Quello che segue è l’intervento del prof. Enrico Galoppini preparato in occasione della Conferenza dal titolo “Risveglio Islamico” tenutasi a Teheran il 18 e 19 settembre 2011. Tale intervento era riservato ad uno dei seminari a latere della conferenza vera a propria, ma per ragioni di tempo non è poi stato esposto. E’ stato poi pubblicato sulla rivista di geopolitica “Eurasia” (N. 4/2012, pp. 185-192). Ringraziamo il Direttore della rivista per averci concesso il permesso per la sua riproduzione sul nostro sito.
Ass. Islamica Imam Mahdi (AJ)
Sebbene il taglio del presente scritto non corrisponda a quello dei contributi di norma ospitati sulla rivista, riteniamo che, in una sezione esterna al dossario, possa ben figurare in quanto contribuisce a suo modo a fare chiarezza sulla differenza tra “Islam” e “islamismo”.
La religione intesa nel suo significato più genuino ed elevato (non istituzionale, identitario, sociale ecc.: tutti ambiti la cui importanza relativa non è in discussione) non parla alla mente, ma al cuore, se con questo s’intende – come ha sempre postulato la visione del mondo tradizionale e premoderna – la sede dell’Intelletto.
Ora, se “Eurasia” ha una “missione” – oltre a quella di “spiegare”, con gli strumenti dell’analisi geopolitica, le dinamiche in atto a livello planetario, ed oltre a quella di far scorgere ad un pubblico anestetizzato dalla propaganda e dalla forma mentis occidentalista che (parafrasando i “new global”) “un altro punto di vista è possibile” – essa è quella di rendere familiare al suo bacino di lettori che è impossibile “capire” in profondità cosa si agita a livello mondiale – e tantomeno prendere una corretta posizione in merito, con ricadute pratiche sulle proprie scelte di vita – se non ci si pone sulla corretta lunghezza d’onda. Che non è quella né del “laicismo” né dell’integralismo religioso, che curiosamente – ma non troppo – si trovano alleati più o meno consapevoli in quella che con un eccesso d’ottimismo è stata chiamata “Primavera araba”.
Per “cambiare il mondo” (ammesso che sia veramente possibile) bisogna per prima cosa “cambiare se stessi”. I Profeti, i grandi “ispirati” ed “illuminati”, i “grandi uomini” non hanno scritto saggi di politica internazionale o di geopolitica. Quest’ultima, semmai, l’hanno praticata, coadiuvati da individualità di primordine nei rispettivi campi della strategia, dell’amministrazione ecc.: si pensi alle campagne militari dei primi califfi che garantirono l’espansione dell’ecumene islamico nel Nord Africa, nel Vicino e nel Medio Oriente allora bizantino e persiano. Ma per prima cosa, tutti costoro hanno parlato ai “cuori” con “lingua sincera”. E quello è bastato per incidere sulle sorti del mondo.
A noi pare perciò ragionevole e sensato affiancare a saggi di taglio “analitico” un discorso che parla direttamente alla coscienza degli uomini, poiché tutto, nella vita dei singoli e delle comunità, è integrato e non esistono “compartimenti stagni”, come del resto ha dimostrato l’esperienza della Rivoluzione Islamica Iraniana con le parole e l’opera dell’imam Khomeyni.
“Risveglio islamico”: il senso di una definizione
E.Galoppini
Dal Marocco all’Indonesia, mentre i media occidentali insistono sul carattere “arabo” di una supposta “primavera” (“democratica”, ovviamente!), si fa un gran parlare di “risveglio islamico”.
Occuparsi di “risveglio islamico” in maniera pertinente non è però una cosa facile se si mira a comprendere in profondità questo fenomeno, o meglio una temperie epocale suscettibile di coinvolgere il mondo intero…
Molti osservatori ed analisti, infatti, si accontentano dell’enunciazione di slogane frasi fatte, cedendo a facili entusiasmi e speranze, tuttavia riteniamo sia necessario chiarire (e chiarirsi, innanzitutto!) i punti essenziali della questione. Per di più, un conto è descrivere, un altro interpretare, un altro ancora svolgere delle previsioni su un fatto letteralmente “rivoluzionario” che, su scala mondiale, accompagnerà, in shâ’a Llâh[1], la conclusione dell’attuale ciclo della manifestazione fino all’avvento di Sayyidunâ al-Mahdî (su di Lui la Pace)[2]. E Allâh ci conceda di essere tra coloro che lo riconosceranno e lo seguiranno!
