Il pensiero politico sciita (seconda parte)
Hujjatulislam Ahmad Vaezi
Per la prima parte: leggi qui
Che cosa è la Wilayat al-Faqih?
La dottrina della wilayat al-faqih costituisce l’asse centrale del pensiero politico Sciita contemporaneo. Essa adotta una concezione politica basata sull’autorità del giurisperito, vale a dire sull’autorità di un giurista retto e competente, che si assume la guida del governo durante l’assenza di un Imam infallibile. Comunque, sebbene l’autorità di un sapiente religioso di livello elevato sia universalmente accettata in tutte le teorie di governo Sciite, vi sono alcune differenze d’opinione per quanto riguarda taluni particolari, quali il ruolo del giurista e l’ambito della sua autorità.
Poiché la teoria della wilayat al-faqih trae origine dal principio dell’Imamato, che costituisce la pietra di fondamento della Shi’a, sarà necessario comprendere questa dottrina politica nel contesto di questo concetto. Comparandola alla teoria politica dei giuristi Sunniti, ossia alla dottrina del Califfato, e descrivendo i suoi aspetti principali, saremo in grado di meglio comprenderla ed apprezzarla.
Al fine di eliminare ogni ambiguità circa la relazione tra la wilayat al-faqih e la funzione di “fonte dell’imitazione” (marja’a al-taqlid) propria di taluni giurisperiti, si dovrà discutere dei vari aspetti dell’autorità durante l’assenza dell’Imam infallibile. Inoltre, al fine di rispondere a coloro che sostengono che questa dottrina sarebbe del tutto nuova, apparsa solo recentemente nella giurisprudenza Sciita, e che affermano che essa sarebbe opposta alla concezione tradizionale dei sapienti e dei giuristi, sarà doveroso spiegare brevemente i trascorsi storici della wilayat al-faqih nel pensiero politico della scuola Imamita.
La funzione politica degli Imam è una componente essenziale della Shi’a Imamita. Essi sono considerati gli unici successori legittimi del Profeta Muhammad (S), e coloro che si mantengono entro tale prospettiva, ritengono che gli Imam debbano esser stati tutti scelti da Dio attraverso il Suo Profeta (S). Vi sono comunque di quelli che cercano di ridurre la Shi’a Imamita ad una mera attitudine politica, un partito che sostiene ‘Ali (as) e la sua famiglia solamente in quanto unici legittimi successori politici del Santo Profeta (S). Molti studiosi Sunniti definiscono la Shi’a nel seguente modo:
“Gli Sciiti sono coloro che seguono ‘Ali e credono nella sua guida e successione al Profeta grazie alla sua nomina (nass) ed al suo testamento, pubblico o privato, e credono che l’autorità (awla) di ‘Ali non sia stata conferita ad altre persone al di fuori dei suoi discendenti.”[1]
Ma l’autorità politica degli Imam non implica il fatto che il loro ruolo si limiti al governo e alla guida. Per i loro seguaci, negli Imam il timor di Dio raggiunge il suo culmine, ed essi possiedono le stesse qualità del Messaggero di Dio (S). Anthony Black li descrive nel seguente modo:
“I dodici Imam, e soprattutto il dodicesimo Imam presente e occulto, erano considerati necessari per la costituzione dell’universo e della vera religione. L’Imam è la prova di Dio, egli è il pilastro dell’universo, la porta attraverso la quale si giunge alla prossimità di Dio. La conoscenza della rivelazione dipende da lui.”[2]
Alcune prerogative attribuite agli Imam, quali “prova di Dio” (hujja) e “autorità” (wali), le quali verranno discusse in seguito, si riferiscono alla loro altissima stazione spirituale, e sono essenziali per comprendere il pensiero politico Sciita. L’Imam Khomeyni descrive la “prova di Dio” nel seguente modo:
“La Prova di Dio è colui che Dio ha designato perché conduca gli affari del mondo; tutte le sue azioni ed i suoi detti costituiscono una prova per i Musulmani. Se qualcuno si macchia di una colpa, spetterà alla Prova di manifestarne l’evidenza, adempiendo così al suo incarico. Se la Prova vi ordina di fare una data cosa, di applicare le ingiunzioni penali della legge in un dato modo, o di spendere il bottino, la zakat o la sadaqa in un certo modo, e voi fallite nell’obbedirgli in un qualsivoglia aspetto di quelli menzionati, allora Dio Onnipotente addurrà contro di voi una prova nel Giorno del Giudizio.”[3]
Gli Imam sono considerati i successori del Profeta (S) e i veri detentori della sua autorità. Ciò non perché essi appartengano alla sua famiglia, ma piuttosto perché essi sono timorati, obbedienti a Dio, e incarnano quelle caratteristiche che sono i prerequisiti di questa funzione suprema di guida politico-religiosa. Essi non sono stati nominati sulla base del consenso popolare: l’Imamato viene istituito per nomina divina (nasb), e solo Dio sa veramente chi possiede le qualità necessarie per adempiere a questo dovere, e quindi Egli solo è in grado di eleggerli. Gli Sciiti considerano l’Imamato, al pari della Profezia, uno dei fondamenti della fede, e l’obbedienza dovuta all’autorità del loro Imam è un obbligo religioso. A parte il fatto di ricevere la rivelazione divina, che è una peculiarità dei Profeti, gli Imam hanno tutte le qualità, i doveri e l’autorità del Profeta (S). La guida politica e religiosa procede da loro, ed essi sono i guardiani dei credenti. Si tratta della più alta manifestazione dell’autorità di Dio sugli esseri umani.
Oltre a ciò, il concetto di autorità è un altro elemento cruciale della dottrina politica Sciita.
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L’Imam in quanto Wali
In molti versetti del Corano Dio si presenta come “Autorità dei Credenti” (Wali al-Mu’minin):
“Iddio è l’Autorità dei credenti” (3:68)
“Iddio è l’Autorità di coloro che credono” (2:257)
“Egli è sufficiente come Autorità” (4:45)
Secondo diversi versetti coranici questa autorità divina è stata conferita al Profeta (S).:
“In verità le vostre autorità sono Iddio e il Suo Messaggero” (5:55)
“Il Profeta ha più autorità sui credenti di loro stessi” (33:6)
Versetti come questi dimostrano che l’autorità del Profeta (S) venne stabilita e legittimata grazie all’elezione divina. In accordo con tale interpretazione, i seguaci degli Imam adducono un notevole numero di tradizioni e di prove storiche a conferma della designazione degli Imam da parte di Dio attraverso il Profeta (S) (la dottrina dell’elezione) quali “autorità dei credenti” (Wali al-Mu’minin). Prima di esaminare le conseguenze di questa dottrina nelle pagine seguenti, sarà utile discutere il significato dei termini “wali” e “wilayat”, ed il loro uso, specialmente nell’ambito della giurisprudenza.
I lessicografi arabi hanno menzionato diversi significati del termine “wali”, quali:
– Amico
– Sostenitore
– Devoto
– Protettore
Vi è tutta una serie di parole derivate dalla radice di “wali”, ad esempio “wilayat”, “mawla” e “mawla alaihi”. Considerando il contesto in cui questi termini vengono usati, si può notare che essi vengono applicati a qualcuno che si sia fatto carico degli affari di qualcun altro. Quindi, chiunque si faccia carico di tali affari è il wali, e di conseguenza il termine spesso designa anche le funzioni di governo.[4]
Quando il termine “wilayat” viene attribuito agli Imam, esso implica il significato di “magistero”, “sovranità” e “padronanza”. Ciò indica l’autorità degli Imam sui credenti, i quali sono soggetti alla loro tutela. I teologi Imamiti fanno riferimento al Corano (specialmente alla sura 5, versetto 55) e alle tradizioni profetiche per sostenere l’autorità esclusiva (wilayat) degli Imam.
L’autorità assoluta di Dio (wilayat al-mutlaqa) costituisce il pilastro centrale del pensiero politico Imamita, il quale crede che, chiunque desideri esercitare questo tipo di autorità, debba essere da Lui nominato. E’ questa l’idea che distingue la Shi’a Imamita dalle altre teorie politiche e dalle altre scuole in seno alla Shi’a, poiché, sebbene tutte le scuole del pensiero Sciita concordino sul fatto che l’Imam sia designato da Dio mediante il Profeta (S), solo la Shi’a Imamita cerca di sostenere tale punto di vista anche nel caso in cui l’Imam infallibile sia assente. In questa dottrina, è soltanto Dio che detiene l’autorità assoluta, ed Egli ha esplicitamente nominato il Profeta (S) e un numero di credenti (la sua famiglia, l’Ahl al-Bayt) quali guardiani (awliya) ai quali è stata affidata l’autorità sui Musulmani.
“In verità le vostre autorità sono Iddio e il Suo Messaggero e i credenti che assolvono all’orazione e pagano la decima prosternandosi con umiltà” (5:55)
L’ultima frase, “e i credenti…”, secondo i commentatori Sciiti, si riferisce agli Imam, la cui wilayat venne istituita da Dio tramite il Profeta (S).[5]
In ogni caso, quello che veramente distingue la dottrina Imamita dalle altre formulazioni del pensiero politico Sciita, trae origine dal concetto Imamita di guida durante il periodo dell’occultazione maggiore, nel quale il dodicesimo Imam è assente. Il credo Imamita adotta un sistema di vicereggenza in cui l’autorità (wilayat) viene affidata ad un sapiente giusto e competente (faqih al-adl), il quale agisce come rappresentante dell’Imam occulto. Quindi, l’autorità di un giurista è legittimata, nonché messa in relazione all’autorità originale e assoluta di Dio. Deve essere comunque fatta una netta distinzione tra l’autorità dell’Imam e quella dei sapienti. Gli Imam, la cui autorità viene stabilita su designazione esplicita del Profeta (S), delegano e affidano una parte della loro autorità a coloro che possiedono qualità particolari (quali giustizia e competenza giuridica nel caso dei fuqaha). Quindi, mentre gli Imam vennero esplicitamente designati come detentori dell’autorità legittima, i giuristi (fuqaha) non sono esplicitamente designati, ma piuttosto sono implicitamente scelti come coloro che possiedono le qualità necessarie per la guida.
Lo scopo dell’autorità di un giurista e le prerogative della sua vice-reggenza costituiscono la parte essenziale e, nello stesso tempo un elemento controverso del pensiero politico Imamita. Prima di addentrarci in questa discussione cruciale, sarà importante distinguere la dottrina politica Imamita dal sistema politico tradizionalmente sostenuto dai giuristi Sunniti, ossia la dottrina del Califfato.
