Il Sacro Corano e la sua protezione da qualsiasi alterazione (S.A.Rizvi)

Il Sacro Corano e la sua protezione da qualsiasi alterazione

‘Allamah Sayyid Sa’eed Akhtar Rizvi

Introduzione

Il Sacro Corano è il miracolo eterno e la prova vivente della verità dell’Islam. Esso ha invitato i propri avversari, se non credono alla sua origine divina, a produrre qualcosa di simile, anche un solo capitolo[1].

I nemici hanno fallito nel loro intento ed hanno cercato di soffocare la luce dell’Islam dichiarando una guerra dopo l’altra; ciò continua ancora oggi su molti fronti, camuffata sotto molteplici forme.

L’obiettivo principale dei nemici dell’Islam era e rimane il Sacro Corano, che hanno cercato di screditare in molti modi. Ad esempio, affermano che il Profeta (S) aveva appreso queste profonde verità da alcuni giudei o cristiani! Affermano che nel Sacro Corano vi sono affermazioni contraddittorie! Hanno imposto in modo dogmatico l’opinione secondo la quale l’etica coranica appare limitata se comparata con i “sublimi insegnamenti etici” del cristianesimo!

Nessuno di questi argomenti potrebbe esser difeso agli occhi di studiosi indipendenti; i musulmani hanno respinto tutte queste accuse. Basterebbe soltanto leggere la conversazione dell’Amir al-Mu’minin ‘Ali (A) con un ateo a proposito del Sacro Corano, per vedere come gli Imam dell’Ahl al-Bayt (A) (i quali, secondo l’hadith[2] al-Thaqalayn, che verrà spiegato successivamente, sono i protettori delle verità coraniche) difesero il Sacro Corano e provarono la sua origine al di là di qualsiasi dubbio[3].

L’obiettivo del presente testo è quello di dimostrare che non è esistito tahrif nel Sacro Corano. La parola tahrif può assumere diversi significati; per quel che qui interessa, ci riferiamo a quello di “alterazione” o “omissione”. Crediamo e siamo fermamente convinti che nel Sacro Corano non vi sia alcuna alterazione, aggiunta o omissione. È perfetto. Dio ha dichiarato con chiarezza che Egli Stesso è il Protettore del Libro:

إِنَّا نَحْنُ نَزَّلْنَا الذِّكْرَ وَإِنَّا لَهُ لَحَافِظُونَ

Inna naĥnu nazzalna aż-żikra wa inna lahu laĥafiďūn[4]

“Noi abbiamo rivelato il Monito, e Noi ne siamo i protettori”

(Sacro Corano, Sura al-Hijr, 15: 9).

A compimento di questa promessa, il Sacro Corano fu raccolto in forma di libro già al tempo dello stesso Profeta (S). Sia l’evidenza esterna (quella della Sunna) che quella interna (nel Sacro Corano stesso) hanno permesso di stabilire in modo chiaro che il Profeta (S) aveva effettivamente affidato un Libro ai musulmani. Riguardo all’evidenza interna, abbiamo almeno cinquantadue versetti nei quali il Sacro Corano è chiamato “Libro” (Kitab)[5].

Quanto all’evidenza esterna, il famoso hadith mutawatir[6] al-Thaqalayn attesta l’esistenza del Libro durante gli ultimi giorni di vita del Profeta (S). L’hadith è riportato nelle opere sciite e sunnite con alcune lievi varianti nelle parole, ma con le parti principali uguali in entrambe. Eccone la citazione dal “Sahih Muslim”, dove Zayd ibn Arqam menziona il sermone del Profeta (S) a Ghadir Khumm:

“… Lascio tra voi due cose di gran valore. La prima di esse è il Libro di Dio; in esso vi è la guida e la luce; per tanto aggrappatevi ad esso (…) E {la seconda cosa che vi lascio è} la mia Ahl al-Bayt; ricordatevi di Dio riguardo alla mia Ahl al-Bayt”[7].

In altre tradizioni (a parte il Sermone di Ghadir) sono utilizzate le parole “il Libro di Dio e la mia tradizione”. Ma l’espressione “Libro di Dio” è presente in entrambe le versioni. Il sermone di Ghadir Khumm fu pronunciato quasi due mesi e mezzo prima della morte del Profeta (S), per cui già a quel tempo esisteva il Libro di Dio, che il Profeta (S) lasciava alla sua Ummah e al quale la esortava ad affidarsi.

Alcuni giorni prima della sua morte, poi, il Profeta (S) disse:

“…‘Venite, scriverò qualcosa per voi per mezzo del quale non vi travierete dopo di me’. Ma ‘Umar disse: ‘Certamente il Messaggero di Dio è afflitto dal dolore; voi già avete il Sacro Corano, e il Libro di Dio è sufficiente per noi…’”[8].

Questo mostra chiaramente che il Libro di Dio era in possesso dei Musulmani già prima della morte del Profeta (S).

È assurdo pensare che il termine “Libro” (Kitab) nel Sacro Corano, nel sermone del Profeta (S) e nella frase di ‘Umar fosse utilizzato in riferimento ad alcuni fogli di carta scompaginati. Il grande insegnante dei mujtahid[9] contemporanei, l’Ayatullah Seyyed Kho’i[10], dopo aver citato i riferimenti coranici e l’hadith di Thaqalayn, ha giustamente affermato:

“…Esiste una prova chiara che il Sacro Corano fu scritto e compilato in questa epoca, perché la parola Kitab (‘libro’) non viene utilizzata per riferirsi a ciò che si ricorda a memoria, né per alcuni scritti sparsi su pezzi di carta e ossa, ovvero metaforicamente. Non è corretto costruire una parola metaforicamente a meno che ciò sia evidente dal suo contesto. La parola ‘Libro’ denota l’esistenza di una collezione e non di bozze disorganizzate, né di cose memorizzate ma non scritte[11].

I nemici dell’Islam hanno architettato, sin dall’inizio, un piano che ritenevano efficace per indebolire la credenza nell’autenticità e nell’originalità del Sacro Corano. Studiarono le condizioni esistenti nel mondo islamico e vi trovarono un mercato attivo e fiorente di hadith inventati. Lo sfruttarono in modo massiccio ed iniziarono un intenso commercio di tradizioni fabbricate, calunniando e diffamando l’autenticità del Sacro Corano, sostenendo che in esso – lo stesso che ora si trova nelle nostre mani – vi fossero aggiunte, omissioni, alterazioni ed anche alcuni errori.

Questa idea era ed è diametralmente opposta a ciò che credono i musulmani, sia sciiti che sunniti, riguardo al Sacro Libro. Shaykh Abu Ja’far Saduq (m. 381 dell’egira) scrive nel suo Kitab al-I’tiqadat:

“Noi crediamo che il Corano che Dio rivelò al Suo Profeta Muhammad è quello che si trova tra i daffatayn {i due estremi del Libro}. Ed è quello che è nelle mani della gente e non ve n’è altro più esteso di questo”.

E di seguito afferma inoltre: “Chiunque afferma che noi sosteniamo che ve ne sia un altro più esteso di questo {del testo attuale}, è un bugiardo”[12].

Pressoché tutti i grandi mujtahid sciiti hanno fatto dichiarazioni simili, per esempio: Shaykh al-Mufid (338-413), in Awa’il al-Maqalat, p. 95; Sharif al-Murtadha (355-436), in Bahr al-Fawa’id (Tehran, 1314) pag. 69; Shaykh al-Tusi (385-408), in Tafsir al-Tybian, vol. 1 (Najaf, 1376), pag. 3; Shaykh al-Tabarsi (m. 548), in Majma al-Bayan, vol. 1 (Libano) pag. 15.