Per prima cosa bisogna dunque definire i due termini qui in esame: “Islâm” e “risveglio”. Che cosa s’intende per “Islâm” quando ad esso ci si riferisce come ad una realtà che va “risvegliandosi”?
Non sta certamente a me spiegare nel dettaglio che cosa sia “l’Islâm”, perché altri ben più versati nelle scienze religiose rispetto al sottoscritto possono illustrarci con profitto il significato di una parola magnifica che designa un credo e un agire ad esso conforme (al-îmân wa l-‘amal as-sâlih[3]: l’equilibrio tra “fede” ed “opere”…), secondo quanto è stato espresso a chiare lettere da Allâh nel Suo Libro fatto scendere tramite Jibrîl (l’Arcangelo Gabriele) sul Suo Messaggero (Rasûl) affinché questi fosse “ammonitore ed annunciatore” (nadhîr wa bashîr) per “i timorati di Dio” (al-muttaqûn)[4].
I “timorati di Dio”, da quando Allâh ha creato gli uomini, non sono mai stati una categoria molto diffusa. Un “timorato di Dio” è un essere umano che come minimo non farebbe nulla che dispiaccia ad Allâh e al Suo Messaggero, anzi, agisce solo “per amore di Allâh e del Suo Inviato”. Ora, l’amore per Allâh e il Suo Inviato non possono andare disgiunti da un amore in grado di abbracciare ogni cosa, visto che tutto è stato creato dall’Unico Creatore, che “dà la vita e dà la morte, e verso il Quale è il divenire”[5].
Nei Paesi a maggioranza islamica, oggi percorsi da una scossa di movimenti di protesta e di ribellione nei quali agiscono – talvolta in maniera determinante – forze ed interessi esterni, ed il cui esito è ancora da decifrare, assistiamo da un lato al diffondersi di tendenze “laiche”, di visioni del mondo caratterizzate dall’”assenza di Dio”: molti giovani hanno perso la bussola, desiderano “occidentalizzarsi” e amano più questo basso mondo (dunyâ), con tutte le sue illusioni e “comodità”, rispetto alla “vita eterna” garantita da Allâh ai “timorati di Dio”, quelli che non oltrepassano i “limiti di Allâh” (hudûd Allâh)[6]. Dall’altro si sta diffondendo la tendenza – analoga a quella in atto nei paesi a maggioranza cristiana e non solo, si pensi al “fondamentalismo” indù – ad una interpretazione “identitaria” della religione, che, non a caso, va di pari passo con la diffusione di “ideologie islamiche” che, col pretesto di rifarsi ai “pii antenati” (salaf, da cui “salafiti”), ha veicolato una concezione ingessata ed inaridita della religione dell’Islam, lasciando libero corso, come in America (!), ad una pletora di telepredicatori, certo mossi da buone intenzioni ma non in grado di fungere da “guida spirituale”.
Ora, se è vero che uno sport, un mestiere eccetera s’imparano solo dopo aver frequentato un campione, un abile artigiano e così via, non si capisce perché la via verso l’Islâm – e sottolineo il senso di un cammino verso una mèta al cui termine vi è la Grande Pace (sakîna) – non debba essere intrapresa grazie alla frequentazione dei maestri, sia viventi che non, e mi riferisco nel secondo caso alle visite alle tombe dei “deputati di Dio”, gli awliyâ’, che i “modernisti”, con la scusa delle “innovazioni eretiche” (bid‘a), hanno tacciato di ogni “deviazione” senza rendersi conto di che cosa stanno facendo.
