Religione d’Amore e Amore dei Belli: la poesia mistica nell’opera di ‘Allāmah S.M.H. Tabātabā’ī (F.Tiddia)

Religione d’Amore e Amore dei Belli: la poesia mistica nell’opera di ‘Allāmah Sayyid Mu|ammad ðusayn ¦aba¥abā’ī

Fabio Tiddia


Abstract: Introduzione alla superstite opera poetica del filosofo, esegeta e mistico ‘Allāmah Sayyid Mu|ammad ðusayn ¦abā¥abā’ī. Traduzione e analisi filosofica e letteraria di alcuni componimenti mistici, considerando il rapporto della poesia tradizionale con l’ʻirfan shīʻita, la legge islamica e la filosofia. Key words: ‘Allāmah Sayyid Mu|ammad ðusayn ¦abā¥abā’ī; Mystic Poetry; Islamic philosophy; ʻIrfan and sufism; Persian literature; ðajj Mīrzā ‛Alī Qāÿī ¦abā¥abā’ī.

  چکیده نوشتار حاضر درآمدی است بر آثار منظوم به جا مانده از فیلسوف، مفسر و عارف معاصر علامه سید محمد حسین طباطبایی و شامل ترجمه و بررسی فلسفی-ادبی برخی اشعارعرفانی ایشان، با نظر به رابطه میان حکمت، عرفان شیعی، شریعت اسلامی و فلسفه می باشد. واژه نامه   علامه محمد حسین طباطبایی ، شعر عارفانه ، فلسفه ی اسلامی ، عرفان و تصوف ، ادبیات فارسی ، حاج میرزا علی آقا طباطبایی.

I. Quando in uno dei suoi momenti più duri si trovò in dubbio su quale via prendere, dopo che a Qom le sue lezioni di filosofia avevano destato scandalo e stupore presso gli ambienti più regretti alla materia, i quali le avevano apertamente osteggiate, ‘Allāmah Sayyid Mu|ammad ðusayn ¦abā¥abā’ī (1321-1402/1904-1981) decise di consultare ð…fe© (m. 792/1389)1. Aprire il suo dīwān e trarre responsi (fāl-e ðāfe©). Fu il grande poeta di Shiraz, attraverso il suo canto dell’Ineffabile, a dirgli inoppugnabilmente cosa fare: 

Io non son quel libertino che abbandona efebi e coppe

il censore lo sa bene che queste cose io mai farò!

Io che ho mosso ai penitenti un rimprovero dietro l’altro

sarò impazzito, se al tempo delle rose del vino mi pentirò

Quando zefiro i bei roseti con l’acqua asperge del suo favore

cuore perverso chiamatemi, se un foglio di libro ancor guarderò

Perla preziosa è Amore, io son palombaro e la taverna il mare

qui un giorno affondai la testa, chissà mai dove la solleverò!

Il tulipano ha calice, il narciso è ebbro: e io ho fama di corrotto!

di lamentarmi ho pur ragione, o Dio, ma a quale giudice mi volgerò?

Orsù tira codeste briglie, o mio bel turco che le città scompigli:

la strada colle lacrime del mio volto di perle e d’oro ti parerò

Io che interi tesori posseggo di perle e rubini di lacrime

quando mai pei doni del sublime astro del sole uno sguardo avrò?

Ai patti e alle promesse del cielo non è dato ahimè affidarsi:

un patto stringerò colla coppa, le condizioni col calice fisserò!

Io che, pur mendìco, un tesoro regale stringo tra le mani

quando mai le giravolte d’un cielo che i vili sostiene bramerò?

Benché sporco di polvere di mendìco, vergognarmi io debbo

se nell’acque della fonte di quel sole regale la veste bagnerò!

Se giù nel fuoco gradirà mantenere gli amanti la Grazia dell’amato

cieco chiamatemi, se alla celeste fonte del Kawthar ancor guarderò

Iersera blandiva il rubino del labbro di Lui il povero Hâfez, ma io no,

non sono siffatto che a moine e promesse di quello che mai crederò2

Continuare nella sua strada filosofica, nello specifico insegnare pubblicamente gli al-Asfār al-arbaʻa (I Quattro viaggi dello Spirito) di Mullā øadrā (m. 1050/1641)3, rendendo gradualmente i suoi insegnamenti ancora una volta una pietra angolare del curriculum tradizionale. Grazie alla definitiva protezione della maggiore autorità riconosciuta allora nel mondo shī’ita come fonte suprema di emulazione (marja‘-e taqlīd), l’Ayatollāh Sayyid ðusayn Bur™rjerdī (m. 1383/1961)4. Il quale aveva inizialmente bloccato i salari degli studenti che partecipavano alle sue lezioni, non ritenendo appropriato insegnare apertamente filosofia nell’|awza ʻilmiyya. Invitandolo a recedere dall’intento, seppure ammettendo di aver anch’egli studiato in gioventù gli Asfār, ma in privato, con il grande |akīm di Isfahān Jahāngīr Khān Qashqāʼī (m. 1328/1910). Una volta ricevuta la ferma risposta di ¦ab…¥ab…’ī Bur™jerdī ne fu comunque convinto e smise di interferire, appoggiandolo e mostrando profondo rispetto per lui ogni volta che s’incontravano.5

¦abā¥abā’ī fu un grande filosofo, probabilmente uno dei maggiori pensatori tradizionali contemporanei.6 Fu iniziato alla filosofia nella città santa di Najaf, da Āqā Sayyid ðusayn Bādk™ba’ī (d. 1358/1939), a sua volta allievo (shāgerd) di due dei maggiori maestri della scuola di Tehrān. L’avicenniano Sayyid Mīrzā Ab™’l ðasan Jilwah (m. 1315/1896), l’unico tra essi a scrivere delle opere critiche contro Mullā øadrā, accusandolo di far proprie le argomentazioni peripatetiche, e nonostante il suo razionalismo anche poeta con lo pseudonimo Jilwah7. E Aqā ‘Alī Modarris Zon™zī (m. 1310/1890)8, che agli Asfār dedicò delle glosse importanti e che compose un’opera intitolata Badā’īʼ al-|ikam. Opus in risposta a sette quesiti a lui posti dal principe Qājār Badīʻ al-Mulk Mīrzā ʽImād al-Dawla, egli stesso traduttore in persiano di opere di Mullā øadrā9. Con Bādk™ba’ī ‘Allāmah studiò per sei anni, insieme all’amatissimo fratello Seyyed Mu|ammad ðasan ¦ab…¥ab…’ī Ilāhī (m. 1388/1968)10, focalizzandosi su fondamentali testi filosofici. Nello specifico « reading the Shar|-i Man©™ma (Commentary on the Philosophical Poem) by Sabzawārī (d. 1873), al-Asfār al-arbaʻa (The Four Journeys) and al-Mashāʻir (Metaphysical Apprehensions) by Mullā øadrā, the complete al-Shifā’ (The Cure) by Ibn Sīnā (Avicenna; d. 428/1037), as well as the Uth™l™jiyā (the so-called Theology of Aristotle) and Tamhīd [al-Qawāʻid] (Introducing the Principles of Being) by Ibn Turka (d. 835/1432) ».11

¦ab…¥ab…’† fu capace di spaziare con la sua versatilità in diversi campi del pensiero. Non solo quello tradizionale islamico a cui dedicò numerose opere. Alcune delle quali, tradotte in inglese, furono preziose per far conoscere il pensiero shīʻita anche in occidente, secondo quella che Seyyed Hossein Nasr definisce come « a purely traditional and classical exposition of Shi‘ism which remains unique ».12 Ma anche di affrontare le sfide del pensiero moderno, come ad esempio nel testo intitolato U¡™l-e falsafe-ye re’ālism (I principi della filosofia e il metodo del realismo)13, edito nel 1954. Lavoro nel quale affronta senza remore un confronto comparativo con il materialismo storico marxista, e nello specifico le posizioni dei marxisti iraniani, membri dell’allora potente partito Tudeh, « from the point of view of Islamic philosophy and especially the school of Mull… øadr… with which he identified himself ».14 Hamid Algar descrive esattamente l’interesse di ¦abā¥abā’ī a misurarsi con le filosofie materialistiche occidentali, ricostruendone la genesi profonda, il cui risultato sarà il primo incontro serio tra la filosofia islamica e una scuola filosofica occidentale:

We have seen that part of ¦ab…¥ab…’† ’s motivation for the teaching of philosophy was his desire to help students who were arriving in Qum ‘with a suitcase full of problems’. Many of those problems arose from acquaintance with contemporary Western thought, particularly its materialist dimensions. ¦ab…¥ab…’† therefore accepted an invitation by ʽIzz al-Dīn Zanjānī to devote an hour every week to the logical analysis and refutation of materialist thought. According to a different account, it was the publication in 1950 of Nigahbānān-i si|r va afs™n (‘The Guardians of Magic and Mystification’), a book ridiculing all religions, that impelled ¦ab…¥ab…’† to take up the fight against materialism. The study circle began meeting the following year every Thursday and Friday evening, with the participation of many figures that went on to play important roles in the Islamic Revolution and the early years of the Islamic Republic. As a basic text, the participants were asked to study Mu|ammad ʽAlī Fur™ghī’s Sayr-i ðikmat dar Ur™pā. What was primarily at issue was a rebuttal of the claim of Marxism to possess a scientific worldview and of its positing of materialism and idealism as the only two conceivable explanations of the world; the choice of a third European word, ‘realism’, to convey the Islamic perspective of ontology was no doubt deliberate.  Islamic philosophy is ‘realist’ in that it accepts the reality of an existence that lies beyond human perception, and the materialism of Marxism is in fact ‘idealist’ because of the primacy it accords to the human mind.15

L’opera, nella quale la parola realismo viene usata nel suo senso tradizionale, medievale, per contrastare il “materialismo dialettico” inteso in senso marxista16, « became the most authoritative source in the clerical battle against the ideological domination of Marxism »17. Vedrà inoltre un ampio commento, sebbene incompiuto, ad opera del suo più famoso allievo, Murtaÿā Mu¥ahharī (m. 1979)18. ¦abā¥abā’ī seppe inoltre confrontarsi con il pensiero contemporaneo europeo e le sue sfide negli scambi ventennali con il filosofo francese Henry Corbin (m. 1978)19, iniziati nell’autunno del 1958 e conclusisi nel 197720, per lui inestimabile finestra apertasi sul pensiero europeo contemporaneo e difesa ancora una volta ostinatamente dalle critiche dei detrattori. Seppe accostarsi ad altri pensieri religiosi negli incontri con il filosofo perennialista Seyyed Hossein Nasr, dedicati alla filosofia comparativa,21 ed essere al contempo uno dei più grandi esegeti contemporanei del Corano. Sotto la guida di illustri guide, su tutti suo cugino ðajj Mīrz… ‛Alī Qāÿī ¦abā¥abā’ī (1286–1365/1869–1947),22 lui solamente appellato con il nome di ust…d (maestro), divenne anche un ‘āref, versato nella gnosi pratica (‘irfān-e ‘amalī).23 Qāÿī era stato discepolo di Sayyīd A|mad Tihrānī Karbalā’ī (m. 1332/1914),24 a sua volta uno studente dell’impareggiabile maestro spirituale Ākh™nd Mullā ðusayn Qulī Hamadānī Darjazīnī (m. 1311/1894), il quale si dice avesse formato ben trecento studenti e fosse a sua volta stato iniziato da Sayyīd ʻAlī Sh™starī (m. 1281/1865):25 


Like our great master and teacher Ākh™nd Mullā ðusayn-Qulī, the approach of our master and teacher the late Āqā Q…ÿī Tabrīzī, was based   on awareness and knowledge of the self (maʻrifat al nafs). In the initial stages, he always prescribed concentration on one’s soul in order to gain control over mind and thought. According to his instruction, every day a novice traveller must devote a certain amount of time, half an hour or more, just to concentrate on his soul and practise to control his mind and thoughts. As a result of this concentration, slowly he would gain [spiritual] strength and thoughts, and other mental preoccupations will disappear. Gradually, he would attain knowledge of his soul, and God willing, would ultimately reach his desired spiritual desination. Most aspirants who have succeded in liberating their mind and cleaning and purifying it from memories and ordinary preoccupations to prepare it for the rise of the Kindgom of Gnosis (sul¥ān-i maʻrifat), have done so in one of the two following states. The first is during recitation of Glorious Qur’ān, contemplating and wondering who the actual reciter of the Qur’ān is, and ultimately feeling [being revealed to] that the reciter is none other than God Himself, Majestic in His Glory.Second is by pleading to (tawassul) and seeking the intercession of ðaÿrat Abā ʻAbd Allāh al-ðusayn, may the peace and blessing of God be upon him, because he is graciously instrumental in lifting the veil and removing the obstacles on the path of God for the wayfarer.As was mentioned in our discussion in previous pages, two factors play important parts in the theophany of the Kingdom of Gnosis. The first is constant attention (murāqabah) in its various forms and degrees of intensity; the second is concentration on the soul. When the traveller makes every effort to focus his attention on these two principles , gradually he will realise that the multiplicities of this world originate from and are nurtured by one wellspring, and anything that finds existence in the world derives its existence from one source. Any degree of light, beauty, glory, and perfection that may be present in any existing thing is derived from the single source that gives it the light, beauty, and majesty in accordance with its inherent capability (qābilīyat-i māhuwi). In other words, absolute and boundless grace emanates unconditionally from the Absolute Source and every existent receives its share in accordance with its qualifications and quiddity (māhīyat). In any case, as a result of constant attention and persistent effort, gradually four [spiritual] realms will be revealed to the traveller.26

Lo stesso ¦ab…¥ab…’ī ricorda l’incontro memorabile con il suo insegnante e maestro, colui che Sayyid Mu|ammad ðusayn ðusaynī-ye ¦ehrānī (m. 1416/1985) definisce nell’opera Mehr-e Tābān27 come « il Salman del suo tempo »,28 in quanto « espressione dell’anima che ha raggiunto il più alto grado della gnosi » :29

When I went to the noble city of Najaf for education, I used to frequently visit the late Qadi due to our blood relationship. One day, I was standing in the school [courtyard], when the late Qadi came passing by. When he reached me, he put his hand on my shoulder and said, ‘My son! If you want this world, perform the night prayer (salat al-layl), and if you want the Hereafter, perform the night prayer!’This statement influenced me so much that from that time until my return to Iran, I kept the late Qadi’s company day and night, for five years. Not even for a second did I neglect the opportunity to benefit from him.  And from the time of my return to my motherland until his death, we remained in touch through mutual correspondence by mail, whereby the late Qadi gave me instructions, as the master-student relationship dictates.30

Ma ciò che si conosce ancora relativamente poco in Europa è il suo ruolo di poeta (shāʻer), perché, come afferma Nasr, ¦ab…¥ab…’ī « had remarkable literary as well as philosophical gifts ».31 Sappiamo che compose diverse poesie « including versified treatises on learned topics such as grammar, logic and calligraphy, as well as ghazals of gnostic content ».32 Scrisse un d†w…n poi andato perduto, distrutto per sua esplicita volontà gettandolo in un fiume, quasi come un novello Ermogene, probabilmente onde evitare possibili fraintendimenti e forzature. Poesie, sia sue che non sue,33 che spesso recitava agli amici, ovviamente, ma il che non è affatto ovvio parlando di poesia, senza accompagnarle alla musica (m™sīqī),34 cantarle o tantomeno far fluttuare la voce.35 Questa sua dimensione poetica è invece nota in Iran. Dove uno dei suoi ghazal mistici viene attualmente studiato nelle scuole, e dove recentemente ha visto la luce un testo che raccoglie la sua superstite opera poetica, intitolato Golshan Sheīdāi.36

¦ab…¥ab…’† fu infatti anche questo, un poeta, sebbene mai in veste ufficiale, che esercitò la sua arte in tre lingue: quella materna, il turco azeri, il persiano e l’arabo. Ricordando quanto mi disse un suo allievo, il filosofo Ghol…mhosseīn Dīn…nī, durante un incontro, « ¦ab…¥ab…’ī pensava in turco, parlava in persiano, e in arabo scrisse la sua opera principale », tra il 1954 e il 1972, il monumentale commento coranico in ventisette volumi intitolato al-Mīzān fī tafsīr al-Qur’ān.37 In un “persiano puro”, scevro da ogni termine arabo (fārsī-ye sara), padroneggiato perfettamente, scrisse diversi componimenti che ci sono giunti attraverso le testimonianze di chi li ha raccolti, salvandoli dall’oblio.