Questa credenza è continuata fino ad oggi. Si possono menzionare i nomi di Sayyid Muhsin al-Amin al-Amili (1284-1371); Seyyed Sharaf al-Din al-Musawi (1290-1377); Shaykh Muhammad Husaini Kashif al-Ghita (1295-1373); Seyyed Muhsin al-Hakim (1306-1390); ‘Allamah Tabatabai (1321-1402); Sayyid Muhammad Hadi al-Milani (1313-1390); Seyyed Ruhollah Khomeyni (1321-1409); Seyyed Abu Qasim Kho’i (1317-1413) e Seyyed Mohammad Reza Golpayegani (1316-1414).

Passeremo ora a trattare brevemente i sei aspetti più importanti di questo argomento, per illustrare come i nemici dell’Islam ebbero l’opportunità di creare la fitna[13] del tahrif, e fino a che punto hanno avuto successo nei loro propositi.

  1. La comparsa di hadith inventati nel mondo islamico.
  1. Le confessioni di alcuni tra coloro che furono coinvolti in questa pratica.
  1. Esempi di hadith inventati che pretenderebbero di dimostrare che non centinaia, ma migliaia di presunti versetti furono cancellati dal Sacro Corano.
  1. L’atteggiamento sunnita e la sua credenza. La teoria dell’abrogazione della recitazione e le sue implicazioni.
  1. L’atteggiamento sciita verso queste tradizioni.
  1. L’Islam “americano” ha riesumato dall’oblio questa tematica con l’evidente finalità di ridicolizzare la Shi’a e contrastare gli sforzi della Repubblica Islamica dell’Iran tesi a realizzare l’unità islamica nel mondo.

Ma quale è il vero obiettivo di questo piano?

Ovviamente il tempo esiguo non ci permette di approfondire i dettagli, perciò in questo scritto ci proponiamo soltanto di menzionare brevemente tali questioni.

La comparsa di hadith inventati

È a dir poco drammatico che la gente abbia iniziato ad attribuire falsi hadith al Santo Profeta (S) già durante la sua vita. Il Profeta (S) avvertì i musulmani riguardo tale fitna con queste parole:

Certamente vi sono molti che creano menzogne a mio riguardo, ed il loro numero aumenterà; chi dice intenzionalmente una menzogna contro di me, deve preparare la sua dimora nel Fuoco. Pertanto, ogni volta che vi viene narrato un hadith, sottoponetelo alla prova del Libro di Dio e della mia Sunna stabilita, e ciò che è conforme al Libro di Dio, prendetelo; e ciò che è contrario al Libro di Dio ed alla mia Sunna, rifiutatelo.”[14] 

Questo celebre hadith è molto importante e invitiamo a tenerlo a mente. Dobbiamo comprendere che il Profeta (S) ha indicato il Sacro Corano come riferimento per giudicare un hadith e non gli hadith per giudicare il Sacro Corano.

Chiesero all’Amir al-Mu’minin ‘Ali (A) perché vi fossero differenze nelle tradizioni attribuite al Profeta (S).

Egli rispose:

Certamente sono comuni tra la gente cose corrette e cose scorrette, vere e false, abrogate ed introdotte, generali e particolari, definite ed indefinite, cose esatte e congetture. Anche durante i giorni del Profeta gli furono attribuiti falsi detti, tanto che ebbe a dire durante un suo sermone: ‘Chi mi attribuisce una falsità avrà per casa l’Inferno’. Coloro che narrano le tradizioni sono di quattro categorie, non di più”.

Poi l’Imam (A) disse che la prima categoria si riferiva ai mentitori ipocriti:

L’ipocrita è una persona che mette in mostra la fede e adotta l’apparenza di un musulmano; non dubita nel peccare né si mantiene lontano dal vizio; coscientemente attribuisce falsi detti al Messaggero di Dio – che Dio benedica lui e la sua progenie. Se la gente sapesse che è un ipocrita e un falso, non accetterebbe niente da lui e non approverebbe quel che dice. Ma affermano di essere Compagni del Profeta, di averlo conosciuto, di aver ascoltato i suoi detti direttamente da lui e da lui aver acquisito la conoscenza: per questo {la gente} accetta quel che dicono. Anche Dio vi ha ben avvertiti riguardo agli ipocriti, descrivendoli molto bene. Essi hanno mentito sul Santo Profeta {dopo la sua morte}”[15].

La situazione peggiorò comunque dopo il martirio dell’Imam ‘Ali (A), quando Mu’awiya istituì quello che può definirsi come il primo dicastero per la falsa propaganda nel mondo.

Non è questo il luogo per approfondire aspetti meschini. Coloro che vogliono saperne di più possono fare riferimento al Shahr Nahj al-Balaghah di Ibn Abil-Hadid al-Mu’tazili, che riporta parola per parola il Kitab al-Ahdath di Abul Hasan ‘Ali ibn Muhammad ibn Abi Sayf al-Madani, mostrando come questo dicastero si sviluppò gradualmente finché tutti gli hadith che egli compose si diffusero nel mondo islamico; questi hadith furono insegnati ai bambini nelle scuole insieme al Sacro Corano. Questo testo riferisce come la malattia avesse infettato tutti i gruppi, soprattutto i più devoti, che recitavano il Sacro Corano e a cui si insegnava ad esser timorati di Dio. Erano soliti inventare hadith per ottenere benefici dai governanti. Questi falsi hadith raggiunsero infine anche coloro che avevano una valida formazione religiosa e che non approvavano la menzogna e la falsità: ma, credendo nella loro autenticità, li accettarono come tradizioni genuine e li trasmisero[16].

Il nucleo di questo dicastero era formato da quattro narratori di hadith: Abu Hurayrah, ‘Amr ibn al-‘As, Mughirah bin Shu’bah (che erano tutti sahabah, vale a dire, Compagni del Profeta) e ‘Urwah ibn az-Zubayr (che era uno dei tabi’yin, cioè discepoli dei Compagni)[17]. Ma ci sono centinaia di narratori indipendenti che hanno svenduto la propria religione unicamente per i benefici mondani. Narreremo un episodio come esempio.

Una volta, Mu’awiyah offrì centomila dirham a Samrah ibn Khundab affinché narrasse che i versetti 204-206 della seconda Sura del Sacro Corano fossero stati rivelati in riferimento ad ‘Ali ibn Abi Talib (A), e che il versetto 207 fosse stato rivelato in onore di Ibn Muljam {l’assassino dell’Imam ‘Ali}.

I versetti 204-206 recitano:

“E tra gli uomini c’è qualcuno che ti stupirà con le sue parole nella vita terrena; chiama Dio a testimone di quello che ha nel cuore, quando invece egli è il più duro dei nemici. {Lo dimostra il fatto che} quando ti volge le spalle, percorre la terra per portarvi la corruzione e per distruggere le colture e il bestiame. E Dio non ama la corruzione. E quando si dice: “Temi Dio!”, viene preso dalla superbia {e ciò lo spinge} a peccare {di più}. L’Inferno gli basterà! Che brutto giaciglio {avrà}!” (Sacro Corano, Sura al-Baqarah, 2: 204-206).

Questo doveva essere attribuito ad ‘Ali (A).

E il versetto 207, che dice “Ma tra gli uomini c’è anche chi si sacrifica alla ricerca del compiacimento di Dio. E Dio è Gentile con i Suoi servi.” (Sacro Corano, Sura al-Baqarah, 2: 204-206) doveva essere attribuito a Ibn Muljam.