Sì perché la tradizione, per poter lavorare nel profondo dell’uomo, dev’essere una realtà viva ed operante, altrimenti si rischia, per una via apparentemente antitetica, lo stesso esito del laicismo e dell’ateismo: l’allontanamento degli uomini dalla religione, percepita solo come una sequela di precetti e nozioni, di “regole” e “restrizioni”, senza la controparte della gioia che dà la frequentazione di chi da quelle apparenti “limitazioni” della “libertà dell’uomo” – che di per sé ha solo quella di conformarsi al Decreto di Allâh – ha tratto la chiave della felicità e dell’amore per tutti gli esseri. Certamente la religione deve portare alla felicità, in questo mondo e nell’altro, e non all’intristimento degli uomini e alla loro costrizione in una gabbia, ma questo sembra essere purtroppo l’unico orizzonte intellettuale di alcune cosiddette ‘guide’ che già da come si esprimono (si pensi alle voci modulate su un tono “terrificante” dei loro video su internet) denotano di non essere affatto dei “realizzati” pervenuti alla mèta dell’Islâm. Questi ciechi che guidano altri ciechi, non possedendo le chiavi della felicità “misteriosamente” (in un senso vicino a quello della parola “mistico”) e misericordiosamente donate da Allâh solo dopo un metodico “retto sforzo” (jihâd)[7] contro la propria anima concupiscente (an-nafs al-ammâra bi-s-sû’)[8], non possono far altro che aizzare “folle islamiche” che dell’Islâm, una condizione permanente dello spirito, hanno fatto una bandiera “identitaria” associata ad un etno-nazionalismo che di realmente islamico non possiede nulla.
Questo per dire che se del “risveglio islamico”, dal Marocco all’Indonesia, si fa una questione di “quantità” e di “nazione araba” che si prende la “rivincita sull’Occidente” (quindi su noialtri “cattivi”, “degenerati”, “demoniaci” ecc.) non si va da nessuna parte. Né ha senso innalzare la bandiera del “vero Islâm” per sbatterla in faccia sempre contro altri musulmani da additare ad ‘eretici’ (sufi, sciiti ecc., sunniti compresi, poiché pure questi ultimi se non si conformano alla “ideologia religiosa” dei “modernisti” incorrono nel loro ‘anatema’)[9].
Per essere chiari: non ha senso costruire una moschea ad ogni angolo di strada – come avviene in alcuni Paesi a maggioranza islamica o di recente “reislamizzazione” (si pensi ai Balcani) – se poi le moschee non si riempiono di fedeli devoti e, soprattutto, se non è possibile frequentarvi dei “timorati di Dio” perché ne sono tenuti alla larga sulla base di accuse una più insensata dell’altra. E non ha senso stampare milioni di copie del Libro Sacro (per giunta con lievi sottili modifiche per quanto attiene alle annotazioni per la salmodia) se poi non si riesce a trovare la compagnia di chi vive conformemente ai suoi insegnamenti e a quelli della sunna dell’Inviato di Dio.
L’Islam è sì la “natura primordiale, connaturata, all’essere umano” (fitrat al-insân)[10], ma è una condizione dello spirito talmente elevata che non è lecito confonderla con ideologie e identitarismi. Più che “sono musulmano”, ecco, bisognerebbe dire: “cerco di esserlo, in shâ’a Llâh!”. Ma nel cosiddetto “mondo islamico” stesso, purtroppo, si assiste ad una lotta fatta di ‘scomuniche’ ed ostentazioni della propria “religiosità” a chi è “più musulmano”, più “ortodosso” dell’altro, al punto che ci si fa riprendere dalle tv occidentali mentre si pronuncia il takbîr[11], magari poco dopo che si è ucciso un altro musulmano! Non sanno forse che all’Inferno, in shâ’a Llâh, andranno sia l’uccisore che l’ucciso? Per fortuna i danni di questi fenomeni ‘spettacolari’ vengono compensati dal lavoro, meno ‘interessante’ dal punto di vista mediatico ma più sostanziosi, dei maestri e dei sapienti che istruiscono sull’Islâm giovani che non anelano né alla “libertà occidentale” né ad uno “Stato islamico” purché sia, tutto apparenza e niente sostanza.
Spero che queste poche righe servano a chiarire il mio punto di vista sull’Islâm, che scorgo come la cima di una montagna sulla quale esistono libri che ne parlano, foto che la mostrano nella sua maestosità, mappe per raggiungerla eccetera… ma cominciare a percorrere il sentiero che vi conduce è tutta un’altra cosa! E si può salire sulla cima di un monte senza una “guida”? Quindi, per prima cosa bisogna mettere in guardia i musulmani di tutto il mondo dal non illudersi sulle possibilità di un “Islâm fai da te”, appreso solo sui libri o in televisione…
Quanto alle odierne “rivoluzioni”, in shâ’a Llâh esse avranno un esito positivo solo se chi avrà eliminato tutti i “tiranni” esteriori avrà simultaneamente lottato per vincere anche i suoi tiranni interiori. È “islamico” rincorrere la “democrazia parlamentare”? Sappiamo quali disastri produce nelle nazioni che già l’hanno sperimentata: stiamo andando alla bancarotta materiale e morale, e ancora vogliamo “esportare la democrazia”? Che differenza sostanziale fanno dei “partiti islamici”? Più che di “partiti” (islamici o meno) c’è bisogno di preghiere, di “ricordo di Allâh” (fa-dhkurû-nî adhkur-kum: “RicordateMi e Mi ricorderò di voi”…)[12], di mettere a capo delle comunità che si liberano dalla “tirannia” i musulmani più devoti che vi sono!