La poesia e la letteratura facevano in realtà integralmente parte della sua formazione intellettuale. La letteratura araba – della quale divenne un esperto, così come in semantica (ʻilm al-maʽānī), retorica (ʻilm al-badīʻ) ed eloquenza (ʻilm al-bayān) – costituiva uno degli insegnamenti base che si offrivano agli studenti dell’|awza ʻilmiyya,38 insieme ad altri quali la matematica, l’astronomia e le scienze islamiche. Hamid Algar afferma nella sua breve biografia come il giovane ¦ab…¥ab…’ī avesse studiato come di norma le opere del poeta shirazino Sa’d† (m. 545/1150), il Golestān (Il Roseto) e il B™stān (Il Giardino),39 « giustamente  definite la quintessenza dello spirito persiano, anzi più ancora di tutta la mentalità dell’Islam non arabo ».40 Tra i poeti arabi il suo preferito era il sufi egiziano ʻUmar Ibn al-Fāriÿ (m. 632/1235), che definiva come un « un maestro di eleganza ed elevatezza », la « controparte di ðāfe© » nella poesia araba.41 In particolare il suo poema intitolato al-Tāʾiyyat al-Kubrā,42 che trovò dei commenti fondamentali proprio in Persia, da parte di sufi quali Saʿīd al-Dīn Farghānī (629/1231-699/1300), ʻAbd al-Razzāq Kāshānī (m. 730/1330), Bābā Rukn al-Dīn Shīrāzī (m. 769/1368) e ʻAbd al-Ra|mān Jāmī (m 898/1492).43 Parte della sua formazione si deve al Dīwān di ðāfe© (m. 792/1389). Libro celestiale (ketāb-e asemānī)44 di cui era un « avido lettore », che spesso lo guidava45 e « whose verse he would often cite and interpret in the course of his lectures on philosophy, despite his general insistence on keeping separate the language and topics of philosophy on the one hand and gnosis on the other ».46 Anche se in questo caso si può parlare di una vera e propria predilezione, considerando la testimonianza del filosofo Seyyed Hossein Nasr. Il quale ricorda nella sua biografia intellettuale le lezioni trascorse con ¦ab…¥ab…’ī dedicate proprio al commento dell’opera del poeta, commento mistico ed esoterico di alcuni ghazal che « he would reveal in such profundity that it seemed the walls of his humble house were speaking in unison with him » :

One of my remarkable experiences, which was really unique, occurred during one of those summers when he would come to Darekah, a village north of Tehran, which at that time was much less crowded than now. He lived amidst a beautiful garden with a stream in the middle of it. There alone, just myself and him, I studied with him for the whole summer the Dīw…n of ð…fi©. You just cannot imagine the depth of meaning that he would expound, meanings compared to which ordinary interpretations were like gravel. It was as if the walls were speaking with him. He was not only a philosopher and commentator on the Quran, but also a gnostic and mystic of a very high order.47

La poesia ha quindi un primo ruolo nella sua vita di studio, quello formativo. Ma oltre questo periodo propedeutico l’interesse per la poesia si mantiene, continua manifestandosi in molteplici generi letterari, dal ghazal, alla robāʽī fino al mathnavī. La poesia, letta e meditata, composta e inoltre commentata al pari della parola divina, il sacro Corano, testimoniano l’importanza assegnata ad essa da parte di ¦ab…¥ab…’†. Una poesia vista non come fine a sé stessa, come esercizio retorico od oggetto d’estetologia, ma come mezzo gnostico ed oggetto ermeneutico. Per disvelare in questo secondo caso i significati reconditi nel testo, attraverso un ta’wīl che si esercitava come abbiamo visto anche sul canzoniere di ð…fe© e che presuppone in entrambi i casi un approccio esegetico esoterico, una forma di conoscenza interiore che superi la lettera. Chiave ermeneutica che costituiva anche il centro dei suoi ventennali scambi filosofici con Henry Corbin, come viene testimoniato da uno dei giovanissimi partecipanti e traduttori a questo « cercle herméneutique », Daryush Shayegan:

C’est parce que l’Occident a perdu le sens du ta’wîl, dit Corbin, que nous n’arrivons plus à pénétre les arcanes des Saintes Écritures et que nous démythologisons la dimension sacrée du monde.” C’était la première fois que je mesurais toute l’ampleur insoupçonnée de ce terme que Corbin utilisait souvent et qui resta, comme on le sait, la clé de voûte de toute sa méditation. “Peut-on, fit remarquer le Shaykh, parler de ces choses-là sans tenir compte du ta’wîl (de l’herméneutique spirituelle)? Il ne peut y avoir de vraie spiritualité sans ta’wîl.”48

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II. Prima di presentare qualche testo in traduzione è però necessario domandarsi che cosa abbia rappresentato la poesia per ¦ab…¥ab…’ī, quale sia il ruolo assegnatole nella sua produzione.Un mezzo minore di espressione, osservato l’esito riservato al suo stesso canzoniere? Non diremmo, visto anche il ruolo, eminentemente orale, assegnatole nelle lezioni citate da Nasr. E nonostante quello che possiamo definire forse come un estremo caso di premura, seppure legittimo e in sintonia con la sua personalità, la sua modestia, mostrato sia verso la propria figura di studioso islamico che verso gli studenti. Ossia la volontà di non voler essere conosciuto anche come poeta. Cosa che invece sarà contemplata e ammessa da parte di diversi ‘aref, compreso Ru|ollāh Khomeinī (m. 1409/1989), anche se anch’egli solo post mortem.49 La poesia rappresenta nel suo percorso esistenziale un altro modo di avvicinamento a Dio, con un diverso linguaggio? In una delle sue ultime interviste, alla domanda se avesse mai scritto poesie ¦abā¥abā’ī rispose affermativamente, spiegando con un timido sorriso « perché l’immaginazione (khiyal) mi rivelò alcune cose che pensavo fossero importanti da condividere, quindi le ho condivise in forma di poesia ». Un modo d’espressione proprio all’immaginazione dunque, ma un’immaginazione operante comunque sotto la guida dell’intelletto (al-‘aql). ʻAql che è qualcosa di non assimilabile né confondibile in questo caso con la stessa ragione (‘aql-e juz’ī) intesa in senso meramente umano. Una ragione che slegata dal sacro finisce anzi, come scrive Jalāl al Dīn R™mī (m. 673/1274) nel Fīhi mā fīhi (C’è ciò che c’è),50 per « diffamare l’intelletto »:

L’Intelletto (al-ʻaql al-kullī, per impiegare il linguaggio degli ðadīth) e il termine ʻaql stesso significano ambedue etimologicamente « ciò che vincola o limita l’Assoluto rispetto alla creazione », e anche « ciò che vincola l’uomo alla verità, a Dio stesso ». Secondo la prospettiva islamica, lo ‘aql è esattamente  ciò che mantiene l’uomo sulla retta via (¡irā¥ al-mustaqīm) e gli impedisce di forviare. Ecco perché sono così numerosi i versi del Corano che equiparano i forviati a coloro i quali non si servono dell’intelletto – come nel passo wa lā yaʻqil™n « essi non intendono » o, letteralmente, « non usano il loro intelletto ».51

 Affinché lo ‘aql, il no™s, svolga questa funzione discriminatrice occorre che esso stesso preservi la sua purezza, che il suo specchio lucido non venga oscurato dalla ruggine delle passioni dell’anima. Incluse quelle poetiche, o esclusivamente poetiche, di una poesia profana, estranea alla rivelazione. Preda di quello che il suo amico Henry Corbin, in contrapposizione al termine chiave imaginal – intermondo dell’Immaginazione, mondo dell’Anima e delle anime descritto proprio dai metafisici iranici –52 avrebbe definito filosoficamente come imaginaire,53 in quanto immaginario proprio dell’irreale, del mitico. E appunto della finzione poetica. In assenza della contemplazione intellettuale che stabilizzi e bilanci le emozioni e le visioni interiori, l’immagine finisce inevitabilmente per essere privata di un asse verticale e ascensionale:

Si può risalire dal riflesso all’origine, a condizione che lo ‘aql non sia offuscato dalle passioni, che esso sia il il sano, equilibrato e armonioso Intelletto, definito nella terminologia islamica come al-‘aql al-salīm. Ma se lo ‘aql è inquinato dalle passioni, nafs, può divenire il velo che nasconde il divino all’uomo e lo forvia. Se così non fosse, non vi sarebbe più la necessità della rivelazione. La rivelazione è la manifestazione macrocosmica dell’Intelletto Universale, Kalimat Allāh, che provvede all’impalcatura per la manifestazione microcosmica dell’Intelletto nell’uomo e alla legge divina che protegge l’uomo dalle sue passioni, rendendo possibile all’intelletto di rimanere integro, salīm.54

È solamente anche a questo patto che nell’anima del sapiente, spogliatasi dai beni di questo mondo (tajrīd), potrà essere riflesso il volto dell’Amico. Indicativo che anche nelle sue lezioni filosofiche venissero citati differenti versi poetici, in prevalenza proprio di ð…fe©, a confermare e approfondire il senso del pensiero e fissarne i concetti attraverso l’allusione dei simboli e l’illuminazione metaforica propria del cuore (qalb) e della coscienza (wijdān). Ma come fosse estremamente cauto nel mantenere distinti i due campi del sapere, considerati entrambi necessari in ogni essere umano, e i rispettivi principi e linguaggi.

La sua vocazione di scrittore di poesie, seppure distinta, si colloca dunque indissolubilmente e intrinsecamente accanto a quello di grande filosofo, esegeta e mistico. Non si tratta infatti di qualcosa d’isolato, tanto nella sua produzione personale, quanto in linea generale, ma s’inserisce in un lungo filone di precedenti illustri di pensatori islamici, shīʻiti come sunniti, che operarono anche poeticamente. Si pensi solamente ad Ibn Sin… (370-980[?]/428-1037),55 allo Shaykh al-Akbar Ibn ‘Arabī (560-1165/638- 1240),56 e a chi si oppose alla sua influenza in Iran, ʻAlā’ al-Dawla Semnānī (m. 736/1336);57 Mir Dāmād (m. 1041/1631), il quale scrisse le sue poesie in arabo e persiano sotto lo pseudonimo (takhallos) di “Ishrāq”, e Moll… Sadr… (979-1571-72/1045-1635-36);58 al grande Shaykh Bahā’ī (953-1547/1030-1621),59 o ai Dīw…n di AfØal-al-D†n K…sh…nī (m. 610/1213-14), ‛Abd-Al-Razzāq Lāhījī (m. 1072/1622) e Mo|sen FayØ K…sh…n† (1006/1598 o 1007/1599-1090/1679).60 Sino ai più celebri esempi moderni, su cui spicca certamente il filosofo e gnostico Shaykh Mollā Hādi Sabzavāri (1212-1797/1289-1873).61 Esempi chiari di quando la scienza tradizionale dei sapienti (ʻalīm) comprendeva pensiero e letteratura riuscendo versatilmente a concordarli ancora a dei livelli elevati, non escludendo una qualità a scapito dell’altra. Ma anzi presupponendo la loro unione, sia a livello espressivo, in termini di competenze da possedere o apprendere, così come in termini di realizzazione spirituale. Né tantomeno trascurando la legge (sharīʻa). Proprio ¦ab…¥ab…’ī – attento e scrupoloso osservatore alla lettera del rituale e della sunna, anche nei suoi aspetti opzionali e dunque non obbligatori – aveva chiaro quanto potesse essere deleterio, infruttuoso e fondamentalmente anti-religioso, un atteggiamento quale quello dei dottori essoterici (ʽulamā’ al-rus™m). Posizione che, in nome di un mero ritualismo, fosse schiacciata su di una religione solamente esteriore, rifiutasse quell’aspetto ʻirfanico che del fenomeno religioso ne costituiva l’essenza. E nel quale anche la poesia mistica,62 pur con le dovute precauzioni, aveva pieno titolo:

Moreover, ʻAllamah was critical of certain pretenders to sanctity who only adhere to the outward rituals. They were those who took religion as a pretext and, under the pretence of defending the sacred religion and spreading the shariah, severely condemned all friends of Allah (awliyaʼ) who were engaged in self-vigilance (muraqabab), self-reckoning (muhasabah), and may have perchance performed long prostrations. In the first place, these people tend to criticize and reproach certain great men of mysticism (ʻirfan) such as Khwajah Hafiz Shirazi and Mawlana Muhammad Balkhi Rumi, the composer of the Mathnawi. ʻAllamah attributed this way of thinking to ignorance, tedium and dullness, which are so detested by the spirit of religion.63

Allo stesso tempo, se ʻirfān64 e filosofia erano ai suoi occhi due dei maggiori pilastri della religione, senza un’adeguata preparazione in materia religiosa e la dovuta sincera osservanza della legge, non avrebbero a suo avviso mai condotto ad una vera e autentica conoscenza. In questo senso ¦abā¥ab…’ī, ponendosi sulla scia della tradizione shīʻita duodecimana dell’opposizione tra misticismo filosofico (ʻirfān) e sufismo (ta¡awwuf), le cui radici risalgono al periodo Safavide e alla sua politica religiosa,65 si mostrava critico verso un certo sufismo, reo di non dare sufficiente importanza alle norme della sharīʻa. Emerge dunque ancora una volta il perfetto equilibrio testimoniato dal filosofo nel valutare dimensione interiore (bā¥in) ed esteriore (©āhir) del sacro, quadro nel quale un elemento non risulta mai separato dall’altro, ma dove i due coesistono. Possedendo lo shīʻismo e la sua mistica entrambi, ¥arīqah e sharīʻa, come aveva notato acutamente il Corbin « la situazione del credente shî’ta lo mette all’improvviso, a differenza del credente sunnita, sulla via mistica (tarîqa) ».66 Riuscendo in questo modo a non dare adito tanto ad una mera interpretazione legalistica quanto a pericolosi fenomeni di antinomismo (ibāḥa). 