Samrah, comunque, non accettò. Mu’awiyah alzò il prezzo a duecentomila e poi a trecentomila, ma questo non fu sufficiente. Alla fine Mu’awiyah gli offrì quattrocentomila dirham e Samrah accettò e iniziò a narrare questo ‘hadith’[18].

Le confessioni di alcuni falsificatori

 Purtroppo, come è già stato detto, anche brave persone furono coinvolte nell’invenzione degli hadith. Fu chiesto ad Abu ‘Ismah Faraj bin Abi Maryam al-Marwazi:

“‘Da dove hai ricavato tutte queste tradizioni narrate da ‘Ikrimah, che riporta Ibn ‘Abbas, che cita il Profeta, il quale descrive la ricompensa che ha colui che recita ognuna delle Sure del Sacro Corano?’ Disse: ‘Mi capitò di trovare della gente interessata soltanto al fiqh (giurisprudenza) di Abu Hanifah e al maghazi[19] di Ibn Ishaq; pertanto inventai questi hadith per ‘compiacere Dio’ e riportare così {quella gente} al Sacro Corano’”[20].

L’invenzione di hadith divenne consuetudine del mondo accademico islamico. Gli atei, gli zanadiqah (gli scettici) e gli ipocriti sfruttarono questo costume per trarne grandi vantaggi: essi introdussero migliaia di hadith, accreditandone la provenienza dai Compagni più celebri del Profeta (S), per distruggere la struttura dell’Islam, indebolirne la base e far crollare tutto l’edificio. Per esempio, il famoso ateo ‘Abdul Karim ibn Abil-Awya, fu condannato a morte dal governatore di Kufa. Quando era sul punto di esser ucciso, disse:

“Bene, sebbene mi uccidano, ho inventato quattromila hadith rendendo halal (lecito) quello che è haram (illecito) e haram quello che è halal. Per Dio, vi ho fatto rompere il digiuno nei giorni in cui bisogna digiunare e vi ho fatto digiunare nella Festività di ‘Id[21].

Ma questo piano non poteva aver successo se non si fosse fatto credere ai musulmani che il Sacro Corano, anziché essere stato compilato durante la vita del Profeta (S), venne redatto, pezzo dopo pezzo, su ossa e fogli di carta, circa vent’anni dopo la sua morte.

Essi {i nemici dell’Islam} compresero molto bene la psicologia dei vari gruppi musulmani e presentarono i loro temi anti-coranici mascherandoli come meriti (fazilat) per i sahabah (i Compagni) o per gli Imam dell’Ahl al-Bayt (A), così da deviare rispettivamente i sunniti o gli sciiti. Il veleno fu somministrato dolcemente e ingerito senza alcun sospetto.

Il merito e l’onore di compilare il Sacro Corano furono attribuiti ad Abu Bakr o a ‘Uthman. Ogni fabbricante di hadith utilizzò la propria fantasia, producendo moltissime tradizioni che si contraddicevano fra loro.

Seyyed Kho’i ha esaminato in dettaglio tutte le tradizioni dei giorni posteriori alla compilazione del Sacro Corano, ed è giunto alla conclusione che il terzo califfo non “compilò” il Sacro Corano. Ciò che egli fece fu unificare i musulmani nella lettura che si praticava a Medina, proibendo tutte le altre che erano sorte in seguito.

Coloro che fossero interessati a studiare nel dettaglio questo aspetto facciano riferimento al suo Al-Bayan, pagg. 187-278.

Tuttavia, essendosi accreditata la storia della compilazione posteriore, fu facile far circolare hadith che dimostravano che molti versetti, facenti parte delle varie sure, erano andati smarriti e non potevano esser stati recuperati quando Abu Bakr e/o ‘Uthman vollero raccogliere il Sacro Corano in forma di libro. Attribuirono queste dichiarazioni ad autorevoli Compagni e mogli del Santo Profeta (S).

Plagiati da queste tradizioni, i musulmani dimenticarono che Dio stesso è il Protettore del Suo Libro e che il Profeta (S) aveva indicato il Sacro Corano come parametro per dimostrare l’autenticità delle tradizioni e delle narrazioni. Invertirono i ruoli ed iniziarono a provare l’autenticità del Sacro Corano per mezzo di questi presunti hadith!

Alcuni hadith a sostegno delle omissioni

Non è possibile illustrare dettagliatamente quanti presunti versetti, frasi e affermazioni andarono perduti al momento della compilazione del Sacro Corano; ecco però alcuni incredibili esempi:

1) Si suppone che il capitolo 33 del Sacro Corano, al-Ahzab, contenesse duecento o forse trecento versetti, andati tutti perduti eccetto i settantatre (in nostro possesso). L’affermazione sui duecento versetti è attribuita a Umm al-Mu’minin (la Madre dei Credenti) ‘Aisha.

“Narrò ‘Ubayd ibn al-Fadayl, e anche Ibn al-Anbari e Ibn Marduwayh, che ‘Aisha disse: “La Sura al-Ahzab si recitava ai tempi del Profeta con duecento versetti, ma quando ‘Uthman mise per iscritto il Sacro Corano, non poté trovare più di quello che esiste attualmente”[22].

Ora abbiamo soltanto settantatre versetti in questa Sura.

Si dice che Huzayfah sostenesse che fossero andati perduti settanta versetti di questo capitolo[23]. Ma ‘Ubay ibn Ka’b disse che questa Sura era uguale o addirittura più lunga del secondo capitolo, al-Baqarah[24]. Anche ‘Ikrimah (un tabi’yin, discepolo dei Compagni) sosteneva la stessa cosa[25].

Ora, la Sura al-Baqarah contiene duecentottantasei versetti. Questo significa che andarono perduti duecentotredici o più versetti, incluso il ‘famoso’ “versetto della lapidazione”[26].

2) Si suppone che del nono capitolo, al-Tawbah, ne siano andati persi due-terzi o tre-quarti. Questo dato è attribuito a Hudhayfah al-Yamani[27]. “Fu chiesto all’Imam Malik perché questa Sura non iniziasse con la frase ‘Bismillah’. L’Imam rispose: ‘Andò perduta con la sua parte iniziale, in quanto è provato che essa avesse la stessa lunghezza della Sura al-Baqarah’”[28].

Oggi abbiamo soltanto centoventinove versetti in questa Sura del Sacro Corano.

3) Abbiamo poi le patetiche sure al-Hafd e al-Khal’, le quali sarebbero state narrate da famosi Compagni come ‘Ubay ibn Ka’b e Abu Musa al-Ashari[29], e che il Califfo ‘Umar ibn al-Khattab era solito recitare nel suo qunut[30]. Questo breve scritto non è adatto per dimostrare l’assurdità delle affermazioni contenute in queste presunte sure. Alcuni errori grammaticali dimostrano chiaramente che le persone che le inventarono non conoscevano bene l’arabo. E queste affermazioni sono state attribuite a Compagni arabi della statura di ‘Umar, ‘Ubay ibn Ka’b e Abu Musa al-Ash’ari!

A chiunque sia interessato a conoscere gli errori e la stoltezza di queste presunte Sure, consiglio di leggere la mia opera in arabo Nazaratun Musta’jilah fi Mas’alati Tahrif al-Qur’an o, meglio ancora, l’opera Alau Rahman fi Tafsir al-Qur’an (vol. 1, pp. 23-24, Beirut) di Shaykh Muhammad Jawad al-Balaghi.