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Nonostante le divergenze tra le loro scuole giuridiche, i giuristi Sunniti hanno formulato una particolare teoria politica, nota come teoria del Califfato: una concezione che, sia dal punto di vista dottrinale che in quanto realtà storica, ha dominato la comunità islamica per un considerabile lasso di tempo. Nella presente discussione sarà necessario rilevare le differenze che sussistono tra la teoria del Califfato e la dottrina dell’Imamato.
“Califfo” essenzialmente significa successore, ovvero colui che assume una funzione espletata in precedenza da un altro. Questo concetto non si limita al contesto dell’autorità politica, e quindi un Califfo non può essere semplicemente il successore di un governante, ma bensì deve essere anche quegli a cui è stato assegnato definitivamente il compito di rappresentante e fiduciario della persona che lo nomina: un sinonimo di “rappresentante” o “vicereggente”.
I Musulmani hanno attribuito il titolo di Khalifa ai primi quattro che governarono l’Ummah dopo la dipartita del Profeta (S). Nel suo significato più elementare, il Khalifa è colui che esercita il governo al posto del Profeta (S). Una volta un uomo si avvicinò ad Abu Bakr e gli chiese: “Sei tu il rappresentante del Messaggero di Dio?”. Ed egli rispose: “No”. L’uomo chiese ancora: “E dunque chi sei tu?”. Abu Bakr rispose: “Io sono il successore del Profeta”[6]. Montgomery Watt scrive:
“Siccome Abu Bakr venne designato dal Profeta soltanto per guidare la preghiera pubblica[7], la frase ‘Khalifa del Messaggero di Dio’ non può significare ‘rappresentante’. Il significato primario in questo caso è esclusivamente quello di ‘successore’.”[8]
Sebbene molti governanti della dinastia Ummaiade abbiano tentato di conferire un fondamento divino al titolo di successore (Califfo), i giuristi Sunniti considerano generalmente il Califfo come un governante legittimo che gestisce e dirige lo Stato e la società. La sua nomina dipende da qualità specifiche che il governante deve possedere, anche se non vi è unanimità per quel che concerne tali requisiti.
Tale fonte di divergenza diede inizio al primo conflitto politico tra i Musulmani, dando luogo a continui dibattiti sulla guida legittima dopo la dipartita del Profeta (S). La teoria del Califfato non venne comunque ufficialmente enunciata sino all’avvento del regno Abbasside, quando venne formulata dai giuristi Sunniti. Black scrive:
“In una comunità articolata, una teoria politica tradizionalista venne finalmente formulata nella prima metà dell’undicesimo secolo. La dottrina della vicereggenza, conforme alle fattezze della comunità religiosa quale si era venuta costituendo, frustrando le aspettative fondate sulla rappresentanza, affermava la legittimità degli Abbassidi quali guide dei Musulmani. I primi quattro rappresentanti ben guidati (Rashidun) venivano ora inclusi in una categoria speciale. Il motivo immediato di tutto ciò era la salvaguardia del Califfato Abbasside contro le due alternative dell’Imamismo Duodecimano e dell’Ismailismo.”[9]
Il primo giurista Sunnita che cercò di definire la dottrina del Califfato nel contesto giuridico islamico, fu Abu’l Hasan al-Mawardi (Basra 979 – Bagdad 1058). Questi era giudice Shafi’ita a Nishapur, e più tardi fu capo della giustizia a Bagdad. Nella sua famosa opera Al-Ahkam al-Sultaniyya (Le leggi di Governo), al-Mawardi cerca di legittimare l’autorità del governo Abbasside, mentre si sforza di giustificare l’uso della coercizione come mezzo valido per stabilire un governo. Egli afferma che al Califfo è stata affidata per volontà di Dio l’autorità nella sfera politica così come negli affari religiosi[10]. Egli scrive:
“Dio ha nominato una guida per le genti attraverso la quale ha stabilito la vicereggenza del Profeta, e protegge i diritti religiosi; Egli le ha affidato il governo, sì che la gestione degli affari proceda sulla base dei diritti della religione. La guida è diventato il principio sul quale sono stati fondati i diritti religiosi, e per mezzo del quale viene promosso il benessere del popolo.”[11]
Quando si esamina questa prospettiva, è importante rendersi conto del fatto che la difesa del Califfato è spesso ispirata e influenzata dalla scuola Ash’arita. Questa particolare scuola di pensiero enfatizza la predestinazione divina (taqdir) e il volere di Dio in quanto unica causa efficiente nel mondo. Il principio fondamentale di questa dottrina è che una persona avrà successo nel conseguimento del potere politico esclusivamente per volere di Dio.
Abu’l Fadl Bayhaqi scrive:
“Sappiate che il Signore Altissimo ha conferito un potere ai Profeti e un altro potere ai re, ed ha reso obbligatoria per gli uomini l’ubbidienza e la sottomissione a queste due possanze, ed essi devono conoscere la vera via indicata da Dio.”[12]
Al-Ghazali nel suo “Avviso ai Re” dice:
“Dio ha costituito due gruppi di uomini, e ne ha preferito l’uno all’altro: un gruppo è quello dei Profeti, e l’altro è quello dei re. Egli ha inviato i Profeti ai Suoi servi per guidarli verso di Lui, ed ha imposto i re per impedire che gli uni aggredissero gli altri.”[13]
Questo punto di vista, che sostiene che l’autorità di un Califfo sia onnicomprensiva, e che egli sia predestinato a tale compito dall’eterno volere di Dio, non è in contrasto con l’opinione corrente dei giuristi Sunniti contemporanei, i quali dichiarano che Dio e il Profeta (S) non avrebbero designato una o più persone particolari come governanti dei Musulmani. Dopo tutto, la logica conseguenza di questo concetto della predestinazione e del volere divino è che non importa chi governi o come egli ottenga l’autorità, poiché in ogni caso egli è soggetto al volere di Dio. Questa è la prima distinzione tra il pensiero politico Sciita e la dottrina del Califfato. Per gli Imamiti il detentore dell’autorità legittima deve essere designato, direttamente o indirettamente, da Dio.
La seconda distinzione che deve essere introdotta, concerne la procedura di nomina del Califfo. La dottrina politica Imamita ritiene che vi è solo un mezzo legittimo per designare l’autorità: l’elezione divina. Se anche l’autorità dei giuristi giusti e competenti viene istituita su questa base, essi sono i vicereggenti dell’Imam assente, la cui guida divina è stabilita in base ad una designazione che dà loro l’autorità sui suoi seguaci. Questa autorità, ovviamente, viene conferita da Dio Onnipotente, che ha assoluta sovranità su tutta la creazione.
Nel rigettare l’elezione esplicita di un successore al Profeta (S), i giuristi Sunniti ritengono che vi siano diverse procedure con le quali un Califfo possa essere eletto: ciò significa che non vi è un unico modo per legittimare il potere politico. Essi accettano invece la radice divina dell’elezione dei primi quattro Califfi dopo la dipartita del Profeta (S), la quale ne legittima l’autorità politica. Di conseguenza, secondo l’interpretazione Sunnita, un Califfo può essere eletto da alcuni membri del gruppo dominante (ad esempio da qualche prominente Compagno del Profeta), per esplicita designazione del suo predecessore, o tramite la nomina di un consiglio (shura).
Il fatto che molte delle teorie politiche siano state imposte con la coercizione dal potere militare, ha costituito un serio ostacolo per la teoria del Califfato. Molti sapienti Sunniti hanno inoltre ricercato un modo per giustificare ogni autorità. Ad esempio, al-Mawardi ha cercato di legittimare l’autorità de facto dei governatori designandoli come ministri di governo (wazir) e comandanti (amir) che il Califfo doveva riconoscere[14].
Infine, la terza distinzione concerne le qualità che la guida deve possedere. Secondo la dottrina Sciita, un Imam non è solamente una guida politica, ma anche una guida religiosa a cui spetta d’esporre e spiegare le scienze divine. Come il Profeta (S), egli deve possedere le più alte qualità etiche ed intellettuali, quali l’immunità dal peccato e la conoscenza infallibile. Vi è comunque una vasta gamma di divergenze tra i sapienti Sunniti riguardo alle caratteristiche di un Califfo. In genere, essi non credono che un candidato debba essere senza peccato o possedere una conoscenza infallibile. In alcuni casi, la giustizia e l’equità non sono considerate necessarie e l’obbedienza è richiesta anche ad un tiranno ingiusto e oppressore. Al-Ghazali dice:
“Un Sultano cattivo e barbaro, fin quando è sostenuto da una forza militare (shawka) che lo aiuta nelle sue difficoltà e che lo protegge contro le possibili sollevazioni popolari, deve essere necessariamente lasciato in possesso del governo ed essere ubbidito.”[15]
Un aspetto generale e significativo del pensiero politico Sunnita è che non vi sono procedure, per il popolo, per deporre un governante ingiusto. I motivi per i quali egli può essere rimosso dalla sua carica sono piuttosto limitati. Ad esempio, al-Bagdadi (morto nel 1037) ha detto che l’alleanza (bay’a) può essere revocata in caso di eresia, incapacità, prigionia o grave ingiustizia, benché quest’ultima non sia accettata come causa di disobbedienza dalla maggior parte dei sapienti Sunniti.[16]
Sebbene la dottrina politica Imamita non richieda ad un wali al-faqih di essere senza peccato o infallibile, esige nondimeno alcune qualificazioni indispensabili quali la giustizia, l’equità e la competenza giuridica. Questo perché i giuristi (fuqaha) non sono solo esperti morali e legali, ma bensì anche i rappresentanti dell’Imam occulto.
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Il significato della Wilayat al-Faqih
I termini “wali” e “wilayat” derivano dalla stessa radice (w-l-y). Dal suo significato primario, ossia “essere vicini a qualcuno o qualcosa”, sono derivati i significati generali di “essere in carica”, “governare” ed “esercitare l’autorità”. Nella terminologia giuridica islamica il termine “wilayat” ha diversi significati. Alcuni sono i seguenti.
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Questo tipo di autorità (wilayat) viene dato ad un padre o ad un nonno sui minori e sugli interdetti (anche dopo l’età dell’adolescenza). Tale autorizzazione ad agire in quanto tutore si basa sulla relazione (di parentela).
