai (LXXXIV: 6).

     La distanza da percorrere in questo viaggio include i vari livelli di perfe­zione, sia nella conoscenza che nella pratica, attraverso i qua­li l’anima do­vrà passare, ovunque ella si trovi, mantenendosi sempre sul sentiero della re­ligione (shar’) che altro non è che la via degli intimi d’Iddio (awliyā’) e dei più puri (aŝfiya’):

Questa è la Mia retta via quindi seguitela e non seguite altre vie poiché esse vi distaccheranno dalla Sua via (VI: 153).

     Queste perfezioni sono l’una conseguenza dell’altra: è impossibile raggiungerne una senza prima aver conseguito l’antecedente. Ciò avviene in maniera analoga in un viaggio materiale, ove non si può giun­gere ad una determinata tappa se prima non si è passati per quelle che la precedono.

     Gli stadi (manāzil) di questo viaggio sono gli attributi lodevoli e le qualità magnifiche, ossia gli stati (aĥwāl) e le stazioni (maqāmāt) del­­l’anima, la quale passerà da una tappa all’altra.

     Il primo stadio consiste nel risveglio puro (yaqżah), cioè la presa di coscienza, mentre l’ultimo è quello dell’Unità e Unicità Divina (taw­ĥīd). I dettagli di tutti gli stadi, ed i loro rispettivi gradi, sono men­zionati nell’opera Manāzil al-Sā’irīn.[2] La via verso di essi è la lotta interiore e l’auto-disciplina nei confronti dei doveri religiosi, ivi incluse le tradizioni sacre (sunan) ed il com­portamento (adāb), im­pe­dendo a sé stessi il contatto con qualsiasi cosa all’in­­fuori della Verità, glorificato Egli sia:

Ricorda il nome del tuo Signore e consacrati totalmente a Lui (LXXIII: 8)

E coloro che lottano con Noi li guideremo lungo le Nostre vie. Invero Iddio è con i benefattori (XXIX: 69).

     Le provviste per questo viaggio includono la taqwă: «Fate prov­viste, e la migliore provvista è la taqwă» (II:197). La taqwă consiste nel mettere in pratica i comandamenti d’Iddio e nell’aste­nersi da ciò che Egli ha proibito, con acutezza, fino a che il cuore non sia pronto a ricevere la luce divina:

Abbiate taqwă d’Iddio, e Iddio vi insegnerà (II: 282).

     Così, come un viandante impegnato in un viaggio materiale non può partire fino a che non abbia la salute e le prov­viste neces­sarie, allo stesso modo il viaggiatore spirituale non potrà godere di alcuna conoscenza, scienza particolare (ma’ārif) o caratteristica lo­devole, fino a che non abbia conseguito la taqwă sia nella vita interiore che in quella di tutti i giorni; allo stesso modo è bene sottolineare come la taqwa, indispensabile per il pellegrinaggio spirituale, è al contempo conseguenza delle stazioni spirituali testé conseguite, in un percorso che si autoalimenta senza mai cadere nel circolo vizioso. Un’analogia di quanto detto può essere rappresentata da colui che, in una notte oscura, illumini il suo cammino con una torcia: in virtù della luce irradiata, ad ogni nuovo passo egli scopre qualcosa in più del proprio percorso. Finché rimane fermo, la luce non rivela nulla della tappa successiva ma, senza di essa, egli non sarebbe in grado di muovere neanche un passo. Nell’esempio citato l’atto del ve­dere corrisponde allo stato della conoscenza, mentre il muoversi all’azione ed alla taqwă. L’Imam al-Ŝādiq (as) ha detto:

     A colui che agisce in accordo con ciò che sa, Iddio farà conoscere ciò che non sa. La conoscenza chiama all’azione. Se l’azione risponde, ciò è bene; ma se non ri­sponde, la conoscenza svanisce. Un’azione non viene accettata se è priva di cono­scenza, ma non c’è conoscenza senza azione. Colui che sa viene guidato all’azione attraverso la sua conoscenza ma colui che non agisce non ha conoscenza. State attenti! Una parte della fede deriva da un’altra parte di essa. 

