Il terrorismo mediatico contro l’Islam. “Fuoco” intervista M.H. Morelli

Il terrorismo mediatico contro l’Islam. “Fuoco” intervista M.H. Morelli

Proponiamo di seguito la lunga intervista che la rivista “Fuoco” ha realizzato con il Segretario dell’Associazione Islamica Imam Mahdi, Marco Hosseyn Morelli, sulla campagna islamofoba dei mass-media occidentali. Qui il collegamento telematico originale all’intervista: https://leggifuoco.it/2022/02/25/il-terrorismo-mediatico-contro-lislam/

 

Il ritratto dell’Islam e dei suoi fedeli dipinto dai mistificatori media occidentali è impietoso: sembra che ogni musulmano sia un invasato accecato dall’odio verso l’Occidentale, che non vuole sentirne di convivere in pace con altre culture e religioni e il cui unico scopo è convertire l’infedele. Sul presupposto che all’interno dello stesso Islam vi sono migliaia di diverse provenienze, sensibilità e interpretazioni del Sacro Corano – da cui dipende anche il contegno sociale – ci puoi dire come il Musulmano è chiamato a vivere anche insieme a chi non professa la sua fede o, piuttosto, non ne professa alcuna?

Nel Nome di Dio Clemente e Misericordioso. Per comprendere come il musulmano sia chiamato a vivere in questa, ma anche in altre situazioni e contesti, è necessaria una premessa. Al di là di quella che è la sua scuola, corrente e cultura di provenienza, due sono le fondamentali fonti che originano e stabiliscono la dottrina, la prassi, l’etica e il sentiero spirituale di ogni musulmano: il Sacro Corano e la vita e condotta del Profeta Muhammad.

Il Sacro Corano dice: “Dio non vi proibisce di essere buoni e giusti nei confronti di coloro che non vi hanno combattuto per la vostra religione e che non vi hanno scacciato dalle vostre case, perché Dio ama coloro che si comportano con equità. Dio vi proibisce soltanto di essere alleati di coloro che vi hanno combattuto per la vostra religione, che vi hanno scacciato dalle vostre case o che hanno contribuito alla vostra espulsione.” (60: 8-9) Questo versetto ben evidenzia quale deve essere l’atteggiamento generale che i musulmani devono tenere nei confronti dei non musulmani.

Agli inizi dell’Islam il Profeta concluse un patto tra i credenti musulmani e i membri delle altre comunità presenti nella città di Medina, successivamente noto proprio come “Carta di Medina”, nella quale veniva garantita completa pace, collaborazione e sicurezza a tutti coloro che vivevano nella città santa, finché non si fossero resi rei di atti di tradimento.

Quando Ali, quarto califfo ben guidato per i sunniti e primo Imam per gli sciiti, durante il suo governo inviò un uomo quale proprio governatore in Egitto, in una celebre lettera a lui indirizzata e diventata poi una delle principali fonti di riferimento per i successivi governi di ispirazione islamica, gli ordinò: “Coltiva nel tuo cuore la misericordia per i sudditi, l’amore verso di essi, la generosità nei loro confronti e non essere come un avido predatore soddisfatto di cibarsi di loro, poiché essi sono di due tipi: tuoi fratelli nella religione o uguali a te nella creazione”.

Questi importanti riferimenti scritturali dell’Islam, che rappresentano solo alcuni tra i numerosi che potrebbero essere citati in merito, pongono l’accento su giustizia, correttezza, bontà, amore e generosità nei confronti dei non musulmani e non certo su odio, rancore e disprezzo, come invece certa vulgata vorrebbe far credere.

Con tutte le imperfezioni e gli errori propri della natura umana, nel corso della storia i musulmani, anche dopo aver conquistato nuovi territori o governato nuove aree – come nel caso dell’Andalusia in Spagna o della dinastia Moghul in India – hanno offerto un eccellente esempio di convivenza e armonia con persone e popolazioni di differenti culture e credenze religiose, frutto dei celesti insegnamenti del Corano e della condotta del Profeta poc’anzi menzionati, e riflesso di quella misericordia divina a cui il credente deve aspirare, quale osmosi di unità e amore con tutte le creature ed il creato. Un ideale assolutamente non circoscritto negli angusti limiti di uno specifico gruppo etnico o religioso, ma bensì da condividere e godere con l’universo intero.