Per quanto riguarda la questione del “risveglio”, esso implica un preesistente stato di “sonno”. Ora, l’Islâm, inteso nel suo senso intimo non si è mai ‘addormentato’ (Allâh non dorme mai: Lâ ta’khudhu-Hu sinatun wa lâ nawm, “Non lo colgono né sopore né sonno”)[13], e chi ha inteso raggiungere le Stazioni più elevate dell’anima, per uscire dal suo stato di “separazione” dal Tutto, ha sempre avuto a disposizione, provvidenzialmente, una possibilità, anche in mezzo alle condizioni ambientali più avverse, comprese le attuali del “mondo moderno”, apparentemente “disperate”.
Se intendiamo invece il “risveglio” come un rinnovato interesse verso l’Islâm sia nei Paesi a maggioranza islamica sia in quelli che ospitano solo delle minoranze di fedeli dell’Islâm, esso è certamente un fenomeno caratteristico di quest’epoca, che – in shâ’a Llâh – va preparando gli eventi cataclismici che chiuderanno questo ciclo dell’umanità.
Allâh non abbandona mai le sue creature e solo dei “filosofi” – quelli sì letteralmente “disperati” – possono aver discettato sulla “morte di Dio”. Allâh vuole per esse il meglio, anche se non se ne rendono conto o credono che “il meglio” sia l’esatto contrario, immerse come sono nel dunyâ (il “basso mondo” della materialità e della sensualità), ingannate dalla loro nafs[14], me per primo!
Un autentico “risveglio islamico” è l’ultima opportunità per ciascun essere umano di uscire dalle illusioni del “mondo moderno”, che è effettivamente sempre più satanico. Così Allâh, nei tempi ultimi “pesca” letteralmente gli uomini dalle paludi del dunyâ per portarli nei suoi Oceani di Misericordia: gli uomini devono solo riconoscere questa ‘chiamata’ e rinnovare il “patto” che venne stabilito nella preeternità tra il Signore (Rabb) e i Figli d’Adamo (Banû Âdam)[15].
Paradossalmente, chi si trova prima degli altri immerso nella palude del “mondo moderno” è in un certo senso avvantaggiato: molti europei, americani eccetera “entrano nell’Islam” perché si sono resi conto che tutto il resto conduce ad un vicolo cieco e alla “disperazione”. Si può affermare che solo dopo aver provato sulla propria pelle l’illusione della “libertà”, della “democrazia” e dei “diritti umani” che inducono nell’uomo un ‘sonno spirituale’, si sente il bisogno di “risvegliarsi”… Bisogna davvero toccare il fondo prima di risalire, ed è quello che sta avvenendo nel cosiddetto “Occidente”, dove in mezzo a fiumi di propaganda ostile l’interesse per l’Islâm è in costante aumento: “Tentano d’ingannare Allâh e coloro che credono, ma non ingannano se non se stessi e non se ne accorgono”, dice Allâh nel Sublime Corano[16].
Il “mondo moderno”, al di là di tutte le sue dimensioni pseudo religiose, politiche, culturali, economiche e sociali, è profondamente “disumano” perché incoraggia un modello di vita che non si confà alle esigenze più profonde dell’uomo, col risultato che il tipo umano plasmato dalla “modernità”, che crede a tutti i suoi falsi miti, compreso quello della “tecnologia” che dovrebbe migliorare la vita dell’uomo, finisce per perdere la mèta, l’Islam, e quindi se stesso. Gira a vuoto tutta la vita, senza alcun risultato, finché muore e non saprà perché ha vissuto. Ecco, in mezzo a questo nichilismo del “mondo moderno”, la buona notizia è che sempre più uomini e donne si stanno “svegliando”, al-hamdu li-llâh (“la Lode spetta ad Allâh”)! Sentono che al fondo della coscienza c’è qualcosa che dice: “No, questa non è vera vita!”. Si accorgono che tutto il disordine della “vita moderna” ha un’unica radice anti-spirituale e che l’unica medicina è un “codice di condotta” di origine divina, altrimenti l’uomo è perso in una sorta di “inferno in terra”.
