PARLA SOLEIMANI
Quello che segue è il discorso integrale – il primo tradotto in una lingua occidentale, da quello che ci risulta – tenuto dal Generale Martire Hajj Qassem Soleimani, comandante delle forze Quds dei Guardiani della Rivoluzione Islamica, in occasione della sessione di chiusura del Congresso nazionale dedicato agli ottomila martiri offerti dal Gilan, regione settentrionale iraniana, durante la Guerra Imposta all’Iran Islamico e Rivoluzionario da Saddam e dagli Stati Uniti. Il congresso si è tenuto il 5 maggio 2016 nella città di Rasht. Nella traduzione abbiamo cercato di mantenere lo stile discorsivo, pur con le imperfezioni che ciò può comportare.
Il 3 gennaio 2020 il Generale Soleimani, insieme al comandante della Resistenza Islamica irachena Abu Mahdi al-Muhandis e ad altri quattro combattenti iraniani e quattro combattenti iracheni, è diventato martire in un vile attacco missilistico statunitense nei pressi dell’aeroporto di Baghdad, in Iraq.
Ass. Islamica Imam Mahdi (aj)
Col Nome d’Iddio Clemente e Misericordioso
La lode appartiene a Iddio, Signore dei mondi. La pace e le benedizioni discendano sul Profeta di Dio e sulla sua Famiglia, le Genti di Dio.
«Sia Lode ad Allah che ci ha guidati a questo, che certo non saremmo stati guidati se non ci avesse guidato Allah» (Sacro Corano: VII, 43)
Per l’anima pura e luminosa di tutti i martiri – i martiri della Rivoluzione, della Difesa Sacra, di questa regione esemplare e orgogliosa, fucina di eroi cara a Dio; per l’anima dell’Imam Khomeyni [1] (che Dio gli conceda il Suo paradiso), colui che ha ravvivato l’Islam in questo secolo; per la salute della nostra eminente e cara Guida (Khamenei) [2], questa persona saggia e valorosa che è oggi al timone della nave dell’Islam, recitiamo una preghiera (salawat).
Nell’anniversario del martirio del settimo Imam, l’Imam Musa al-Kadhim, porgo a tutti voi, miei cari fratelli e sorelle, le mie più sentite condoglianze. Possa Iddio concederci l’onore di essere annoverati tra i suoi veri sciiti. Mi scuso in anticipo con i grandi sapienti presenti a questo incontro, con gli ulamà, con le care famiglie dei martiri e con gli altri cari responsabili, in particolare l’Ayatullah Ghorbani e l’Ayatullah Rudbari, le due sagge candele di questa regione, possa Dio prolungare la loro vita. Chiedo scusa perché, nonostante la vostra presenza, sarò io a parlare.
Sono molti gli incontri e i congressi a cui ho partecipato, ma posso dire che qui si percepisce un profumo differente, come se i martiri fossero presenti e si avvertisse la loro fragranza. Inoltre, il fatto che l’incontro sia stato organizzato dai figli dei martiri, ha donato alla sua atmosfera un aroma tutto particolare. Si tratta di un’iniziativa preziosa.
Il Gilan è un paradiso divino e una benedizione celeste nell’Iran islamico; esso è ricettacolo di infinite potenzialità. Una regione che ha allevato élite, sapienti, mistici e grandi autorità religiose, facendone dono al mondo islamico e sciita. Un piccolo Gilan di fronte al quale l’intero Iran rimane fermo in ammirazione. Il Gilan è l’orgoglio dell’Iran, è una foglia d’oro, viva e bella, dell’Iran Islamico.
Ottomila martiri non possono che stupire l’essere umano. Ottomila martiri, ventimila feriti e circa trentamila tra prigionieri, feriti e martiri in una sola regione, sono una cosa rara rispetto alla popolazione di tutte le altre regioni della nazione. La regione del Gilan, da sola, ha compiuto il proprio dovere quanto diverse regioni messe insieme.
Bisognerebbe baciare la mano di ognuno degli abitanti [di questa regione]. Da parte mia, come iraniano, servitore di questo orgoglioso ordinamento islamico, ringrazio tutti coloro che hanno partecipato all’organizzazione di questo grande, importante, glorioso ed eterno evento: il prezioso Congresso dei Martiri, lo stimato governatore, il rispettabile comandante dei Guardiani della Rivoluzione, i grandi sapienti religiosi, la Fondazione dei Martiri e i numerosi altri enti intervenuti. Bacio le mani di tutti voi e vi ringrazio davvero dal profondo del cuore. Avete compiuto un lavoro nobile, elevato e fonte di orgoglio per i vostri martiri.
