Uno sguardo generale ai riti islamici (Ayatullah Sayyid M.B. Sadr)

Uno sguardo generale ai riti islamici

Ayatullah Sayyid Muhammad Baqir Sadr

In occasione dell’anniversario del martirio di una delle principali autorità religiose contemporanee, l’Ayatullah Sayyid Muhammad Baqir Sadr, presentiamo questo suo breve ma importante saggio sull’importanza e la funzione dei riti nell’Islam. Il martire Sadr venne assassinato in modo efferato da agenti del regime di Saddam, insieme alla sua nobile sorella Bint al-Huda, nella città santa di Najaf, il 9 aprile 1980.

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I riti (‘ibadât) svolgono un ruolo di primaria importanza nell’Islam. Le Leggi che li regolano formano una parte importante della giurisprudenza islamica, ed essi sono la caratteristica costante della vita quotidiana di ogni musulmano praticante.

I riti non sono soggetti all’influenza delle condizioni ambientali, come avviene invece per altri aspetti della Legge Sacra – ad esempio le norme che regolano le transazioni commerciali – più flessibili e condizionati dallo stadio di sviluppo della società civile. Nell’era spaziale gli uomini compiono la Preghiera rituale, digiunano e si recano al Pellegrinaggio esattamente come nell’era preindustriale.

Senza dubbio possono esservi delle variazioni nella preparazione pratica al compimento dei riti. È possibile recarsi al Pellegrinaggio con l’aereo invece che con il cammello. Egualmente, nel compiere la Preghiera è possibile indossare abiti prodotti industrialmente invece di abiti tessuti a mano. Ma le regole generali relative al compimento di tali riti non sono influenzate dallo sviluppo del dominio dell’uomo sulla terra, né dal cambiamento dei modi di vita.

Ciò significa che la Preghiera, la decima (Zakah), il digiuno (Siyyam) ed il Pellegrinaggio (Hajj) non sono prescritti come misure temporanee, né come condizioni relative soltanto ai primi secoli dell’era islamica. Questi riti sono obbligatori per l’uomo che opera mediante l’energia atomica come lo erano per colui che coltivava la terra con le proprie mani.

Ciò dipende dal fatto che l’uomo sente una tendenza innata a compiere i riti, indipendente dal grado di sviluppo e di complessità della società in cui vive. Sorge pertanto il seguente interrogativo: la necessità per l’uomo di essere guidato nei suoi atti dalla Legge divina può essere considerata effettiva? I riti continuano a giocare un ruolo primario nella vita dell’uomo contemporaneo?

A prima vista può sembrare che tale necessità non sia basata sulla ragione. Se confrontiamo la vita dell’uomo contemporaneo con quella dell’uomo dei tempi antichi, vediamo che la maniera di risolvere i suoi problemi vitali è stata soggetta ad un costante cambiamento che ha reso assai diverse le esigenze dei contemporanei rispetto a quelle della società tribale in cui fu rivelata l’ultima Legislazione divina. In conseguenza di ciò, cambia anche il modo di intendere le necessità dell’uomo. In tali circostanze, come possono i riti – con il loro complesso sistema di regole fisse – giocare un ruolo positivo entro un arco di tempo così vasto, durante il quale i modi di vivere hanno subito un notevole cambiamento? Se riti quali la Preghiera, l’abluzione minore e maggiore e il digiuno erano utili alla vita dei beduini e contribuivano a raffinare il loro carattere, rendendoli avvezzi a preservare la pulizia del corpo e a non esagerare nel mangiare e nel bere, questi riti non sono più necessari all’uomo moderno, in quanto egli è in grado di raggiungere questi stessi obiettivi con metodi di natura differente. I riti al giorno d’oggi non sono più così necessari come lo erano nel passato, non dovendo più giocare alcun ruolo nell’edificazione della cultura umana e nella definizione di relazioni culturali.

Tali nozioni sono errate. Il passaggio dal lavoro manuale a quello industriale comporta un cambiamento soltanto nel rapporto fra l’uomo e la natura, ed influenza l’aspetto materiale di tale relazione. L’agricoltura – ad esempio – rappresenta la relazione fra il suolo ed il coltivatore. La forma e la sostanza di tale relazione variano in ragione dell’applicazione di nuove tecnologie. Per quanto attiene invece i riti, essi non rappresentano una relazione fra l’uomo e la natura, e pertanto non sono influenzati dallo sviluppo delle condizioni materiali di esistenza. Essi si riferiscono invece al rapporto fra l’uomo e il suo Signore, e giocano un ruolo importante nel determinare le relazioni degli uomini fra loro. Rispetto a questi due tipi di relazione, l’uomo ha esigenze che sono rimaste immutate nel corso della storia, tanto nell’epoca delle lampade ad olio che in quella della luce elettrica. La Legislazione islamica relativa ai riti rappresenta la soluzione immutabile a quelle esigenze che non sono di natura transitoria, ma si riscontrano costantemente nei suoi interessi individuali, culturali e sociali. Per chiarire meglio l’argomento, menzioneremo alcuni problemi umani di natura permanente, nella soluzione dei quali il compimento dei riti gioca un ruolo decisivo.

Essi sono:

1) La necessità di sentirsi in relazione con l’Assoluto.

2) La necessità della soggettività dello scopo e di autosacrificio.

3) La necessità di sentire il senso di responsabilità.

