Lettera di un garage illuminato

Lettera di un garage illuminato

Introduzione

a cura di Hamza Biondo

Questo racconto è stato una piacevole sorpresa, si è rivelato una lettura coinvolgente, soprattutto per l’originale forma di narrazione scelta dall’autore. Il compito di narrare è infatti affidato ad una cosa inanimata, un luogo, per di più insolito, un garage. Una finzione letteraria, che sarebbe certamente piaciuta a Luis Borges, ci restituisce una narrazione intrigante, uno scorcio di vita inedito e ricco di sensibilità. Il garage incarna l’Io narrante, la vecchia rimessa per auto è cosciente ed ha un anima, svela i suoi ricordi. Il flashback inizia metaforicamente con una luce, quella del vano di ingresso che si apre e attraverso il quale entrano i nuovi occupanti. E’ una umanità indaffarata che spazza, pulisce, ordina. Inizia la trasformazione, pile di pneumatici cedono spazio agli scaffali dei libri, i lubrificanti sono rimpiazzati da olio di gomito, il grigio cemento viene coperto da tappeti orientali.

Il garage-narrante racconta l’attività della comunità sciita di Roma, impegnata a realizzare  al suo interno un centro religioso dignitosissimo, con tanto di sala di preghiera e biblioteca. E’ la storia di un percorso spirituale che si rinnova ogni giorno, scandito dalla melodia dell’azan e dal ritmo della preghiera. Vengono descritti gesti semplici, quali l’accoglienza disinteressata, la condivisione di un pasto e l’impegno organizzativo che, pur tra mille ostacoli, continua ancora oggi.

Lo scritto, seppur breve, ci regala un’altra sorpresa: in questa rappresentazione gli attori non corrispondono agli stereotipi usati in genere dai media, non troviamo barbuti intolleranti, levantini convertiti o improbabili sufi. No, qui c’è una umanità varia e viva, che non zarathustreggia, ma si rimbocca le maniche per costruire un luogo di preghiera e accoglienza. E’ una piccola rappresentanza di quel miliardo e mezzo di musulmani che affolla il pianeta. Sono donne e uomini di buona volontà, uniti dalla medesima fede, convenuti con le loro storie, speranze e difficoltà, a formare un Palazzo Yacoubian nel cuore di Roma. 

L’ultima sorpresa cui è doveroso accennare, riguarda l’artefice dello scritto. Si tratta di una gentile signora italiana, quindi non imputabile di partigianeria o di zelo da convertita, che ha frequentato, per finalità di ricerca, la biblioteca del centro religioso e un corso sulla dottrina islamica, ed ha voluto mettere su carta la propria esperienza.

La ringraziamo per la sensibilità, apprezziamo la scelta di raccontare il nostro Islam in modo diretto, utilizzando un linguaggio chiaro e spontaneo, in grado di unire persone di differenti culture, senza cedere al manierismo o al periodare noioso. Volesse Iddio che questi tentativi si moltiplicassero. L’ Imam Alì (as) usava dire “La gente è nemica di ciò che non conosce”, è perciò nostro dovere divulgare la cultura islamica e il vissuto dei credenti, in modo da raggiungere fette sempre più numerose di lettori. Pubblichiamo questo breve scritto alla vigilia di un cambiamento importante per la nostra comunità. Infatti, a Dio piacendo, trasferiremo a breve il centro religioso in un immobile più idoneo e funzionale. E chissà se anche il nuovo edificio….non decida un giorno di dire la sua.

Si dice che anche gli oggetti hanno un’anima, così come ce l’hanno alcuni luoghi abitati. L’anima nasce negli oggetti soltanto grazie al cuore di chi li sa amare. Una bambina che porta in braccio una bambola di pezza, le dona un’anima, le imputa una vita attraverso l’affetto che nutre verso di essa.

Pensavo di essere costretto a un’esistenza statica e inerme, da garage abitato solo da ragnatele e vecchie macchine. Questo era il mio destino di oggetto inanimato. Condannato a un’ignoranza senza speranza né ritorno.