L’intero mio discorso verterà su quel periodo [della Guerra Imposta], un periodo ormai lontano più di vent’anni ma che tuttora ha una grande influenza sulla nostra società. Un tesoro che arricchirà e porterà benefici alla nostra nazione per molti anni e secoli a venire.
Il tesoro della guerra…un tesoro che ancora custodisce perle preziose da scovare e presentare alla comunità. In questo giorno, ricordando i nostri martiri, è opportuno citare le benedette parole che l’Imam ‘Ali pronunciò in un momento in cui era isolato addirittura dai suoi stessi compagni e che probabilmente costituiscono la più completa testimonianza della stazione [spirituale] dei martiri. Ovviamente una simile emarginazione oggi non esiste nella nostra società, perché il posto di quei martiri è stato colmato dai ‘martiri viventi’ e pronti al martirio, un esempio dei quali sono i cari martiri Difensori dei Luoghi Santi (Modafean-e Haram). [3] Si tratta di parole che probabilmente l’Imam ‘Ali pronunciò in solitudine e con le lacrime tra gli occhi:
“Dov’è quel popolo che, invitato all’Islam, lo ha subito accettato, ha recitato il Corano e agito in base ad esso, è andato in battaglia desideroso come lo è un cucciolo di cammello della propria madre, ha sfoderato le proprie spade e si è schierato sul campo, senza mai rallegrarsi per i vivi o rattristarsi per i morti. I loro occhi sono arrossati per il pianto (per il timore di Dio), i loro ventri smagriti per il digiuno, le loro labbra secche per la Preghiera, il loro colorito pallido per la veglia e i loro volti umili”. [4]
In questa sessione vorrei sottolineare tre punti importanti. Il primo punto, difficile da comprendere, riguarda il martire: la conoscenza del martire e del martirio. [5] Il secondo punto riguarda lo scopo e gli obiettivi dei nostri martiri lungo questo percorso, nel passato e oggi, e il terzo punto attiene all’etica e alla condotta dei nostri martiri.
Certamente tra noi vi sono due categorie di persone. Una particolarmente timorosa e l’altra molto entusiasta. Colui che ha timore è perché teme la sua fine, come il sottoscritto, mentre chi è entusiasta è attratto dall’entusiasmo dei martiri, come un pulcino che cerchi disperatamente di poter beccare il seme della scienza e della conoscenza dal loro esempio.
Questo aspetto è particolarmente importante, mie sorelle, miei fratelli, miei cari entusiasti! Quello che abbiamo visto non è qualcosa appreso studiando l’Islam, ma è un’esperienza che abbiamo compreso dai nostri martiri, vedendoli, guardandoli ed contemplandoli: non diventerà martire chi non è già martire. La condizione per diventare martire è essere [già durante la vita] un martire. Se oggi vedete qualcuno che emana il profumo del martire dalle sue parole, dal suo comportamento e dalla sua condotta, sappiate che diventerà martire. Tutti i nostri martiri avevano questa caratteristica: erano martiri prima ancora di ricevere il martirio. Non si può diventare scienziati prima di aver appreso la scienza; la condizione per diventare uno scienziato è quella di apprendere la scienza. La condizione per diventare martire è quella di esserlo [già in vita].
Per spiegare la loro elevata stazione [spirituale], che l’Imam Khomeyni ha definito “impossibile da comprendere”, è sufficiente dire che sono “sostentati presso il loro Signore” [Sacro Corano, 3: 169]. In un altro passo l’Imam Khomeyni scrisse che il martire, avendo rinunciato al proprio io ed al suo egotismo, ha sacrificato tutto sé stesso in modo che di lui e del suo ego non rimanga più nulla poiché, oltrepassati i veli di luce e oscurità, e raggiunta la stazione dei “sostentati presso il loro Signore”, degli “ospiti di Dio” e dell’“incontro con Dio” (liqa’Llah) [Sacro Corano, 29: 5], egli si è disciolto in Lui. La fase principale che tutti i nostri martiri hanno attraversato per raggiungere questa stazione, uno dei passaggi fondamentali per raggiungere il rango di martire, è quello dell’Hijrah (migrazione).