Per motivi di spazio non mi è possibile dilungarmi ulteriormente sui numerosi e profondi insegnamenti tramandati dall’Islam al riguardo. Mi limiterò perciò a citare la seguente celebre narrazione del Profeta, che getta luce su un aspetto aggiuntivo ma significativo. Il Messaggero dell’Islam dice: “Non è un vero credente colui che dorme con lo stomaco pieno mentre il suo vicino soffre la fame”. Si badi bene in che modo colui che il Corano descrive come “misericordia per il creato” (21: 107), per l’appunto il Profeta dell’Islam, indichi l’umanità ed il senso di responsabilità che debbono animare il musulmano nei confronti del proprio prossimo, senza specificarne il credo o la religione di appartenenza.

 

I media occidentali hanno una missione odiosa contro il vero Islam. Ma, se vogliamo, possiamo dire che anche l’Islam – che per alcuni versi si sta aprendo e si sta facendo conoscere nella sua vera natura dal mondo – commette diversi errori di comunicazione. Ci puoi dire secondo te dove dovrebbe migliorare il mondo Islamico nella comunicazione? Quali sono gli errori principali compiuti?

Gli errori dei musulmani, e noi – come la gran parte degli esseri umani – ne commettiamo parecchi, non devono essere attribuiti all’Islam, che rappresenta invece l’ultima e completa Rivelazione di Dio all’umanità. Non dobbiamo dimenticare che quando parliamo di Islam ci riferiamo ad una religione che oggi ha circa due miliardi di seguaci sparsi in ogni angolo della terra, provenienti da numerose nazioni, con lingue differenti e di varie culture: è pertanto impossibile tracciarne un giudizio unico e univoco, o analizzarne le capacità comunicative, come se dovessimo riferirci ad un contesto uniforme, caratterizzato da un singolo quotidiano o da un solo canale televisivo.

Personalmente posso parlare della realtà occidentale, e italiana in particolare, che è quella che per ovvi motivi conosco meglio. E’ chiaro, come giustamente Voi sottolineate, che tutti i cosiddetti “media mainstream” (ma non solo, mi permetto di aggiungere) siano orientati, seppur con diversi gradi e declinazioni, a fomentare un clima islamofobo, volto a demonizzare l’Islam e i musulmani tout-court. Al contempo è però indiscutibile che anche la comunità islamica italiana abbia le sue responsabilità. Pur trovandoci di fronte ad una realtà nel complesso giovane, non possiamo nascondere che a livello organizzativo, formativo e comunicativo essa soffra di importanti lacune.

A questo riguardo non andrebbero comunque ignorati due aspetti, a nostro giudizio importanti e tra loro collegati, per quanto riguarda il suddetto tema della comunicazione. I moderni strumenti, ma ancor più le moderne tecniche di persuasione e convincimento mediatico, hanno un’origine tutta occidentale, e sono state e continuano ad essere ‘sapientemente’ utilizzate e ‘raffinate’ dai dipartimenti e dalle centrali di intelligence delle principali liberal-democrazie nella loro opera di penetrazione ed egemonia culturale mondiale, ancor prima che politica, economica e militare.

Da questo punto di vista è difficile fare una comparazione, o parlare di concorrenza, perché quello che nel linguaggio dell’Islam viene definito Da’wa o Tabligh (l’Appello verso la Verità) affonda le sue radici metafisiche nella Rivelazione e si rivolge alla natura deiforme dell’essere umano in quanto creatura dotata di intelletto e volontà. La propaganda occidentale tenta invece di manipolare le volontà e le intelligenze cercando di far leva sulla sfera emotiva e psichica del singolo individuo. Questo non vuol dire che l’opera di testimonianza islamica non debba avvalersi degli strumenti della tecnologia moderna; tento soltanto di evidenziare il divario tra un’opera orientata in senso anagogico, traendo appunto ispirazione dalla Rivelazione di cui cerca di essere veicolo e supporto, e viceversa la propaganda occidentale, eminentemente catagogica e antiumana.

