Lavori in corso: raccontare l’immigrazione tra Islam ed Europa
di Hamza Biondo
Al mattino sono già in cammino, impossibile non notarli. Vagano a piccoli gruppi per le cittadine del nostro meridione, nei centri storici sonnolenti e poco frequentati, dove l’immigrazione dei giovani italiani ha spopolato i quartieri e le borgate. Anche questi sono giovani, africani e mediorientali, spesso vestiti con tute da ginnastica, anche se non fanno parte di squadre sportive giunte in città per un torneo. Sono gli stranieri che hanno attraversato il Mediterraneo sui barconi e adesso vengono ospitati nei centri di accoglienza. Frequentano i mercati, stazionano nei luoghi di aggregazione, poi tornano nei dormitori. Così ogni giorno, sempre in cammino. D’altronde l’Africa è un continente che si sposta a piedi. Molti sono in attesa di riprendere il loro viaggio, per loro l’Italia è solo una tappa, la meta finale sono i paesi del nord Europa. Nel 2017 sulle nostre coste sono sbarcati almeno in centoventimila e le statistiche parlano di numeri in regressione rispetto all’anno precedente, ma la percezione sembra altra. Se non affogano durante la traversata del Mediterraneo, vengono raccolti dalle navi allo stremo, in ipotermia in inverno, disidratati in estate, quelli vivi sono i più forti, o i più fortunati, perché hanno superato il primo inferno. Il viaggio nelle zone desertiche, la prigionia nei paesi del nordafrica, le vessazioni dei trafficanti di uomini, il mare aperto, un cuore di tenebra au retour. Per loro vale ciò che Borges fa dire a un personaggio di un suo racconto, “allora come adesso il mondo era atroce ; potevano percorrerlo gli audaci, ma anche i miserabili che si piegavano a tutto“. Molti non hanno possibilità di scegliere, fuggono dalla guerra. Iraq, Afghanistan, Siria, Libia, Palestina, società devastate, mondi che non esistono più e che il cosiddetto Occidente ha contribuito a distruggere, fornendo armi e denaro ad invasori e fanatici tagliagole. Altri lasciano i loro paesi sognando un riscatto economico, attratti dalle immagini di un occidente opulento trasmesse dalle televisioni satellitari. Una volta giunti nei paesi occidentali, ingrosseranno le fila dei sottoccupati, un esercito industriale di riserva costretto ad accettare bassi salari e condizioni lavorative malsane. Lo sfruttamento e l’aumento del conflitto sociale tra lavoratori, abbassa il costo della manodopera e garantisce maggiori guadagni agli imprenditori. Non a caso, nazioni industrializzate come la Germania, hanno aperto le porte a quote di immigrati, meglio se istruiti e qualificati. I migranti rappresentano comunque un valore, merce lucrosa per i trafficanti di uomini, rendita per coloro che dell’accoglienza fanno mercimonio, eventuale manovalanza per la criminalità e, quando occorre, capro espiatorio utilizzato dai politici per giustificare l’insicurezza dei nostri centri urbani.
A partire dal 2003, anno in cui in Italia esplose il fenomeno, si parla di immigrazione sempre in termini di emergenza, magari con toni di rammarico per l’ inadeguatezza dell’accoglienza o il cordoglio per i naufragi. La stessa Europa, intrisa di una cultura politica dell’ottimismo totale, si trova impreparata a gestire un evento che ha carattere epocale ed ha forse come precedente le ondate migratorie, che nel medioevo provenirono dal centro-Asia. Il fallimento delle politiche di integrazione-assimilazione in Inghilterra, Francia e Germania è evidente. A livello europeo non vi è un piano alternativo, nè alcuna strategia multiculturale efficace. I politici, incapaci ad affrontare il problema, pena una pericolosa perdita di consenso, affidano alle loro propaggini mediatiche il compito di raccontare una realtà distorta.
Dal mito del sans-papierismo alla difesa della Fortezza Europa è una gara a strumentalizzare l’emigrazione. Nel circo mediatico una voce risulta poco presente: quella dei protagonisti, gli stranieri immigrati, convitati di pietra di questo dramma. Come musulmani italiani ed esponenti di una religione che ha in Europa solide tradizioni e radicamento, desideriamo ascoltare i racconti non solo dei migranti giunti sui barconi, ma anche le esperienze dei profughi di guerra e di coloro che, risiedono da anni in Italia per lavoro o studio. Non si tratta di indugiare in un cahier de doléances, ma di conoscere l’emigrazione, un mondo composito, presente da tempo nel paese e spesso etichettato frettolosamente.
Crediamo importante ascoltare le voci delle comunità islamiche, conoscere le appartenenze culturali, documentare gli avvenimenti del Vicino Oriente narrati, senza le distorsioni della propaganda mediatica, dai testimoni.
Raccontare una storia implica un dialogo, rimanda ad un ricordo e ad una componente emotiva. In seguito, la narrazione diventa riflessione sui contenuti, le storie persuadono e sono mezzo di condivisione e interpretazione della realtà, anche in forma autobiografica. Il nostro incipit non segue canovacci o schemi precostituiti, presentiamo testimonianze e contributi sul tema. Un work in progress aperto, forse un po’ dilettantesco, ma sorretto dall’entusiasmo. L’iniziativa si articola come impegno corale, sono quindi benvenuti interventi dei lettori che possono essere inviati a: alqantara@hotmail.com