Come avete visto il martire Atri si è liberato di tutti suoi attaccamenti e legami – come quello con la sua piccola bella figlia Zahra – e si è incamminato per adempiere al suo dovere. Il primo passo per raggiungere il rango di martire e del martirio è dunque quello dell’Hijrah (migrazione). Migrare – distaccarsi – da se stessi, dalla propria posizione sociale, dai propri averi, dalla propria casa e dai propri legami e bellezze. I martiri hanno compiuto in modo integrale codesta migrazione in tutte le sue dimensioni. Quel padre martire, che conoscevo personalmente, quando volle salutare sua figlia l’accarezzò sul viso e poi si voltò dall’altra parte. Sua moglie allora gli domandò: “Perché non la guardi?”. Ed egli le confessò di temere che l’amore che nutriva nei suoi confronti potesse imprigionarlo [impedendogli di incamminarsi]. Questa migrazione, se avviene all’interno di una persona, anche se non raggiungerà il rango del martirio, gli assicurerà una grande ricompensa da parte di Dio, stando a quanto Dio stesso ha promesso nel Sacro Corano. [6] Il secondo livello è il livello del Jihad: il Jihad sulla Via di Dio. Il terzo livello è quello del resistere e rimanere perseveranti su questa strada.
Cari fratelli reduci, cari fratelli desiderosi di una tale atmosfera, avete visto questi martiri Difensori dei Luoghi Santi (Modafean-e Haram), questi martiri recentemente martirizzati: sono i più intelligenti, costoro sono perspicaci, costoro sono scaltri. L’intelligenza e l’ingegno non si manifestano così come si acquisisce la ricchezza materiale, bensì nel modo in cui l’essere umano resiste [alle tentazioni] e mantiene il suo legame [con Dio], come il Martire Atri e gli altri valorosi martiri, che attendono la prima occasione per potersi riunire [a Dio] e ottenere la grande vittoria del martirio. Questa è l’intelligenza, la scaltrezza, l’ingegnosità.
Perseverare lungo il sentiero: “Tra i credenti ci sono uomini che sono stati fedeli al patto che avevano stretto con Allah. Alcuni di loro hanno raggiunto il termine della vita, altri ancora attendono; ma il loro atteggiamento non cambia” (Sacro Corano: XXXIII, 23). Questo è il nocciolo, il cuore della questione. Se esiste questa perseveranza, anche se l’essere umano permane ancora in vita, vi rimane come un martire. Questa è il punto focale e più importante. Per quanto riguarda la comprensione della stazione e del rango dei martiri, non dovremmo dubitare che essi, al pari dei nostri awliya (gli Intimi, gli Amici di Dio), siano in grado di compiere miracoli. Per questo motivo cerchiamo rifugio presso le loro tombe e invochiamo la loro intercessione. Perché sono come una goccia unitasi al mare. Quando un uomo è una goccia il vento lo trasporta, l’aria lo asciuga, l’uccello lo solleva; quando questa goccia si ricongiunge al mare, diventa il mare stesso.
Un ferro allo stato naturale è solo ferro, e poggiandolo su un tavolo non produce alcun effetto. Ma se questo ferro inerte diventasse un circuito magnetico, allora attrarrebbe a sé tutti gli altri pezzi di ferro come un magnete, attirando anche la limatura. Il martire è connesso al circuito magnetico del Messaggero di Dio e delle Genti di Dio (Alullah, la Famiglia del Profeta). Per questo motivo è in grado di realizzare miracoli, e per questo motivo le persone, con consapevolezza, pregano sulla sua tomba per chiederne l’intercessione.
Il martire, sciogliendosi in Dio, ha raggiunto la sincerità; e avendo raggiunto la sincerità, si è unito [a Lui]. Quando avviene l’unione, infatti, “non c’è differenza tra loro e l’Amato”. [7]
Il miracolo non è prodotto da lui, ma è l’effetto di quell’unione. “O Servo, obbedisciMi affinché ti faccia diventare come Me quando dico “Sii” ed esso è, così anche tu dirai “Sii” ed esso sarà”. [8] Questa è una norma divina. Chiunque si avvicini all’Imam ‘Ali, al circuito magnetico dell’Imam ‘Ali, ne verrà influenzato. Diventerà Kumayl bin Ziyad, diventerà Abu Dharr Ghaffari, Salman Pak (il puro). [9] La filosofia del martire è la filosofia di questa unione. Questa goccia riunitasi al mare non è più visibile. E’ ormai parte del mare. Mare divino. Si è unita al circuito magnetico divino e degli Imam. Non è più visibile perché si è unita a quel circuito, è diventata parte degli Imam Infallibili.[10] E’ una stazione tale che l’Imam ‘Ali, con tutta la sua grandezza e tutte le ferite patite [combattendo per Dio], con la sua “Laylatal-Mabit” [11], con tutta la sua magnificenza dall’infanzia fino al martirio, nella guerra di Uhud [12] non faceva che piangere anelando al martirio, e, finché il Profeta non gli promise un destino da martire, non si placò. E quando la spada del nemico colpì la sua testa benedetta, disse: “Giuro sul Signore della Ka’bah di aver vinto!”. Una vittoria caratterizzata da ben due aspetti: primo, essersi liberato dei codardi, e secondo, aver raggiunto quella medesima stazione di cui l’Imam ‘Ali era assetato.