4) Si racconta di una Sura, al-Bara’ah, che sarebbe uguale alla nona, al-Tawba: Abu Musa al-Ash’ari, un Compagno del Profeta (S), disse: “Eravamo soliti recitare una Sura che era simile ad al-Bara’ah in lunghezza e severità; ma la dimenticai, e adesso posso ricordare soltanto questo versetto:

لو کان لابن ادم و ادیان من مال لابتغی ثالثاً و لا یملا جوف ابن ادم الا التّراب.

‘Se un figlio di Adamo troverà due valli piene di ricchezza, desidererà ancora una terza valle; e niente può saziare lo stomaco di un uomo eccetto la polvere’”[31].

5) Si racconta anche di un’altra Sura. È stato detto che sempre Abu Musa al-Ash’ari disse: “Eravamo soliti recitare una Sura molto simile a una delle musabbihat[32]; l’ho dimenticata, ma di questa Sura ricordo ancora questo versetto:

یا ایها الذین امنوا لم تقولون ما لا تفعلون فتکتبون شهادة فی اعناقکم فتسألون منها یوم القیامة.

‘O voi credenti! Perché dite quello che non praticate? Questo sarà registrato come prova contro di voi e vi sarà chiesto al riguardo, il Giorno della Resurrezione’”[33].

6) Si sostiene infine la perdita della maggior parte del Sacro Corano: esistono molte tradizioni nelle opere sunnite in cui si afferma che probabilmente il Sacro Corano aveva molte più informazioni di quelle che vi si trovano attualmente. Al-Tabarani narrò con una catena affidabile di narratori, da ‘Umar ibn al-Khattab, che egli aveva detto: “Il Sacro Corano possiede 1.027.000 lettere…”[34]

Ma il totale delle lettere di tutto il Sacro Corano non supera le 267.053, come riportato alla fine di molte delle sue edizioni. In altre parole, sarebbero andati persi tre quarti del Sacro Corano!

È stato narrato che il Compagno ‘Abdullah ibn ‘Umar disse: “Nessuno di voi dovrebbe dire: ‘Io possiedo il Sacro Corano completo’. Chi gli dice che è tutto il Sacro Corano? Senza dubbio molto del Sacro Corano è andato perduto. Farebbero meglio a dire: ‘Io possiedo quello che è rimasto di esso’”[35].

Sfortunatamente gli hadith relativi a queste grandi e piccole omissioni sono attribuiti a molte personalità famose dell’Islam, come: Umm al-Mu’minin ‘Aisha, Umm al-Mu’minin Hafsa, Umm al-Mu’minin Umm Salama, ‘Umar ibn al-Khattab, ‘Abdullah ibn ‘Abbas, ‘Abdullah ibn Mas’ud, Abdur-Rahman ibn ‘Awf, ‘Abdullah ibn ‘Umar, Zaid ibn Arqam, Jabir ibn ‘Abdullah, Buraydah, Maslamah ibn Makhlad, Abu Waqid al-Laythi, e la zia di Abu Amamah ibn Sahl, oltre ai tabi’yin (discepoli dei Compagni) ‘Ikrimah e l’Imam Malik ibn Anas.

Queste tradizioni si trovano nelle più famose opere di tradizioni sunnite, incluse Al-Sihah al-Sittah (“i sei libri di tradizioni autentiche”): Sahih al-Bukhari, Sahih Muslim, Sunan Abi Dawud, Sahih al-Tirmidhi, Sunan al-Nas’ai, Sunan al-Bayhaqi; Musnad Imam Ahmad ibn Hanbal, Muwatta dell’Imam Malik, Tarikh di al-Bukhari, Fath al-Bair (Sharh Sahih al-Bukhari) di Ibn Hajar al-Asqalani, Kanz al-‘Ummal” di Mullah ‘Ali al-Muttaqi, Tafsir al-Durr al-Manthur e Al-Itqan di al-Suyuti, Jami’ al-Usul, Al-Muhadarat dell’Imam Raghib al-Isfahani, Jami’ al-Jawami‘, Hilyat al-Awliya di Hazif Abu Nu’aym e Al-Mustadarak ‘ala al-Sahihayn dell’Imam al-Hakim al-Nishapuri[36].

L’atteggiamento sunnita

L’atteggiamento dei nostri fratelli sunniti verso questi hadith è influenzato dalla fiducia cieca che essi ripongono verso le tradizioni degli al-Sihah al-Sittah (“i sei libri di tradizioni autentiche”), e specialmente verso le tradizioni che si trovano nel Sahih al-Bukhari e nel Sahih Muslim, ritenute perfette.

L’Imam Nawawi dice nel suo libro Sharh Sahih Muslim:

“Il fatto che la Ummah abbia accettato volontariamente il Sahih al-Bukhari e il Sahih Muslim ci ha portato a pensare che sia nostro dovere (wajib) agire in accordo a ciò che è scritto in questi libri, e questo è un punto di vista su cui vi è unanimità. La gente deve agire secondo un khabar al-wahid (un hadith narrato da un unico narratore) trovato in altri libri solo quando la sua catena di narratori è corretta. E lo stesso si applica ai due Sahih; ma questi due differiscono dagli altri libri, poiché tutto quello che si trova in essi è corretto e non vi è necessità di esaminarli; inoltre, è wajib seguirli incondizionatamente, mentre gli hadith delle altre raccolte non vengono seguiti finché non vengono confermate le loro credenziali e adempiano ai criteri basilari in base ai quali un hadith è ritenuto corretto”.

Questa accettazione incondizionata degli hadith che si trovano in questi libri ha obbligato i nostri fratelli sunniti ad accettare la teoria dell’abrogazione della recitazione (naskhat al-tilawah); vale a dire, credono che la recitazione di alcuni versetti fu abrogata nonostante rimanga vigente la legge in essi contenuta. Due celebri esempi di tali versetti sono quelli chiamati “versetto della lapidazione (rajim)” e dei “dieci o cinquanta allattamenti”, che si trovano nel Sahih al-Bukhari, nel Sahih Muslim e in altri libri[37].

L’hadith del Sahih Muslim dice esplicitamente che Umm al-Mu’minin ‘Aisha disse: “Della rivelazione del Sacro Corano faceva parte (il versetto): ‘I dieci allattamenti creano proibizione’ (vale a dire, le relazioni di latte). In seguito fu abrogato dai ‘cinque allattamenti’, e quando il Messaggero di Dio morì, esso era tra quelli che si recitavano del Sacro Corano” [38].

Ibn Majah ha narrato un altro hadith di ‘Aisha in cui si dice esplicitamente che i due versetti andarono perduti dopo la morte del Profeta (S). Si narra che ella disse: “I versetti della lapidazione e dei dieci allattamenti furono rivelati ed erano scritti in un foglio conservato sotto il mio letto. Quando il Messaggero di Dio morì, mentre noi eravamo affaccendati per la sua morte, entrò una capra e mangiò il foglio”[39].

Non occorre una notevole astuzia per comprendere come questa teoria dell’abrogazione della recitazione sia in questi casi inutile. Se una Sura o un versetto venivano recitati durante la vita del Profeta (S) e dopo andarono perduti, o perché i recitatori venivano uccisi in battaglia, o perché il versetto fu divorato da una capra, o per qualsiasi altra ragione, allora sorge la domanda: chi aveva il diritto di abrogare un versetto del Sacro Corano dopo la morte del Profeta (S)? Apparve qualche altro profeta dopo Muhammad (S)?