La poesia per ¦abā¥ab…’ī significa innanzitutto un’occasione per parlare del suo rapporto con Dio, delle intuizioni, delle visioni e dei sentimenti che si manifestano in questa incessante ricerca, condotta in questo caso attraverso l’immaginazione, e non i concetti della logica (mantiq). Due vie distinte certamente, ma con un unico fine, e nelle quali riluce la figura di colui che come maestro spirituale (pīr)67 si fa guida premurosa e attenta del suo allievo. Capace di leggerne i pensieri, le difficoltà, le paure − anche quelle non dette – e « di rendere attuabili la rinascita e la trasformazione spirituali », 68 ðajj Mīrzā ʻAlī Q…ÿī ¦abā¥ab…’ī.69 Fu sotto la sua guida che ¦abā¥ab…’ī iniziò  – nella città santa di al-Najaf, « la porta del segreto dei mondi », nei pressi del mausoleo dell’emiro dei credenti ʻAlī ibn Abī ¦ālib (m. 40/661), il primo Imām –70 un lungo, più intenso e regolare apprendistato morale e spirituale. Fatto d’ascesi e, insieme al dikhr Allāh,71 il ricordo costante di Dio, di una serie di pratiche di devozione supererogatorie,72 su tutte quella della preghiera notturna. Fu lui in definitiva ad iniziarlo alla conoscenza (maʻrifa) dei Misteri Divini (asrār-e ilāhī). Ma al maestro che per estremo rispetto non osava citare, e che difatti non menzionò nella sua stessa breve autobiografia,73 ¦abā¥ab…’ī attribuisce anche l’apprendimento dello stile e del metodo nell’esegesi coranica – consistente nell’interpretazione del Corano attraverso altri versetti del Corano stesso (tafsīr al-Qurʼān bi’l Qurʼān) – come quello nella comprensione delle tradizioni (fiqh al-|adīth).74 Iniziatore di una serie di grandissimi ‘ārefīn persiani e non quali Mu|ammad Taqī Āmulī (m. 1391/1971), Sayyid Hāshim Mūsawī al-Ḥaddād (m. 1404/1984),75 Sayyid Abū l-Qāsim al-Mūsawī al-Khūʾī (1413/1992), Mu|ammad Taqī Bahjat (m. 1430/2009),76 fu anche un uomo misterioso di cui si narrano numerosi incredibili episodi, segno dell’altissimo lignaggio spirituale raggiunto. Aura, quella sulla sua persona, che lo stesso ¦abā¥ab…’ī ha contribuito a diffondere, come in questo caso:

There was another account of the late Qadi which I myself observed. A friend of the late Qadi had a room in the well-known Hindi Bukhara’i School of Najaf. As he was leaving for a journey, he left the room to the late Qadi so that he could use it for sleeping, holding gatherings, or any other needs and activities. The late Qadi used to go there everyday near sunset, and his intimate students used to join him for congregational prayer. They were about seven to ten students in total. After prayer, the late qadi used to hold a discussion session until two hours after sunset, and the students used to ask him questions and benefit from his speeches.One night, we were sitting in the room with the late Qadi, who started lecturing about God’s Unity of Actions (al-tawhid al-afʻali). He was quite into explaining and expanding on the unity of actions when suddenly it was as if the ceiling was coming down. There was a stovepipe at one side of the room, which began to make a plunking sound, as if something was falling, and the room was filled with noise and dust. All my fellow students and I got to our feet and rushed to the door, pushing and shoving each other in order to exit.In the meantime, it became evident that the ceiling was not damaged, and therefore we came back and sat down where we were sitting. But our late master (Mr Qadi) had not moved a bit. He had been sitting right where he was, even though the damage in the ceiling had started from above his head. ‘Come! O you believers of the unity of actions!’ he told us we came back and sat down. Yes, that is right! All of the students were stunned, not knowing what to reply. Then he continued and finished his speech about the unity of actions.That was a trial for us, because our late master was speaking about such matters and this relevant incident came up. That is why he said,’Come! O you believers of the unity of actions!’77

Così, il maestro che mentre il tetto sopra di lui crollava restava immobile, avendo raggiunto lo stato di estinzione (fanā’) nell’Unità divina (taw|īd), disposizione nella quale il viaggiatore spirituale (sālik) non vede nient’altro che Allāh e percepisce ogni atto come manifestazione del Vero, poteva testare i suoi studenti. Quello che emerge a proposito della tradizione dell’ithn…ashariyya è una nascosta, segreta catena (silsila) di trasmissione orale dell’iniziazione, preservata presso la classe degli ʽulamā’ shīʻiti ma senza l’organizzazione propria dell’ordinario sufismo (ta¡awwuf-e khānaqāhī). Iniziazione che comprende, sotto la direzione spirituale del maestro, l’investitura al discepolo di una serie di istruzioni, pratiche e stazioni spirituali (maqāmāt-e ʻerfānī). Tale filiazione esoterica richiede « the necessity of the presence in the being of the disciple of spiritual virtue, spiritual will (himmah), a deep yearning for the Divine and thirst for the realization of metaphysical knowledge ».78 Alla sua base si trova la walāyah e colui che è in possesso di questa funzione di iniziazione,79 l’Imām nascosto.80 È ad essa che si deve l’esistenza di gnostici e sapienti come ¦abā¥abā’ī, maestri da lui riveriti come Sayyid ʻAlī ibn ¦āw™s (m. 664/1265) e Sayyid Mahdī Ba|r al-ʻUl™m (m. 1212/1797),81 il suo stesso maestro Qāÿī e una tradizione oggigiorno ancora vivente in Iran. Sia per quanto riguarda la gnosi operativa (al-|ikmat al-ʻamaliyyah) che quella teoretica (al-|ikmat al-na©ariyyah).82

Poeta e letterato, Ba|r al-ʻUl™m scrisse in arabo classico una marthiya, un’elegia di lamento per la tragedia di ʻĀsh™rā’ che viene considerata anche attualmente un capolavoro di stile.83 Cosa non affatto secondaria, sappiamo che anche Q…ÿī scrisse delle poesie, padroneggiando perfettamente la lingua araba, della quale si diceva conoscesse ben quarantamila parole, come riporta questo affascinante aneddoto:

Mirza Ali Qazi was reportedly also a gifted poet and is said to have composed pieces of poetry that Arabs would not believe had come from a Persian. There is even a story of how his poetic gift was put to the test by Hajj Shaykh Abdollah Mamaqani who was an expert in Arabic poetry and who claimed that no matter how masterfully composed, he would be able to tell when an Arabic poem was composed by a Persian. Called to the challenge, Mirza Ali Qazi began reciting an Arabic poem by an Arab. In the middle of the poem he improvised certain lines of his own. Upon completing his recitation, he asked Hajj Shaykh Abdollah Mamaqani which of the verses were by a Persian. The latter could not tell.84

In tutti questi casi siamo di fronte ad una poesia tradizionale che non si rende esclusiva espressione delle esperienze soggettive dell’io del poeta, ma che in quanto legata all’Intelletto sa farsi portatrice di un messaggio sapienziale e detiene quella che con Nasr possiamo definire come ‘qualità alchemica’. Messaggio che, trascendendo tanto forme di soggettivismo come di sentimentalismo, sa farsi veicolo di una trasfiguratrice conoscenza metafisica (maʻrifat |aqīqa) la quale è diretta espressione del Vero. Di una visione che sa unire in modo complementare logica e poesia:

That which encompasses both logic and poetry is Ultimate Reality as revealed in various traditional metaphysical doctrines according to which the Reality is neither simply a logical abstraction nor of purely mathematical nature, nor is it devoid of this dimension. Rather, it is at once logical and poetic, mathematical and musical. God is at once the supreme geometer, and, one might say, musician and poet. A complete metaphysics must therefore possess at once logical and mathematical rigor on the one hand and poetical and musical aspect on the other, as in fact one of the great metaphysical traditions of the Occident, the Pythagorean, has always emphasized. It is because of the very nature of Reality and therefore of the metaphysical knowledge which is related to it, that in Oriental traditions the most rigorous intellectual and metaphysical expositions have been expressed in either poetry and poetical language and some of the most logical and systematic metaphysicians have also composed poetry.85