Occupiamocene ora in dettaglio:

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1) La necessità di sentirsi in relazione con l’Assoluto

I riti sono una dimostrazione pratica del fatto che l’uomo avverte l’esigenza di porsi in relazione con il suo Signore. A questo riguardo, possono insorgere due interrogativi:

a) Per quanto attiene al progresso della società, che vantaggi concreti ottiene l’uomo dalla sua relazione con il Signore? E se tale vantaggio esiste, ha una natura permanente, oppure soltanto relativa a circostanze particolari?

b) In che modo i riti contribuiscono a rafforzare la relazione con Dio?

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A – Il legame con l’Assoluto comporta un duplice problema

Guardando alla storia dei differenti periodi della civiltà umana, scopriamo che sebbene tale problema abbia assunto forme molteplici, possiamo scomporlo secondo una duplice polarità. Da un lato vi è infatti la non-devozione, che rappresenta il polo negativo, dall’altro – a rappresentare il polo positivo – vi è l’eccesso di devozione che trasforma le verità relative in assolute. La prima di queste tendenze è chiamata ateismo, la seconda politeismo, panteismo o idolatria. L’Islam si oppone nettamente ad entrambe.

Queste due tendenze paralizzano lo sviluppo dell’uomo e della sua civiltà. Non avendo una meta definitiva, l’ateo assomiglia all’uomo decaduto allo stato di barbarie; non avendo una relazione con l’Assoluto, non può determinare la sua collocazione nell’Universo, né ricorrere all’aiuto di un Essere Superiore.

È influenzato dai fattori esterni, ma non è in grado di influenzarli. I contributi positivi allo sviluppo della civiltà umana sono sempre venuti da uomini che riconoscevano l’esigenza della comunione con l’Assoluto.

Talvolta però, tale relazione può degenerare per eccesso. L’uomo si è sempre trovato di fronte a tale problema. Per mancanza di conoscenza, la sua adorazione degenera e travalica le forme in cui essa risulta appropriata. Dal momento che la Realtà divina manifesta la Sua potenza entro tutti i fenomeni naturali, l’uomo può essere portato ad errare, ritenendo che tali manifestazioni, contingenti quanto alla loro natura, assolute quanto alla Volontà che in esse si epifanizza, siano altrettante divinità. Dice Dio l’Altissimo nel Sacro Corano: «Non accostare ad Allah un’altra divinità, ché saresti bandito e reietto». (Suratu ‘l-Isra‘, 17:22).

Ciò si applica a tutti gli idoli forgiati dal pensiero umano, sia nei tempi antichi che al presente. Dalla tribù alla scienza, vediamo che l’uomo tende a deificare realtà contingenti, paralizzando in tal modo le sue possibilità di sviluppo.

Il beduino era devoto alla sua tribù, in quanto ciò era richiesto dalle condizioni dell’ambiente in cui viveva; ciò fu però portato all’estremo, sino al punto in cui egli non poteva vedere le cose se non entro l’ottica del suo interesse tribale. Questo legame esclusivo si rivelò di ostacolo allo sviluppo della società.

L’uomo moderno è devoto alla scienza, in quanto essa gli ha fornito i mezzi che gli permettono di dominare la natura. Ma anche in tal caso ha oltrepassato i limiti, facendo della scienza una realtà assoluta. La scienza è divenuta per lui una divinità, al punto che si rifiuta di credere a qualsiasi verità che non possa essere misurata in metri o osservata col microscopio.

Qualsiasi realtà contingente, se convertita in assoluta, finisce per ottenebrare il pensiero e paralizzare le potenzialità di sviluppo dell’uomo.

La fede nell’Assoluto è essenziale per lo sviluppo della civiltà umana, ma l’Assoluto in questione deve essere realmente tale, in grado di conoscere e di dirigere tutti gli atti dell’uomo. In vista di ciò è necessario abbattere gli idoli ed i falsi dèi che intralciano il nostro cammino. In tal modo è possibile risolvere il problema.

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B – La fede in Dio è la soluzione

La soluzione offerta all’uomo dalla Legge divina è la fede in Dio, l’Assoluto che può guidare senza ostacolo l’uomo al raggiungimento della sua meta. La fede in Dio include l’aspetto negativo del problema. Essa rigetta l’ateismo, ed affida all’uomo una posizione di elevata responsabilità, caratterizzandolo come Luogotenente (Khalifah) di Dio sulla terra. Tale luogotenenza implica il fatto che egli è responsabile innanzi ad Dio, e che a Lui dovrà render conto delle sue azioni. Tutte le sue azioni debbono pertanto conformarsi alla Sua Legge.

La fede in Dio affronta anche l’aspetto positivo del problema, cioè l’eccesso nell’adorazione.

Questo aspetto del problema risulta da un processo di sublimazione mentale, mediante il quale il relativo è erroneamente colto come assoluto. Il concetto di Assoluto implicito nella fede in Dio non è il frutto dell’immaginazione umana, né può essere usato da una casta di oppressori allo scopo di difendere e stabilizzare i suoi privilegi. Esso descrive l’uomo come un essere dalle aspirazioni elevate, come vicario di Dio in terra, intelligente, sapiente, potente e libero. Il viaggio verso Dio si effettua gradualmente, e raggiunge il suo culmine con l’Incontro.