Nonostante diverse lacune e l’inesperienza della comunità islamica nel campo comunicativo, che si manifestano principalmente in una conoscenza non perfetta della lingua italiana – naturale nel momento in cui la maggior parte dei musulmani nella nostra nazione ha un’origine straniera – e nonostante le nostre evidenti carenze nella ricerca e utilizzo di un corretto linguaggio che trasmetta e traduca determinate verità, realtà e posizioni, grazie a Dio in Italia stiamo assistendo comunque ad alcune iniziative incoraggianti in tal senso. Il giornale telematico “La Luce News”, diretto da musulmani e animato principalmente da credenti nell’Islam, nel suo piccolo sta ad esempio svolgendo un importante ruolo di contro-informazione di fronte alle continue e martellanti menzogne quotidiane a cui la nostra popolazione è sottoposta dai media italiani e, in più in generale, occidentali. Ad esso si affiancano crescenti e importanti attività culturali realizzate da diverse comunità islamiche lungo tutta la penisola.

Talvolta la cronaca nera italiana riporta notizie che coinvolgono anche Musulmani. Si tratta spesso di notizie che potrebbero benissimo vedere protagonisti Italiani e magari non nascono da motivazioni religiose quanto piuttosto da culture e abitudini locali/nazionali che nulla hanno a che vedere con la religione. Perché in questi casi il mondo islamico non riesce a farsi sentire quando dice: “l’Islam non c’entra nulla”? Sono i media a nascondere queste voci sincere oppure queste voci non sanno esprimersi unitariamente e con efficacia?

Anche qui l’origine del problema è sostanzialmente da rinvenirsi nel disegno mediatico e politico occidentale di demonizzazione dell’Islam e dei musulmani. Nella loro quasi totalità i mass-media ufficiali brillano per l’effettiva assenza di una sincera volontà di comprendere il punto di vista dell’Islam e dei musulmani su un determinato tema o un certo accadimento, sempre accompagnata da una generale rappresentazione dei fatti poco corretta se non addirittura fuorviante. Ciò può chiaramente essere ben notato quando assistiamo, soprattutto nei momenti più ‘caldi’, a dibattiti televisivi e radiofonici che, direttamente o indirettamente, attengono all’Islam e nei quali solitamente vengono invitati quattro o cinque sedicenti esperti, tutti animati da profondi pregiudizi e un ostentato livore anti-islamico, dibattiti nei quali, ahimè, il musulmano è completamente assente e privato quindi del diritto di replica. Laddove invece, in certi casi e in un clima da stadio, al musulmano venga concesso il privilegio di poter esprimere il proprio punto di vista, nella maggior parte dei casi ci troveremo di fronte a personalità scarsamente rappresentative, prive di una vera e solida formazione religiosa e culturale, o appositamente ‘selezionate’ per l’occasione, quando non si tratti di veri e propri musulmani ‘addomesticati’ (Malcolm X li chiamerebbe “negri da cortile”).

L’utilizzo sensazionale di certi fatti di cronaca nera, laddove compiuti da persone che provengano da paesi a maggioranza musulmana, è diventato purtroppo uno degli strumenti principali e più indegni di questa vera e propria gogna mediatica, soprattutto perché attinente ad atti che nulla hanno a che vedere con la religione, commessi da persone spesso completamente a digiuno dei più elementari insegnamenti dell’Islam, e che conducono anzi uno stile di vita quasi sempre totalmente opposto a quello prescritto dal Corano e dal Profeta.

 

È assurdo doversi difendere da ciò che non si è commesso o rimarcare che un soggetto che commette reato non può fare condannare tutta una comunità, composta da persone oneste e pacifiche. Ma purtroppo, in questa campagna mediatica, le comunità Musulmane sono chiamate a prendere le distanze quando si verificano alcuni eventi che possono infangarle. Reputi sia opportuno ribadire queste distanze? 