Anche il padre e la madre del martire sono così. Dio ha depositato questo gene puro, trasmesso di generazione in generazione, per quel giorno [in cui Dio intendeva farlo nascere] dai corpi benedetti del padre e della madre del martire. Anche loro hanno raggiunto questa unione e meritano quindi il medesimo rispetto da parte della nostra società.
Apprezzate questi anziani padri e madri che ci stanno lasciando. Sappiate che la misericordia divina a volte si ottiene tramite un mezzo: un semplice anziano luminoso, una persona ordinaria, una donna di campagna, il figlio di un martire e le lacrime che scendono dai suoi occhi in quelle notti che né io né voi vediamo. Queste sono le fonti della misericordia e della benedizione divina. Quando queste persone lasciano la nostra società dovremmo rattristarci e addolorarci, perché una delle cause di discesa della benedizione divina è tramontata.
Il secondo punto è che ottomila martiri non sono una questione da poco. Ottomila martiri! Nella storia ci chiederanno perché queste ottomila persone siano diventate martiri, perché siano andate al fronte. Noi che siamo qui riuniti – e coloro che non sono presenti ma ci ascolteranno – dobbiamo porci, nel profondo della nostra coscienza, la seguente domanda: perché si sono recati in guerra?
Non è stato un incidente; non sono stati bombardamenti atomici come quello di Hiroshima ad aver ucciso improvvisamente ottomila persone. No, si è trattato di un evento lungo circa duemila giorni, durante i quali essi continuavano ad affluire al fronte. Nel corso del tempo vedevano che, chi vi si recava e diventava martire, lasciava soli l’anziano padre, l’anziana madre o la giovane moglie, ma nonostante questo, il flusso non si fermava e continuavano ad arrivare volontari. Queste ottomila persone sono diventate martiri nel corso di otto anni. Se li dividiamo sono mille giovani per ogni anno: l’élite della nazione, i migliori tra la gente, sono diventati martiri qui. Perché? Il sacrificio è importante, ma più importante del sacrificio è ciò per cui ci si sacrifica. La magnificenza di ciò per cui ci si sacrifica è più importante del sacrificio stesso. L’Imam Husayn è immenso, ma più immenso dell’Imam Husayn è ciò per cui egli si è sacrificato, sintetizzato in quella sua frase benedetta: “Se la Religione di Muhammad non può essere preservata se non con il sacrificio della mia testa, allora, o spade, venite e prendetela!” Quando tutti i suoi figli vennero martirizzati, disse: “O Nostro Signore, accetta da parte nostra questo sacrificio”. [13]
La nobile Zaynab, che aveva assistito impotente a tutta quella carneficina, al martirio dell’Imam Husayn – che era l’incarnazione dell’Islam e del Corano e l’amato prediletto del Profeta–, alle sue atroci modalità, con i cavalli che poi avevano calpestato il suo corpo benedetto, allorché fu interrogata al riguardo, rispose: “Non ho visto altro che bellezza!” [14] Di cosa stava parlando? Si tratta di una cosa molto più grande del sacrificio che ha reso martiri l’Imam Husayn, l’Imam ‘Ali, tutti i figli di Fatima Zahra, l’Imam Kadhim, e per la quale ottomila nostri giovani sono diventati martiri: l’Islam. E’ l’Islam ad essere più grande di tutto; più grande dello stesso Imam Husayn. E’ per questo motivo che si sono recati al fronte e sono diventati martiri.
L’Imam Khomeyni, che Dio lo colmi di misericordia insieme ai profeti e agli awliya, vanta un grande diritto sulle nostre teste. L’Imam ha compiuto un capolavoro che nessun sapiente o autorità religiosa nella storia dell’Islam Sciita, né ieri né oggi, sarebbe in grado di compiere. L’Imam, al limite dell’incredulità, e nonostante l’opposizione di alcune eminenti personalità del mondo sciita che qui non voglio nominare, ha teorizzato la formazione di un governo islamico e alla prima occasione l’ha attuato. Ha unito sotto l’Islam tutta la popolazione e le più diverse etnie. Questo è stato il capolavoro dell’Imam. Egli, per salvaguardare la nazione e proteggere l’Islam…un Islam rispetto alla cui storia sono trascorsi millequattrocento anni, di cui soltanto meno di cento emanano il profumo del Profeta, mentre per i restanti milletrecento è stato l’Islam degli Omayyadi, degli Abbasidi, degli Ottomani, dinastie che hanno governato per molti secoli sul mondo islamico, introducendo deviazioni create ad arte nel nome della vera fede…l’Imam è giunto, ha cercato e riscoperto il Puro Islam, e ha realizzato [il governo islamico] con questo popolo. Si tratta di un aspetto molto importante, frutto dell’intelligenza e della saggezza dell’Imam. L’Imam ha trovato un popolo adatto per questo scopo: il popolo iraniano.