Dice il Sacro Corano: «O uomo che aneli al tuo Signore, tu Lo incontrerai». (Suratu ‘l-Inshiqaq, 84:6). Da tale lotta risulta l’acquisizione di qualità come intelligenza, sapienza, potenza giustizia, ecc., per via di partecipazione ai corrispondenti Attributi divini. Il viaggio verso l’Assoluto, Onnisciente, Onnipotente e Giusto, comporta la lotta contro ogni forma di ignoranza, debolezza ed ingiustizia.

È necessario mantenere la discriminazione fra i mezzi del viaggio e la sua Meta, affinché ogni passo verso tale direzione non rischi di degenerare in idolatria. Dice il Sacro Corano: «E chi s’impegna, è per se stesso che lo fa. Che in verità Allah basta a Se Stesso, non ha bisogno del creato» (Sura al-Ankabut, 29: 6) e altresì: «Chi ne è ben diretto, lo fa per se stesso, chi svia si svia a suo danno». (Suratu ‘l-Zumar, 39: 41).

Al contrario, i falsi dèi creati dall’immaginazione umana non sono in grado di soddisfare le aspirazioni dell’uomo allo sviluppo delle sue possibilità di esistenza. Essendo un prodotto, dell’immaginazione, dell’oppressione o del bisogno, essi sono organicamente connessi a debolezza ed ingiustizia. Non è pertanto possibile che siano di qualche aiuto nella lotta contro tali mali.

L’adorazione di Dio, l’Altissimo, l’Onnipotente, in grado di guidare l’uomo al perfezionamento delle sue possibilità di esistenza, comporta il totale rifiuto di tutte le divinità immaginarie, e la lotta costante contro ogni forma di idolatria. Dice il Sacro

Corano: «Quanto a coloro che sono miscredenti, le loro opere sono come un miraggio in una piana desertica che l’assetato scambia per acqua e poi, quando vi giunge, non trova nulla; anzi, nei pressi trova Allah che gli salda il conto. Allah è rapido al conto. Non adorate all’infuori di Lui altro che nomi che voi e i vostri avi avete inventato, e a proposito dei quali Allah non ha fatto scendere nessuna prova. ». (Suratu ‘n-Nur, 24: 39-40).

«Questi è Allah, il vostro Signore: appartiene a Lui la sovranità, mentre coloro che invocate all’infuori di Lui non posseggono neppure una pellicola di seme di dattero». (Suratu ‘l-Fatir, detta anche al-Mala’ikah, 35:13).

Vediamo pertanto come la testimonianza «La ilaha illa ‘Llah» connette il viaggio verso l’Assoluto al rifiuto dei falsi assoluti. La storia conferma che il riconoscimento della sovranità di Dio ed il rifiuto dei falsi dèi sono intimamente vincolati, essendo due aspetti della stessa verità, cui è indispensabile attenersi in ogni fase del viaggio. Soltanto tale verità è in grado di rimuovere gli ostacoli che si incontrano lungo il cammino.

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C – Espressione pratica

In base alla stessa legge naturale che permette all’uomo di sviluppare nel corso della sua vita l’insieme delle sue possibilità di esistenza, l’uomo è legato all’Assoluto; da Esso dipende il suo benessere. Non vi è esperienza umana più intensa e di più ampia portata di quella che proviene dalla fede. Nessuno stadio della civiltà umana si è mai sviluppato in assenza di fede. Le forme ed i gradi di tale fede possono essere mutati con il trascorrere dei secoli, eppure è dimostrato che la tendenza a ricercare l’Assoluto di là dai limiti dei fenomeni contingenti è un istinto naturale dell’uomo.

La mera esistenza della fede istintiva non è tuttavia sufficiente. Come ogni altro istinto o tendenza naturale, essa può essere sviluppata mediante una corretta applicazione, oppure vanificata o soffocata. Nella natura umana esistono i semi della Clemenza e della Misericordia, ma essi vengono paralizzati e si estinguono per via dei comportamenti negativi, mentre crescono e si sviluppano con la difesa dei diritti dei poveri e degli oppressi.

Pertanto, onde consolidare la fede in Dio e rafforzare la tendenza naturale alla ricerca dell’Assoluto, è necessario che tale coscienza venga guidata. Tale guida si esprime in forma di uno specifico modello comportamentale, conforme alle potenzialità della natura umana.

In assenza di guida appropriata, la coscienza religiosa può facilmente deviare dal Retto Sentiero, come già è accaduto molte volte nel corso della storia. In assenza di un preciso modello di condotta, essa perde gradualmente la sua forza e le sue potenzialità.

Soltanto la religione fondata sul principio «La ilaha illa ‘Llah» – in cui sono ricomprese sia l’affermazione che la negazione – può fornire la vera guida.

I riti, essendo l’applicazione pratica della fede, rafforzano la coscienza religiosa e la radicano sempre più in profondità nella vita dell’uomo.

Vogliamo sottolineare come i riti, essendo una dimostrazione pratica del legame fra il servitore (‘abd) ed il Signore (Rabb), includono anch’essi affermazione e negazione, in quanto, nel riconnettersi al suo Signore, il servitore dimostra di rifiutare totalmente i falsi assoluti. Quando egli inizia la Preghiera rituale dicendo «Allah Akbar» (Dio è più grande), egli manifesta tale rifiuto. Esso è inoltre reso evidente ogni volta che – nel corso della Preghiera – il servo testimonia che il Profeta (S) è il servitore di Dio ed il suo Inviato, ed ogni volta che – compiendo il digiuno – sfida le sue passioni astenendosi dalle cose lecite da cui dipende il suo sostentamento.