Ciascuno all’inizio s’innamora di alcuni aspetti dell’Islâm, di quello che ci vuol vedere, ma al fondo in tutti è brillata quella scintilla divina che Satana e i suoi demoni – giocati da Allâh stesso! – s’illudevano d’aver spento. Un poco per volta, questi “nuovi musulmani”, che non sono arabi e che pertanto non hanno bisogno di arabizzarsi in ogni cosa, scoprono che grazie alla sharî‘a di Allâh[17]potranno andare orgogliosi del loro essere italiani, francesi, spagnoli, inglesi, tedeschi, americani ecc., ma soprattutto musulmani. Il sole di Allâh brilla anche sull’Occidente!
Il “mondo moderno”, che assorbe completamente le energie delle persone che vi si immergono, distogliendole dal loro compito essenziale e preparandole ad una ben triste sorte, delinea piuttosto una “civiltà” che ripete incessantemente termini quali “amore” e “tolleranza”, ma in realtà tutti quanti si detestano e non si sopportano. E questo perché ciascuno, asserragliato nel proprio fortino dell’ego, pensa di essere il “centro del mondo”. Questo è uno dei risultati dell’azione di traviamento dei demoni, perché non vi possono essere tanti ‘centri’ quante sono le creature!
Nell’esperienza di vita di chi ha conosciuto solo la “modernità”, coi suoi ritmi di vita forsennati senza alcuna possibilità per la preghiera e la meditazione (dhikr, “menzione [di Allâh, dell’Origine da cui proveniamo]”), raramente vi è stato spazio per l’Amore, quello incondizionato che può venire solo da Allâh per il tramite del suo Amato (habîb Allâh, il Profeta). Come fanno le persone ad essere “buone” se nessuno è mai amorevole con loro? Se nessuno tratta l’altro come se fosse se stesso? Ma chi può essere amorevole se non chi ha annullato in Allâh il suo ego? L’“amore” e la “tolleranza” di cui si blatera in Occidente sono invece condizionati: si “ama” e si “tollera” – anche tra marito e moglie! – fintantoché ci si attiene ad uno schema di vita rassicurante per l’ordine, o meglio il disordine, costituito… Ma se un musulmano è ‘troppo musulmano’ allora non lo si “ama” e non lo si “tollera” più! Tuttavia il musulmano, in tale contesto ‘ostile’ ha un importante compito da svolgere: dare l’esempio, e non reagire innescando una logica che lo vedrebbe, oggettivamente, sempre sulla difensiva e perdente. Le persone spesso reagiscono male perché hanno inculcato in esse il “terrore dell’Islam”, ma invece di arroccarsi in una sua “verità” il musulmano ha il dovere di mostrare l’aspetto amorevole dell’Islâm, proprio perché l’Inviato di Allâh (che è in un certo senso “dentro di noi”) non ha mai odiato nessuno.
L’uomo, in ogni tempo e luogo, è sempre andato in cerca di guide e di esempi da seguire. Ma se egli non trova un esempio virtuoso andrà in cerca di quello che gli sembrerà tale: ecco perché i “moderni” seguono idoli come gli attori, i cantanti, i calciatori e altre figure fasulle; oppure, nei migliori casi, qualche dispensatore di “consolazioni” a buon mercato (si pensi alla “New Age”). In buona fede, è chiaro, ma alla lunga per un numero sempre crescente di essi tutto ciò non appaga, non dà soddisfazione, così, magari dopo aver nutrito numerosi sospetti verso l’Islâm, arriva il giorno in cui la prima corazza dell’ego cade e si “arrende” di fronte all’evidenza del Messaggio di Allâh. Molti hanno intrapreso il loro cammino di “risveglio” per il solo fatto di aver ascoltato una recitazione coranica: non avevano mai sentito una cosa così magnifica, mâ shâ’a Llâh![18]
Per l’Islâm, in shâ’a Allâh, vi è un futuro radioso nei paesi oggi “occidentali”, queste terre letteralmente “del tramonto”. Ma a patto che i musulmani stessi non facciano percepire alcuna “minaccia” a chi sull’Islâm ha le idee ancora confuse, rifuggendo dalla contrapposizione del “noi” (i musulmani) contro “loro” (i non musulmani): mettersi al di sopra degli altri, o peggio ancora tacciarli di “kufr”[19] solo perché si è entrati nell’Islâm è controproducente, oltre che fonte di perdizione per chi scade al livello di Iblîs, il Diavolo, che peccando di “orgoglio”, cadde al più infimo dei livelli… L’Islam, in shâ’a Llâh, si diffonderà grazie al valore dell’esempio dei musulmani stessi, in primis i maestri di saggezza, le “guide” a loro volta guidate da Allâh.