Fu per questo che Seyyed Kho’i disse:

“E’ chiaro che la teoria dell’abrogazione della recitazione (naskhat al-tilawah) è esattamente identica alla credenza nelle alterazioni ed omissioni nel Sacro Corano”[40].

Pertanto dobbiamo attenerci strettamente al giusto principio che qualunque hadith che sia in contrasto con il Sacro Corano debba esser scartato e “gettato contro una parete” se non può esser interpretato in maniera accettabile.

L’atteggiamento sciita

Consideriamo ora come gli sciiti risolvono il problema di questi hadith.

Innanzitutto gli sciiti non credono nell’infallibilità di nessuno scrittore, commentatore o narratore e, conseguentemente, non ritengono alcuna collezione di hadith perfetta e completamente corretta.

L’unico Libro completamente immune da qualsiasi errore è il Sacro Corano.

Esistono quattro antiche collezioni di hadith sciite chiamate Al-Kutub al-Arba’a (“I quattro libri”): Al-Kafi di Kulayni, Man la Yahdhuru al-Faqih di Saduq, Tahdhib al-Ahkam e Al-Istibsar di Tusi.

Anche se questi libri sono tenuti in grande considerazione, gli sciiti non li hanno mai chiamati “sihah” (perfetti); pertanto non si sentono vincolati verso nessun hadith solo perché riportato in una di queste quattro opere.

Al contrario, sottopongono gli hadith di questi libri a stretti controlli, così come i loro narratori (asnad), e valutano se un determinato hadith è conforme al Sacro Corano, ai detti accettati dagli Infallibili (A) ed ai fatti conosciuti.

Se un hadith supera queste severe prove, allora è accettato. In caso contrario viene nuovamente interpretato in una forma attendibile, non potendo accogliere ciò che è stato contestato precedentemente.

È opportuno rammentare che una parte inimmaginabile delle tradizioni riguardo al tahrif è difettosa e carente per quel concerne i suoi narratori.

Nonostante ciò, alcune di queste tradizioni possono esser utilizzate per evidenziare quanto accaduto con l’interpretazione errata di alcuni versetti e con l’attribuzione di falsi concetti. Un altro gruppo di tradizioni può essere facilmente interpretato menzionando le note esplicative inserite a margine dai compilatori.

Vi sono comunque molte tradizioni che non possono esser spiegate in alcun modo. E i nostri sapienti le hanno indubitabilmente rifiutate perché vanno contro il Sacro Corano e la Sunna, e sono in contrasto con l’’ijma’ della Ummah (consenso dei sapienti della comunità islamica), che attesta che non si è mai verificata omissione o aggiunta nel Sacro Corano.

Muhaqqiq al-Kalbasi ha detto: “Tutti queste narrazioni che parlano riguardo al tahrif vanno contro l’’ijma‘ della Ummah (ad eccezione di alcune persone insignificanti)”[41].

Il commentatore di Al-Wafiyah, Muhaqqiq al-Baghdadi, ha detto chiaramente, nel citare Muhaqqiq al-Karaki (che ha scritto un trattato completo su questo tema) che: “Le tradizioni che parlano delle omissioni devono essere reinterpretate o rifiutate. Qualsiasi tradizione che contraddice il Sacro Corano, la Sunnah riconosciuta e l’’ijma‘, deve esser scartata se non vi è possibilità di interpretazioni o spiegazioni giustificabili”[42].

Citiamo di seguito una tradizione riportata in Al-Kafi per dare un esempio pratico di ciò che intendiamo quando parliamo di reinterpretazione o spiegazione giustificabile: Abu ‘Abdillah (l’Imam al-Sadiq) (A) disse: “Il Sacro Corano che portò l’angelo Gabriele (a) a Muhammad (S) contiene 17.000 versetti[43].

Shaykh al-Saduq scrisse nel suo Kitab al-I’tiqadat ciò che dal mio punto di vista è sufficiente per una reinterpretazione di questo hadith. Dice:

“Diciamo che gran parte della Rivelazione che è discesa non fa parte del Sacro Corano; se ne facesse parte, la sua estensione indubbiamente arriverebbe a diciassettemila versetti. E questo, per esempio, vale per il detto di Gabriele (as) al Profeta (S): ‘Dio ti dice, o Muhammad, di trattare cordialmente le Mie creature, alla Mia stessa maniera”.

Segue citando molti di questi hadith qudsi[44] finché conclude dicendo: “Esistono molti di questi hadith qudsi i quali sono tutte rivelazioni, ma non fanno parte del Sacro Corano. Se ne avessero fatto parte, sicuramente sarebbero stati inclusi in esso, e non sarebbero stati esclusi”[45].

Se non si è preparati ad accettare questa spiegazione perché la tradizione parla di “Sacro Corano”, allora scarteremmo senza indugio questo hadith. Sebbene il numero fornito in questa tradizione (diciassettemila) sia molto più piccolo del numero fornito dal secondo Califfo (un milione e ventisettemila lettere)[46], è di gran lunga maggiore del numero reale dei versetti (seimiladuecentotrentasei)[47].

Questo è il metodo adottato dagli sciiti per risolvere il problema degli hadith riguardo il tahrif.

Chiunque studi con mente e cuore imparziali lo accetterà immediatamente come l’unica soluzione corretta riguardo a tali hadith, poiché è basato sul metodo formulato dal Profeta (S) ed espresso dall’Imam Ja’far al-Sadiq (A) nel modo seguente: “…E quello che è conforme al Libro di Dio, prendetelo; e quello che è contrario al Libro di Dio, abbandonatelo…”[48].

Perché l’Islam “americano” sfrutta tali tradizioni?

Come detto in precedenza, i nemici dell’Islam hanno avuto successo facendo circolare queste tradizioni anti-coraniche nel mondo islamico, attribuendole a famose personalità dell’Islam, ai Compagni del Profeta (S) così come alla sua Ahl al-Bayt (A); e gradualmente i musulmani, inconsciamente, accettarono e riportarono questi hadith non attendibili o inventati, nelle loro raccolte.

Nonostante ciò, i sapienti musulmani, sia sciiti che sunniti, non credono che vi sia alcuna alterazione, aggiunta o omissione nel Sacro Corano.

Nessun sapiente delle due parti è giunto ad accusare l’altra di credere nel tahrif del Sacro Corano.

Certo, talvolta in entrambi i gruppi sono comparsi studiosi che si sono dedicati a calunniare il gruppo opposto, senza capire che la presenza di un hadith in un libro non implica necessariamente che i seguaci di una parte lo reputino degno di fede. Ma queste tradizioni rimasero relegate nei libri e in genere non erano propagandate per il semplice motivo che nessuno vi credeva.

Le cose cambiarono improvvisamente nel febbraio del 1979, quando la nazione iraniana, sotto l’ineguagliabile guida dello scomparso Ayatullah al-‘Udhma Khomeyni (ra)[49], ebbe successo nel fondare il primo e vero governo islamico sulla terra, secoli dopo i giorni dell’Imam ‘Ali (A).

Se dalla Rivoluzione Iraniana fosse scaturito un governo satellite dell’Occidente o dell’Oriente, che ne seguiva la linea ideologica, sarebbe stato certamente approvato o quantomeno tollerato dagli auto-designatisi “Guardiani della democrazia”.

Ma, contrariamente al “buon senso” comune, si scelse di seguire la via dell’Islam. E, successivamente, si rilanciò lo slogan dell’Unità Islamica.