Quanto alla loro applicazione pratica, tali riti furono compiuti dal Profeta (S) e dagli Imam Immacolati (as) allo scopo di educare i Musulmani di tutte le generazioni. Le loro Preghiere instillano nei cuori dei Musulmani la consapevolezza della falsità e delle vanità delle forze del male, dell’impotenza delle false divinità frutto dell’immaginazione umana. I musulmani che seguirono l’esempio del Profeta (S) e degli Imam (as) non si prostrano mai innanzi ai potenti della terra.

Vediamo pertanto che l’adorazione è un’esigenza costante della vita dell’uomo, ed è essenziale al suo sviluppo. Egli non può progredire senza cercare l’aiuto di un Assoluto, e l’Unico Assoluto che può guidarlo nel suo viaggio è Dio l’Onnipotente. I falsi assoluti, in un modo o nell’altro, finiscono invece per paralizzare la sua evoluzione. La comunione con l’Assoluto non può esistere in assenza della sua espressione pratica mediante i riti. Per questo motivo possiamo affermare che il rito deve ritenersi necessario.

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2) Oggettività dello scopo e autosacrificio

In ogni epoca storica ed in ogni paese, l’uomo possiede molti interessi, la cui realizzazione richiede un certo grado di impegno e di sforzo. Malgrado la loro diversa natura, e la varietà dei mezzi con cui possono essere realizzati, gli interessi dell’uomo possono essere suddivisi in due categorie: quelli che risultano a vantaggio di colui che agisce per realizzarli, e quelli che giovano a qualcuno diverso da colui che tende ad attuarli, dalla sua famiglia o dalla comunità cui egli appartiene.

La seconda categoria comprende anche quegli obiettivi che richiedono sforzi prolungati e combinati.

L’uomo è motivato ad agire per la realizzazione del primo tipo di interessi principalmente da finalità individuali. È incentivato ad agire soltanto finché è in grado di raccogliere il frutto del suo operato.

Le motivazioni individuali non sono invece sufficienti a persuadere qualcuno ad impegnarsi in vista della realizzazione del secondo tipo di interessi, quelli che non lo concernono direttamente. In tali casi infatti, egli deve spesso affrontare ostacoli e difficoltà molto più grandi del beneficio individuale che da essi potrebbe trarre. Perciò l’uomo è stato addestrato a raggiungere una obiettività di scopo ed a trascendere i suoi interessi individuali. In altre parole, all’uomo è stato insegnato ad agire per amore di un obiettivo, prescindendo dai suoi bisogni individuali. Tale insegnamento è necessario tanto per l’uomo dell’era elettronica e spaziale, quanto per quello che combatteva con la spada e viaggiava a dorso di cammello. Entrambi si trovano infatti di fronte a situazioni che richiedono dimostrazioni di autosacrificio ed altruismo. Spesso dobbiamo seminare dei semi dei quali non vedremo i frutti; pertanto dobbiamo apprendere ad applicare una parte dei nostri sforzi ai bisogni altrui.

I riti giocano un ruolo essenziale in tale addestramento, in quanto vengono compiuti esclusivamente per amore di Dio. Nel caso in cui vengono compiuti soltanto per ostentazione o per ragioni sociali, perdono ogni validità e sono considerati proibiti. L’adoratore deve compiere i suoi riti soltanto sulla via di Dio (fi sabili ‘Llah) ed allo scopo di compiacerLo. Ciò deve essere compiuto con devozione, purezza, sincerità e senso di responsabilità.

L’espressione «sulla via di Dio» include la nozione di servizio dell’umanità. Un atto compiuto per amore di Dio è al contempo un atto compiuto con amore verso le Sue creature. Dio è Autosussistente (Samad), nel senso che non dipende da alcuno all’infuori di Lui, è Illimitato, né è connesso in modo particolare ad un gruppo o ad un popolo. Da un punto di vista pratico, la Sua via è la via dell’intera umanità. Agire per amore di Dio significa agire per amore degli uomini ed in vista del loro benessere.

L’uso islamico dell’espressione «sulla via di Dio» possiede il senso di «per il bene degli uomini». Secondo la Legislazione una quota della Zakah deve essere investita «sulla via di Allah», vale a dire a beneficio degli uomini. Allo stesso modo, l’Islam impone ai Musulmani di combattere sulla via di Dio, vale a dire in difesa degli oppressi. Dice Dio, l’Altissimo nel Sacro Corano: «Perché mai non combattete per la causa di Allah e dei più deboli tra gli uomini, le donne e i bambini». (Suratu ‘n-Nisa‘, 4:75).

Sappiamo che i riti richiedono sforzi di natura differente. La Salah richiede ad esempio uno sforzo fisico, il Siyyam comprende una sforzo di natura psicologica, mentre la Zakah presuppone uno sforzo di tipo finanziario, e il Jihad richiede autosacrificio sino alla possibilità di rischiare la propria vita.

Ciò dimostra chiaramente quanto profonda sia la natura dell’insegnamento spirituale e psicologico che si riceve compiendo i riti. Essi conferiscono obiettività di scopo e capacità di operare in vista del raggiungimento dei più nobili ideali.

Vi è un’enorme differenza fra l’uomo avvezzo ad agire per amore di Dio e quello che valuta le sue azioni sulla base dei risultati pratici che potrebbero derivargliene. Una persona che comprende solamente il linguaggio del dare-avere, si comporterà da commerciante anche nel contesto dei suoi rapporti umani.