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Secondo la giurisprudenza Imamita, l’Imam infallibile ha l’autorità di giudicare in base alla legge di Dio. Nella nostra epoca, tuttavia, un faqih giusto e competente può adempiere a questa responsabilità con il permesso dell’Imam.
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In questo caso l’autorità viene conferita ad un amministratore di giustizia (hakim) al fine di provvedere agli interessi di un individuo che non sia in grado di occuparsi dei propri affari, come il malato mentale o l’interdetto. Per chiunque non abbia un tutore (wali), i giuristi affermano che l’hakim è il tutore di coloro che non hanno tutore.
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4- Wilayat al-Mutlaqa (Autorità assoluta)
In accordo con le evidenze scritturali, come il sesto versetto della trentatreesima sura del Corano, i sapienti Imamiti ritengono che il Profeta (S) e gli Imam possiedano un’autorità divina. Il versetto sopra citato dichiara che il Profeta (S) ha più autorità sui credenti di loro stessi. Questa stessa autorità, secondo il credo Sciita, è stata conferita anche agli Imam.
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Secondo i giuristi Sunniti si tratta di un’autorità connessa all’eredità. Ma questa sorta di wilayat non viene accettata dai sapienti Imamiti.
Secondo la dottrina Imamita, l’autorità assoluta (wilayat al-mutlaqa al-ilahiya) è prerogativa dell’Imam anche durante il periodo del suo occultamento. Quindi, al fine di esercitare l’autorità, ogni faqih giusto e competente richiede il permesso dell’Imam, che è a sua volta designato da Dio quale detentore dell’autorità assoluta.
Tutti i sapienti Sciiti concordano sulla dottrina della vicereggenza (niyabat), che enfatizza il ruolo dei giurisperiti quali rappresentanti dell’Imam occulto, e sul fatto che a costoro sia stata affidata una parte della sua autorità. La questione cruciale è comunque lo scopo e l’estensione di questa vicereggenza su cui si basa l’autorità dei giurisperiti.
Al fine di chiarire gli aspetti di questo problema, sarà necessario esaminare i ruoli e le funzioni che i giuristi competenti assumono quali rappresentanti dell’Imam.
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a) Emettere un decreto (Al-Ifta)
Per quanto riguarda le regole ed i doveri religiosi, è necessario, per coloro che mancano della conoscenza sufficiente della Legge Islamica e del sistema legale (Shari’a), riferirsi ai verdetti dei giuristi (fuqaha). Un giurista che emette un decreto legale è noto come “marja’a taqlid“, e il termine “taqlid” significa appunto seguire o imitare. Non vi è divergenza tra i sapienti su questa funzione del giurisperito. Dopo tutto, quando una persona ha delle domande da porre su un particolare argomento, è naturale ricorrere ad un esperto in questo campo, non solo nell’ambito della religione, ma per tutti gli aspetti della vita. Per questa ragione, sebbene il giurista debba possedere certe qualità per potere assumere questo ruolo, non vi è bisogno a tal fine del permesso di un Imam. In altre parole, questa funzione non può essere citata come esempio dell’autorità dell’Imam ovverosia della sua wilayat.
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b) Il giudizio (Al-Qada’)
E’ stato giuridicamente stabilito che un giusto faqih debba esser in grado di fare da mediatore in caso di dispute, e di giudicare le controversie legali. Gli Imamiti ritengono che tale funzione (wilayat al-qada’ o al-hukuma) sia inclusa nell’autorità divina dell’Imam. Solo coloro che hanno ottenuto il suo permesso possono assumere questo ruolo. L’Imam Sadiq (as) considera l’amministrazione della giustizia (hukuma) come un diritto e un dovere dell’Imam:
“Prestate attenzione all’hukuma (l’amministrazione della giustizia). In verità l’hukuma appartiene all’Imam, il quale è competente nelle questioni giudiziarie (qada’) ed è giusto (adil) tra i Musulmani come il Profeta o un suo delegato.”[17]
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Gli affari inerenti all’Hisbiya (al-Umur al-Hisbiya)
Il Profeta (S) ha detto:
“Il Sultano è il wali di colui che non ha wali”[18]
Secondo questo hadith, il Sultano è il tutore (wali) di coloro che hanno bisogno di un tutore, ad esempio, quando muore il padre di un minore o di un malato di mente. I giuristi Imamiti estendono questo ruolo ad un insieme di faccende che richiedono un tutore autorizzato (al-umur al-hisbiya) e che includono concessioni religiose, eredità e funerali. Sebbene tutti i giuristi Imamiti accettino la legalità e la necessità di questo ruolo, essi divergono sul fatto che quegli a cui è affidato questo incarico sia designato esplicitamente in base alla shari’a. Alcuni ritengono che non vi sia un permesso esplicito derivato dalle tradizioni islamiche tale da giustificare l’autorità di un giurisperito in tali casi (hisba). Comunque, sebbene la shari’a non si pronunci, ciò non significa che la questione dell’hisba non debba essere considerata. Un faqih giusto e timorato, che possieda la conoscenza della shari’a, ha ovviamente la priorità sugli altri in tali casi.
Queste tre funzioni sono solamente una parte di quelle derivanti dall’autorità dell’Imam: nella storia della Shi’a Imamita la marja’aiyya è stata sovente ristretta a questi ruoli centrali (e specialmente al primo). Comunque, l’autorità religiosa e i doveri di un Imam in quanto guardiano (wali) si estendono oltre le tre funzioni sopra menzionate. Coloro che sostengono la vicereggenza universale (wilayat al-amma), ritengono che il ruolo del faqih non vada ristretto solamente a qualche dovere religioso, ma che egli abbia la stessa autorità dell’Imam. Egli ha il diritto e il dovere di guidare la comunità Sciita, e di assumersi le funzioni e le responsabilità di un Imam infallibile.
Oltre all’amministrazione della giustizia (wilayat al-qada’) e all’hisba, l’Imam ha anche il diritto di esercitare le sue prerogative nell’ambito delle attività di governo e dell’economia. Dalla natura politica di queste funzioni consegue che l’Imam è la guida politica e religiosa della società islamica (wilayat al-siyasiyya). Coloro che difendono la wilayat al-amma estendono l’autorità del faqih alle seguenti funzioni:
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1- Decreti politico-devozionali (Ibadi) e preghiera
I fuqaha Imamiti ritengono che l’adempimento di certi riti quali le preghiere dell’Id al-Adha e dell’Id al-Fitr, in aggiunta alla Salat al-Jumu’a (la Preghiera del venerdì), sia prerogativa degli Imam e dei loro rappresentanti. In questa prospettiva, condurre queste preghiere è un atto politico-religioso e una funzione del vero Imam. Ad esempio Shaykh Mufid[19] dice:
“E’ stato chiaramente stabilito che ogni essere imperfetto necessiti di qualcuno che possa disciplinarlo, sì che si astenga dalle azioni cattive. Questi deve essere inoltre colui che protegge il territorio islamico e riunisce il popolo per la Jumu’a e le preghiere dell’Id.”[20]
Inoltre, il riconoscimento ufficiale della luna nuova per talune importanti ricorrenze religiose (ad esempio Shawal per l’Id al-Fitr) è una delle funzioni di un Imam.
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2- Le punizioni legali (Hudud)
Secondo le tradizioni islamiche, l’applicazione delle punizioni legali (hudud) richiede il permesso dell’Imam. Considerando il fatto che alcune punizioni legali sono causa di sofferenza, ferite e morte, chiunque si faccia carico di questo dovere deve possedere l’autorità legittima per poterle infliggere. L’amministrazione della giustizia e l’applicazione delle punizioni legali comportano ovviamente l’autorità politica, altrimenti sarebbe impossibile applicare la legge in maniera legittima e coerente. Le funzioni connesse all’amministrazione della giustizia, come la valutazione del prezzo delle indennità (diyat), la divisione delle eredità, e la pena per i reati di sangue (qisas), spettano anch’esse all’Imam.
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La riscossione delle tasse è una delle funzioni più importanti di ogni governo, e pertanto coloro che si fanno carico di questa incombenza devono anch’essi possedere autorità politica (wilayat al-siyasiyya). I giuristi Sunniti ritengono generalmente che un Sultano, avendo il potere politico, possa riscuotere tasse quali la zakat. I fuqaha Imamiti credono invece che sia l’Imam ad avere l’incarico di riscuotere le tasse islamiche (zakat, sadaqa e kharaj), e di decidere come queste debbano essere spese.
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4- Il jihad e la difesa
Contrariamente ai giuristi Sunniti, i giuristi Imamiti, al fine di prevenire gli abusi dei poteri politici corrotti, insistono sul fatto che il permesso dell’Imam sia una condizione necessaria per il jihad. Shaykh Tusi dice:
“E’ necessario che sia l’Imam ad iniziare il jihad contro i miscredenti (kuffar)”[21]
Sachedina spiega il motivo per cui non vi è valida giustificazione per il jihad senza il permesso dell’Imam secondo il punto di vista Imamita:
“Secondo gli Imamiti, lo scopo originale del jihad non venne mantenuto sotto il Califfato. Quello che fece sì che il jihad deviasse dal suo scopo coranico, fu l’avvento al potere di un’autorità ingiusta e corrotta, che pretendeva di aver intrapreso il jihad nel nome di Dio. I due scopi principali del jihad erano quello di invitare la gente a rispondere alla chiamata di Dio, e quello di proteggere il benessere della comunità. Il primo scopo, secondo tutti i giuristi Imamiti, richiede la presenza di un Imam giusto o di una persona investita della sua autorità. Questo è quanto ha garantito al jihad contro i miscredenti di esser intrapreso per la causa di Dio.”[22]
Queste quattro specie di autorità e funzioni introducono una questione essenziale nel determinare lo scopo di un’autorità vicereggente. Se un Imam ha interamente delegato la sua autorità e i suoi doveri ad un giurista giusto e competente in quanto suo rappresentante durante il periodo dell’occultazione maggiore, l’autorità (wilayat) dei fuqaha è universale (amma). L’autorità universale implica il fatto che la società islamica necessita di un wali per condurre e organizzare i propri affari, che l’Imam infallibile sia presente oppure no.
La wilayat al-faqih può esser definita come autorità affidata ai fuqaha sapienti, così che essi possano dirigere e consigliare l’umma durante l’assenza di un Imam infallibile. Tale autorità deriva dall’Imam stesso, che è la hujja (Prova di Dio), e quindi è obbligatorio obbedire ai suoi ordini in quanto unica autorità legittima. Rimangono comunque alcune ambiguità circa lo scopo dell’autorità (wilayat) delegata ai fuqaha.