Non si trattava soltanto di salvare l’Islam, ma anche di salvare lo stesso Iran. Per settecento anni la storia iraniana è stata senza onore. Per settecento anni la storia di questa nazione è stata la storia di governanti non iraniani. Nel corso di diverse epoche, a seguito di lunghe campagne militari, eserciti provenienti dai luoghi più disparati, come ad esempio i Selgiuchidi, hanno spadroneggiato sulla nostra nazione. L’Imam, tramite l’Islam, ha realizzato due importanti obiettivi; unendo religione e popolo in un unico corpo all’interno di un ordinamento politico, ha compiuto due importanti opere. In primo luogo ha risvegliato il popolo e l’Iran. Sarebbe forse stato possibile senza l’Islam e senza una motivazione religiosa, che ottomila giovani, senza che le loro case e città fossero aggredite o minacciate, partissero da questa regione percorrendo una distanza di oltre mille chilometri, per recarsi ai confini di Shalamcheh e Talayeh o sulle montagne del Kurdistan, per lasciarvi le loro teste? Hanno tagliato le loro teste e quelli che erano uomini e giovani belli e vigorosi sono ritornati alle loro madri come un mucchio di ossa. Tutto ciò era forse possibile senza l’Islam? Se questa nazione non avesse oggi il sostegno della religione e dell’Islam, già da un pezzo sarebbe stata annientata dalle innumerevoli aggressioni subite, recedendo alle miserabili condizioni delle epoche passate.
In secondo luogo l’Imam considerava questa nazione adatta a far rivivere l’Islam. Pertanto, oggi, difendere l’ordinamento islamico equivale a difendere l’Islam. Perché l’Imam ha detto che la difesa dell’ordinamento islamico è un dovere che ha la priorità su tutti gli altri? Nessun altro dovere è al di sopra della difesa dell’ordinamento islamico. Lo considerava più obbligatorio della Preghiera rituale (Namaz in persiano, Salat in arabo). Se la Preghiera rituale non viene compiuta in tempo è possibile recuperarla, ma se viene danneggiato l’ordinamento islamico, anche la Preghiera verrà danneggiata, la religione stessa verrà danneggiata; per questo motivo l’Imam ha ritenuto della massima priorità la preservazione dell’ordinamento: addirittura più doveroso della Preghiera rituale.
Quello era un grande obiettivo. Un alto orizzonte che ha ingenerato nelle madri e nei padri una così grande motivazione ed un così ardente entusiasmo. L’immagine benedetta che avete mostrato ritraente questa madre con i suoi quattro figli martiri… Abbiamo molti padri che si sono recati insieme ai loro figli sui campi di battaglia; in diverse città troviamo un padre, i suoi tre figli e anche il genero, tutti martiri. Perché? Per l’Islam.
Questo punto è molto importante, anche rispetto alle nostre discussioni interne. Se osservate bene, questo ordinamento, che gode oggi di una simile stabilità, è circondato da un mare di fuoco. Da una parte l’Iraq, l’Afghanistan, il Pakistan con la bomba atomica, dall’altra il Caucaso e la Turchia. Questo è quello che troviamo intorno a noi e, nonostante tutto, il nostro paese gode di tutta questa stabilità, tranquillità e sicurezza. Con chi vogliamo paragonarlo? Con chi vogliamo scambiarlo? Con la Turchia? Con quale ordinamento politico può essere paragonata la Repubblica Islamica? Con quale si può barattare? Questo scrigno di bellezza, di libertà, di progresso scientifico, di sicurezza, di tranquillità e di tanti altri pregi che non sto ad elencare.