Della poesia di ¦abā¥ab…’ī, indubbiamente di pregevole livello, riportiamo paradossalmente un’opera superstite che spesso vive di soli frammenti, salvati a malapena alla dimenticanza e al nulla dalla memoria di qualche premuroso custode. Tutti i testi testimoniano la valenza altamente spirituale del suo versificare, che ne accresce il significato, oltre il volere del suo autore di non renderli pubblici. Forse per non cadere nella rete del proprio io, di quella nafs che in tutta la sua vita di pensatore e fedele aveva sempre cercato di vincere, con la vigilanza (murāqaba) e una rigorosa ascesi fatta di lunghissimi silenzi. Lotta e disciplina spirituale (riyāÿat) che i versi poetici stessi testimoniano ampiamente. In questo senso, probabilmente, dobbiamo pensare e inquadrare il suo voler rimuovere questi versi dalla storia, gesto estremo della coscienza dell’asceta di premunirsi dalla vanità del proprio ego, « la madre di tutti gli idoli ». Non come una rottura di quell’equilibrio attento che anzi è a garanzia del percorso mistico, secondo un approccio che vede filosofia, misticismo e legge in un rapporto di stretta omologia tra di loro. In questo modo la poesia – strumento duplice, ambivalente a seconda dell’uso, aperto al fatuo incantamento come testimonia lo stesso Corano, ma legittimo – può rappresentare in quanto ʻirfān un pilastro (arkān) della stessa sharīʻa. Portando alla limpida coppa (peimāne) del cuore un messaggio di Pace (sakīna), nel quale il patto primordiale (peimān) fra uomo e Dio è ogni volta nuovamente suggellato. Se le acque di un fiume ignoto custodiranno per sempre la gran parte di questo canto poetico, quelle che a noi rimangono sono parole ispirate e vitali, capaci di testimoniare ancora un grande Amore (mehr), le sue proprietà trasmutatrici. Capaci di connettere – come per la prima volta nella sua vita, a Najaf, avvenne con la visione del Profeta ðaÿrat Idrīs e la conversazione con lui scambiata –86 il mondo fisico della percezione sensibile al mondo invisibile e sovrasensibile. Capaci di trasformare attraverso l’esercizio spirituale il disagio e l’inquietudine in una costante comunione con Dio. Perché come recitava ¦ab…¥ab…’ī in questo breve, ultimissimo frammento, nel quale il poeta s’identifica col vero amante, finalmente ricongiuntosi con l’Amato e in esso estintosi:  

 

Non sono stato condotto da me stesso all’Origine del Sole

ero un pulviscolo e solo il tuo Amore mi fece ascendere

sono una pagliuzza insignificante caduta nel torrente

lui, che scorreva, anche me condusse al Cuore del Mare.

 

Così, proprio un sapiente che aveva interrogato l’azzurro mare tormentato d’amore, si era sentito rispondere nel Manṭiq al-Ṭayr (Il Verbo degli Uccelli) di ‘Aṭṭār (m. 618/1221):

Un sapiente scese sulla riva del mare, così interrogandolo: « O mare, perché ti tingi d’azzurro? Fuoco non vedo, perché dunque ribolli? ». 

Rispose il mare a quel puro di cuore: « Io vivo nell’angoscia essendo separato dall’Amico. La mia indegnità mi vieta di essergli amante, per Lui indosso l’azzurra veste del dolore. Le mie labbra si sono disseccate sulle sponde per la disperazione. Al fuoco di questo desiderio le mie acque ribollono. Se almeno trovassi una goccia del Kawthar potrei diventare immortale presso la porta della sua casa. Altrimenti morirò con le labbra riarse, così come periranno infinite anime sulla sua via durante il giorno e la notte ».87

 

ʻAllamah Tabataba`i was not only an outstanding scholar but also a person of great spiritual realization who lived constantly in the remembrance of God. During the twenty years that we had the honor of being his students, and observing him in all kinds of circumstances – from being alone with him in a room, to sitting at his feet in a mosque filled with hundreds of students – never did he cease to remember God and invoke Him. His countenance always reflected a light which seemed to shine from the world beyond, while his gentle voice seemed to issue from the other shore of existence. In his presence, one could not but think of God and the world of the Spirit. The reality of the Qur’an, which he had studied and written about for so many years, seemed to have penetrated into his very being, enabling him to speak of a knowledge that was always wed to spirituality and rooted in the sacred. ʻAllamah Tabataba`i was at once one of the greatest of Qur’anic commentators, a leading contemporary Islamic philosopher in the tradition of Ibn Sina, Suhrawardi and Mulla Sadra, and a gnostic who was at home in both the metaphysical works of Ibn ʻArabi and the inebriating poetry of Rumi and Hafiz. In him, intelligence, scholarship, piety and the love of God met in a union which is encountered rarely in any age, and especially this period of the eclipse of the Spirit. His soul was embellished with the virtues extolled by the Qur’an and the prophetic Sunnah, while his mind explored like a soaring eagle the vast expanses of Islamic thought. To have met him was to have met the veritable Islamic scholar (or ʻalim), and to gain a taste of what traditional Islamic learning must have been when the whole of the Islamic intellectual tradition was fully alive.

S.H. Nasr, The Qur’an in Islam

 

E i poeti poi, che i traviati seguono, – non vedi come vagolano per ogni vallata – e dicono quello che non fanno? – Eccetto coloro che credono ed operano il bene, e molto menzionano Dio e si difendono, coll’aiuto divino, quando sono ingiustamente oppressi: ma gli oppressori sapranno quale sorte li attenda!

Corano, Sura, XXVI, 224-226.

 

Il Profeta disse: In verità nella poesia (shiʻr) si può trovare saggezza (|ikma) e in verità nell’eloquenza (bayān) si può trovare  magia (si|r).

Ibn Abī  Shuʻbah al-ðasan b. ʻAlī al-ðarrānī, Kitāb Tu|af al-ʻUq™l ʻan Āl al-Ras™l 

.

Traduzione dei testi

III.1
Diamo qui una traduzione di alcuni testi. Il suo testo più celebre, intitolato K†sh-e mehr (La religione d’Amore), è anche il ghazal più bello, per eloquenza ed eleganza. Come ricorda l’Ayatollāh ¦ehrānī « ‘Allamah composed this ode about taking the heart away from all other than God, and loving and showing affection for the Beauty and and Majesty of Allah  »88 e come abbiamo già detto viene letto e studiato ancora oggi nelle scuole iraniane. L’autore nella sua poetica amorosa attinge a un repertorio convenzionale di personaggi, luoghi, temi e situazioni. Il testo, oltre a svariati topoi della poesia persiana, contiene come di norma nella poesia mistica tradizionale un evidente notevole capovolgimento dei valori, nel quale diversi termini chiave come la Coppa, il Vino e l’Ebbrezza, sono il portato di un linguaggio metaforico, allusivo ed ambiguo, a sua volta veicolo di un insegnamento mistico. Anche la poesia di ¦ab…¥ab…’ī appare permeata da un elemento biasimevole (mālamatī)89 e dall’intrinseca duplicità di questa tendenza.