Riteniamo assurdo, oltre che irrispettoso, il fatto che alle comunità islamiche, ai loro rappresentanti o perfino ai singoli credenti, ogni qualvolta avvenga un episodio criminale, vero o presunto che sia, commesso da individui che provengano da uno dei tanti Paesi a maggioranza musulmana, venga ripetutamente richiesto di cospargersi il capo di cenere sulla pubblica piazza.

Le autorità religiose, custodi dei veri insegnamenti islamici e garanti della loro corretta trasmissione, hanno chiaramente e pubblicamente indicato quali siano le posizioni della nostra religione riguardo alle principali questioni, anche quelle attinenti all’attualità politica e sociale. Purtroppo per noi, esse vengono regolarmente ignorate dai media occidentali, quando non addirittura volutamente fraintese, con una costante distorsione dei loro messaggi.

Ciò che spesso avviene è invece equiparabile, mi si conceda un paragone in questa sede assolutamente calzante, al caso in cui agli italiani venisse costantemente richiesta la propria opinione, presa di posizione e conseguente condanna, rispetto agli innumerevoli crimini e omicidi di matrice mafiosa nostrana. Qualcuno accetterebbe un simile trattamento o lo riterrebbe illogico e insensato se non addirittura offensivo?

 

Spesso si dimentica che, in termini di numero di vittime e di danni subiti, la prima vittima del cd. ‘terrorismo islamico’ (termine errato, coniato dai media occidentali) è proprio il Popolo Musulmano. E questo riprova che quel terrorismo non è islamico ma proviene da prezzolate storture eterodirette (possiamo dire dagli USA ma non sarebbe esauriente). Come far passare questo concetto anche nell’occidentale medio?

“Amnesty International”, parliamo quindi di un’organizzazione animata non proprio da principi e criteri di natura islamica, per bocca del suo direttore generale in Italia Gianni Rufini, nel periodo di massima ascesa di DAESH (ISIS) e all’apice di attentati terroristici nel mondo, dichiarò che il 94% delle vittime di terrorismo erano musulmani. Di fronte alle stragi e alle numerose vittime, spesso civili innocenti, non è certo il caso di scendere in una fredda e cruda conta dei morti, ma si tratta di un dato che deve far necessariamente riflettere sulla natura e l’origine di quello che da decenni viene spacciato appunto come ‘terrorismo islamico’.

In una delle due lettere indirizzate ai giovani occidentali, scritta dopo gli attentati terroristici che nel novembre del 2015 colpirono la Francia e causarono una grande ondata di commozione mondiale, la Guida della Rivoluzione Islamica – che rappresenta una delle massime autorità religiose mondiali – l’Imam Khamenei, ricordava due aspetti molto importanti. Pur nel “dolore che ci accomuna” di fronte al terrorismo, egli ricordava come nell’insicurezza e nell’angoscia che alcuni Paesi occidentali avevano recentemente sperimentato, rispetto ai patimenti di popoli musulmani come quello iracheno, yemenita, siriano e afgano, vi fossero due importanti differenze: la prima appunto che il mondo islamico era, da lungo tempo e su larga scala, vittima della violenza e degli attentati, e la seconda che queste violenze erano state sempre, seppur in differenti modalità, sostenute dagli Stati Uniti e dai loro alleati occidentali e regionali.  

Senza dimenticare, ovviamente, le esplicite aggressioni, invasioni e occupazioni militari da parte di eserciti occidentali (italiano compreso) che negli ultimi decenni hanno stravolto la vita di numerose nazioni musulmane: Iraq, Yemen, Siria, Afghanistan, ma anche Libia, Sudan e Libano. E sottolineando inoltre le enormi responsabilità dell’Occidente alle origini della tragedia palestinese, nonché la sua costante e indiscussa complicità nei crimini israeliani. Popolazioni che hanno visto le loro case, scuole, ospedali, infrastrutture e persino feste di matrimonio bombardate da armi occidentali. Occidentali che si sono al contempo resi responsabili di stupri e violenze sulle donne, di umiliazioni e torture su uomini, e di aver reso orfani o ucciso migliaia di bambini. E tutto questo nella pressoché totale indifferenza, se non addirittura con l’assoluta compiacenza, della maggioranza degli occidentali. In un cosiffatto contesto risulta assai difficile far comprendere, a popolazioni vittime di decenni di soprusi ed aggressioni arbitrarie, per non parlare del terrorismo indotto, l’estraneità dei cittadini occidentali rispetto alle criminali scelte dei loro governi scellerati.