La situazione nei Paesi “occidentali” non è forse mai stata così propizia come ora per una diffusione del Messaggio di Allâh. Di questa posso parlare perché sono italiano, vivo in Italia e amo l’Italia. Nei paesi che da secoli sono di cultura e religione islamica, un pericolo, a mio avviso – da osservatore esterno -, proviene soprattutto dalla fitna[20], frutto della predicazione di “cattivi maestri” e della prevalenza dell’amore per il dunyâ che soggiace sempre nelle dinamiche conflittuali; per questo, va sempre e comunque elevata una voce per l’unità dei musulmani, della umma, “per” amore di Allâh e del Suo Inviato, più alta di quella di coloro che inveiscono, da un pulpito ‘islamico’, sempre “contro” qualcosa e qualcuno.
Nel mondo, oltre un miliardo di esseri umani aderiscono all’Islâm, e il loro numero è in costante aumento. Ma non accontentiamoci delle statistiche, analizziamo la realtà che effettivamente sta dietro ai numeri. Vediamo “musulmani” che si considerano l’uno superiore all’altro e che nei peggiori casi si ammazzano a vicenda per qualche questione etnica o teologica, manipolati per giunta da chi ha tutto l’interesse a seminare zizzania. Chi crede in Allâh, nei Suoi Angeli, nei Suoi Libri, nei Suoi Inviati, nell’Ultimo giorno e nel fatto che il Bene e il Male vengono da Allâh, deve gareggiare nelle opere di bene e sostenersi a vicenda, invitando all’Islâm col valore dell’esempio, infinitamente più contagioso di mille parole o iniziative culturali o “missionarie”.
Giunto al termine di questo mio modesto intervento, spero che le mie considerazioni su un tema così appassionante come il “risveglio islamico” non abbiano turbato nessuno né possano sembrare dettate da presunzione e vanagloria, ché sono il primo a dover lavorare sodo per cercare di attuare quanto ho esposto. Prego di essere un giorno, in shâ’a Llâh, tra i “timorati di Dio”, e mi rifugio in Allâh, nel Suo nome, da Satana il lapidato, dall’essere uno di quelli che finiranno nel Fuoco. E la Lode spetta ad Allâh, il Signore dei Mondi.
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NOTE
[1] “Se Dio vuole” non è una vuota formula ripetuta per abitudine, come credono i turisti, ma traduce la consapevolezza che in ultima istanza l’unica vera “volontà” è quella del Principio da cui promanano tutti gli universi, oltreché l’impossibilità di determinare, di controllare in alcun modo il futuro.
[2] Tutte le tradizioni regolari – e con esse l’ultima, quella islamica, in ogni sua ‘variante’ – prevedono, alla “fine dei tempi” (o di un “ciclo” cosmico), l’avvento, su ordine divino, di un essere incaricato di riportare la Giustizia sulla terra, conformemente alla volontà del Principio. Esso dirimerà definitivamente ciò che distingue il Falso dal Vero, pertanto si tratta di una figura escatologica la cui manifestazione comporta la dissoluzione di tutto ciò che non “merita” di permanere sulla terra.
[3] La fede in Dio e le opere pie, ovvero l’agire in conformità con la fede. Le due cose, complementari, sono citate insieme svariate volte nel Corano, per insistere sul fatto che l’una non può andare disgiunta dall’altra. L’alternativa sono la “buona azione” di stampo laico e il “credere” in qualsiasi cosa (tecnicamente, un “idolo”), fino al punto più basso che è il “credere in se stessi”.
[4] Il grado della taqwâ, il “timor di Dio”, è uno dei più elevati tra quelli cui può aspirare il credente.
[5] al-masîr, tradotto sovente anche con “destino”, il che non è sbagliato, etimologicamente, se si spoglia il concetto di “destino” da tutte le immagini romantiche, prometeiche ed individualiste.
[6] Si pensi, per contrasto, a come oggigiorno ogni concetto di “limite” venga considerato un freno al “libero dispiegamento” di quella anarchica “personalità” tanto decantata dai moderni.