Essendo contro tutti gli “ismi” non islamici, e non inchinandosi verso nessuno al di fuori di Dio, l’Ayatullah al-‘Udhma Khomeyni (ra) e il governo iraniano ottennero un’incredibile popolarità fra la Ummah in tutto il mondo, dal Marocco alle Filippine, passando per l’Europa e l’America. Masse oppresse videro con i loro occhi che mani nude senza armi avevano sconfitto la più potente macchina da guerra del Medio Oriente. Ciò restituì speranza anche alle masse oppresse non-musulmane di nazioni come il Sudafrica.

Questo rapido diffondersi del “Khomeynismo” preoccupò molto gli Stati Uniti, i capi supremi delle “Tribù Occidentali”.

Essi cominciarono a combatter contro la Repubblica Islamica dell’Iran, mediante una guerra per procura, attraverso i mass-media e nei fori politici.

Su un altro fronte, persuasero i loro sottoposti in Arabia Saudita e in Kuwait che il richiamo all’Unità Islamica era un pericolo mortale per le loro corone. Al servizio dei loro padroni, i Wahabiti incominciarono una campagna intensiva di odio verso il “Khomeynismo”, l’Iran e la Shi’a.

Individui prezzolati iniziarono a produrre grandi quantità di libri, articoli e trattati contro la Shi’a, sostenendo che gli sciiti erano kafir[50], mushrik[51], che avevano un Sacro Corano differente, e che ritenevano il Libro Sacro dei musulmani alterato e incompleto.

Tra i più attivi vi furono Ihsan Illahi Zahir e Balighuddin in Pakistan e Mansur Ahmad Nu’mani e Abul Hasan ‘Ali Nadwi[52] in India. Il caso di Abul Hasan ‘Ali Nadwi è interessante.

Molto prima della Rivoluzione Islamica dell’Iran figurava come avvocato del Consiglio Legale del Personale Musulmano in India, con un sapiente sciita come vicepresidente.

In seguito ricevette dalla dinastia saudita il “Premio Feisal”. Non appena venne divulgato dall’Iran lo slogan “né Oriente né Occidente, l’Islam è la Via”, egli si allineò alle forze contrarie all’unità. In uno dei suoi libri antisciiti scrisse che gli sciiti non credevano nel Sacro Corano, sostenendo inoltre che per questo motivo tra gli stessi non esiste hafiz (memorizzatore) del Sacro Corano.

Raccontò che una volta, invitato in Iran, si recò a Qom, dove visitò la casa di un Grande Ayatullah. Il programma iniziava con la recitazione del Sacro Corano, e il figlio del Grande Ayatullah, lui stesso un ‘alim (sapiente religioso), postosi in piedi, aprì il Sacro Corano e ne recitò alcuni versetti.

Egli scrisse: “Nella nostra fede sunnita, perfino un bambino memorizza una o due piccole Sure, ma questo sapiente sciita non sapeva ricordare nemmeno queste. E questo perché gli sciiti non credono nel Sacro Corano”[53].

Chi si aspetterebbe argomenti tanto infantili da parte di una così grande personalità? Sembra di udire “la voce del padrone” scaturire dalla sua bocca e che egli usi come penna la spada del sionismo intinta nel sangue dei musulmani!

Un libro redatto da questi agenti può esser scritto in Urdu, Arabo o in qualsiasi altra lingua; ma nel giro di qualche mese sarà tradotto in quasi tutte le lingue del mondo islamico, e sarà di facile accesso e distribuito gratuitamente agli hujjaj[54]

È evidente che gli agenti dell’Islam “americano” agiscono così per indebolire l’Iran ed evitare che la Rivoluzione Islamica influenzi i “giovani Musulmani”, motivo ammesso dallo stesso Abul Hasan ‘Ali Nadvi nella prefazione di un libro.

È forse solo questo l’obiettivo dei loro padroni, i nemici giudeo-cristiani dell’Islam? Ovviamente no.

I manipolatori dell’Islam “americano” hanno riesumato alcune tradizioni sciite riguardo al tahrif, tradizioni dimenticate nei loro libri, con il proposito di spingere gli sciiti a pubblicare le stesse tradizioni rinvenute nei libri sunniti, facendo in tal modo sorgere dubbi nei musulmani sulla validità del Sacro Corano e facendo perdere loro la fede nell’Ultima Rivelazione, causando così la perdita dell’autorità dell’Islam.

Uno degli ‘ulama sciiti, Mirza Husayni Nuri (scomparso nel 1320 dell’Egira) scrisse un libro, “Fasl al-Kitab”, nel quale aveva riunito le tradizioni del tahrif dalle fonti sunnite, poi quelle dalle fonti sciite, e in ultimo aveva scritto la propria conclusione, contraria alla credenza sciita consolidata. Quasi contemporaneamente alla stampa di questo libro, comparve la sua confutazione, ed il libro, screditato, rimase dimenticato e sconosciuto anche nei circoli accademici sciiti.

Attualmente l’Islam “americano” ha ristampato questo libro, “Fasl al-Kitab”, omettendo il capitolo che riporta gli hadith delle fonti sunnite. Lo diffondono come “un libro sciita autentico” che dimostra come gli sciiti non abbiano fede nel Sacro Corano.

Se queste persone fossero oneste, avrebbero dovuto stampare integralmente il libro in modo che i loro padroni avrebbero potuto “dimostrare” che tutta l’Ummah islamica non crede nel Sacro Corano!!

Questa degradante polemica fornirà ai missionari cristiani armi e munizioni efficaci per scuotere la fede dei musulmani nel Sacro Corano. Sperano così che molti musulmani siano facilmente persuasi ad abbracciare il cristianesimo, e coloro che non si convertiranno non saranno comunque veri musulmani, non potendo più accettare un libro di cui dubitano.

Si dice che Gladstone[55] si alzò una volta nel Parlamento Britannico con una copia del Sacro Corano in mano dichiarando che finché i Musulmani avessero seguito questo Libro la Gran Bretagna non avrebbe potuto soggiogarli. Consigliò alla sua gente di utilizzare tutti gli artifici necessari per minare la profonda fede che i musulmani ripongono nel Sacro Corano.

La strategia del kufr ebbe successo in Turchia, Egitto, Tunisia, Algeria e in molti altri cosiddetti paesi islamici, dove venne creata una nuova generazione di musulmani che sembravano allergici all’Islam ed al Sacro Corano. Ebbero quasi lo stesso successo in Iran, grazie al regime Pahlavi. Ma il piano fallì grazie alle autorità religiose guidate dallo scomparso Ayatullah al-‘Udhma Khomeyni e alla religiosità della nazione iraniana.

Ora i nemici dell’Islam stanno utilizzando questa propaganda del tahrif per raggiungere il loro obiettivo.

Questo è quello che essi hanno progettato. Ma Dio dice:

“Essi vogliono estinguere la luce di Dio con le loro bocche, ma Dio certamente perfezionerà la Sua Luce, a dispetto dei miscredenti.” (Sacro Corano, Sura Al-Saff, 61: 8)

 .

NOTE

[1] Cfr. Sacro Corano: 17:88, 11:13, 10:38. (N.d.T.)

[2] (ĥadīth, pl. aĥādīth). Letteralmente significa “enunciazione”. Nel linguaggio tecnico delle scienze islamiche si usa in riferimento alle tradizioni del Profeta (S) e degli Imam dell’Ahl al-Bayt (A). È attraverso lo studio degli hadith che i giuristi islamici deducono la Sunna la quale, per sua definizione, consiste nei detti, negli atti e nell’approvazione tacita di un Infallibile.