Come se non bastasse, assai di frequente, gli ambienti politici, giornalistici ed accademici occidentali, o occidentalizzati che dir si voglia, tentano di confondere la pubblica opinione equiparando il nobile concetto islamico di Jihad con la blasfema pratica del terrorismo. Sarà pertanto importante soffermarci brevemente per alcuni chiarimenti in merito. Il Jihad costituisce un importante e fondamentale branca dell’Islam, a cui sia il Corano che le narrazioni (hadith) del Profeta fanno spesso riferimento. Nella lingua araba il vocabolo Jihad letteralmente significa “sforzarsi”, “impegnarsi duramente per qualcosa”. Nella terminologia islamica, desunta appunto dal Sacro Corano e dalle narrazioni profetiche, esso conserva il significato letterale in due differenti dimensioni, che vengono definite come Jihad al-akbar (maggiore) e Jihad al-asghar (minore).

Il Jihad maggiore è la lotta che la persona deve combattere contro il proprio ego e le proprie passioni, mentre il Jihad minore è la lotta armata materiale contro i nemici fisici dell’Islam, cioè contro coloro che in modo armato aggrediscono i musulmani: si tratta di due combattimenti, spirituale e fisico, complementari. La distinzione tra i due Jihad mostra indubbiamente la preminenza del primo, dovuta alla maggiore difficoltà che comporta e alla più subdola pericolosità del nemico – interno – da affrontare, senza che questo significhi tuttavia minimizzare o svilire l’importanza del secondo, essendo le due lotte intimamente correlate ed interdipendenti. Sempre l’Imam Khamenei, nell’incontrare la famiglia del Generale Martire Qassem Soleimani nel giorno del suo funerale, ha perfettamente descritto l’intima connessione tra i due Jihad: “Questa lotta sulla Via di Dio è [prima di tutto] un combattimento interiore. Ogni Jihad esteriore è basato su un Jihad interiore: il combattente che senza paura affronti il nemico e, in qualsiasi fronte si trovi a militare, non venga scalfito da stanchezza, freddo o preoccupazioni di sorta, se non fosse uscito dapprima vincitore dal suo Jihad maggiore, non avrebbe potuto agire in questo modo. Il Jihad esteriore si fonda quindi su quello interiore”.

Una celebre narrazione esprime in modo eloquente l’elevato rango e la funzione sublime del Jihad quale via di ascesa e realizzazione spirituale, descrivendolo come “una porta al Paradiso che Iddio ha aperto per i Suoi amici eletti, l’abito della consapevolezza di Dio, la Sua armatura impenetrabile e lo scudo degno di fiducia… Iddio rivestirà coloro che si astengono dal prender parte al Jihad con un abito di umiliazione e un mantello indegno”.

Ma è bene specificare come esso, oltre a richiedere al combattente un’intenzione pura e trascendente, qualità spirituali quali fede sincera e distacco dalle proprie passioni, paure e legami terreni, e doti eroiche quali coraggio, altruismo, lealtà e spirito di sacrificio, sia anche regolato da precise regole giuridiche e da dettagliate indicazioni etiche che lo orientano e ne guidano la pratica. In caso di combattimento, Corano e narrazioni profetiche proibiscono nel modo più assoluto di colpire i civili, specialmente donne, anziani e bambini, anche se fossero parenti del nemico, vietando inoltre di colpirne le proprietà. La tradizione islamica prescrive chiaramente il rispetto dei diritti basilari dei prigionieri e il non accanirsi sul nemico in fuga. Proibisce la fabbricazione e l’utilizzo di armi di distruzione di massa e perfino l’uccisione di animali o il taglio di alberi, laddove non strettamente necessario. Sulla sacralità della vita umana delle persone innocenti il Corano è perentorio, paragonando l’uccisione di una sola persona innocente all’uccisione dell’umanità intera (5: 32). Nulla a che vedere con le azioni barbare, codarde e inumane, di chiara natura satanica, di sedicenti “terroristi islamici” che collocano ordigni o si fanno esplodere in mercati, metropolitane o piazze, per mietere vittime tra persone inermi e innocenti, in spregio a qualsiasi norma giuridica e insegnamento etico coranici e profetici. Vittime, ricordiamo ancora una volta, nella quasi totalità musulmane!