Il concetto di wilayat include molti livelli di autorità. La più alta forma di autorità (wilayat) concessa al faqih è quella universale (wilayat al-amma), mentre la forma più elementare è l’autorità dell’adempimento di ’hisba e qada’ (l’amministrazione della giustizia). Alcuni hanno fatto l’errore di presumere che la wilayat al-faqih si riferisca solo all’autorità universale, quando di fatto si riferisce al ruolo di vicereggenza dei sapienti durante l’assenza di un Imam infallibile.
A questo punto, sarà necessario menzionare due incomprensioni alquanto comuni per quel che riguarda la wilayat al-faqih. Molte persone hanno erroneamente creduto che essa sia qualcosa di nuovo ed essenzialmente distinguibile dallo stato della marja’aiyya. Tale incomprensione è dovuta al fatto di non aver prestato sufficiente attenzione alla definizione dei rapporti tra la “wilayat” e la “marja’aiyya”, ed alla distinzione tra “fatwa” e “hukm” (il decreto di un faqih in quanto wali).
Il marja’a taqlid è un’autorità giuridica alla quale la comunità islamica fa riferimento per le questioni religiose, e per la formulazione dei decreti concernenti le regole pratiche dell’Islam (questioni concernenti il fiqh). Tale definizione non è onnicomprensiva, poiché si concentra esclusivamente su una delle funzioni legittime di un giurista, mentre trascura le altre. Come avevamo già detto poc’anzi, il faqih ha almeno tre funzioni significative: in quanto esperto di legge e giurisprudenza Islamica, gli compete l’ifta, e in quanto rappresentante eletto dell’Imam egli ha l’autorità (wilayat) di esercitare l’hisba e il qada’. Quindi, ogni faqih può emanare un decreto religioso (fatwa), e nello stesso tempo, essere nominato “wali”, al fine di espletare gli atti propri di quest’ultima funzione. Quando il giurista amministra la giustizia, o agisce come tutore legale per un “mawla alaihi” (colui che è senza tutore), egli diviene “wali” o “hakim al-shar’”, e quando emette decreti religiosi (fatwa), egli è noto come marja’a al-taqlid. Deve essere fatta una necessaria distinzione tra una “fatwa” (decreto religioso) emessa da un faqih nella sua funzione di autorità religiosa (marja’a), e un “hukm” (ordine) emesso da questi in quanto “wali” e “hakim” (guardiano o governante).
Una fatwa è un decreto emesso da un giurista, che lo ha dedotto dalle fonti islamiche, cercando di determinare la posizione della shari’a e dei comandamenti divini nei riguardi di un particolare caso concreto, e la cui opinione verrà adottata da coloro che lo seguono (muqallidin). Dall’altro canto, un hukm è un ordine emesso da un wali, riguardante un particolare insieme di circostanze, e in generale, gli interessi dei Musulmani. Quindi, non è soltanto dovuto alla sua deduzione dalle fonti islamiche, sebbene egli debba rispettare la shari’a nell’emissione di tale hukm. L’hukm ha il fine di organizzare e risolvere effettivamente le difficoltà all’interno della società islamica.
Un altro punto chiave concerne la relazione tra la prima funzione del faqih, ossia l’ifta, e gli altri doveri inerenti alla sua wilayat. Teoricamente, questi due elementi sembrano indipendenti e del tutto separabili l’uno dall’altro, ma ci si può chiedere se in pratica essi possano essere veramente separati.
Supponiamo che vi siano cento sapienti giusti e competenti, con le qualità richieste per assumere il ruolo di wali e di marja’a. E’ obbligatorio per tutti, in quanto “dovere individuale” (wajib al-ayni), assumersi la responsabilità di tutte e tre le funzioni del faqih? La risposta è negativa. Adempiere a queste funzioni è un dovere collettivo (wajib al-kifa’i), il che significa che se alcuni di essi si assumono queste tre funzioni, gli altri non sono obbligati ad emettere fatwa, giudicare e agire come guardiani (se gli altri possiedono i requisiti richiesti dalla comunità). In conclusione, sebbene ogni faqih possa potenzialmente essere marja’a e wali, solo alcuni assumono effettivamente entrambe le funzioni.
Nel suo grado più elevato, la vicereggenza universale del giurista (wilayat al-amma) include anche l’autorità politica (wilayat al-siyasiyya). Alcuni oppositori di questa dottrina ritengono che il significato della wilayat nella giurisprudenza Imamita sia essenzialmente incompatibile con l’autorità politica. Essi affermano che, secondo il sistema legale islamico, l’autorità richiederebbe l’esistenza di un “mawla alaihi” (colui che ha bisogno di un tutore), termine che per definizione si riferisce a coloro che sono incapaci di gestire i propri affari, mentre l’autorità politica non presuppone che i soggetti ad un governo ricadano in questa categoria. Quindi l’autorità di un faqih sarebbe limitata nel suo scopo, e non avrebbe connessione con l’autorità politica.[23]
Il termine “wilayat” viene usato in due casi nel Corano e nelle tradizioni islamiche: in primo luogo, vi sono circostanze nelle quali un “mawla alaihi” non è in grado di curare i suoi affari (nel caso di malattia mentale, incapacità o immaturità), qui trattandosi di umur al-hisba. Il secondo caso riguarda l’autorità che ha l’Imam di amministrare la giustizia (wilayat al-qada’) e di riscuotere le tasse. Quest’ultimo caso non presume nessun impedimento da parte del mawla alaihi. Sebbene la gente sia generalmente in grado di gestire i propri affari privati, vi sono faccende per le quali in ogni società si rende necessaria un’autorità affidabile, credibile e giusta, la quale agisca e provveda. Il Corano presenta Dio, il Profeta (S) e, secondo la prospettiva Sciita, gli Imam, come autorità (awliya) dei credenti. Questi versetti considerano chiaramente i credenti (mawla alaihi) come bisognosi di una guida divina, e non in quanto persone incapaci che abbiano bisogno della tutela di qualcuno in ogni loro affare personale.
L’autorità del faqih è un dovere sociale a lui delegato. Di conseguenza non gli conferisce un rango elevato nella comunità, né diminuisce il livello di chi ne ammette l’autorità. L’Imam Khomeyni afferma:
“Per autorità di governo intendiamo l’amministrazione del paese e l’applicazione delle leggi sacre della shari’a. È questo un dovere serio e difficile, che però non eleva nessuno al di sopra del livello di semplice essere umano. In altre parole, per autorità s’intende l’amministrazione e l’applicazione della legge. Contrariamente a quello che molti credono, questo non è un privilegio, bensì una grave responsabilità.”[24]
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I trascorsi storici
L’autorità universale (wilayat al-amma) è indubbiamente l’elemento più importante della dottrina politica Imamita durante il periodo dell’occultazione (ghaybat). E’ essenziale quindi capire che posizione i sapienti abbiano attribuito al giurisperito nel corso della storia. È stato detto spesso che la wilayat al-amma sarebbe uno sviluppo nuovo in seno al pensiero islamico, senza nessun precedente. Una breve panoramica dei suoi trascorsi storici nella giurisprudenza Imamita ci rivela non solo la debolezza di tali affermazioni, ma chiarisce inoltre come la wilayat al-amma sia un concetto accettato da molti dei giuristi più prominenti.
Quando si esamina un fatto storico, è facile incorrere in due gravi inconvenienti. In primo luogo, spesso si presume che i nostri predecessori si siano accostati ad un problema dal nostro stesso punto di vista e con la nostra stessa chiarezza. Tale aspettativa viene di solito disattesa per quel che riguarda le discipline politiche, le quali abbracciano vari aspetti e costituiscono un’area di ricerca specializzata (come la filosofia e l’ideologia). Non è quindi corretto supporre che i pensatori politici del passato si siano posti lo stesso identico problema, o abbiano applicato lo stesso metodo dei contemporanei. In secondo luogo, il fatto che oggigiorno i sapienti siano liberi di esprimere le proprie idee, spesso ci induce a reputare erroneamente che il clima sociale e politico dei loro predecessori, vissuti sotto governi, oltre che illegittimi, spesso oppressivi, fosse lo stesso. Essi, non potendo dichiarare esplicitamente le proprie opinioni, dovettero praticare spesso la dissimulazione (taqiyya).
Ci sono due correnti di pensiero tra i sostenitori della wilayat al-amma. Vi sono coloro che insistono esplicitamente e direttamente sul fatto che la vicereggenza del faqih sia universale, mentre dall’altro lato, altri ritengono che un giurisperito sia il fiduciario di taluni doveri in aggiunta a quelli primari dell’ifta, dell’hisba e del qada’.
L’ultima di queste due opinioni si diffuse nel primo periodo della giurisprudenza Sciita, sino all’affermasi in Iran del potere della dinastia Safavide. In precedenza, la comunità Sciita esisteva in quanto minoranza senza potere politico. Non essendovi la possibilità di attuare l’autorità universale di un giurisperito, i fuqaha furono indotti a riservare un’attenzione minore ad argomenti quali la teoria politica e i doveri di un governante.
Prendendo in considerazione le opinioni di questi sapienti, è importante riconoscere il fatto che essi non solo esprimevano la loro opinione personale (ijtihad) riguardo all’autorità di un giurisperito, ma inoltre la mantenevano conforme al consenso generale (ijma’) dei fuqaha Imamiti. Ciò rafforza la supposizione che i giuristi che in passato mantennero il proprio silenzio su questioni politiche quali il governo e l’autorità universale, lo fecero costretti dalle circostanze sociali e politiche del loro tempo (taqiyya).