[3]Al-Tabarsi, Al-Ihtijaj, vol. 1 (Najaf: Darun-Numan, 1966), pp. 358-384.

[4]Si noti la tripla enfasi della clausola nominale (al-jumlat al-ismiyyah), di inna e di lam al-ta’kid.

[5] Ad esempio 2:2; 3:3; 3:7; 3:164; 4:105; 4:113; 4:136; 4:140; 5:15; 5:48; 6:38; 6:59; 7:52; 7:170; 16:89; 27:1; 41:41. (N.d.T.)

[6] Un hadith è definito mutawatir quando è stato trasmesso da un numero talmente elevato di catene di trasmissione differenti che sarebbe stato impossibile per tutti i trasmettitori concordare su una fabbricazione. (N.d.T.)

[7] Sahih Muslim, vol. 4 (Beirut, seconda edizione, 1972), p. 1873. Questo hadìth è stato narrato da più di venti Compagni. Cfr. anche: Musnad Ahmad ibn Hanbal, vol. 3, pp. 14, 17, 26, 59; vol. 4, pp. 366, 371; vol. 5, pp. 182, 189. Sahih al-Tirmidhi, vol. 3 (cap. “Manaqib Ahl al-bayt”), p. 200-202.

[8] Sahih Bukhari, vol. 3 (Beirut, 1° edizione 1955/1375), p. 1295. Bukhari ha riportato questa tradizione quattro volte. Cfr. Sahih Bukhari (Cairo: 1958), vol. 1 (“Kitab al-‘ilm: bab kitab al-‘ilm”), p. 39; vol. 6 (“Bab kitab al-Nabi ila Kasra wa Qaysar”), pp. 11-12; vol. 7 (“Kitab al-tibb; bab qawlil marid Qumu anni”) pp. 155-156; vol. 9 (“Kitab al-itisam bil Kitab wa al-Sunnah: bab karahiyyat al-khilaf”), pag. 137. In italiano esiste una traduzione parziale del Sahih Muslim edita dalla Utet nel 2009 con il titolo “Detti e fatti del Profeta dell’Islam”, dove, a pag. 710, è riportato l’hadìth in questione. (N.d.T.)

[9] Il mujtahid è colui che pratica l’ijtihad e può essere di due tipi: mujtahid assoluto oppure mujtahid parziale. Il primo può emettere giudizi in tutti i campi della giurisprudenza, mentre il secondo lo può fare solo in determinati campi. In breve si tratta di colui che possiede la competenza e la qualificazione (ijtihad) di dedurre le leggi della shari’ah islamica dalle sue stesse fonti. (N.d.T.)

[10] L’Ayatullah al-‘Udhma Seyyed Al-Kho’i è nato il 19 novembre 1899 (15 Rajab 1317) a Khoei, nell’Azerbaijan iraniano ed è morto l’8 agosto 1992 (8 Safar 1413) in Iraq. Viene definito dall’autore “il grande insegnante dei mujtahid” in quanto dedicò tutta la sua vita all’insegnamento presso la Hawzah al-‘Ilmiyyah di Najaf, dove fu insegnante di Dars al-Kharij [corsi e studi prevalentemente inerenti alle discipline giuridiche, di alto livello, all’interno della Hawzah al-‘Ilmiyyah. In genere lo studente inizia gli studi nel livello preliminare (muqaddimat) dove apprende le varie scienze inerenti alla lingua araba, la logica, il sacro Corano, la dottrina e l’etica. Dopodiché passa al livello intermedio (sutuh) dove si studiano i testi classici di teologia, giurisprudenza, principi di giurisprudenza e filosofia. Infine lo studente accede al livello avanzato, quello del bahth al-kharij, dove non si segue più un libro specifico ma si tende a far sviluppare le capacità di ricerca in maniera critica e indipendente] per più di cinquant’anni ed insegnò ad oltre diecimila mujtahid. (N.d.T.)

[11] Kho’i, Al-Bayan fi Tafsir al-Qur’an (Kuwait, 1399/1979), pag. 271. Il testo è stato tradotto anche in lingua inglese con il titolo The Prolegomena to the Qur’an (Qom, Ansariyan publications, 2000)

[12] Al-Saduq, Kitab al-I’tiqadat (Tehran: 1370 AH), pag. 63. Cfr. anche la sua traduzione in lingua inglese The Shi’ite Creed (Calcutta, 1942), pag. 85.

[13] Termine con cui si indicano significati quali ribellione, sovversione, sedizione, discordia, corruzione, guerra civile, rivolta. (N.d.T.)

[14] Shaykh ‘Abbas al-Qummi, Safinat al-Bihar, vol. 2, pag. 474. Innumerevoli hadith al riguardo sono presenti nelle opere di entrambe le scuole, incluso il Sahih Bukhari, vol. 1 (Kitab al-‘ilm: bab ith man kadhiba ‘ala al-Nabi), p. 38.

[15] Nahj al-Balaghah, vol. 2 (Tehran: WOFIS, 1978), pp. 453-454.

[16] Ibn Abil-Hadid, Sharh Nahj al-Balaghah, (Cairo: Dar al-Ihya’ al-Kutub al-‘Arabiyah), vol. 1, pp. 44-46.

[17] Ibn Abil-Hadid, Sharh Nahj al-Balaghah, (Cairo: Dar al-Ihya’ al-Kutub al-‘Arabiyah), vol. 4, p. 63.

[18] Ibn Abil-Hadid, Sharh Nahj al-Balaghah, (Cairo: Dar al-Ihya’ al-Kutub al-‘Arabiyah), vol. 4, p. 73.

[19] Nel linguaggio tecnico delle scienze islamiche con il termine “al-maghazi” vengono indicate quelle opere descriventi le vicende inerenti alle battaglie avvenute durante il primo periodo islamico.

[20] Al-Bayan, p. 37; Ahmad Amin, Fajr al-Islam, p. 215.

[21] Al-Tabari, Tarikh al-Tabari, vol. 6 (Beirut: Muassasat al-A’lami), p. 299; Ibn al-Athir Tarikh al-Kamil, vol. 5 (Dar al-Kutub al-‘Arabi, 1985) p. 39

[22] Al-Suyuti, Al-Durr al-Manthur, vol. 5, pp.179-180: Al-Suyuti, Al-Itqan, vol. 2, p. 25.

[23]  Al-Bukhari, Al-Tarikh, secondo quanto citato da Suyuti nei libri precedenti.

[24] Az-Zamakhshari, Tafsir al-Kashshaf, vol. 2, (Calcutta,: Lees. 1856), p. 1117; Mulla Ali al-Muttaqi, Kanz al-‘Ummal.

[25] Al-Suyuti, Al-Durr al-Manthur, vol. 5, p. 179.

[26] Si tratta di un presunto “versetto” che avrebbe contenuto esplicitamente la punizione per chi avesse commesso zina’ (rapporti sessuali al di fuori del vincolo matrimoniale), e cioè la lapidazione. Per ulteriori informazioni, confrontare Sahih al-Bukhari, vol. 4, p. 179, 265; Sahih Muslim, vol. 3, p. 1317; Musnad Ahmad bin Hanbal, vol. 1 (Beirut: al-Maktab al-Islami, 1969), p. 40; Sunan Ibn Majah, vol. 2 (edizione del Cairo), p. 853; Muwatta dell’Imam Malik, vol. p. 623. (N.d.T.)