     Proprio come in un viaggio materiale, laddove colui che non co­no­sce la sua via non potrà raggiungere la propria destinazione, allo stesso modo, nel viag­gio spirituale, colui che non mette in pratica le dovute nozioni non giungerà mai a destinazione.

     Il mezzo di trasporto (markab) per questo viaggio è il corpo con tutte le sue facoltà. Se, durante un viaggio materiale, dovessimo subire un danno fisico è ovvio che non potremmo più rimetterci in cammino. In maniera simi­le, a meno che non si abbia un corpo in salute ed integro in tutte le sue facoltà, non si sarà in grado di giungere ad alcunché. E’ per questo motivo che è indispensabile adottare uno stile di vita che si limiti a quanto necessario escludendo tutto il resto.

     Ciò significa evitare ogni eccesso, fonte di ostacolo pel progresso del pellegrino spirituale e di sua perniciosa dipendenza dagli attaccamenti del basso mondo e, al contrario, fruire esclusivamente di ciò che favorisca il rapporto con la trascendenza e che attenga alla pura adorazione.

     In un viaggio materiale, se si lascia che il proprio mezzo di trasporto con­sumi senza criterio, non si andrà da nessuna parte. In maniera analoga, se lasciamo che il corpo e le sue facoltà si nutrano a loro piacimento, sarà impossibile viaggiare verso la Verità.

    Compagni di viaggio lungo questo cammino sono i sapienti, le persone de­vo­te e chi adora Iddio con cuore sincero: costoro si aiutano vicendevol­mente e, in presenza dell’errore, si correggono l’un l’altro in fraternità. Quindi se più persone intraprendono il viaggio, consultandosi e cor­reg­gendosi a vicenda, minore sarà la possibilità di cadere vittima di ladri e briganti: «Satana è più vici­no a una persona sola che a una in com­pagnia, mentre è la mano d’Id­­dio a risiedere nella compagnia». Se una persona in compagnia devia dalla retta via, gli altri lo avvertiranno; se invece è sola non avrà nessuno che la consigli.

     Le guide lungo questo sentiero sono l’Inviato d’Iddio e gli Imam infalli­bili, i quali hanno mostrato la via, le tradizioni sacre ed i criteri attraverso i quali è possibile discernere il bene dal male. Essi stessi hanno percorso questo viaggio spirituale ed hanno esortato la loro comunità a seguirli:

Invero nell’Inviato d’Iddio vi è un esempio eccellente (XXXIII:21)

     Di’: «Se amate Iddio seguitemi e Iddio vi amerà» (III:31).

    Il loro operato, e le loro esortazioni presenti nelle tradi­zioni autentiche, possono essere riassunti in venticinque punti. Il viag­giatore spi­rituale dovrà attenersi ad ognuno di essi ed allontanarsi da tutto ciò che gli è stato proibito.

– Compiere le cinque Preghiere rituali quotidiane all’inizio del loro tempo stabilito e in congregazione, ed attenersi ad un’esecuzione delle stesse il più fedele possibile con il modello rivelato. Qualora un credente ne ritardasse il compimento o non frequentasse la preghiera congregazionale – oppure trascurasse di attenersi al modello di esecuzione rivelato – senza va­li­da ragione, a meno che ciò non avvenga ra­ramente, egli si troverà a deviare dal retto sentiero spirituale, trasformandosi in un volgare individuo perduto in un deserto di ignoranza e desolazione, senza più una meta e senza poter più fare un passo verso di essa.

– Compiere puntualmente la Preghiera rituale del venerdì, così come quella delle due fe­ste (‘īd al-fiţr e ‘īd al-ađĥă) e quella dei segni (salāh al-ayāt), a meno che­ non vi sia una valida giustificazione per astenersene, poiché «se una persona abbandona la Preghiera del venerdì per tre volte con­secutive, il suo cuore ne uscirà irreparabilmente danneggiato».

– Compiere le Preghiere rituali quotidiane supererogatorie, poiché abban­donarle è alla stregua di un peccato, all’infuori delle quattro unità prima della preghiera del pomeriggio, le due della sera e le due della notte da seduti, le quali posso­no essere evitate senza giustificazione speciale.