  کیش مهر
همي گويم و گفته ام بارها               بود کيش من مهر دلدارها

پرستش به مستي است در کيش مهر   برونند زين جرگه هشيارها

به شادي و آسايش و خواب و خور     ندارند کاري دل افگارها

به جز اشک چشم و به جز داغ دل      نباشد به دست گرفتارها

کشيدند در کوي دلدادگان                 ميان دل و کام، ديوارها

چه فرهادهامرده در کوهها             چه حلاجها رفته بر دارها

چه دارد جهان جز دل و مهر يار       مگر توده هايي ز پندارها

ولي رادمردان و وارستگان              نبازند هرگز به مردارها

مهين مهر ورزان که آزاده اند           بريزند از دام جان تارها

به خون خود آغشته و رفته اند          چه گلهاي رنگين به جوبارها

بهاران که شاباش ريزد سپهر           به دامان گلشن ز رگبارها

کشد رخت،سبزه به هامون و دشت     زند بارگه ،گل به گلزارها

نگارش دهد گلبن جويبار                 در آيينه ي آب، رخسارها

رود شاخ گل در بر نيلفر                 برقصد به صد ناز گلنارها

درد پرده ي غنچه را باد بام              هزار آورد نغز گفتارها

به آواي ناي و به آهنگ چنگ           خروشد ز سرو و سمن، تارها

به ياد خم ابروي گل رخان               بکش جام در بزم مي خوارها

گره را ز راز جهان باز کن              که آسان کند باده، دشوارها

جز افسون و افسانه نبود جهان             که بستند چشم خشايارها

به اندوه آينده خود را مباز                که آينده خوابي است چون پارها

فريب جهان مخور زينهار                که در پاي اين گل بود خارها

پياپي بکش جام و سرگرم باش           بهل گر بگيرند بيکارها

 

La religione d’Amore

Sempre dico, e così ho detto tante volte,

che la mia religione è l’Amore degli amanti

 

Nella religione d’Amore l’adorazione90 è ebbrezza (mastī)

i sobri (hoshyār) da questo circolo sono esclusi 

 

Coloro che sono feriti nel cuore cura non hanno

della felicità e del riposo, né del cibo né del sonno

 

Non c’è niente nella mano di coloro presi [dall’Amore]

eccetto le lacrime degli occhi e il marchio (dāgh) del cuore91

 

Nel vicolo degli innamorati (kuy-e deldādegān)92

hanno alzato mura tra il desiderio e il cuore 

 

Quanti Farhād93 sono morti nelle montagne

Quanti ðallāj94 sono andati sul patibolo (dār)

 

Cosa possiede il mondo? Eccetto il cuore e l’amore

dell’Amico soltanto cumuli di pensieri boriosi

 

Ma le persone libere e nobili 

non perdono mai al gioco con i morti95

 

Gli amanti supremi che liberi sono 

gli attaccamenti alla trappola della vita perderanno

 

Quanti fiori variopinti i ruscelli hanno macchiato

col loro stesso sangue, svanendovi

 

In primavera,96 quando il cielo a catinelle

piove petali sul grembo del roseto

 

Il verde stenderà l’orlo della veste su ogni landa

le coròlle creeranno una corte nei giardini  

 

I giovani fiori sulla sponda riflessi vedranno

i loro volti nello specchio delle acque

 

Lo stelo della rosa tra le braccia della ninfea cadrà

i fior di melograno con grazia infinita danzeranno

 

Il vento del mattino farà schiudere dei bocciuoli

il velo (pardé), l’usignolo porterà leggiadre canzoni

 

Alla voce del flauto e al suono della lira canteranno

gridando ad alta voce il cipresso97 e il gelsomino

 

Al ricordo dell’arco delle sopracciglia98 dei bei volti

svuota la Coppa (jām)99 al banchetto dei bevitori

 

Sciogli il nodo del segreto del mondo

che il vino100 le fatiche renderà lievi

 

Il mondo non è che favola (afsāne) e incantesimo (afs™n)

che serrato hanno i lumi ai Khashāyār101

 

Non perderti per l’affanno del futuro

che il futuro, come gli anni trascorsi, è sogno102

 

Sii in guardia, non essere sedotto dall’inganno del mondo103

perché sotto questo fiore si celano le spine104

 

Lascia stare, anche se gli sfaccendati biasimano 

bevi la coppa una dopo l’altra105 e sii pervaso dall’ebbrezza.

 

 

III. 2

مهر خوبان
مهر خوبان دل و دین از همه بی پروا برد        رخ شطرنج نبرد آنچه رخ زیبا برد

تو مپندار که مجنون سر خود مجنون گشت       از سمک تا به سماکش کشش لیلا برد

من به سرچشمه خورشید نه خود بردم راه          ذره ای بودم و مهر تو مرا بالا برد

من خسی بی سرو پایم که به سیل افتادم           او که می رفت مرا هم به دل دریا برد

جام صهبا زکجا بود مگر دست که بود            که به یک جلوه دل و دین زهمه یکجا برد

خم ابروی تو بود و کف مینوی تو بود            که درین بزم بگردید و دل شیدا برد

خودت آموختی ام مهر و خودت سوختی ام       با برافروخته رویی که قرار از ما برد

همه یاران به سر راه تو بودیم ولی                غم روی تو مرا دید و ز من یغما برد

همه دلباخته بودیم و هراسان که غمت            همه را پشت سر انداخت، مرا تنها برد

 

L’Amore dei Belli

L’Amore dei Belli (mehr-e khubān) da tutti quanti

impavidamente il cuore (del) e la fede (dīn) portò via

 

La torre degli scacchi (rokh-e shatranj) non vinse

quello che il bel volto (rokh-e zībā) conquistò106

 

Non pensare che Majn™n per sé stesso sia diventato pazzo107

dai Pesci fino ad Arturo108 l’attrazione per Leylā lo portò via 

 

Non sono stato condotto da me stesso all’Origine del Sole

ero un pulviscolo e solo il tuo Amore mi fece ascendere

 

sono una pagliuzza insignificante caduta nel torrente

lui, che scorreva, anche me condusse al Cuore del Mare109

 

La Coppa del Vino (sahbā) da dove viene e nella mano di chi era

che con un solo barlume110 il cuore e la fede da tutti portò via

 

L’arco del tuo sopracciglio è stato o la tua mano paradisiaca 

che girando in questo convivio il cuore del folle portò via

 

L’Amore mi hai insegnato, ardendomi

con una vista infocata che la pace ci strappò via

 

Insieme a tutti gli amici (yār) ci trovavamo nella tua Via

ma la pena (gham)111 per il tuo volto mi vide, rapendomi via

 

Eravamo tutti innamorati e spauriti quando la pena tua

tutti gli altri ha respinto, solo portandomi via.

 

 

III. 3
Nel caso di questo componimento, un mathnavi, l’autore stesso ricorda l’occasione in cui nacque, in seguito ad un momento estremamente difficile della sua permanenza a Najaf, che i consigli del suo maestro seppero dissipare quasi magicamente: 

When I was studying in Najaf, there was a disruption in my connection with Iran, I lost my means of income, and we had a hard time meeting the necessities of life. Our problems were further complicated by the extremely hot temperature during half of the year. One day, I went to see my master, Ayatollah Qadi, and opened up my heart to him. When I returned from his presence, I was feeling so light and free, as if I had absolutely no sorrow. There, I composed his advice as follows.112

Ammonimenti il cui cuore risiede nella rinuncia al mondo (zuhd fī al-dunya) e nel totale affidamento a Dio (tawakkul) in ogni momento in cui ci si trovi. Secondo quella concezione gnostica dell’esistenza che proprio attraverso il distacco dalle cose del mondo e la costante lotta per la purificazione del cuore mira ad acquisire la conoscenza.113

                            موعظه ی مرعشی
دوش که غم پرده ما می‌درید      خار غم اندر دل ما می‌خلید

در بر استاد خرد پیشه‌ام            طرح نمودم غم و اندیشه‌ام

کاو به کف آیینه تدبیر داشت      بخت جوان و خرد پیر داشت

پیر خرد پیشه و نورانی‌ام          برد ز دل زنگ پریشانی‌ام

گفت که در زندگی ‌آزاد باش      هان، گذران است جهان شاد باش

رو به خودت نسبت هستی مده     دل به چنین مستی و پستی مده

زآنچه نداری ز چه افسرده‌ای      و زغم و اندوه دل آزرده‌ای

گر ببرد ور بدهد دست دوست      ور بِبُرد ور بنهد مُلک اوست

ور بِکِشی یا بکُشی دیو غم          کج نشود دست قضا را قلم

آنچه خدا خواست همان می‌شود     وانچه دلت خواست، نه آن می‌شود

 

Ammonizioni celesti

Iersera, allorché la pena svelava i miei segreti

trafiggeva il mio cuore la spina del dolore

 

Di fronte al mio saggio maestro ho confidato

la mia inquietudine e il mio dolore afflitto

 

Lui che aveva in mano lo specchio del discernimento

del vecchio aveva la saggezza e una fausta giovinezza

 

Il mio sapiente vegliardo dal volto lucente 

dal cuore mio ha rimosso la ruggine del turbamento

 

Dicendo: Libero sii, nella vita sii libero,114

orsù, fugace è il mondo,115 lieto sii 

 

Va’! Non attribuire a te stesso l’esistenza 

a tale viltà ed ebrietà116 il cuore non offrire

 

Perché essere afflitto per ciò che non possiedi?