[7] Quello di jihâd è probabilmente – anche per colpa di certi militanti islamisti – il concetto più equivocato, se è possibile redigere una classifica di questo tipo. Di equivoco in equivoco, nella mente prima degli occidentali, e poi di musulmani che si approcciano alla loro tradizione sulla base dell’indottrinamento “islamista”, il “piccolo jihâd”, quello esteriore, in armi, di fronte ad un’aggressione che mette in pericolo l’esistenza stessa della comunità, finisce per diventare il “grande jihâd”, la pugna spiritualis contro il proprio ego.
[8] Letteralmente, “l’anima che comanda il male”.
[9] Questo è un punto importante da capire. Le guide, i riferimenti dottrinali e teologici dei moderni “islamisti” non sono i quattro imâm delle scuole giuridiche hanafita, malikita, shafi‘ita e hanbalita (più la ja‘farita in ambito sciita), bensì dei personaggi che, non dotati di alcun “carisma”, si pongono al di fuori del “sunnismo” e non al suo interno, come invece si equivoca troppo di sovente scambiandoli per quello che non sono ed aggiungendo così confusione a confusione.
[10] L’essere umano, per l’Islâm così come per qualsiasi altra tradizione regolare, ha una sua natura profonda specifica. Deve solo riconoscerla ed adeguarvisi – secondo i mezzi messi a disposizione nella tradizione stessa – per sperare nel successo in questa vita e nell’altra. Tutto il resto è vana pretesa, e chiunque, se sa davvero “ascoltarsi”, può rendersene conto. Per questo l’Islâm richiede il totale “abbandono” di ogni pretesa di “autonomia”, sottomettendo l’ego per conquistare una superiore “libertà”.
[11] La celebre formula Allâhu akbar, “Iddio è più grande”.
[12] Cor. II, 152.
[13] Dal cosiddetto “versetto del Trono”. Cor. II, 255.
[14] Letteralmente il (piccolo) “sé”, quindi “anima”, intesa come “psiche”.
[15] “E quando il Signore trasse, dai lombi dei figli di Adamo, tutti i loro discendenti e li fece testimoniare a proposito di loro stessi [disse]: «Non sono il vostro Signore?». Risposero: «Sì, lo attestiamo». [Lo facemmo] perché nel Giorno della Resurrezione non diciate: «Veramente eravamo incoscienti». Cor. VII, 172 (traduzione tratta da Il Corano. Edizione integrale a cura di H.R. Piccardo, Newton Compton, Roma 2003).
[16] Cor. II, 9.
[17] Probabilmente è questo, assieme a quello di “jihâd”, il concetto più equivocato al riguardo della tradizione islamica, con l’apice del fraintendimento che interviene a proposito della stessa definizione di “Islâm”. I moderni, così innamorati del loro “libero arbitrio” (che esiste provvidenzialmente per “responsabilizzare” l’uomo, al livello che gli compete), non possono ammettere che per ottenere, individualmente, come minimo la “salvezza”, e, collettivamente, far sì che una società sia regolata da norme virtuose, si debba seguire un codice di condotta onnicomprensivo ed integrale, coerente con l’affermazione di base della tradizione islamica secondo cui non v’è divinità se non LA divinità (Allâh) e Muhammad [ovvero l’Uomo Universale] è il messaggero di Allâh. In breve, il senso di tutto ciò è che l’uomo, “da solo”, non ce la può fare, precisando inoltre che la sharî‘a non è una “legge” che può essere assunta intimamente tutta in un volta in blocco, per cui risultano anche vane e puerili le pretese degli “islamisti” di “imporre la sharî‘a” così come si prende un qualsiasi provvedimento di carattere profano.
[18] Formula diffusissima tra i musulmani che letteralmente significa “ciò che Iddio vuole”. Con essa si esprime la fondamentale idea che se una cosa è “voluta” da Allâh, sarà indubbiamente “buona”. Correntemente, tale formula viene usata per esprimere gioia ed apprezzamento.
[19] Il kâfir è colui che nega – intimamente, ed eventualmente dando “scandalo” – il tawhîd, ovvero “l’unicità ed unità dell’Essere”.
[20] La fitna è la peggior sciagura che può capitare agli uomini nel loro “vivere insieme”, poiché assomma i concetti di divisione, sedizione, scandalo, anarchia. Il mondo musulmano, ma anche l’umanità in generale, è in tale condizione.
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