Il cortocircuito perbenista progressista vuole la donna libera ma quando vuole portare il velo invece le va impedito perché “lei non lo sa ma non è libera”. Perché spaventa tanto il velo su una donna mentre seni e nasi rifatti o la dittatura della taglia 40 sono simbolo di libertà? Cosa significa il velo per una donna islamica? 

L’Occidente, nella sua arroganza, continua a dare ripetutamente mostra della propria ipocrisia persino di fronte a quei veri e propri idoli che egli stesso ha eretto, dalla democrazia ai diritti umani, fino appunto alla libertà. Ma anche qui è bene comprendere quale sia il vero significato dei termini e la giusta prospettiva in cui essi vanno collocati. Dal punto di vista islamico l’essere umano deve poter crescere e innalzarsi onde raggiungere l’obiettivo della sua creazione: quello della perfezione, della realizzazione spirituale. La vera libertà è infatti quella che implica l’assenza di ostacoli e barriere che impediscono la propria crescita e sviluppo; la persona veramente libera è pertanto quella che lotta contro tutti gli ostacoli che incontra lungo il sentiero che la conduce alla crescita e perfezione, piuttosto che colui che a questi ostacoli si sottomette.

L’Occidente moderno ha introdotto una concezione di libertà, fondata sul “da” piuttosto che sul “per”, che sostanzialmente non trova riscontro nelle culture tradizionali e quindi anche in quella islamica. Per questo, per indicarne la propria concezione, i musulmani utilizzavano generalmente il termine arabo falah che implica sia il concetto di libertà che quello di salvezza, esprimendo la liberazione dai vincoli interiori, dalle schiavitù materiali e terrene, dalla bramosia e dalla cupidigia.

Per la donna il velo rappresenta quindi, in quanto prescrizione divina, una libertà spirituale e sociale, interiore ed esteriore. Spirituale perché è una forma di obbedienza alla volontà divina, che simboleggia il trionfo dello spirito sulla materia e la custodia della sua purezza interiore attraverso il pudore esteriore, caratteristiche della vera femminilità e chiavi essenziali per percorrere quel cammino di avvicinamento e assorbimento nella Purezza Assoluta. Secondo alcuni urafa’ (i mistici e gnostici musulmani), mentre l’uomo manifesta il nome palese di Dio, la donna è la manifestazione del Suo nome occulto o segreto (al-Batin), e pertanto ella deve velarsi agli estranei allo stesso modo in cui il nome segreto di Dio è velato a tutti ad eccezione dei Suoi intimi.

Dal punto di vista sociale il velo la libera dai condizionamenti e dalle mode imposte dalla società del consumismo, dell’edonismo e dell’apparire, valorizzandola non per il suo mero aspetto fisico o sessuale, ma per quelle che sono le sue doti e talenti reali, di natura intellettuale, etica e spirituale. Il velo permette alla donna di essere presente nella società, nelle scuole, nelle università e negli appropriati luoghi di lavoro e professionali, conservando però la propria identità, modestia e pudore. 

E’ chiaro quindi che il velo per l’Occidente rappresenti una sfida e al contempo un’umiliazione, incarnando la negazione manifesta e integrale di quel modello che esso considera l’apice del progresso e della civiltà e che cerca di imporre, con le buone o le cattive, in tutto il mondo. Modello basato sulla mercificazione del corpo, la decadenza morale e una visione unidimensionale della donna, quella sessuale. 

Siamo noi in realtà a ritenere oppressore il modello femminile dell’Occidente moderno e a denunciarlo, rappresentando esso una forma di inganno che schiavizza e umilia la donna. Un modello e uno stile di vita che viola e deforma la natura di questa creatura, manifestazione della Bellezza e della Gloria divine, la cui femminilità viene invece degradata e utilizzata quale strumento di mercato, libertinaggio e lussuria, gli istinti più bassi dell’essere umano.