L’insegnamento islamico enfatizza l’obiettivo dello scopo delle azioni. Il valore di una azione dipende dalla sua intenzione, non dal suo risultato. Nell’Islam, una azione non viene giudicata in base ai risultati pratici che essa produce, ma in base alla purità di intenzione ed all’obiettività del suo scopo. Se qualcuno scopre una medicina in grado di sanare un male incurabile, salvando così la vita di milioni di persone, agli occhi di Dio la sua scoperta non verrà valutata in base al suo risultato pratico, ma al sentimento che ha condotto il ricercatore alla sua scoperta. Se egli ha agito a tal fine allo scopo di ottenere il brevetto e guadagnare miliardi, la sua scoperta è un semplice fatto economico, poiché la stessa logica che lo ha condotto a scoprire una medicina in grado di curare un male assai pericoloso potrebbe portarlo – per ragioni di mercato – a scoprire qualcosa di nocivo per la salute. Il suo operato sarà considerato nobile ed eccellente soltanto se egli ha agito senza motivazioni egoistiche in vista del bene e del progresso dell’umanità. Più nobili sono le intenzioni, più verranno valutate e ricompensate dal Creatore.

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3) Senso di responsabilità

Se in qualunque periodo storico analizziamo l’assetto della società, vediamo che esso è basato su un criterio logico di ripartizione fra gli uomini di doveri e diritti. La stabilità di una società dipende dal grado di adesione dei suoi membri alle norme che ne regolano il corretto funzionamento.

Questa regola si applica tanto al passato quanto al futuro, poiché essa promana direttamente dalla natura razionale dell’uomo.

La salvaguardia dell’ordine sociale può dipendere da fattori esterni, come le pene previste per i trasgressori, o dal senso di responsabilità dell’individuo nell’adempimento del suo dovere e nella fruizione dei diritti garantitigli dalla legge.

Sebbene le garanzie obiettive giochino un ruolo importante nel governare i comportamenti individuali, in molti casi esse si rivelano insufficienti, e ad esse deve fare da controparte la coscienza individuale delle proprie responsabilità.

Tale coscienza delle proprie responsabilità diviene effettiva soltanto laddove si associa alla fede nell’esistenza di un Essere Onnisciente che è Cosciente di tutto ciò che avviene nei cieli e sulla terra. La fede di per sé non porta alcun frutto, se non è accompagnata da un comportamento che sia in grado di confermarla e di accrescerla. La coscienza della vigile presenza dell’Onnipotente è il risultato del vincolo che lega il servitore al Signore. Tale vincolo genera e rafforza la coscienza intima dei propri doveri.

Lo sviluppo di tale coscienza dipende dal compimento costante e regolare dei riti. Tali atti non possono essere controllati dall’esterno, dipendendo soltanto dalla volontà dell’individuo che li compie. L’unico possibile controllo è quello derivante dal legame fra la creatura ed il suo Creatore Onnisciente, e l’unica sua garanzia è il senso individuale di responsabilità. Ciò significa che colui che compie regolarmente i riti espleta un dovere differente da ogni altro dovere sociale. Quando qualcuno sottoscrive un contratto ed adempie le sue condizioni, o riceve del denaro in prestito per restituirlo, si tratta dell’adempimento di un dovere le cui regole sono fissate dalla società, che al contempo ne salvaguarda il regolare svolgimento e ne persegue le eventuali violazioni.

I riti, al contrario, derivano esclusivamente dal senso di responsabilità individuale, e del loro regolare adempimento è garante soltanto Dio. Mediante la costante pratica rituale, tale senso di responsabilità viene ad identificarsi con la natura stessa del servitore, che diviene in tal modo un degno membro della Comunità cui appartiene. Un degno membro di una comunità adempie ai suoi doveri per via del suo senso di responsabilità, non per timore di eventuali sanzioni, poiché è possibile sfuggire ad esse in molti casi. È possibile celare i propri peccati e crimini, e fornire giustificazioni convincenti del proprio operato. Pertanto, il senso di responsabilità è l’unico garante effettivo del retto comportamento.

Osserviamo che, nella maggioranza dei casi, è preferibile compiere in privato e non in pubblico quei riti che non sono obbligatori (fard), ma sovraerogatori (mustahabb). Taluni riti, come il digiuno, vengono compiuti in privato per via della loro natura stessa. Poiché il digiuno è l’astensione da talune cose, non vi è alcun mezzo per verificarne dall’esterno l’adempimento. Di taluni riti – come la Preghiera notturna (Salatu ‘l-layl) – è prescritto l’adempimento in privato. Tutto ciò dipende dal carattere segreto del rito, e serve a rendere ancor più radicale il senso intimo di responsabilità. Il rito fornisce così una garanzia relativa all’adempimento individuale di diritti e doveri.

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Caratteri generali del rito

Se prendiamo in considerazione i riti nel loro insieme e procediamo ad un loro studio comparativo, possiamo raggiungere alcune conclusioni relative alla loro natura comune menzioniamo pertanto alcuni dei loro caratteri generali:

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1) Inesplicabilità

Sappiamo già che l’adorazione gioca un ruolo importante nella vita dell’uomo. Essa rappresenta un bisogno costante dell’essere umano.

Se analizziamo nei dettagli la natura dei differenti riti, vediamo che essi si accordano con i risultati della scienza e con le scoperte dei ricercatori contemporanei.