[27] Al-Suyuti, “Al-Durr al-Manthur”, vol. 3, p. 208; Al-Itqan, vol. 2, p. 26; Al-Hakim al-Nishapuri, Al-Mustadrak ‘ala al-Sahihayn, vol. 2 (Hyderabad: Dairat al-Ma’arif, 1340 AH), p. 331.

[28] Al-Suyuti, Al-Itqan, vol. 1, p. 65.

[29] Al-Suyuti, Al-Itqan, vol. 1, p. 65.

[30] Al-Suyuti, Al-Itqan, vol. 1, pp. 25-26.

[31] Al-Suyuti, Al-Durr al-Manthur, vol. 1, p. 105; Ibn al-Athir, Jami’ al-Usul, vol. 3 (Egitto; 1370 AH), p. 8, hadith n. 904.

[32] Musabbihat sono le Sura che iniziano con le parole yusabbih o sabbih.

[33] Jami’ al-Usul, vol. 3, p. 8.

[34] Al-Suyuti, Al-Itqan, vol. 2, p. 70.

[35] Al-Suyuti, Al-Itqan, vol. 2, p. 25; Al-Durr al-Manthur, vol. 1, p. 106.

[36] Per dettagli, cfr. Mir Hamid Husain al-Musawi al-Hindi, Istiqsaul-Ifham, vol. 2, alla sezione del tahrif del Sacro Corano.

[37] Per il “versetto” della lapidazione, cfr. Sahih al-Bukhari, vol. 4, p. 179, 265; Sahih Muslim, vol. 3, p. 1317; Musnad Ahmad bin Hanbal, vol. 1 (Beirut: al-Maktab al-Islami, 1969), p. 40; Sunan Ibn Majah, vol. 2 (edizione del Cairo), p. 853; Muwatta dell’Imam Malik, vol. p. 623. Per il “versetto” dell’allattamento cfr. Sahih Muslim, vol. 4, p. 167; Al-Durr al-Manthur”, vol. 2, p. 135.

[38] Al-Durr al-Manthur, vol. 2, p. 135; Sahih Muslim, vol. 4, p. 167; Al-Durr al-Manthur, vol. 2, p. 135.

[39] Musnad Ahmad bin Hanbal, vol. 6, p. 269; Sunan Ibn Majah, p. 626; Ibn Qutaybah, Tawil Mukhtalaf al-Hadith (Cairo: Maktab al-Kulliyat al-Azhariyyah, 1966), p. 310; “Al-Durr al-Manhtur”, vol. 2, p. 13.

[40]Al-Bayan”, p. 224.

[41] Citato in Al-Bayan, p. 253.

[42] Citato in Al-Bayan, p. 253.

[43] Al-Kulayni, Al-Kafi, vol. 2 (Tehran: al-Marba’a al-Islamiyya, 1388), p. 463.

[44] Hadith qudsi: letteralmente “enunciazione sacra”. Un “Hadith qudsi” è un detto proveniente direttamente da Dio, ma espresso attraverso le parole del Profeta (S) o di un Imam dell’Ahl al-Bayt, non facente quindi parte della rivelazione coranica.

[45]  Al-Saduq, Kitab al-I’tiqadar, p. 63-65.

[46]  Al-Suyuti, Al-Itqan, vol. 2, p. 70.

[47] Cfr. Mamad Ruhani, Al-Mu’jam al-Ihsa’i (Mashhad, 1990), p. 168. Coloro che non si prendono la briga di contare, continuano a scrivere che ci sono 6.666 versetti nel Sacro Corano. Questo è un esempio molto tragico della negligenza dei musulmani verso il Sacro Libro.

[48] Al-Hurr al-‘Amili, Wasa’il al-Shi’a”, vol. 3 (Kitab al-qadha: bab wujuh al-jam’ bayn al-ahadith al-mukhtalifah), p. 380.

[49] (ra), abbreviazione dell’eulologia “Rahmat-Ullahi ‘alayhi”: “Che la Misericordia di Dio sia su di lui”. (N.d.T.)

[50] Il termine “kafir” (che al plurale può assumere una delle seguenti forme: kafirun, kuffar, kafarah e kifar), in lingua italiana viene correntemente tradotto con “miscredente”, ed indica generalmente qualsiasi persona priva di fede islamica. E perciò detto kafir sia l’individuo miscredente nato da genitori miscredenti, che il musulmano apostata.

Kafir” deriva dalla radice «kafara-yakfuru-kufr», che nel lessico arabo assume il significato di “nascondere”, “coprire”; cosicché, quando si dice che la notte è “kafir”, s’intende che essa nasconde e copre ogni cosa con le sue tenebre; descriviamo altresì il contadino con l’aggettivo kafir (zarra’-un kafirun) poiché esso pianta e nasconde il seme nella terra, lo copre con essa.

Nel celebre lessico coranico “Mufradat  Alfaz al-Qur’an” del Raqib al-Isfahani, sotto la voce “kafara”, leggiamo: «…E kufru al-ni’mah e kufranu-ha significa coprire, velare, nascondere la “ni’mah” [dono, grazia, beneficio] trascurando d’esserne grati: “…nessuna ingratitudine per il suo sforzo…” (Al-Anbiya’, 94). E il supremo kufr è il rifiuto della Wahdaniyyah [Unicità Divina], della Shari’ah [Sharia] e della Nubuwwah [Profezia]…»

[51] Il termine “mushrik” (pl. mushrikun), nome d’agente del verbo «ashraka-yushriku-ishrak», in lingua italiana viene correntemente tradotto con “politeista”, e viene generalmente usato per indicare qualsiasi individuo che crede in più dèi, e più precisamente indica ogni individuo che attribuisce pari all’unico Dio esistente, che crede nell’esistenza di esseri pari e simili a Lui.

Nel già citato celebre lessico coranico “Mufradat Alfaz al-Qur’an” del Raqib Al-Isfahani, sotto la voce “sharaka”, leggiamo: «…Lo shirk [attribuire pari al Dio Unico] dell’essere umano, nella fede, può essere di due tipi:

  1. I) Lo “Shirk Maggiore” (al-shirk al-‘azim), che consiste nell’affermare l’esistenza di esseri pari e simili a Dio…
  2. II) Lo “Shirk Minore” (al-shirk al-saghir), che consiste nel considerare, oltre a Dio, in alcune cose, altri diversi da Lui; esempi di shirk minore sono l’ostentazione (riya’) e l’ipocrisia (nifaq)…

[52] Scomparso nel 1994.

[53] In realtà lo studio delle scienze coraniche e dell’esegesi del Corano nel mondo sciita è assai vasto e spesso tocca punti mai esplorati in seno alle altre scuole come viene testimoniato dal celeberrimo al-Mizan fi-Tafsir al-Qur’an dell’’Allamah Tabataba’i o dal Tafsir Tasnim dell’Ayatullah Jawadi Amuli. Si ricordi inoltre che la memorizzazione dell’intero Corano sin dalla tenera età di quattro o cinque anni continua tutt’oggi ad essere una pratica comune tra le famiglie sciite più religiose. (N.d.T.)

[54] Coloro che compiono il Pellegrinaggio alla Mecca.

[55] William Ewart Gladstone, statista inglese, (1809-1898), fervente cristiano anglicano e primo ministro britannico per ben quattro volte (1868-1874, 1880-1885, 1886, 1892-1894) in piena epoca colonialista vittoriana. (N.d.T.)

Traduzione a cura di Islamshia.org © E’ autorizzata la riproduzione citando la fonte

Writer : shervin | 0 Comments | Category : La scuola dell’Ahlul-Bayt , Sacro Corano

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