– Compiere il digiuno durante il mese di Ramađān preservando la pro­pria lingua da ogni discorso superficiale, maldi­cenza, menzo­gna, offesa ecc. Inoltre le singole parti del proprio cor­po dovranno esser protette da ogni pericolo: ciò equi­vale a rompere il di­giuno con cibo che non sia né proibito né di origine dubbia (ri­guardo alla sua liceità). Molta attenzione deve essere prestata a questa regola anche durante gli altri periodi dell’anno.

– Compiere i digiuni che la tradizione (sunnah) prescrive per tre giorni specifici al mese.[3] Chi li com­pie è come se avesse digiunato ogni giorno del me­se. Coloro che non lo fanno, dovrebbero donare in carità un mudd (circa 750 gram­mi) di cibo per ogni giorno man­cato.

– Donare la zakāh (carità rituale) senza alcun ritardo causato da pigrizia o altro, come ad esempio l’apparente mancanza di aventi diritto alla stessa o l’attendere per poter meglio individuare gli indigenti che ne abbiano maggior diritto.

– Donare una parte dei propri possedimenti in beneficenza a chi ne ha bisogno. Ciò può avvenire ogni giorno, una volta alla setti­mana o una volta al mese, in accordo con le proprie pos­­sibilità. Que­sta pratica è bene si svolga con regola­rità. Se le altre persone non ne vengono informate sarà meglio: «e color nelle cui ricchezze vi è un diritto specifico per i men­­­di­canti e i bisognosi» (LXX:24-25). In una tradi­zione si afferma come ciò sia «una pratica diversa dalla zakāh».

– Compiere il Pellegrinaggio rituale obbligatorio (ĥajjah al-Islām). Ciò deve essere fatto immediatamente nell’anno in cui il pel­­­le­­grinaggio diventa obbligatorio affinché non venga accantonato in nome di possibili pretesti.

– Visitare le tombe dell’Inviato d’Iddio e degli Imam, in ispe­cie dell’Imam al-Ĥusayn, poiché in accordo con una tradizione «visitare la tomba dell’Imam al-Ĥusayn è obbligatorio per ogni credente. Chi non lo fa, ha violato un diritto d’Iddio e del Suo profeta». In un’altra tradizione si afferma: «Ogni Imam ha stipulato un patto con i suoi intimi [awliyā’] e i suoi sciiti [shī’ah] e tra le condizioni che devono essere ri­spettate vi è quella di visitare le loro tombe».

– Rispettare i diritti dei propri fratelli di fede e soddisfare i lo­ro bisogni. Ciò deve essere sempre enfatizzato ed ha la priorità su molti altri obblighi.

– Recuperare ogni prescrizione perduta tra quelle finora menzionate. Ciò deve essere compiuto in accor­do con le proprie capacità.

– Estinguere le proprie tendenze biasimevoli, quali l‘arroganza, l’avarizia, la gelosia ecc., attraverso la discipli­na e l’auto-imposizione delle qualità lodevoli, quali la gene­ro­sità, la pazienza, eccetera, fino a che queste non diventino un’abitudine spontanea.

– Abbandonare ogni cosa o azione che sia proibita. Se – di rado – viene compiuto un peccato, si deve immediatamente chiedere perdono e ricercare ardentemente la Verità: «In­ve­ro Iddio ama i penitenti» (II: 222).

– Abbandonare ogni questione ambigua (riguardo a ciò che le­­ci­to ed illecito) affinché non venga compiuto nessun atto proibito. Si narra che «chi abbandona una norma di com­portamento [adāb] si allontanerà da una tradizione [sun­nah] e chi abbandona una tradizione si allontanerà da un obbli­go [farīđah]».

– Non entrare in discussioni futili che induriscono il cuore. In una tradizione è detto: «Colui che ricerca ciò che è senza si­gni­ficato perde ciò che ha significato». Se una persona si tro­­va in una tale situazione senza accorgersene, non appe­na se ne renda conto deve chiedere perdono: «Invero quan­­do i timorati [d’Iddio] vengono toccati dall’insinua­zione di Satana, essi ricordano [Iddio] ed ecco che percepi­scono [le realtà superiori]» (Corano, VII: 201). Fintanto che non si abbandoni la compagnia di chi parla di cose futili, di chi compie maldicenza e di chi spreca la propria vi­ta, non si sarà mai liberi da ciò che è privo di significato. Non c’è niente di più pericoloso di questo per far indurire il proprio cuore.