Un giorno dall’Alto si è aperta una finestra, ed è entrata della Luce. A dirla tutta era una porta: la porta del mio ingresso principale. Sono entrate delle persone, hanno portato degli oggetti. Hanno iniziato a pulirmi e lavarmi a fondo. I ragni sono evacuati per dare spazio ad alcuni quadri bizzarri: rappresentavano segni a me incomprensibili, ma con il tempo ho imparato a leggerli ed apprezzarli. Hanno riempito le mie pareti vuote di libri, hanno riscaldato il mio pavimento con tappeti colorati, hanno evitato che mi sporcassi di nuovo togliendosi le scarpe prima di venire a farmi visita.

Ho capito di essere importante per loro perché mi hanno trattato come la loro casa. E loro per me sono stati fondamentali perché hanno nutrito le mie pareti con le loro preghiere. Il mio pavimento ha avvertito il peso delle loro ginocchia, talvolta ha sentito il sale delle loro lacrime. Le loro voci si intrecciavano in un suono meraviglioso, i loro accenti erano così diversi tra loro così come lo erano i loro tratti somatici. Eppure erano tutti sempre rivolti in un’unica direzione, all’unisono pronunciavano le stesse parole.

I miei muri hanno assorbito le parole trattenute nelle pagine dei libri, parcheggiati dentro me al posto delle macchine. Si sono nutriti di quella Saggezza.

Ho conosciuto l’amore tra un padre e i suoi figli. Ho conosciuto l’amore di alcuni figli verso il loro Padre. Ho avvertito il solletico delle vibrazioni che emettevano le grida dei bambini che si sono rincorsi nelle mie stanze. Il mio intonaco si è impregnato dell’odore di un cibo condiviso. Un cibo ritenuto positivamente contagiato solo perché preparato all’interno delle mie mura, tra preghiere e benedizioni. È stato offerto all’esterno come un cibo speciale, e questo mi ha reso orgoglioso. Mi sono sentito importante, mi ci sento ancora perché ormai sono insignito di una Luce che non mi lascerà mai più.

Ho accolto donne senza velo che porgevano domande a quelle con il velo. Ho assistito al matrimonio di giovani che si sono promessi amore davanti a Dio. Ho avvertito un rispetto a me dapprima sconosciuto verso le donne. Ho conosciuto gentilezza e solidarietà. Ho sentito uomini senza alcun rapporto di parentela chiamarsi “fratelli”.

Quando ti donano un’anima è come nascere con una coscienza già consapevole. Ho vissuto situazioni per me nuove, ma le ho riconosciute e ho provato gratitudine. Ho abbracciato i fedeli che si sono stretti nel poco spazio che potevo offrirgli, anche con il caldo più ancestrale. Erano tutti ordinati in fila, sprigionanti un’aura di serenità. La loro concentrazione era esemplare, la loro dedizione era ammirevole. Non so come fossero quelle persone all’esterno. Ma dentro di me hanno lasciato un segno indelebile. Mi hanno regalato l’umanità, nella sua perfezione imperfetta. Mi hanno trasmesso per sempre la consapevolezza di esistere, di esserci per volontà di un Creatore.

Auguro a ognuno di loro ogni bene, ma il migliore augurio che possa fargli è quello di mantenere sempre e per sempre intatta questa Fede, senza snaturarla e impedendo a qualsiasi agente esterno di corromperla o alterarla. Gli auguro di difenderla sempre e alimentarla, innaffiandola di buoni propositi, promesse sincere, richieste umili e ringraziamenti autentici.

Tra le cose che ho imparato c’è anche questo detto: meglio essere un ottimo geometra che un pessimo architetto. Adesso è giunto il momento di essere un garage illuminato del ricordo di fedeli che hanno innalzato i loro cuori all’unisono rivolgendoli verso Dio. Lascio in eredità questa gente a un luogo più ampio, più comodo per i loro enormi cuori, ma che sarà comunque troppo piccolo per la loro immensa fede.

E raccolgo nella mia saracinesca un’anima eterna e illuminata.

A cura di Islamshia.org © E’ autorizzata la riproduzione citando la fonte

Writer : shervin | 0 Comments | Category : Al-Qantara , Al-Qantara , Le attività Centro di Roma

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