La concordanza fra la Legislazione islamica e le recenti scoperte scientifiche è una prova evidente della sua origine divina.

Malgrado ciò, ci imbattiamo in alcuni dettagli che ci appaiono incomprensibili. Ad esempio, non è possibile spiegare i motivi per cui la Preghiera del tramonto (Salatu ‘l-maghrib) è formata da tre unità cicliche (rakat) e la Preghiera del mezzogiorno (Salatu ‘z-Zhuhr) da quattro, né le ragioni in base alle quali ogni unità ciclica di Preghiera (rakah) comprende un solo inchino (ruku‘) e due prosternazioni (sajdah).

Tali aspetti vengono riconosciuti come inesplicabili ed è possibile riscontrarne nella maggioranza dei riti previsti dall’Islam. Essi sono organicamente connessi ai riti ed alle loro finalità. Poiché sappiamo che tali finalità consistono nel rafforzare la fede nell’Assoluto e nello stabilire con Lui un saldo rapporto, comprendiamo come la presenza di misteri inesplicabili nella natura dell’atto di adorazione rafforzi il senso di sottomissione (Islam) del servitore.

Se i vantaggi derivanti dal rito fossero completamente evidenti e spiegabili razionalmente, il senso di sottomissione tenderebbe ad indebolirsi, e ad essere sostituito dall’interesse. In tal caso l’atto diverrebbe un atto di convenienza, non di adorazione.

Proprio come, allo scopo di rafforzare la loro obbedienza ed il loro senso di disciplina, i soldati ricevono ordini senza la loro spiegazione, per rafforzare il suo legame con il Signore, è richiesto al servitore di eseguire i riti senza interrogarsi sulla giustificazione di tali dettagli inesplicabili. La totale sottomissione implica l’esistenza di alcuni aspetti misteriosi, ed ogni tentativo di formulare una loro spiegazione contribuisce ad attenuare tale senso di sottomissione, oltre ad accrescere l’orgoglio umano di là dai limiti della sua ragione.

Osserviamo inoltre che tali aspetti misteriosi sono per lo più assenti in quegli atti in cui l’interesse generale viene a limitare i bisogni individuali. È questo il caso del Jihad, in cui la necessità di azione limita il desiderio di salvaguardare la propria vita, o della Zakah, in cui i bisogni sociali vengono soddisfatti mediante una diminuzione della ricchezza individuale. La filosofia del Jihad e della Zakah è infatti evidente, ed il loro scopo è pienamente intelligibile. Malgrado ciò, essi comportano egualmente un elemento di sottomissione, in quanto implicano il sacrificio della propria vita e dei propri beni materiali. Inoltre, riti come il Jihâd e la Zakah hanno in vista non soltanto il miglioramento dell’individuo, ma anche quello della Comunità e delle condizioni in cui essa vive. Rileviamo pertanto che gli aspetti inesplicabili sono preponderanti soltanto in quei riti che – come la Salah ed il Siyyam – hanno in vista prevalentemente il perfezionamento dell’individuo.

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2) Carattere integrale dell’adorazione

Analizzando i riti prescritti dall’Islam, osserviamo che essi si estendono a tutti gli aspetti della vita, non limitandosi ad alcuni momenti di pratica rituale. L’adorazione non comporta infatti soltanto atti di glorificazione e di lode dell’Onnipotente, come recitazione del Sacro Corano, inchini, prosternazioni e preghiere, ma anche atti di natura sociale. Il Jihad è un’attività sociale, ed al contempo un atto di adorazione. Egualmente la Zakah è un’attività sociale e finanziaria ed un atto di adorazione. Il Siyyam è un sistema di purificazione anche delle funzioni corporee ed un atto di adorazione. L’abluzione minore (Wudu’) e quella maggiore (Ghusl) sono un modo per preservare la pulizia del corpo, ed assieme un atto di adorazione. Tutto ciò dimostra la tendenza della dottrina islamica a ricollegare ogni attività umana a Dio, l’Onnipotente, ed a fare degli atti quotidiani dei riti. Al fine di fornire una solida base a tale tendenza, i riti sono stati distribuiti in ogni campo della vita dell’uomo, tanto che una fattoria, una fabbrica, un negozio, un ufficio possono facilmente assumere il gusto della Moschea. Allorché un uomo opera per Dio e secondo la sua Legge, ognuno dei suoi atti è un rito.

In tal modo l’Islam si differenzia da altre due tendenze religiose: quella a separare l’adorazione dalla vita, confinandola in tempi e momenti determinati, e quella a limitare la vita stessa onde impegnarsi quasi esclusivamente nell’adorazione, come fanno i monaci.

La prima tendenza, separando l’adorazione dalla vita, limita la prima a taluni luoghi di culto, affermando che gli uomini debbono recarvisi per rendere a Dio l’adorazione che gli spetta. Dopo aver lasciato tali luoghi, il fedele è libero di dimenticare l’adorazione e di impegnarsi in attività di natura laica e profana. Tale iato distrugge lo spirito devozionale e gli impedisce di guidare l’uomo al superamento dei suoi interessi individuali. Al contrario, Dio non ha imposto all’uomo la Sua adorazione perché avesse bisogno di venir lodato e glorificato, ma allo scopo di perfezionarlo e di elevare il suo sguardo di là delle sue immediate esigenze individuali. Tale obiettivo può essere raggiunto soltanto se l’adorazione si estende a tutte le sfere della vita umana. Tale estensione, come abbiamo visto in precedenza, produce obiettività di scopo, senso intimo di responsabilità e capacità di disporsi in armonia con le leggi del mondo circostante.