– Rispettare la tradizione che dice «mangiare poco, dormire poco e par­lare poco» poiché ciò è di grande efficacia nel raggiungimento dell’illuminazione del cuore.

– Recitare quotidianamente il sacro Corano, perlomeno cin­quan­ta versetti al giorno, con concentrazione, contempla­zione ed umiltà.

– Compiere alcuni adhkār (pl. di dhikr) ed alcune invocazioni in momenti spe­cifici, in ispecie dopo le Preghiere rituali quotidiane. Fortunato è colui che riesca ad impegnare la propria lingua nel ri­cordo della Verità mentre le altre parti del corpo sono occu­pate a fare altro. Riguardo alla disciplina dell’Imam al-Bāqir (as) è stato riportato quanto segue: «Durante la gran parte del suo tempo, la sua lingua benedetta era occupata nel recitare ‘lā ilāha illā Allāh’ anche quan­do mangiava e diceva qual­cosa, o quando si muoveva per andare da qualche par­te». Tale disciplina è di grande aiuto pel viaggiato­re spiri­tuale. Se la recitazione del cuore viene accompa­gnata alla recitazione verbale se ne potrà ricevere un beneficio im­men­so in un breve lasso di tempo. Per quanto possibile, si do­vrebbe cercare di mantenere il ricordo della Verità mo­men­to per momento. Ciò, inoltre, aiuterà la persona ad allon­tanarsi dal peccato.

– Prediligere la compagnia (ŝuĥbah) di un sapiente e porgergli le domande appropriate riguardo alle questioni religiose. Nel far ciò, il credente dovrà fare tutto il possibile per ac­crescere la propria conoscenza: «La persona più intelligente è quella che unisce la conoscenza degli altri alla propria». Poter mantenere la compagnia di coloro che sono più sapienti è una grande fortuna. Se una persona individua un sapiente che metta in pratica la sua conoscenza, deve ascoltarlo e obbedirgli. Spesso i ŝūfī definiscono una tale per­sona con l’appellativo di pīr. In ogni caso, la conoscenza che qui viene intesa non è una conoscenza mondana bensì quella dell’altro mondo. Se non sarà possibile trovare una persona simile, si dovrà ricorrere alla compagnia dei libri e delle persone devote dotate di qualità lodevoli. Non si deve mai perdere la speranza di una compagnia adatta al ricordo della Verità e dell’Aldilà.

– Essere gentili e generosi con gli altri cosicché non sussista il minimo sospetto negativo nei con­fron­ti del credente.

– Essere onesti sia con la parola che con i fatti.

– Avere fiducia in Iddio Onnipotente, sia Egli glorificato, sen­za con­si­derare le conseguenze a lunga distanza. Ciò com­porta uno stile di vita semplice, poca cura nei riguardi del proprio futuro in questo mondo, e accontentarsi del po­co che si è ottenuto evi­tando gli eccessi.

– Avere pazienza riguardo alle offese ricevute dai propri pa­ren­ti o amici, senza divenire permalosi o irascibili, poiché colui che riesce a sopportare le of­fese ed accetta le conseguenze delle difficoltà raggiungerà il suo obiettivo più rapidamente.

– Impedire che si compia il male e ingiungere di fare il bene in ac­cor­do con le proprie capacità. Ciò significa aver cura delle persone, esser loro vicino durante i momenti di tri­stezza e guidarle verso il viaggio spirituale. Qualora si rifiutino si dovrà evitare la loro compagnia ma con delicatezza e dissimulazione affinché non ne restino turbate.

– Impiegare il proprio tempo recitando le li­tanie, giorno e notte, affinché questo non venga sprecato. Valutare be­ne il proprio tempo è una questione cruciale nel viaggio spiri­tuale.