Questo perché una volta colpita la donna nella sua stessa essenza, nel suo fondamentale e nobile ruolo di moglie e madre, sarà poi facile sconvolgere e sovvertire l’intero assetto sociale e creare degli automi, degli individui privi di forma, identità e qualità, totalmente passivi e disponibili ad accettare, subire e seguire ogni ideologia, moda e strada, aperta dai nemici del Vero, del Bello e del Buono.

Infine vorremmo far rilevare come molti degli stessi cristiani siano stranamente schierati sul fronte di “libertà” assolutamente antiscritturali ed antibibliche. Senza fare i soliti riferimenti al dettato paolino o ai Padri della Chiesa, o al più semplice catechismo, vorremmo ricordare come mistici e santi, primo tra tutti Padre Pio, non smisero mai di stigmatizzare il mercimonio del corpo femminile e l’insano dilagare di estetiche ed usi irrispettosamente scollacciati. Questo induce quasi a dedurre una sorta di mutazione genetica in seno ad una cristianità che, esaltando le sue nobili figure, al contempo le svuota del loro messaggio rivoluzionario e, fondamentalmente, anagogico, aprendo le porte ad una modernità dissolvente.

Quando i Paesi Musulmani raccontano di sé, ciò che i media occidentali permettono che venga mostrato consiste molto spesso in immagini di parate militari, di martiri e di guerra, oltre alle “immancabili” donne che indossano il velo più o meno integrale. Ma, per quanto queste siano comunque immagini nobili e rispettabili, se sono solo queste a essere diffuse, passa un concetto parziale e quindi alterato della vera natura del Mondo Islamico. Perché non vengono mai diffuse immagini e notizie delle meraviglie naturali, delle bellissime città, delle imprese sportive, dei traguardi scientifici, delle misure di solidarietà e di rispetto anche verso le altre culture e le altre religioni? Oltre ai media occidentali, anche le campagne di comunicazione dei musulmani hanno qualche responsabilità?

Le televisioni, le radio, i giornali e i siti di informazione dei Paesi islamici, dalla Mauritania all’Indonesia, sono caratterizzati sostanzialmente da trasmissioni di natura informativa, scientifica e culturale. Chi ha la possibilità di seguire questi canali nella loro lingua originale può constatare come i programmi che spaziano dalla teologia alla filosofia, dalla metafisica alla medicina, dalla storia alla geografica, dalla matematica all’architettura, siano all’ordine del giorno e di notevole qualità. I dibattiti da essi ospitati, sia su argomenti scientifici che di attualità, presenziati da ospiti autorevoli e dai più variegati punti di vista, sono certamente ben più interessanti ed edificanti rispetto a quelli a cui generalmente è costretto ad assistere il telespettatore italiano medio, quasi sempre orientati ed appiattiti su determinate posizioni ideologiche, con buona pace dei soliti ipocriti slogan sulla tanto sbandierata libertà di espressione. Per non parlare dell’intrinseca decadenza intellettuale e morale che pervade, da cima a fondo, i poveri palinsesti nostrani.

Alcuni Paesi islamici, soprattutto negli ultimi anni, spinti da un sincero desiderio di farsi conoscere, hanno iniziato a trasmettere anche in lingue occidentali, principalmente inglese, francese e spagnolo. Si tratta spesso di emittenti con programmi dai contenuti di alto livello qualitativo e grafico, seguite con interesse da non pochi stranieri. Alcune nazioni si sono inoltre dotate di radio e siti multilingue, tra le quali troviamo anche l’italiano. In questi ultimi casi qualità e scelte editoriali non sono sempre all’altezza, ma riescono comunque a colmare un vuoto altrimenti enorme.

Quanto alle immagini di parate militari o di scene di guerra, le vediamo generalmente trasmesse da televisioni militanti di nazioni islamiche che si trovano in prima fila nella lotta agli aggressori e agli occupanti, e che sentono quindi la responsabilità di suscitare uno spirito di lotta, coraggio ed eroismo, nel tentativo di orientare e guidare soprattutto i giovani ad un dovere religioso ed etico che conduce a un cammino nobile e celeste. Immagini che vengono comunque poi affiancate da normali programmi di cultura, attualità e intrattenimento, sempre all’interno della cornice della Legge Divina e dell’etica islamica.