Riguardo alla prima scuola di pensiero sulla wilayat al-amma, uno dei più importanti giuristi Imamiti, al-Muhaqqiq al-Karaki[25], dichiara:
“I fuqaha Imamiti hanno raggiunto il consenso sul fatto che il faqih competente, noto come mujtahid, sia il rappresentante (nayib) degli Infallibili in tutti gli affari riguardanti questa funzione. E’ dunque obbligatorio ricorrere a lui in caso di lite, ed accettare il suo verdetto. Se necessario, egli può vendere la proprietà del partito che si rifiuta di pagare ciò che è dovuto. […]. Se non fosse per la wilayat al-amma, sarebbe impossibile provvedere a molti degli affari e delle necessità della comunità Sciita.”[26]
Shaykh Muhammad Hasan Najafi[27], l’autore dell’enciclopedica opera sul fiqh Imamita Al-Jawahir al-Kalam, scrive:
“Applicare le regole islamiche ed attuare le ingiunzioni religiose è obbligatorio durante il periodo dell’occultazione. Essere il rappresentante dell’Imam rimane in molti casi una prerogativa dei fuqaha. La funzione sociale del faqih è lo stessa di quella dell’Imam. Non vi è differenza tra lui e l’Imam a questo riguardo. Il verdetto dei nostri fuqaha su quest’argomento è unanime: nei loro lavori essi frequentemente accennano all’idea di riferirsi ad un guardiano/governante (hakim) che sia agente e rappresentante dell’Imam assente. Se i fuqaha non fossero i depositari della vicereggenza generale, gli affari degli Sciiti non potrebbero essere portati a compimento. Coloro che sorprendentemente avanzano obiezioni contro la wilayat al-amma del faqih, sembrano ignorare la giurisprudenza e le parole degli Infallibili: essi non hanno riflettuto su tali parole e sul loro significato.”[28]
Anche Hajj Aqa Reza Hamedani[29] ha ritenuto che la wilayat al-amma sia un concetto unanimemente accettato dai giuristi Imamiti:
“In ogni caso, non vi sono dubbi sul fatto che i fuqaha dell’integrità (Jami al-Sharayeti), che hanno tutte le qualità perfette e necessarie per farsi carico della vicereggenza, siano i rappresentanti dell’Imam del Tempo. I nostri fuqaha hanno reso testimonianza di ciò nelle loro opere. Le loro asserzioni indicano che essi considerano la vicereggenza del faqih in ogni materia come indisputabile, tanto che alcuni di essi hanno addotto il consenso (ijma’) come prova centrale dell’autorità generale (niyabat al-amma) del faqih.”[30]
Come abbiamo sottolineato in precedenza, molti giuristi attribuiscono al faqih doveri, per espletare i quali è necessario ch’egli sia investito dell’autorità universale. La trattazione di questo argomento comporterebbe l’esame di molti capitoli del fiqh, la spiegazione dei quali richiederebbe troppe pagine di trattazione. Comunque, nell’interesse della nostra discussione, ne esamineremo alcuni punti. Shaykh Mufid (334-413 d.H.) asserisce che l’applicazione delle punizioni legali (hudud) è una delle funzioni chiave di un faqih:
“E’ dovere di un governante islamico (Sultan al-Islam), nominato da Dio Onnipotente, applicare gli hudud. I Sultan al-Islam sono gli Imam Infallibili della Famiglia di Muhammad e i regnanti e governanti (hukama) da essi designati. Essi si sono fatti carico di questo dovere.”[31]
I primi giuristi Imamiti applicarono titoli quali “Sultan al-Islam”, “hukama” e “wali” agli Imam. Molti di questi titoli, come “Sultan al-Islam”, riguardavano originariamente gli Infallibili (il Profeta e gli Imam), e soltanto in seguito vennero attribuiti anche ad altri. In ogni caso, la maggior parte di tali epiteti si riferisce anche ai rappresentanti degli Imam. Ad esempio, Fakhr al-Muhaqqiqin dice:
“Il significato di ‘hakim’ qui è quello di governante giusto (al-Sultan al-Adil) o di suo rappresentante. Quando non vi è accesso al Sultan o al suo particolare rappresentante, un tale compito è prerogativa di un faqih competente. Quindi, quando l’autore (Allamah Hilli) dice ‘se non vi è l’hakim’ quello a cui intende fare riferimento col termine ‘hakim’ sono tutte e tre queste categorie.”[32]
Anche Muhaqqiq al-Karaki accetta l’interpretazione sopra citata di “hakim”. Egli scrive:
“(Il termine) Al-hakim si riferisce ad un Imam infallibile o ad un suo rappresentante particolare. Durante il periodo dell’occultazione, il rappresentante generale dell’Imam (al-nayb al-amm) è il giurisperito. Si deve notare che quando i fuqaha usano il termine ‘hakim’ senza condizioni, essi si riferiscono solo e soltanto ad un faqih competente.”[33]
E’ importante tener presente che “giudice” non è sinonimo di “hakim”. Si può trarre questa conseguenza dalla prerogativa dell’applicazione delle punizioni legali che, secondo i giuristi Imamiti, vengono delegate al governante (hakim), e non al giudice (qada’). Hafs Ibn Qiyas chiese all’Imam Sadiq (as): “Chi si fa carico delle punizioni: il governante o il giudice?”. E l’Imam rispose: “L’applicazione degli hudud spetta a chi ha l’autorità dell’hukm (ovverosia a chi governa).”[34]
Tale distinzione indica chiaramente che l’applicazione delle punizione legali (hudud) richiede una completa autorità politica, che a sua volta necessita dell’autorità universale (wilayat al-amma). Si tratta di un’opinione sostenuta da molti giuristi Imamiti, come al-Karaki:
“Il giurista competente e affidabile, il quale può emettere sentenze legali, viene designato dall’Imam. I suoi decreti sono effettivi, ed è obbligatorio assisterlo nell’amministrazione degli hudud e del qada’ tra la gente. Non è corretto dire che il giurista viene designato solo per l’amministrazione della giustizia e per emettere sentenze legali, e che la Preghiera del venerdì sia al di fuori di queste due responsabilità. Tale opinione è estremamente debole, poiché il giurista è stato nominato come hakim dagli Imam, e ciò è ben documentato nelle tradizioni.”[35]
Come abbiamo già detto poc’anzi, la Preghiera del venerdì è una funzione politica che, secondo i giuristi Imamiti, spetta all’Imam. Quindi, ogni giurista Imamita che crede che i fuqaha siano in grado di espletare questa funzione durante il periodo dell’occultazione (ghayba), deve ammettere la validità della wilayat al-amma.
Inoltre, se l’autorità del faqih non è confinata al ruolo dell’arbitrato e dell’autorità legale, e se i mujtahidin Imamiti possono affermare che i fuqaha hanno l’autorità di riscuotere le tasse Islamiche, anche questa è un’ovvia attestazione dell’autorità universale. Shahid al-Awwal[36] dice:
“E’ obbligatorio pagare la zakat al giurisperito durante il periodo dell’occultazione, a lui o ad un suo agente, poiché egli è il rappresentante dell’Imam. E’ peraltro più corretto affermare che la sua vicereggenza riguarda tutto ciò su cui l’Imam ha autorità: quegli che riscuote le tasse è agente dell’Imam solo per una particolare funzione.”[37]
Anche Shahid al-Thani[38] riteneva che le tasse islamiche (zakat) dovessero essere versate all’Imam o ad un giurista suo fiduciario durante la sua occultazione. Egli spiega il motivo per cui la zakat deve essere versata ad un faqih:
“Si deve tener presente che egli (il faqih) viene nominato nell’interesse della comunità, e se fosse disonesto vi sarebbe danno per coloro che debbono beneficiare della zakat.”[39]
Per concludere questo nostro breve esame dei trascorsi storici della wilayat al-amma, è necessario ribadire che questa dottrina gode di un ampio consenso tra i giuristi Imamiti. I giurisperiti di cui riportiamo qui di seguito i nomi, più esplicitamente e più chiaramente dei loro predecessori hanno sostenuto l’autorità universale del faqih:
– Mullah Ahmad Naraqi nella sua opera Awaid al-Ayyam, capitolo Wilayat al-Fuqaha, pagina 529.
– Sayyid Mirfattah al-Maraqi in Al-Anawin, pagina 355.
– Bahr al-Ulum in Bulqatul al-Faqih, volume 3, pagina 231.
– Shaykh Abdallah Mamaqani in Risala al-Anam fi Hukm al-Amwal al-Imam, pagina 14.
– Mirza Nayyini in Al-Makasib wa al-Bai’, edito da Shaykh Muhammad Amali, volume 1, pagina 336.
– Sayyid Muhammad Husayn Borujerdi in Al-Badr al-Zahi fi Salat al-Jumu’a, pagina 71.
– Sayyid Muhammad Reza Gulpayigani in Al-Hidaya ila man lahu al-Wilayat, pagina 46.
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Molteplicità nella Wilayat
Sebbene la dottrina politica Imamita sostenga che l’autorità (wilayat) vada conferita ad un rappresentante (wali) dell’Imam infallibile, è importante distinguere tra la designazione di un solo rappresentante, e la designazione di un certo numero di rappresentanti. Mentre vi è stata una nomina esplicita alla guida per ognuno degli Imam e per la vicereggenza dei quattro rappresentanti durante il periodo dell’occultazione minore, durante l’occultamento maggiore la designazione è d’ordine generale. Ciò significa che nessun faqih è nominato in quanto “wali” e rappresentante esclusivo: tutti i giuristi Imamiti giusti e competenti hanno il diritto di esercitare l’autorità dell’Imam come suoi rappresentanti. Di conseguenza, l’autorità universale è affidata a molti giuristi. La teoria della guida Imamita deve quindi inevitabilmente affrontare il problema del possibile conflitto tra le varie fonti di decisione, le cui differenze di opinione rischiano di sfociare nel caos. Nel contesto della presente discussione, è importante considerare come la teoria universale dell’autorità affronti e risolva un tale problema.
Nella maggior parte dei casi, la molteplicità delle fonti di decisione non costituisce un serio problema per le funzioni dei fuqaha. Non avrebbe senso pretendere che per tutti i casi di hisba sarebbe indispensabile un unico giurista. Inoltre, non vi è ragione di aspettarsi uniformità negli atti della marja’aiyya e nell’amministrazione della giustizia. Le difficoltà maggiori di questa molteplicità riguardano invece l’autorità politica (wilayat al-siyasiyya).
Il miglior approccio a questo argomento consiste nel considerare lo status dei fuqaha investiti dell’autorità politica. La wilayat al-faqih definisce le qualità richieste per un governante, e ritiene che chiunque soddisfi queste condizioni abbia il diritto di governare. In linea di principio, l’autorità (wilayat) non richiede nessun’altra condizione. D’altro canto, per essere attuata in pratica, tale autorità richiede condizioni politiche adatte ed il riconoscimento del popolo. Secondo la dottrina Imamita, se i Musulmani eleggono un giurista giusto e competente come loro guida, gli altri fuqaha saranno obbligati a sostenerlo e ad obbedire ai suoi ordini fin tanto che egli mantiene le qualità della wilayat. Questa situazione è paragonabile alla relazione tra i giudici: quando un giudice si occupa di un singolo caso, gli altri devono, in linea di principio, adempiere al loro ruolo, e non hanno il diritto di interferire nel suo giudizio. Le tradizioni Sciite discutono la nomina dei fuqaha in quanto rappresentanti dell’Imam, ma non definiscono una particolare procedura di elezione per quei giuristi che possiedono la wilayat. L’articolo 107 della Costituzione della Repubblica Islamica dell’Iran stabilisce la seguente procedura:
“Il compito di eleggere la Guida spetta agli esperti eletti dal popolo. Gli esperti si consultano fra loro, e valutano tutti i sapienti religiosi che possiedano le qualità indicate nell’articolo 5 e 109. Nel caso in cui essi ne trovino uno meglio versato nelle regole islamiche e nelle questioni politiche e sociali, e che goda del consenso generale, essi lo eleggeranno come Guida.”
