Strateghi israeliani: “La posizione di Israele nel mondo continua a peggiorare”
La posizione di Israele nel mondo continua a peggiorare. E’ la conclusione di un nuovo rapporto stilato da alcuni dei migliori strateghi israeliani.
“L’immagine di Israele nei paesi occidentali continua ad essere in declino, una tendenza che aumenta la capacità di gruppi ostili ad impegnarsi in azioni volte a privare Israele di legittimità politica e morale e a lanciare boicottaggi”, afferma l’“Istitute for National Security Studies” (INSS) dell’Università di Tel Aviv nel suo “2016-2017 Strategic Survey for Israel”.
Il rapporto di 275 pagine, scritte da un gotha di figure dell’ambiente politico, d’intelligence e militare israeliano, è stato presentato la settimana scorsa al Presidente israeliano Reuven Rivlin dal direttore dell’INSS Amos Yadlin, un ex generale dell’aeronautica e capo dei servizi segreti militari israeliani.
Si rivela in particolare che “la campagna internazionale per delegittimare Israele continua, riflettendosi nel movimento BDS”, un riferimento alla crescente campagna palestinese di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni. Israele descrive abitualmente la difesa dei pieni diritti palestinesi, o le critiche ai suoi abusi, come “delegittimazione”.
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Nessun sostituto per gli Stati Uniti
Nell’analizzare i cambiamenti sullo scenario internazionale e l’emergere di super-potenze come la Russia e la Cina, il rapporto dichiara che non c’è “alcun segno che [questi paesi] siano disposti a dare a Israele il sostegno politico, scientifico, tecnologico e militare che riceve da altre nazioni, soprattutto gli Stati Uniti e da alcuni paesi europei“.
Ciò è particolarmente preoccupante per Israele, dato che lo “status degli Stati Uniti in Medio Oriente continua a indebolirsi” così come il loro impegno a mantenere la propria egemonia in Medio Oriente: “Nonostante le buone relazioni tra Mosca e Gerusalemme, la Russia non è un sostituto per il sostegno politico, economico e alla sicurezza fornito dagli Stati Uniti e dell’Occidente“, conclude il rapporto.
Mentre i leader israeliani si aspettano strette relazioni con gli Stati Uniti sotto la presidenza di Donald Trump, il rapporto avverte che la sua amministrazione prevede di “rafforzare le tendenze isolazioniste.”
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Israele e al-Qaeda in Siria
Gli strateghi israeliani ritengono chiaramente che dal punto di vista dell’equilibrio convenzionale delle forze nella regione “il potere militare di Israele è indiscusso” – non essendovi alcuna minaccia da parte degli eserciti di Egitto, Siria e Giordania. Ma continuano a ritenere il movimento di Resistenza islamica libanese Hezbollah come una “grave minaccia”.
Nonostante il fatto che Hezbollah sia attualmente coinvolto nel conflitto in Siria, il rapporto vede il movimento libanese emergente grazie al sostegno avanzato dall’Iran, rafforzato dall’esperienza della battaglia e con “capacità di fuoco a lungo raggio dotato di grande potere distruttivo e precisione in continuo miglioramento.”
“Dal punto di vista di Israele“, si legge nel rapporto, “lo scenario migliore è la scomparsa del regime di Assad, insieme con la rimozione dell’Iran e di Hezbollah dalla Siria, da una parte, e la sconfitta di DAESH [noto anche come ISIS o ISIL] e l’istituzione di un regime sunnita moderato in Siria, dall’altra.”
È interessante notare che il rapporto afferma che “questo modello si è materializzato in forma limitata nel Golan, dove i ribelli sunniti moderati combattono con successo sia il regime di Assad sia l’ISIS“.
Il rapporto israeliano non nomina i “ribelli sunniti moderati”, ma non è un mistero che Israele ha fornito a lungo aiuto e sostegno nelle alture del Golan a Jabhat al-Nusra, il ramo di al-Qaeda in Siria.
Moshe Yaalon, uno degli autori del rapporto, ha riconosciuto pubblicamente l’assistenza di Israele ai combattenti Jabhat al-Nusra nel 2015, quando era ministro della Difesa di Israele.
Lo scorso anno Jabhat al-Nusra ha nominalmente tagliato le relazioni con al-Qaida, ribattezzandosi come “Jabhat Fateh al-Sham” e realizzando un grande sforzo di ‘maquillage’ con l’assistenza dei media occidentali.
“Il divorzio di Jabhat al-Nusra da al-Qaeda ha reso Jabhat Fateh al-Sham una forza che può cooperare con altre organizzazioni non salafite jihadiste, e anche ricevere aiuto esterno”, suggerisce il rapporto.
Esso aggiunge che Jabhat al-Nusra è “organizzato e finanziato (dall’Arabia Saudita), ben attrezzato, e con prestazioni di gran lunga migliori rispetto ad altri gruppi di ribelli.”
Questo punto di vista benigno riecheggia i sentimenti espressi da Efraim Halevy, l’ex capo dell’agenzia di spionaggio del Mossad israeliano, che ha difeso la fornitura di cure mediche da parte di Israele ai combattenti di Jabhat al-Nusra in un’intervista rilasciata ad al-Jazira lo scorso maggio.
Al contrario Halevy ha detto che non sosterrebbe mai la cura dei combattenti di Hezbollah feriti perché Israele è stato preso di mira da Hezbollah ma “non da al-Qaida”.
La cooperazione di Israele con Jabhat al-Nusra e il suo interesse nel vedere un regime settario “sunnita” installato a Damasco sottolinea uno dei temi principali del rapporto dell’INSS: i crescenti legami di Israele con i cosiddetti “Stati arabi sunniti”, guidati dall’Arabia Saudita, per una condivisa ostilità verso l’Iran prevalentemente sciita.
Il rapporto menziona, per esempio, la visita del generale saudita Anwar Eskhi in Israele l’estate scorsa. Eshki ha detto ai suoi ospiti che il “conflitto israelo-palestinese servo come terreno fertile per la crescita dell’ideologia iraniana nella regione”.
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