Secondo i principi islamici, la differenza fra una Moschea ed una casa non risiede soltanto nella diversità dei modelli architettonici, ma nel fatto che entro la Moschea l’uomo può abbandonare i suoi interessi individuali per tendere a scopi più elevati. Questa possibilità si estende però ad ogni dominio dell’attività umana: qualsiasi luogo in cui l’uomo operi per il benessere dei suoi simili viene a partecipare dello spirito della Moschea.

La seconda tendenza, che limita la vita umana ai riti, ha finito per restringere l’attività dell’uomo alla Moschea, invece di espandere lo spirito della Moschea a tutti i settori in cui l’uomo opera.

Secondo tale tendenza, lo spirito ed il corpo posseggono una natura opposta, e l’uno di essi può svilupparsi soltanto a detrimento dell’altro. Se l’uomo vuole svilupparsi spiritualmente, deve privarsi dei beni materiali, lottare continuamente contro le sue esigenze naturali per vivere in uno stato di completa rinuncia e dedicarsi esclusivamente a pratiche rituali.

L’Islam rifiuta tale tendenza. I riti servono a perfezionare la vita; non possono pertanto essere causa di rinuncia alle esigenze vitali. Al contrario, lo spirito di adorazione deve pervadere tutte le attività dell’uomo, ma questi non deve recludersi entro le quattro mura del suo luogo di adorazione, ne esimersi dal prendere parte alle attività lecite. Per il Musulmano probo, la Moschea è il luogo in cui verificare la correttezza di tutte le sue azioni, non un impedimento alle sue attività.

Il Nobile Profeta (S) disse ad Abu Dharr: «Se puoi mangiare e bere per amore di Dio, allora fallo».

L’adorazione è un mezzo di sviluppo delle opportunità della vita. Il successo nella vita religiosa è proporzionale alla capacità di estendere l’adorazione a tutti gli aspetti della vita quotidiana.

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3) Aspetto tangibile dell’adorazione

La ragione umana non pensa mai in maniera totalmente empirica, né totalmente astratta. In essa percezione e deduzione sono costantemente associate. Se l’adorazione deve tendere ad armonizzarsi con la personalità dell’adoratore, ciò vale tanto per le sue percezioni che per il suo pensiero astratto. Solo in tal modo l’adoratore può sentirsi completamente in armonia con l’Assoluto.

L’intenzione e l’atteggiamento psicologico costituiscono il lato razionale dell’adorazione. La Qiblah (direzione di Preghiera, rappresentata dalla Ka’bah) verso cui si volge il volto durante la Preghiera, la stessa Ka’bah verso la quale i pellegrini muovono per poi circumabularla, i monti Safa e Marwa fra i quali si esegue la corsa rituale, il Giamratu ‘l-Aqabah che si colpisce con pietre, la Moschea, luogo particolarmente adatto al compimento dell”itikaf (ritiro spirituale) costituiscono nel loro insieme gli aspetti sensibili dell’adorazione. Senza la formulazione dell’intenzione la Preghiera non ha valore, e ciò vale anche per i casi in cui volontariamente la si compia senza essere volti alla Qiblah, o si esegua il tawaf circumambulando qualcosa di diverso dalla Ka’bah. Queste ultime norme sono state formulate allo scopo di soddisfare le facoltà sensibili dell’adoratore. Questa è la tendenza equilibrata riguardo ai metodi di adorazione, conforme alla reale natura dell’uomo.

Esistono però altri due orientamenti. Secondo il primo di essi, l’uomo è un essere eminentemente intellettuale, ed ogni forma di adorazione in cui intervenga l’apporto di oggetti sensibili deve essere rifiutata. In base a tale principio, poiché l’Assoluto non è limitato da condizioni di spazio e di tempo, né può essere rappresentato da alcuna immagine o scultura, la vera adorazione dovrebbe limitarsi alla meditazione, unica via per entrare in contatto con l’Assoluto.

L’Islam non condivide tale punto di vista, pur attribuendo una grande importanza alla vita contemplativa. Secondo un hadith un’ora di meditazione vale più di un anno di adorazione. La meditazione non è però in grado – da sola – di colmare il cuore dell’adoratore, ne di trasporre la sua intera esistenza nell’Assoluto. L’uomo non è composto soltanto da pensieri.

Per tale ragione l’Islam ha codificato l’adorazione su una base che è al contempo razionale e sensibile. Quando il servitore inizia a pregare dicendo «Allah Akbar» (Dio è grande) si riconnette mentalmente al suo Signore e Lo dichiara esente da limiti ed Incomparabile. Nel contempo egli si volge verso la Ka’bah, emblema della Presenza divina, in modo da convogliare nell’adorazione sia il pensiero che la sensazione, sia l’astrazione che l’intenzione.

L’orientamento opposto tende invece ed enfatizzare il lato sensibile dell’adorazione. Esso confonde il simbolo con la Realtà simboleggiata, ed adora il simbolo al posto di essa. In tal modo l’adorazione degenera in antropomorfismo ed idolatria. Il vincolo fra l’uomo e l’Assoluto viene quindi meno, e la falsa adorazione, invece di essere un legame fra il servitore ed il Signore, diviene una barriera fra loro.