     Ecco quanto ci è stato trasmesso dagli Imam infallibili, che la pace d’Id­dio sia su di loro. Questo è quanto erano soliti praticare e quanto esorta­vano gli altri a fare. Per quanto concerne i quaranta giorni di totale isola­mento, il non mangiare carne, il dhikr ritmato, e le altre cose narrate dai ŝūfī, niente ci è stato trasmesso dagli Imam. Piuttosto, pare che qualche shaykh abbia trovato tali discipline ap­pro­priate ad alcune anime al fine di fa­cilitarle nel viaggio spiri­tuale, e quindi le ha prescritte. Può anche darsi che si sia individuata la giustificazione dei quaranta giorni di isola­mento totale nella seguente tradizione: «A chi si dedica con sinceri­tà a Iddio per quaranta giorni, Iddio farà scorrere fonti di sag­gezza dal cuore alla lingua». Oppure si potrebbe giustificare l’asten­sione dalle carni con la seguente tradizione: «Non fate dei vostri stomaci il cimitero degli animali».

     Non vi sono dubbi sul fatto che compiere atti quali mangiare poca carne, isolarsi o concentrarsi sul proprio dhikr siano assai efficaci per l’illuminazione del cuore, a patto che non diventino un ostacolo alla pratica delle preghiere congregazionali.

     Tra gli elementi cardine del viaggio spirituale vi è certa­mente la libertà dalla contaminazione spirituale, dalle tentazioni e dalle tendenze popolari. Nessun ostacolo è più grande dei suddetti tant’è che tradizionalmente ven­gono definiti «le teste del diavolo». Ogni male ha alla sua origine un male ancor più insidioso e, dopo un’accurata analisi, è possibile notare come ognuno di essi tragga origine da uno dei tre summenzionati.

     La contaminazione dello spirito include inclinazioni quali l’attaccamento al lusso, l’ira, e tutto ciò che ne consegue  come l’amore per la ricchezza o per la propria po­sizione:

Ecco la dimora dell’Aldilà che daremo a coloro che non vogliono domi­nare sulla terra né portarvi la corruzione. Ciò che verrà è a favore di coloro che hanno taqwă (XXVIII: 83)

     Le tentazioni includono tutte quelle deviazioni causate dall’anima con­cu­piscente (nafs al-‘ammārah) e dalle sue illusioni. Esse inducono la persona a fare ciò che è sbagliato attraverso immagini e fantasie malvagie:

     Di’: «Volete sapere chi è il più grande perdente riguardo alle proprie azioni? Sono coloro i cui sforzi li traviano nella vita di questo mondo men­tre credono di stare fa­cendo del bene» (XIX: 103-104).

     Le tendenze popolari, come la supposta abilità nel cacciare gli spiriti malvagi o il comunicare con i demoni, imitando tutti quegli ignoranti che si travestono da sapienti, rappresentano un altro tipo di ostacolo:

     I miscredenti dicono: «O nostro Signore! Mostraci coloro che ci hanno tra­viato tra i jinn e gli uomini affinché li calpestiamo con i nostri piedi e siano tra i più abietti» (XLI: 29).

     Chi pratica i venticinque punti menzionati, in uno stato di purez­za del cuore, vedrà aumentare quotidianamente le sue buone azioni e si di­staccherà dal peccato, elevandosi verso stadi superiori. Se è un sa­piente – ossia un credente che abbia dimestichezza con problemi teologici quali l’origine, il destino dell’uma­nità, la conoscenza del sé ecc. – allora si renderà conto, con sua meraviglia, di quanto la sua cono­scenza stia aumentando giorno dopo giorno al punto tale da acquisire una superiore attitudine all’adorazione, in aggiunta ad una migliorata capacità di comunicazione sapienziale con gli altri dotti. Se è un normale credente, dovrà comunque man­tenere la pu­rezza interiore e sforzarsi nella maniera più appropriata per il rag­giungimento delle perfezioni. In ogni caso, egli diverrà prossi­mo a Iddio, sia Egli glorificato, e otterrà amore e luce. L’amore per­­fetto e la luce splendente sono i frutti della vera conoscenza. La co­no­scenza a vol­te raggiunge un livello tale da permettere la contemplazione delle cose dell’altro mon­do in questo stesso basso mondo, come viene riportato nel­la tradizione riguardo a Hāri­thah Ibn Nu’mān nell’opera al-Kāfī.