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Il dominio del Wali al-Faqih
Quando si consideri il fatto che la wilayat al-faqih è la pietra di fondamento della dottrina politica Imamita durante il periodo dell’occultazione maggiore, si potrà comprendere come sia della massima importanza stabilire quanto s’estenda l’ambito della sua autorità. A tal fine, si deve prendere in considerazione il potere delle altre autorità religiose degli Imamiti: i marja’a. Il wali al-faqih ha autorità (wilayat) solo su coloro che lo accettano in quanto loro marja’a, o anche su coloro che seguono i marja’a che non siano fautori della wilayat al-amma?
A parte la relazione tra il wali al-faqih come guida politica e gli altri fuqaha in quanto maraja’a, è anche importante tener conto dell’autorità del wali al-faqih riguardo alla shari’a. Egli può emettere decreti soltanto all’interno del sistema legale islamico, oppure è anche autorizzato a prendere decisioni che contraddicano la shari’a? In altre parole, la sua autorità in quanto governante viene definita dalla shari’a, oppure essa è al di sopra della shari’a, ed è quindi assoluta?
Possiamo pertanto focalizzare la nostra analisi su due argomenti: il rapporto del popolo con i suoi ordinamenti, e il suo rapporto con il sistema legale islamico (shari’a). Ma in ogni caso, prima di procedere in questa discussione, si dovranno sottolineare due punti della massima importanza.
In primo luogo, sebbene l’Imamato sia da considerarsi come uno dei fondamenti del credo (aqida) Sciita, la wilayat al-faqih rimane pur sempre un argomento giuridico (fiqh). Ciò che distingue un soggetto giuridico da uno teologico, è che quest’ultimo riguarda il credo (le divergenze che lo concernono rendono imperfetto ed invalidano il credo di una persona), mentre il primo è d’ordine legale, e quindi le divergenze di opinione, anche tra i sapienti di una particolare scuola islamica, non invalidano il credo. Quindi, vi può essere disaccordo sull’autorità universale di un giurisperito, senza che tali dispute, trattandosi di un argomento giuridico, abbiano a concernere la fede (iman).
In secondo luogo, è necessario distinguere tra la fatwa (decreto religioso) e lo hukm (ordine). Come avevamo già detto in precedenza, un decreto dedotto dalle fonti islamiche ed emesso da un faqih competente è valido ed affidabile per coloro che a lui fanno riferimento in quanto marja’a taqlid (autorità religiosa), e quindi è obbligatorio per costoro obbedire alle sue fatawa. Coloro che invece si riferiscono ad altri sapienti in quanto autorità religiose, non sono obbligati ad osservare le loro regole. Ma obbedire ad un ordine (hukm) emesso dal wali faqih è obbligatorio per tutti i Musulmani, e non soltanto per i suoi seguaci, indipendentemente da quanto estesa possa essere la sua autorità politica. Similmente, un ordine emesso da un giurista in quanto wali al-qada’ nell’amministrazione della giustizia è obbligatorio per tutti, anche per gli altri fuqaha, poiché il giurista giusto e competente viene eletto in quanto hakim (wali). Tale opinione è confermata da una tradizione riferita all’Imam Sadiq (as), nella quale Umar Ibn Hanzala narra che l’Imam proibì ai suoi seguaci (Sciiti) di fare ricorso ad un’autorità tirannica o illegittima (taghut) per risolvere i propri affari. Essi sono invece obbligati a ricorrere ai narratori delle tradizioni dell’Ahl al-Bayt, che conoscano ciò che sia lecito e ciò che sia illecito (ossia ai faqih). L’Imam Sadiq (as) ha detto:
“L’ho nominato in quanto hakim su di voi. Se tale persona ordina (o giudica) secondo i nostri insegnamenti, e l’individuo non accetta il suo giudizio, allora egli ha mostrato disprezzo per le regole d’Iddio e ci rinnega, e rinnegarci significa rinnegare Iddio, e tale individuo è vicino al politeismo (shirk).”[40]
In questa tradizione, l’Imam Sadiq (as) stabilisce il ruolo di un giusto faqih (hakim) designato grazie all’autorità di un Imam infallibile. Secondo questo hadith, non è permesso far ricorso ad un’autorità illegittima ed oppressiva al fine di risolvere i propri problemi. È invece richiesto di far riferimento al wali (hakim), e di obbedire alle sue decisioni, indipendentemente dal fatto che esso sia il proprio marja’a taqlid.
Questa soluzione non sembrerebbe convincente per coloro che non accettano la wilayat al-amma. Essi potrebbero obiettare che il wali faqih emette ordini (hukm) basati sulla sua opinione (fatwa) che l’autorità del giurisperito sia universale (wilayat al-amma), mentre secondo l’opinione di un altro marja’a l’ambito dell’autorità dei giuristi è limitata, e non riguarda gli affari politici. Secondo tale prospettiva, la tradizione di Umar Ibn Hanzala, così come altre, non includerebbe questo tipo di ordini.
Ma questo ragionamento presenta difficoltà che vanno ben al di là del problema dell’autorità politica (hukm) di un giurista. Ad esempio, quando nell’amministrare la giustizia (wilayat al-qada’) un faqih emette un ordine conformemente ad un suo decreto religioso (fatwa), la gente non è certo autorizzata ad ignorare o disobbedire perché costui non è il proprio marja’a. Questo perché l’autorità di giudice (al-qada’) e l’autorità di emettere decreti giuridici (al-ifta) sono indipendenti l’una dall’altra, e quindi il verdetto di un giudice non può essere annullato dall’editto di un marja’a (poiché il marja’a non è il giudice di quel caso legale). Inoltre, sebbene gli oppositori della wilayat al-amma ritengano che la designazione del faqih in quanto rappresentante dell’Imam non si estenda all’autorità politica (wilayat al-siyasiyya), questo certamente non può implicare il fatto che, se il popolo eleggesse un faqih giusto e competente come propria guida invece di una persona ingiusta, la sua autorità sarebbe illegittima, e la gente potrebbe liberamente disobbedirgli. Ma torneremo su questo punto nel prossimo capitolo, quando esamineremo l’autorità del faqih in relazione all’hisba.
Si era notato in precedenza che la questione dell’autorità del wali faqih presenta due aspetti rimarchevoli. La considerazione del secondo di questi due aspetti, ossia la relazione tra gli ordini del faqih e la shari’a, è un fatto nuovo nella giurisprudenza politica Imamita, mentre il primo è già stato discusso da molti fuqaha. L’Imam Khomeyni è stato il primo faqih Imamita a discutere esplicitamente e pubblicamente la connessione tra gli ordini di governo (ahkam al-hukumati) e le leggi islamiche (ahkam al’shari’). Egli ha difeso fermamente l’autorità assoluta del faqih (wilayat al-mutlaqa), ed è ora essenziale, al fine d’evitare incomprensioni, chiarire brevemente il significato di questa espressione.
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Ad un primo approccio con l’idea che un giurista possa avere un’autorità illimitata ed assoluta (wilayat al-mutlaqa) nell’emettere gli ordini di governo, si potrebbe essere facilmente indotti a qualificare come “assoluto” l’ordinamento politico fondato su un principio siffatto. Il Dizionario Politico di Oxford definisce l'”assolutismo” nel modo seguente:
“Originariamente si trattava di un concetto teologico riferito al potere assoluto di Dio di decidere riguardo alla salvezza. Esteso alla politica, indica un regime in cui il governante può decidere ogni cosa. Generalmente è stato applicato ai regimi monarchici del primo periodo moderno.”[41]
Una tale incomprensione spesso induce al falso assunto che non vi siano controlli, restrizioni o limitazioni al potere del faqih: la sua autorità sarebbe insindacabile, ed egli potrebbe esercitarla anche ignorando la shari’a o gli interessi del suo popolo. Egli non avrebbe doveri da rispettare, né vi sarebbero criteri ai quali il suo governo dovrebbe uniformarsi. Ciò farebbe del suo governo un governo dittatoriale assoluto, non delimitato dalla legge, dalla costituzione, o da altri fattori politici, religiosi o morali. Ovviamente, questa interpretazione dell’autorità assoluta non è corretta, neanche quando si considerino il Profeta (S) e gli Imam infallibili. Un faqih in quanto wali deve possedere certe qualità, una delle quali è la giustizia. La suddetta concezione della wilayat al-mutlaqa contraddirebbe l’idea di giustizia, e la persona che detenesse un potere siffatto, non avrebbe autorità (wilayat) legittima sui credenti. La connotazione precisa e corretta della wilayat al-mutlaqa è in stretto rapporto con i vari tipi di ordine (hukm) nella giurisprudenza Imamita, specialmente l’ingiunzione del faqih in quanto wali (al-hukm al-hukumati), e con la sua posizione nei confronti della shari’a.
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Le leggi divine (al-Hukm al-Shari’)
Le leggi divine sono un insieme di regole e comandi stabiliti da Dio, e manifestati ed illustrati al popolo tramite il Profeta Muhammad (S) ed i suoi successori. L’insieme degli Al-Hukm al-Shari’ viene generalmente suddiviso in due gruppi dai giuristi Musulmani. Il primo gruppo è quello degli al-ahkam al-taklifi, ovvero le leggi sui doveri, che è a sua volta ripartito in cinque categorie (obblighi, proibizioni, raccomandazioni, atti sconsigliati, ed atti indifferenti). Il secondo gruppo è quello degli al-ahkam al-waz’i, e concerne relazioni e situazioni (waz’i) particolari soggette a determinate leggi divine, ad esempio il matrimonio, la proprietà, la purità, l’impurità e tutte le situazioni concrete considerate e definite dal sistema legale islamico. In genere, l’insieme degli al-hukm al-waz’i è soggetto a leggi particolari. Le leggi divine vengono anche chiamate leggi di primo ordine (al-ahkam al-awaliya), poiché le azioni e le cose di per sé stesse – senza riguardo per eventi contingenti o inaspettati – sono sempre soggette a queste medesime regole.