L’Islam biasima tale tendenza in quanto rigetta ogni forma di idolatria. L’Islam è una religione iconoclasta, e non permette l’esistenza di altri dèi, né ammette che l’Essenza divina possa in alcun modo unirsi o incarnarsi in una realtà fenomenica. Vi è però una differenza sostanziale fra il concetto di idolo – distrutto dall’Islam – e quello di Qiblah da esso apportato. Tale concetto significa soltanto che la divina Misericordia si è manifestata in forma eminente in relazione ad un luogo determinato, da allora divenuto direzione di Preghiera, in modo da soddisfare l’aspetto sensibile dell’adorazione. L’idolatria non è che il frutto del fraintendimento di tale prospettiva cui, per ignoranza, si associa la confusione fra il simbolo ed il Simboleggiato. L’Islam ha rettificato la natura di tale deviazione, riconciliando l’adorazione dell’Assoluto, Illimitato ed Incomparabile con l’esigenza umana di impegnare nell’adorazione sia le sue facoltà razionali che quelle sensibili.

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4) Aspetto sociale dell’adorazione

L’adorazione rappresenta in generale la relazione fra il servitore ed il Signore, nonché il suo consolidamento e potenziamento. Essa deve però anche essere considerata come un mezzo di consolidamento delle relazioni fraterne fra gli uomini. Ciò è quel che chiamiamo l’aspetto sociale dell’adorazione.

Vi sono alcuni riti che per natura richiedono che gli uomini si radunino ed entrino in rapporto fra loro.

Il Jihad, ad esempio spinge i combattenti che adorano Dio mediante la loro lotta ad entrare in quel tipo di relazione che normalmente esiste fra i componenti di uno stesso esercito.

Vi sono poi altri riti che, sebbene per natura non presuppongono la necessità di una assemblea, permettono egualmente il rafforzamento dell’unità fra gli uomini.

In caso di possibilità è infatti preferibile compiere le Preghiere rituali obbligatorie in Comunità piuttosto che isolatamente. Ciò permette il mantenimento dell’unità della Comunità ed il consolidamento di vincoli spirituali fra gli uomini.

Per l’Hajj sono stati stabiliti un tempo e un luogo ben definiti. Tutti i pellegrini debbono compierlo simultaneamente, e ciò costituisce un grande evento di natura socio-politica, oltre che spirituale.

Persino il digiuno, che è per natura un atto individuale, è connesso all’‘Id aI-Fitr (festa della conclusione del mese di digiuno). In tale occasione, coloro che hanno compiuto il digiuno celebrano con la Preghiera in comune la loro vittoria sulle passioni.

Oltre a stabilire una relazione fra il servitore ed il Signore, la Zakah allevia le sofferenze del povero cui è devoluta, o aiuta lo sviluppo del progetto filantropico in cui viene investita.

Vediamo pertanto come nella maggioranza dei riti alla relazione fra servitore e Signore si affianchi quella degli uomini fra loro. L’adorazione possiede infatti anche una sua funzione sociale, ed è una forza attiva capace di preservare l’armonia dell’assetto sociale.

L’aspetto sociale dell’adorazione diviene ancor più evidente allorquando sorge un emblema che sul piano sociale diviene il simbolo dell’Unità della Comunità e della sua specifica esistenza. La Ka’bah è un emblema da sempre associato all’adorazione ed alla Preghiera. Essa non ha però soltanto un valore religioso, ma anche politico, come simbolo dell’Unità e della coerenza di intenti dei Musulmani. Per tale motivo il cambiamento di Qiblah fu a suo tempo causa di sconcerto.

Dice il Sacro Corano: “E gli stolti diranno: «Chi li ha sviati dall’orientamento che avevano prima?». Di’: «Ad Allah appartiene l’Oriente e l’Occidente, Egli guida chi vuole sulla Retta Via». E così facemmo di voi una comunità equilibrata, affinché siate testimoni di fronte ai popoli e il Messaggero sia testimone di fronte a voi. Non ti abbiamo prescritto l’orientamento se non al fine di distinguere coloro che seguono il Messaggero da coloro che si sarebbero girati sui tacchi.” (Suratu ‘l-Baqarah, 2:142-143)

Gli «stolti fra gli uomini» – come li chiama il Corano – comprendevano il significato sociale del comandamento relativo al cambiamento di Qiblah, e realizzavano che esso era un segno del ruolo di Comunità intermedia che i Musulmani erano chiamati ad adempiere.

Questi sono i caratteri generali dei riti secondo quanto prescritto dall’Islam. Oltre ad essi ogni singolo atto possiede caratteristiche specifiche, che giovano all’adoratore e contribuiscono al bene ed al progresso dell’umanità. Per mancanza di spazio non possiamo al presente entrare maggiormente nei dettagli. Abbiamo chiesto ad alcuni dei nostri discepoli di impegnarsi nell’opera e di colmare tale lacuna.

Che Dio abbia cura dì noi, e non ci privi dell’onore di considerarci Suoi servitori, che Egli perdoni i nostri peccati mediante la Sua illimitata Misericordia.

«Perché mai non dovrei adorare Colui Che mi ha creato e al Quale sarete tutti ricondotti?» (Suratu Ya Sin, 38:22)

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2 Jumada al-Awwal 1396

Muhammad Baqir as-Sadr

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Writer : shervin | 0 Comments | Category : Il pensiero islamico , Novità

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