Questo ordinamento valeva il martirio di ottomila persone ieri, e ne vale ancora oggi quello di altre migliaia. E’ un ordinamento islamico! E’ per questo che la cara e nobile Guida [l’Imam Khamenei] al suo vertice è così premurosa, e laddove vi sia qualsivoglia elemento che possa anche minimamente danneggiarlo, diminuirne l’identità islamica o menomarne l’integrità territoriale, l’indipendenza e la dignità, egli vi si opporrà in modo saldo e fermo. Che importanza ha che qualcuno accetti o meno il nostro passaporto? E’ importante; ma lo è forse più della nostra dignità? La nostra dignità e indipendenza oggi hanno la precedenza su qualsiasi altra cosa. L’indipendenza non è a una sola dimensione. Non si tratta soltanto dell’integrità territoriale, che nessuno potrebbe intaccare senza farci ribollire il sangue. L’indipendenza abbraccia tutti i campi. L’indipendenza è nella nostra cultura, nelle questioni religiose, nei nostri affari economici, include tutti questi campi. Non riguarda solo l’integrità territoriale ma la sovranità in ogni campo, essendo onnicomprensiva. È per questo motivo che la Guida è attenta alla cultura, alla politica e all’economia, affinché l’indipendenza di questa nazione si mantenga integra in tutte le dimensioni. È allora che si conquista la vera dignità. È per questo che i nostri martiri hanno dato la vita: per un’indipendenza integra in tutte le sue dimensioni, onde custodire il valore e la magnificenza di questo ordinamento. In questo modo la Repubblica Islamica è stata preservata. Sono più di trent’anni che è in corso una guerra ininterrotta e senza quartiere contro tutti i livelli della nostra indipendenza; tuttavia questo popolo e questa nazione, grazie a una Guida saggia, intelligente e coraggiosa, e grazie alla coesione di tutto il corpo nazionale, è riuscito a neutralizzare tutti gli attacchi e a mettere in ginocchio il nemico. Il nemico non si vince solo in guerra: la resa di fronte alla volontà di una nazione è l’arma più efficace per metterlo in ginocchio. Come ci guarda oggi il nemico? Come ci guarda il foraggiatore di tutti i nostri avversari, cioè il Grande Satana [gli Stati Uniti]? Dove vuole arrivare con la sua insistenza?
Il terzo punto, importantissimo per tutti noi, è la condotta, il modo di vivere e l’etica dei nostri martiri. Cosa li ha resi così eterni? Chiedo scusa ai nostri sapienti religiosi (ulamà) se dirò qualcosa che forse potrà sembrare inadatto a causa della mia inadeguata preparazione.
Ma oggi Hossein Kharrazi [15], Amlaki [16], ciascuno dei vostri martiri, Ahmad Kazemi [17], Hemmat [18], Bakeri [19] sono diventati un modello da seguire più autorevole di un Marja Taqlid. [20] Ovviamente non nel campo della giurisprudenza, ma nella condotta.
Sono andato a Bandar Abbas a tenere un discorso; alcune ragazze sono venute da me e mi hanno detto che ognuna di loro si era data un nome. Non hanno mai visto Hemmat, Bakeri o Kharrazi, però mi hanno detto che il nome di una loro era Bakeri: “Noi la chiamiamo col nome di Bakeri”. Ella cerca di attirare su di sé la benedizione divina facendosi chiamare così. Un’altra si faceva chiamare Kharrazi e un’altra Kazemi. Una di loro mi ha raccontato che quando siede al tavolo sente come se Mahdi Bakeri fosse seduto lì accanto a lei. Dove potreste trovare qualcosa del genere? Questa è quell’unione di cui parlavo poc’anzi. Uno degli aspetti salienti della nostra guerra erano le sue vette pure ed elevate. Se la vetta è alta, la pianura diventa bellissima, verde, con sorgenti zampillanti che scorrono lungo il pendio. Questa vetta elevata ha avuto un impatto imponente.
Il Santo Profeta dell’Islam ha governato per pochi anni, meno di dieci, ma l’effetto, a distanza di migliaia di anni, ancora permane nei cuori. Questa è una vetta. L’Imam Khomeyni ha governato per dieci anni, ma l’impatto dell’Imam sulla nostra società è stato maggiore dell’impatto dell’intero governo [precedente] in più di cinquant’anni. Una vetta è efficace quando è elevata. Oggi l’influenza della Guida Suprema sulla nostra società, sulla protezione della nostra società, nel proteggere la religiosità nella nostra società, sulla spiritualità della nostra società, è maggiore dell’impatto di un intero governo. Questo è l’effetto della vetta.
Una delle caratteristiche della guerra, che consolava tutti coloro che hanno donato dei martiri, era l’esistenza di comandanti martiri, di queste vette elevate della Sacra Difesa. Vi darò un esempio: Mahdi Bakeri non era una persona ordinaria. Uno così era il vostro comandante sul campo di battaglia, e quando è diventato martire era all’interno di una trincea nella prima linea del fronte. Nella nostra guerra essere comandante voleva dire essere davanti a tutti (imamat), non dirigere (hidayat). Non si trattava di dire “andate lì”, ma “venite qui”. C’è una grande differenza tra queste due parole: “andate” e “venite”. Erano in prima linea e il loro grido era “venite qui”, non “andate lì”. Colui che dice “vieni” è la Guida (Imam). I nostri comandanti martiri erano in prima linea durante le battaglie. Era seduto nella fossa, accanto alla strada di Emare, e la sua voce è stata registrata. Ha detto ad Ahmad Kazemi – e il martire Kazemi ha sofferto per questo fino al giorno del suo martirio: “Ahmad, vieni qui! Io qui vedo una cosa, che se anche tu potessi vederla, non vorresti più andartene”.