 

Domanda finale: perché l’uomo occidentale teme l’Islam?

L’uomo occidentale è in realtà la prima vittima e il primo oppresso del sistema mondialista che vede nell’Islam il suo principale, se non unico, nemico. Le centrali di potere che risiedono in Occidente, ma che controllano ormai la gran parte dell’emisfero terrestre, i cosiddetti “poteri forti” o “occulti”, vedono a buon ragione nell’Islam un nemico reale. Non crediamo infatti sia un caso che l’Islam abbia meritato sul campo la qualifica di antagonista per antonomasia della modernità occidentale, proprio quando quest’ultima appare ormai vincente su tutto il pianeta. Quale ultima forma tradizionale e sintesi universale di quelle precedenti, l’Islam – anche in ragione della sua funzione escatologica di Sigillo della Rivelazione – è per sua natura destinato a guidare la battaglia contro il Fronte della Sovversione incarnato dall’Occidente modernista e nichilista, come d’altronde possiamo benissimo constatare dagli stessi eventi di cui siamo testimoni in questa nostra epoca.

Questo perché l’Islam è l’antitesi totale, e al contempo l’alternativa completa, al nichilismo modernista occidentale. L’Islam ha dimostrato non solo di avere una propria visione del mondo e dell’essere umano diametralmente opposta a quella occidentale moderna, ma anche di avere un ordinamento politico, giuridico, economico e familiare che rappresenta la negazione stessa di quello che l’Occidente cerca di presentare come il migliore ed unico possibile.

È questo il motivo dell’odierna martellante propaganda volta ad inoculare nella società e nell’uomo europei il virus di una paura radicale e quasi archetipica verso l’Islam. Il nemico vede in esso l’origine della sua disfatta: l’Islam è la via di salvezza e di realizzazione trascendente, in grado di liberare l’uomo occidentale, e l’essere umano in generale, da qualsivoglia giogo e catena, interiore ed esteriore, per aprirne l’essenza integrale, quale mistica corolla, alle celesti cure dell’Amore Divino. Come potrebbe mai, una tale dottrina, produrre o anche solo predicare le assurde atrocità che le vengono quotidianamente attribuite?

È inoltre fondamentale non trascendere il messaggio anagogico della Rivelazione, che riverbera in tutti gli stati del nostro essere, storici e metastorici, materiali, spirituali e sottili. L’Islam è l’unica forza al mondo che, ancora oggi, abbia messo al centro del proprio annuncio la lotta all’idolatria. E che cos’è idolatria se non rinunciare al bene più alto, quello che tutti li sussume e li contiene, e cioè a Iddio Onnipotente, per volgere il proprio essere verso ciò che rende schiavi e svuota il sé del suo cardine celeste e dunque del cuore? E cos’è questo sistema planetario se non, perdonatemi la ridondanza, sistematica idolatria che, tramite gli specchietti per le allodole della libertà e del diritto, infetta la profonda essenza dell’essere umano riducendolo alla parodia di sé stesso, in quella che è la più dolce ed inestirpabile delle tirannie… la tirannia del ventre? È proprio questo il motivo per cui le forze sataniche sottendenti codesto baraccone pseudo-libertario e mercantile, puntano il dito, tutte coese, contro la disciplina islamica. Poiché essa, nella sua irriducibile lotta alle passioni interiori, è vera libertà del cuore e quindi dell’anima, della mente e del corpo. Essa forgia uomini liberi da sé stessi, dal proprio ventre e dunque da ogni subdola tentazione del piacere. Essa crea uomini schiavi di un’unica cosa: dell’Unico Dio e del Suo immenso amore per ognuno di noi. E, credetemi, uomini del genere, hanno sempre fatto paura… soprattutto oggigiorno.

 

Writer : shervin | 0 Comments | Category : Attualità, politica e società , Novità

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