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L’ordine del giudice (al-Hukm al-Qadi)
Anche se le decisioni legali del giudice (faqih) vengono emesse considerando la shari’a e i decreti dell’Islam, esse non fanno parte della shari’a. Il ruolo di giudice prevede soltanto l’esecuzione (tanfidh) e l’applicazione della Legge Islamica. Nell’amministrazione della giustizia, il faqih, in quanto giudice, non deduce le leggi, ma piuttosto cerca di applicare quelle più appropriate al singolo caso concreto.
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Gli ordini di governo (al-Hukm al-Wilai)
I sostenitori dell’autorità universale (wilayat al-amma) non riducono gli ordini (hukm) del faqih soltanto all’ambito dell’amministrazione della giustizia. In quanto hakim, il giurista può emettere ordini ai quali sono tenuti ad obbedire tutti i Musulmani, ivi inclusi gli altri fuqaha. Ciò include i suoi responsi sull’inizio del mese di Ramadan o sull’applicazione delle punizioni legali (hudud). L’esempio più perspicuo di questa categoria sono gli ordini di governo, che il faqih può emettere in quanto guida politica. Il wali al-faqih può emettere ordini su materie che egli considera importanti per gli interessi dei Musulmani, e per le leggi e i valori islamici. Ci sono situazioni in cui il wali faqih può emettere un ordine basato sull’interesse (maslahat) generale, anche se in linea di principio tale azione non è ritenuta obbligatoria dalla shari’a.
Ed è a questo punto che si pongono due questioni fondamentali. La prima concerne la natura dell’ordine: se l’ordine di governo sia reputarsi una “legge di primo ordine” della shari’a, o una “legge di secondo ordine” (al-ahkam al-sanawi). La seconda questione riguarda il contenuto di tali ordini: un faqih può emettere un ordine che ingiunga o proibisca atti considerati leciti (mubah), e per i quali non vi è obbligo o proibizione nella Legge Islamica? Vi è una disputa sul fatto che il faqih possa emettere ordini che ignorano i comandi della shari’a o meno. Poiché la risposta all’ultima questione dipende dalla risoluzione della prima, sarà necessario spiegare che cosa si intende per “legge di secondo ordine” (ahkam al-sanawi).
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Al-Hukm al-Awali e al-Hukm al-Sanawi
Le azioni che compiamo in virtù del nostro libero arbitrio sono incluse secondo la shari’a in una delle seguenti categorie: doveri (wajib), proibizioni (haram), raccomandazioni (mustahab), atti sconsigliati (makruh), e atti indifferenti (mubah). Le leggi di primo ordine (al-ahkam al-awali) vengono stabilite dal legislatore (hakim) considerando l’essenza e lo stato naturale delle azioni e delle cose. In situazioni eccezionali, quando non si debba o non si possa rispettare la legislazione corrente, si dovranno osservare ed approvare altre regole. Tali leggi temporanee vengono osservate in situazioni e per esigenze eccezionali, e vengono dette “leggi di secondo ordine” (al-ahkam al-sanawi). Queste regole sono secondarie e temporanee, poiché il popolo dovrà tornare a seguire le leggi di primo ordine quando la situazione eccezionale avrà fine. Ad esempio, secondo la shari’a non è permesso ai Musulmani di mangiare cadaveri (animali morti senza essere stati uccisi), o la carne di animali che non siano stati macellati secondo il rito islamico. È questa una legge di primo ordine, ma in una situazione eccezionale, quando non si abbia niente da mangiare, Dio permette di nutrirsi di carni che sarebbero altrimenti proibite, e questa è una legge di secondo ordine. Il Corano afferma:
“In verità vi sono state vietate le bestie morte, il sangue, la carne di porco e quella su cui sia stato invocato altro nome che quello d’Iddio. Ma chi vi sarà costretto, senza desiderio o intenzione, non farà peccato.” (2:173)
I fuqaha generalmente considerano il bisogno (idhtirar), il danno (dharar), la difficoltà e le ristrettezze (usr wa haraj), il disordine dell’ordinamento dei Musulmani (ikhtilal al-nidham) e la compulsione (ikrah) come cause di forza maggiore che richiedono eccezionalmente leggi di secondo ordine. Secondo la concezione prevalente tra i giuristi Imamiti, gli ordini di governo devono essere emessi dal faqih solo in una delle situazioni eccezionali sopraccitate, poiché al-hukm al-hukumati è un comando di secondo ordine.
Quando consideriamo questa opinione, la risposta alla seconda domanda sulla relazione tra gli ordini di governo e la shari’a diventa ovvia. In una situazione normale, il faqih non ha il diritto di emettere ordini (sia wajib o haram) in conflitto con le leggi di primo ordine, anche se l’interesse (maslahat) dei Musulmani lo richiedesse. In altre parole, l’interesse in quanto tale non giustifica gli ordini di governo, quando essi siano contrari alle leggi islamiche. Ma in situazioni eccezionali in cui l’interesse (maslahat) divenga tanto impellente, che si potrebbero causare seri danno o disordini ignorandolo, in tal caso al wali al-faqih è concesso di emettere un ordine ad esso confacentesi.
L’Imam Khomeyni, nella sua prospettiva rivoluzionaria, afferma che, sebbene l’applicazione della shari’a sia molto importante, essa non è l’obiettivo ultimo. Le leggi Islamiche (shari’a) fungono da mezzo per raggiungere gli scopi primari della protezione dell’Islam e della realizzazione della giustizia. Secondo l’Imam Khomeyni, lo Stato Islamico non è solamente una componente dell’Islam tra le altre, ma bensì è l’Islam stesso. Di conseguenza, di là dallo scopo dell’applicazione delle leggi islamiche, s’impone il fine di proteggere l’ordinamento islamico e l’interesse (maslahat) dell’Islam. Egli espresse tale concezione durante le sue lezioni in Iraq, al seminario di Najaf, alcuni anni prima della Rivoluzione Islamica in Iran.
Dopo la Rivoluzione Islamica in Iran egli attuò la sua teoria. Nella sua famosa lettera all’Ayatullah Khamenei, egli insiste sul fatto che l’autorità di governo del Profeta (S) e degli Imam non è solo una legge divina di primo ordine, ma ha anche la priorità su altri doveri quali la Preghiera, il digiuno, l’hajj e così via. Egli scrive:
“Il governo o l’autorità assoluta (wilayat al-mutlaqa), della quale è data delega al nobile Messaggero di Dio, è la legge divina più importante, ed ha la priorità su tutte le altre leggi. Se i poteri di governo riguardassero un ambito ristretto, la delega dell’autorità al Profeta sarebbe un fatto senza senso. Devo dire che il governo è una parte della wilayat assoluta al Profeta e una delle leggi di primo ordine dell’Islam, che ha la priorità su tutti gli altri obblighi, quali la Preghiera, il digiuno e l’hajj. Lo Stato Islamico può prevenire ogni atto, quando esso sia in contrasto con gli interessi dell’Islam.”[42]
Mentre l’autorità condizionata (wilayat al-muqayada) restringe il diritto del faqih ad emettere ordini di governo soltanto al caso degli atti consentiti (mubahat), la wilayat al-mutlaqa, per definizione, può dare ordini che siano in conflitto con una Legge islamica obbligatoria.
E’ chiaro dalla presente discussione che la wilayat al-mutlaqa differisce totalmente dall’“assolutismo” e dai governi totalitari e dittatoriali. Alcune qualificazioni sono essenziali per il wali al-faqih, quali la giustizia, il timor di Dio e la perspicacia socio-politica. Quindi, se egli non possiede anche una soltanto di queste qualità, sarà estromesso. Nella Costituzione della Repubblica Islamica dell’Iran, un gruppo di esperti eletto dal popolo controlla la Guida. Tale Costituzione dice all’articolo 111:
“Laddove la Guida non sia in grado di adempiere ai suoi doveri costituzionali, o perda una delle qualifiche menzionate negli articoli 5 e 109, o nel caso si venga a sapere che non possedeva inizialmente alcune qualifiche, essa verrà estromessa. L’autorità di decidere su questa questione appartiene agli esperti menzionati nell’articolo 108.”
Come indicato in precedenza, nella giurisprudenza politica Imamita la “wilayat al-mutlaqa” è un termine nuovo. I fuqaha Imamiti hanno di solito fatto uso di altri termini, quali “wilayat al-amma” o “niyabat al-amma” in riferimento all’autorità del faqih. L’Imam Khomeyni usò il termine pubblicamente, poi nel 1980 esso venne iscritto nella Costituzione dell’Iran Islamico. L’articolo 57 recita:
“Il potere nella Repubblica Islamica è affidato al parlamento, alla magistratura ed all’esecutivo, che espletano le loro funzioni sotto la supervisione della Guida religiosa suprema della ummah.”
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La Wilayat al-Faqih e altre idee di autorità
Platone fu il primo filosofo della politica a concepire un’autorità di governo onnicomprensiva. Nella sua “Repubblica”, egli afferma che la conoscenza politica è un’arte suprema che richiede un serio tirocinio, ed il cui scopo è quello di realizzare il bene della comunità. È necessaria una formazione assai rigorosa per potere apprendere la scienza ed esercitare l’arte della politica. Quanti addivengano ad un risultato siffatto, costituiscono la classe dei “veri filosofi”[43], gli unici in grado di governare la società. Quindi, l’ideale di Repubblica si attua solo se esiste una classe di re-filosofi.
Nella storia del pensiero politico sono state elaborate varie concezioni dell’autorità e vari modelli di stato; il marxismo-leninismo, che crede che un gruppo organizzato di rivoluzionari, ovverosia un’avanguardia, in possesso di conoscenze adeguate, possa assumersi l’impegno di sconfiggere il capitalismo e guidare la classe operaia, al fine di costituire una società socialista e senza classi, è un esempio di teoria politica fondata sul concetto di autorità.