Mi sono recato sull’isola di Majnun e sono andato in una piccola trincea. C’erano i martiri Zainuddin, Bakeri e Kazemi. Quel giorno il fratello di Mahdi Bakeri, Hamid, diventò martire, e non eravamo riusciti a recuperarne il corpo. Era un giovane bello. Nonostante fosse suo fratello, Mahdi non lasciava intravedere alcun segno di tristezza o emozione. Quando volevano andare a recuperare il corpo di suo fratello, non ha dato il permesso e ha detto: “Se potete recuperare anche gli altri martiri, allora prendete pure il corpo di mio fratello”. Lui, che era il comandante del battaglione, nel suo ufficio aveva scritto questa frase: “O fratello arabo, tu mi insegui ed io inseguo te. Giuro su Dio che se mi farai diventare martire, intercederò per te”. L’ho raccontato all’Ayatullah Meshkini (che Dio gli conceda il Suo paradiso), che nell’ascoltarlo è rimasto scosso e impressionato.
Un giovane combattente una volta si è rivolto a questo ‘arif (mistico, gnostico) e gli ha chiesto: “A volte, quando preghiamo, i nostri vestiti sono insanguinati. Quale è la norma giuridica in proposito?” [21] L’Ayatullah Meshkini, commosso, rispose: “Giuro su Dio che sono pronto a donare tutte le mie Orazioni in cambio di questa Preghiera della cui validità [giuridica] tu dubiti”.
La nostra guerra è stata un tesoro maggiore anche della Sacra Casa di Dio e del Tawaf [22] dei pellegrini. Per questo motivo nel giorno di Arafat [23], nel suo messaggio per l’Hajj (Pellegrinaggio rituale a Mecca), l’Imam Khomeyni disse: “O voi che siete seduti davanti alla Casa di Dio, pregate per coloro che sono in piedi davanti ai nemici di Dio”. Osservatene la magnificenza: “O voi che siedi seduti davanti alla Casa di Dio, pregate per coloro che sono in piedi davanti ai nemici di Dio”. Erano così: queste erano le vette. Questo è ciò che ci rassicura della strada della guerra, della sua giustezza e verità.
Una delle caratteristiche distintive della guerra era la sincerità in tutto: nell’espressione, nell’azione, nel pensiero. Si erano fusi negli Infallibili. [24] Una persona venne da me con il giaccone militare poggiato sulle spalle e senza indossare i calzini. L’ho guardato senza una particolare intenzione. Ha sorriso, e questo suo sorriso è rimasto nella mia mente. Mi ha quindi detto: “So perché mi hai guardato. Ho la giacca sulle spalle ma non indosso i calzini. Avevo appena compiuto la Preghiera rituale quando mi sono ricordato che mi dovevi parlare. Volevo mettermi i calzini e la giacca, però mi son detto: ‘Husayn, tu sei andato davanti a Dio così e adesso per andare a parlare con questa persona vuoi sistemarti i vestiti?”
Fratelli e sorelle, la società diventa virtuosa se è governata da persone virtuose. Le motivazioni della purezza della comunità umana presente al fronte erano queste. Il suddetto giovane, all’epoca, era un adolescente che si emozionava sino alle lacrime per una poesia come questa:
Quando sul Monte Sinai giungi
passa senza dire “MostraTi a me”
Giacché questa richiestanon merita
di ascoltare come risposta “non Mi vedrai”
Qui ci si riferisce a quel versetto del Corano (VII, 143) in cui Mosè, sul Monte Tur, disse a Dio: “MostraTi a me”, a cui Egli rispose: “Non Mi vedrai”. Poi continua:
Quando sul Monte Sinai giungi
Dì “mostraTi a me” e non andare via
La voce dell’Amato ascolta, non la risposta “non Mi vedrai”
Disse “mostraTi a me” colui che non Ti ha visto.
Se Tu sei sempre con me,
che risposta è “non Mi vedrai”?
Questi giovani erano così: degli ‘arif (mistici, gnostici) nel vero senso della parola, degli Abid [25] nel vero senso della parola. Questa era una caratteristica importante della guerra.
Un’altra caratteristica era il fatto che nessuno si aspettasse una ricompensa. La nostra guerra è orgogliosa di sfuggire a tutte le classificazioni. Questi gradi sulle mie spalle non esistevano. All’epoca ascoltare le parole “generale” o “colonnello” non era cosa comune. La parola comune era “fratello”: fratello Husayn, fratello Ahmad, fratello Mahdi…queste erano le parole più comuni.