     Quando l’anima è pervasa da un’intensità tale da oltrepassare i con­f­ini stessi del­l’amore, avvampando in essa il già incessante ricordo d’Iddio, allora le si potranno dischiudere quegli stadi denominati incontro (liqā’), comu­nione (wuŝūl), annullamento (fanā’ billāh), sussistenza in Iddio (baqā’ billāh) ecc. Questo è lo scopo della creazione, come viene riportato in una tradizione qudsī:

     Ero un tesoro nascosto e volevo essere conosciuto; quindi ho creato la creazione af­finché venissi conosciuto.

     Nel sacro Corano è scritto:

    Non ho creato i jinn e l’uomo se non affinché fossi adorato (LI: 56).

     È stato detto che il significato dell’espressione «affinché fossi adorato» significhi «affinché fossi conosciuto», mentre il significato di «adorazione» includa in sé quello di «conoscenza» (ma’rifah), poiché l’adorazione non può essere separata dalla conoscenza. Il significato di ciò che è implicito viene fornito da ciò che esso stesso implica, poiché conoscere, in questo caso, non include un appren­dimento qualsiasi, bensì una conoscenza spe­cifica che viene ottenu­ta esclusivamente attraverso l’adorazione. L’atto del conoscere in­clude svariate vie le quali non conducono tutte necessariamente alla Prossimità divi­na e allo stato di comunione. Per esempio, la maggior parte della gente co­mune ottiene la propria conoscenza attraverso l’imitazione, i teologi at­traverso discorsi le cui premesse si basano su ipo­tesi, i filosofi da pro­ve razionali le cui premesse si fondano su certezze, ma nessuno di essi raggiunge la comunione attraverso l’Amore. Chi ottiene la conoscenza attraverso l’adorazione è un ma­gnifico frutto dell’albero della creazione poiché ottempera a quello che è il vero scopo della creazione del mondo. Il resto è stato creato per ser­virlo.

Gli esseri umani sono fatti per [conoscere] l’Essere d’amare. Mostra qualche interesse per Esso se desideri raggiungere la felicità

(poema di Ĥāfeż)

     In una tradizione qudsī, Iddio s’indirizza al Suo Inviato nel modo se­guente:

     Se non fosse stato per te, non avrei creato le sfere celesti.

     Quindi chi può farlo deve riporre i suoi massimi sforzi nella devo­­zione, dell’adorazione, nella taqwă e nella purità (ţahārah) per rag­giungere questo ideale.

Anche se alla comunione non si arriva per mezzo di tentativi,

O cuore! Tenta fintanto che ne sei capace!

Se raggiungi l’obiettivo, quale felicità migliore!

Se muori lungo la via, quale martirio migliore!

Se muori lungo questa via, diverrai un martire,

Se vai avanti e giungi al traguardo, sarai la corona degli adoratori!

     Il sacro Corano afferma:

     Chi emigra dalla sua casa verso Iddio e il Suo Inviato e la morte lo raggiunge, avrà la sua ricompensa che incombe su Iddio (IV: 100).

Se spendo la mia vita nell’illusione di [appagare] questo desi­derio, sarà certamente meglio dell’aver diretto il mio cuore ver­so la casa e i ne­gozi! Ogni successo dipende da Iddio, Onnipotente e Saggio, sia loda­to Iddio il Signore dei mondi, e pace e benedizioni siano su Muĥam­­mad e sulla sua immacolata famiglia.

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NOTE

[1]Mūllă Fayđ al-Kashānī (1606-1680 d.C.) era un esperto in aĥādīth, giuri­sprudenza, etica e gnosi, ed ha scritto più di cento opere. Fu studente del cele­bre Mūllă Ŝadrā che fu anche suo suocero.

[2] Si tratta di un’opera scritta in arabo dal celebre Khwājah ‘Abdullāh Anŝārī di Herat (1006-1088 d.C.), considerata un manuale di gnosi operativa da molti sapienti e urafa’.

[3] Si tratta del primo giovedì del mese, del primo mercoledì dopo il decimo giorno del mese, e dell’ultimo giovedì del mese.

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Writer : shervin | 0 Comments | Category : Via Spirituale

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