Ovviamente, il governo propugnato dalla dottrina politica Sciita è fondato sul concetto di autorità, poiché solo coloro che hanno particolari qualificazioni (gli Infallibili e i loro rappresentanti) hanno il diritto di governare. Per la Shi’a Imamita, la scelta della guida non è subordinata alla volontà popolare. Il popolo deve accettare e credere nelle guide divinamente designate, quali il Profeta e gli Imam. Ma nel tempo dell’occultamento maggiore, durante il quale i fuqaha vengono designati come guardiani, il ruolo del popolo cresce. Il popolo ha il dovere di riconoscere i suoi governanti tra i fuqaha direttamente, oppure attraverso un gruppo selezionato di fuqaha. In ogni caso, questa partecipazione del popolo non fa della wilayat al-faqih una teoria o una prassi puramente democratica. Robert Dahl è abbastanza ragionevole quando afferma che:
“Nessuna singola interpretazione può dire l’ultima parola sulle differenze tra le varie concezioni dell’ autorità.”[44]
In ogni caso, ciò che egli afferma all’inizio della sua trattazione può essere considerato come il punto centrale del concetto di autorità:
“La pretesa dei democratici che la gente comune sia politicamente competente, viene confutata dai difensori dell’autorità, che affermano che il governo deve essere affidato ad una minoranza di persone dotate di qualità particolari, atte a governare in ragione delle proprie conoscenze e virtù superiori.”[45]
La teoria della wilayat al-faqih, adottata dalla Repubblica Islamica dell’Iran, che ne costituisce la prima esperienza d’attuazione concreta, include sia elementi democratici, che elementi propri delle concezioni politiche fondate sul concetto di autorità. Mentre l’autorità del faqih, ed il ruolo centrale e fondamentale delle leggi e dei valori islamici, nella loro dimensione politica e sociale, enfatizzano il ruolo essenziale dell’autorità in questo sistema politico, l’elezione da parte del popolo dei membri dell’Assemblea degli Esperti (i quali eleggono e possono rimuovere il wali al-faqih), del Parlamento, del Presidente, e dei Consigli locali, costituisce l’aspetto democratico di questa dottrina politica. L’articolo 56 della Costituzione sottolinea la sovranità del popolo:
“La sovranità assoluta sull’universo appartiene a Dio, che ha fatto dell’uomo il padrone del suo destino sociale. Nessuno può privare l’uomo di questo diritto divino, e nemmeno subordinarlo agli interessi di un particolare individuo o gruppo. Il popolo deve esercitare questo diritto divino nella maniera specificata dal seguente articolo.”
Questo capitolo aveva lo scopo di chiarire il concetto di wilayat al-faqih ed i suoi precedenti storici tra i giuristi Imamiti. Il prossimo capitolo s’incentrerà sul problema della sua giustificazione, esaminando come i difensori di questa teoria politica la legittimino.
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NOTE
[1] Abdul-Karim Shahristani, “Al-Milal wa al-Nihal”, Cairo, 1956, vol. 1, p. 131.
[2] Anthony Black, “The History of Islamic Political Thought”, p. 41.
[3] Ruhollah Khomeyni, “Islam and Revolution”, Hamid Algar (tr), Berkeley: Mizan Press, 1981, p. 86.
[4] Lewis scrive: “Vali e Vilayat sono le pronunce turche del participio attivo e del nome verbale della radice Araba “w-l-y”, “essere vicino” o “farsi carico”, che significano rispettivamente “governante” e “governo o provincia“” (Bernard Lewis, “The Political Language of Islam”, The University of Chicago Press, 1988, n. 22, p. 123). [Traduzione italiana: “Il linguaggio politico dell’Islam”, Edizioni Laterza, 2005).
[5] Per ulteriori informazioni riguardo a questo versetto ed altre questioni oggetto di dibattito tra Sciiti e Sunniti, vedi: Abdul Husayn Sharafud-Din, “Al-Muraja’at”, Yasin T. al-Jibouri (tr), World Ahl al-Bayt Islamic League (WABIL), pp. 173-180.
[6] Ibn Assir, “Al-Nihayah”, vol. 1, p. 135.
[7] La veridicità di questo fatto è messa in discussione dalla scuola sciita. Per approfondimenti sul rifiuto e la confutazione di questo episodio dal punto di vista sciita si cfr ad esempio. Sayyid Moustafa al-Qazwini “Inquiries about Shi’a Islam”, The Islamic Educational Center of Orange County, 2006 (Ndt)
[8] Montgomery Watt, “Islamic Political Thought”, p. 33.
[9] Anthony Black, “The History of Islamic Political Thought”, p. 84.
[10] Ibid., p. 87.
[11] Il paragrafo è stato tradotto da: Ann K.S. Lambton, “State and Government in Medieval Islam”, Oxford University Press, 1981, p. 85.
[12] Bernard Lewis, “The Political Language of Islam”, p. 134.
[13] Anthony Black, “The History of Islamic Political Thought”, p. 94.
[14] Anthony Black, “The History of Islamic Political Thought”, p. 88.
[15] Ibid., p. 104.
[16] Ibid., p. 85.
17 Abdul-Aziz Sachedina, “The Just Ruler”, Oxford University Press, 1988, p. 129.
18 Muhammad Baqir Majlisi, “Bihar al-Anwar” (110 volumi), Tehran, 1985, Kitab al-Ilm, cap. 1, hadith n. 29.
19 Muhammad Ibn Muhammad Ibn al-Nu’man, noto come Shaykh Mufid, è uno dei più grandi faqih e teologi Imamiti. Nacque a Dujal, a sei miglia da Baghdad, nell’anno 949 o 950. Studiò per lo più sotto suo padre e si recò poi a Baghdad all’età di dodici anni. Tra i suoi lavori di fiqh citiamo Al-Muqni’a, al quale Shaykh Tusi si ispirò per la compilazione del Tahdhib al-Ahkam (uno delle quattro maggiori opere della Shi’a Imamita).
20 Shaykh al-Mufid, Al-Irshad, Tehran, 1972, p. 674.
21 Muhammad Ibn Hasan Tusi, Al-Mabsut fi Fiqh al-Imamiyyah, Tehran, 1958, vol. 2, p. 9.
22 Abdul-Aziz Sachedina, “The Just Ruler”, p. 110.
23 Mehdi Haeri Yazdi, “Hikmat wa Hukumat”, p. 177.
24 “Islam and Revolution”, pp. 62-63.
25 Ali Ibn Abd al-A’l, meglio noto come Muhaqqiq al-Karaki, o anche come “Il Secondo Muhaqqiq” (dopo al-Hilli, noto in quanto “Primo Muhaqqiq”), morto nel 937/1530. Era originario del Jabal Amil, nel Sud del Libano. Egli, come Shahid al-Awwal e Shahid al-Thani, completò i suoi studi in Siria, in Iraq, ed in vari centri di insegnamento Sunniti prima della suo arrivo in Iran, durante il regno della dinastia Safavide (Shah Tahmasp). In questo periodo della storia iraniana l’autorità dei sapienti Imamiti si accrebbe notevolmente, e Karaki ebbe un importante incarico nell’amministrazione della giustizia. Egli fondò due seminari (hawzah) a Qazwin e ad Isfahan, e di conseguenza l’Iran divenne un rinomato centro della giurisprudenza Imamita. Tra le sue famose opere sul fiqh vi è il Jami al-Maqasid: si tratta di un commento all’opera di Allamah Hilli Al-Qawa’id.
26 “Al-Rasa’il” di Muhaqqiq al-Karaki, editi da Muhammad al-Hassun, prima raccolta (Al-Risalah fi al-Salat al-Jumu’a), Qom, 1409 d.H., pp. 142-143.
27 Proveniente da una famiglia araba, morto nel 1849. Shaykh Muhammad impiegò trenta anni per completare il suo grande lavoro (al-Jawahir), la cui ultima edizione, pubblicata in Iran, include 43 volumi. Si tratta di un commento al lavoro di Muhaqqiq al-Hilli (Al-Shara’i al-Islam).
28 Muhammad Hasan al-Najafi, Jawahir al-Kalam, Tehran, Dar al-Kutub al-Islamiyya, 1398 d.H., vol. 21, pp. 396-397.
29 Morto nel 1904, autore di alcune importanti opere sulla giurisprudenza Imamita, tra cui Misbah al-Faqih.
30 Hajj Aqa Reza Hamedani, Misbah al-Faqih, il capitolo del khums, vol. 14, p. 291.
31 Muhammad Ibn Numan (al-Mufid), Al-Muqnia, p. 810.
32 Fakhr al-Muhaqqiqin, Eidhah al-Fawa’id, vol. 2, p. 624.
33 Al-Jami al-Maqasid, vol. 11, Kitab al-Wasayah, pp. 266-267.
34 Shaykh Hurr al-Amili, Muhammad Ibn Hasan, Wasa’il al-Shi’a, Qom, Ahl al-Bayt Institution, 1412 d.H., vol. 18, p. 220.
36 Si tratta di Muhammad Ibn Makki, nato nel Sud del Libano, nel Jabal Amil, nel 734 d.H. Fakhr al-Muhaqqiqin fu uno dei suoi maestri. Egli venne martirizzato in seguito ad di una fatwa di un giurista Malikita, sostenuto da Shafi’i, nell’anno 786. Ha scritto importanti opere sul fiqh, quali Al-Luma al-Dimaqshiyya e Al-Dhikra.
37 Tradotto in The Just Ruler dal Jawahir al-Kalam, vol. 15, p. 422.
38 Shaykh Zayn al-Din è uno dei più grandi giuristi Imamiti. Egli nacque nel 911 d.H. ed era esperto anche in giurisprudenza Sunnita. Uno dei suoi più importanti lavori è il suo commento al “Luma” di Shahid al-Awwal ed è davvero una coincidenza sorprendente il fatto che sia l’autore che il commentatore di tale lavoro vennero entrambi martirizzati.
40 Muhammad Ibn Hasan al-Tusi, “Tahdhib al-Ahkam”, Kitab al-Qada’, vol. 6, p. 218, hadith 514.
41 Iain McLean, “The Concise Oxford Dictionary of Politics”, Oxford University Press, 1996, p. 1.
42 “Sahifa al-Nur” (Lettere e discorsi dell’Imam Khomeyni), vol. 20, p. 170.
43 Grube ritiene che Platone non intenda il “re filosofo” nel senso corrente di “filosofo di professione”: “Platone non reputa che il termine vada applicato a quei filosofi impegnati nei loro studi, ma piuttosto egli ritiene che per un uomo di governo sia necessario essere un pensatore, un amante della verità, della bellezza e del bene” (Platone, Plato’s Republic, G.M.A., Grube (tr), Indianapolis, 1974, n. 13, p. 133).
44 Robert Dahl, “Democracy and its Critics”, Yale University Press, 1989, p. 55.
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