Durante la guerra nessuno poteva pensare che lo stipendio di un comandante dei Guardiani della Rivoluzione fosse di 2.500 tuman, proprio come quello di un combattente ordinario. Questa era la guerra. Queste bellezze della guerra ci hanno condotto a tale livello. Durante l’Operazione Valfajr 8 ho sentito che il figlio di uno dei comandanti era morto in un incidente stradale. L’ho convocato e quando è arrivato era tranquillo. Ho pensato di non dirgli che era da me per quanto accaduto al figlio, così gli ho semplicemente detto che sarebbe stata un’operazione lunga: “Tornatene a casa e lascia il tuo sostituto”. Si è messo a ridere. Nonostante le tante difficoltà e le tensioni della guerra egli ha sorriso: “Cosa stai dicendo? Mi chiedi di andar via nel bel mezzo dell’operazione?” Gli ho risposto di sì. Mi ha chiesto: “E’ per mio figlio? Era un pegno che Dio mi aveva affidato. Mi hanno contattato e gli ho detto di seppellirlo e di non fare causa all’autista che ne ha provocato la morte”. La faccenda si è chiusa lì.
Una volta, un anno prima del suo martirio, in un incontro dedicato ai Guardiani della Rivoluzione, dovevo tenere un discorso e nominare alcuni Pasdaran esemplari. Sono salito sul palco ed ho iniziato a parlare dei migliori Guardiani della Rivoluzione, mentre lui si trovava seduto alla fine della sala con una kefiyyah bianca intorno alla testa che teneva reclinata sulla mano. Il suo volto mi è rimasto impresso. Quando sono giunto al suo nome e l’ho letto, ho visto e percepito come se desiderasse che la terra lo inghiottisse. Ha iniziato a piangere così forte che lo hanno dovuto prendere sotto braccio per accompagnarlo da me. Quando ha preso il premio assegnatogli dalle mie mani, con gli occhi pieni di lacrime mi ha guardato dicendo: “Mi hai fatto un torto”. Questa cultura è una cultura salvatrice, è una cultura che dona immortalità a un popolo. E’ questa cultura che ha tenuto alto il ricordo dei martiri. Nelle difficoltà erano i più obbedienti. Nei momenti più difficili, quando incombeva la tentazione della disobbedienza, poiché l’essere umano non è abituato a quel genere di difficoltà, pressioni e pericoli…all’apice del rischio, erano i più obbedienti. È per motivi come questi che la guerra rappresenta un tesoro che bisogna proteggere. Per questo la più alta personalità dell’ordinamento, la nostra Guida, il nostro Wali Faqih [26], indossa sempre intorno al collo la kefiyah, simbolo della guerra, nelle riunioni ufficiali e non, davanti ai presidenti del mondo. Perché?
Uno dei motivi è la magnificenza, il rispetto e la santità di questa cultura, anche se è solo un pezzo di stoffa. Come noi che prendiamo un pezzo di stoffa e lo benediciamo lustrandolo sul santuario degli Imam portandolo poi con noi, egli lo vede come un ricordo della guerra. Il secondo è che la nostra società ha l’esigenza di comprendere la guerra. Ecco perché questi congressi e commemorazioni sono importanti e non devono assolutamente limitarsi ad una giornata o ad una sporadica riunione.
Devono essere sempre di più, e grazie a Dio lo sono e devono continuare ad esserlo, in tutte le moschee e in tutti i villaggi, perché Dio ha benedetto questo sangue. Non posso raccontare alcune cose e non posso parlarvi di quali sono i frutti del sangue dei nostri martiri oggi nel mondo islamico, perché ho paura che possano essere sfruttati, altrimenti ci sarebbero delle belle immagini da mostrare per consolare i cuori delle madri dei martiri e delle loro piccole figlie.
O Dio, per Muhammad e per la sua Famiglia, per la nobiltà di questa riunione, per questi cuori preziosi, ti scongiuro di proteggere questa Rivoluzione e questo sacro ordinamento fino a consegnarlo alla promessa divina: l’Imam Mahdi. Proteggi per noi la nostra cara Guida [l’Imam Khamenei], questo saggio ravvivatore e protettore della Rivoluzione e dell’Islam. Fortifica i suoi amici e disperdi i suoi nemici. Dona ai nostri martiri la più elevata stazione e concedi pazienza e ricompensa alle loro nobili famiglie.
Che Dio benedica Muhammad e la sua Famiglia.
La pace e la misericordia divina discendano su di voi.
NOTE
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