Perché il cuore da pena e da tristezza è afflitto?

 

Se la mano dell’Amico largisce o taglia 

se il possesso dona o prende è a Lui che appartiene

 

e se attrai il demone della tristezza, o se l’uccidi

il Calamo117 nella mano del destino non erra

 

ciò che Dio vorrà proprio quello avverrà

e ciò che vorrà l’ego quello non accadrà.

 

III. 3
Per ultimi offriamo tre piccoli componimenti. Un frammento (qate’āt), che nella sua brevità possiede una notevole densità simbolica, una ricchezza che anche il commento che ci è stato fornito dal suo stesso autore conferma, e due quartine (robā’ī). La poesia seguente nasce dal maestro spirituale, incarnato dalla figura del taverniere (p†r-e meykhāne),18 e dai suoi insegnamenti, che per il filosofo persiano furono come abbiamo visto precedentemente quelli del suo “maestro” per eccellenza, ðajj Mīrzā ʻAlī Qāÿī. Il suo autore chiarì a uno studente, l’ðujjat al-Islām Pārsā, il valore di diversi vocaboli ed espressioni chiave di questo linguaggio gnostico. La cui specifica forma libertina (rendī) non deve essere fraintesa, stando essa a indicare, come scrive Mu¥ahharī, « un atteggiamento di indifferenza nei confronti del creato e non certo verso il Creatore ». Il vino (bāde), vino simbolico, è il Vino Mistico,19 e rappresenta il ricordo di Dio, lo dhikr. Metodo spirituale particolarmente importante nella tradizione shīʻita come testimoniano gli stessi detti (a|ādīth) di diversi Imām, su tutti quelli dell’Imām ʻAlī, che lo considerava non solo la luce dei cuori (n™r al-qul™b) e la chiave dell’Intimità divina (miftā| al-uns), ma come il più eccellente tra gli atti d’adorazione (afÿal al-ʻibāda). In questo modo si esprime il Nahj al-balāgh (Il cammino dell’eloquenza), raccolta di duecento sermoni, circa diciassette lettere, e cinquecento detti e sentenze attribuita120 proprio a lui:

Non vi è alcun dubbio che Dio, l’Onnipotente, abbia fatto della menzione (dei Suoi Nomi) (dhikr) una sostanza di purificazione per i cuori. Tramite essa il sordo inizia a sentire, il cieco a vedere e l’arrogante a sottomettersi. Dio, l’Onnipotente, ha creato – per tutti i periodi in cui non vi sono profeti – degli uomini che sono i Suoi forzieri (e i Suoi tesorieri) nelle cui menti ha posto i Suoi segreti (i Tesori) e parla a loro tramite l’intelletto.Invero Egli vivifica il cuore (intelletto) e mortifica l’anima di una persona ben disposta spiritualmente fino a che le sue fattezze (interiori) non diventano smunte e la sua grossolanità si muti in sottigliezza. Allora uno splendore intenso illumina il sentiero che ha di fronte, guidandolo sulla via di Dio e aprendogli un ʻvarco’ nella Porta della Pace, fino alla Dimora della Permanenza. I suoi piedi, nel mantenere il corpo in equilibrio, sono fissi nella posizione della certezza, in virtù di ciò che il suo cuore opera per compiacimento del suo Signore.121

¦ab…¥ab…’ī invitava ognuno ad essere in continua osservanza nella menzione del divino attraverso uno dei suoi nomi, a perpetuarla in ogni situazione ci si trovasse senza mai abbandonarla. I bei volti stanno invece a rappresentare gli awliyāʼ Allāh,122 gli amici di Dio, tra i quali un ruolo centrale ha la famiglia del Profeta, l’Ahl al-Bayt.123 In quanto esempio di coloro che « si consacrano esclusivamente alla loro perfezione interiore » e sono infine riusciti a realizzare la morte del loro io individuale, vincendo la guerra santa interiore contro l’anima passionale ed egoista (jihād-e akbar), non devono essere dimenticati. Ricordiamo a questo proposito che ¦ab…¥ab…’ī fece proprio l’insegnamento del suo maestro circa la fondamentale rilevanza data all’Imām ðusayn per la sua capacità straordinaria di rimuovere veli e impedimenti agli iniziati (sālik) sul sentiero divino.124 Aspetto confermato anche da un altro gnostico contemporaneo e allievo di Qāÿ†, Sayyid Hāshim Mūsawī al-Ḥaddād, che ne cita le parole a proposito del fine di raggiungere la stazione dell’Unità Divina (taw|īd), cosa considerata addirittura impossibile senza l’intercessione di colui che è chiamato il “Principe dei Martiri”.125 Lo shaykh ripete infine al suo adepto un ammonimento legato alla transitorietà dell’esistenza. Invitandolo a rimanere libero – dall’amore di questo basso mondo (|ubb donyā), che il sesto Imām Ja’far al-Ÿādiq (m. 148/765)126 considerava come la fonte di ogni errore umano –  e a stare in guardia dai suoi legami, distaccandosene, se si vuole rimanere fedeli alla Volontà divina e al Patto primordiale, al proposito di divenire degli autentici servi (ʻabd) di Dio.

 

پیر میخانه

شبی پیر میخانه می گفت راز     چنین گفت با من به آهستگی

به مِهْر رخ مه رُخان باده نوش    مبادا که پیدا کنی خستگی

بود مِهْر،  سرمایه زندگی        بود باده ابزار وارستگی

سپس گفت: زینهار و آزاد باش   اگر پایبندی به شایستگی

 

Il Taverniere

 

Una notte il taverniere diceva un segreto (rāz)

me lo ha svelato così, sommessaménte:

« Per l’Amore dei volti di luna bevi vino

mai non sia che ti trovi la stanchezza,

è l’Amore la fortuna della vita,

è il vino lo strumento per la salvezza! »127

Poi disse: Attento, sii libero128

se sei attaccato al Merito.129

 

III. 4

شاخ گل 

دیدم به طبق غنچه و گل ریخته بودند

 وز بهر فروشش به هم آمیخته بودند

 برداشت یکی غنچه ی نشکفته سر و گفت

ماییم که از شاخ گل آویخته بودند

 

Ramo fiorito

Vidi in un vassoio che bocciuoli e fiori erano sparsi

e per essere venduti insieme erano stati mischiati,

qualcuno prese un bocciuolo non ancora schiuso e disse:

siamo noi coloro che pendevano dal ramo fiorito.

 

III. 5

چشمه ی فکر

در چشمه ی فکر غوطه ای خوردم دوش

 و اندر قفس سینه به دل دادم گوش

 می گفت : گر او می طلبی با جان کوش

 کاندر پس این پرده نهان باشد روش

 

Nella fonte del pensiero ieri notte ero immerso

quando dentro il petto ho ascoltato il cuore

che diceva: Se Lui desideri prova con la vita,

nascosto dietro questo velo, si trova il suo Volto.

.

NOTE

[1]M. Omidsalar, ad vocem Divination, in EIR, vol. VII, fasc. 4, pp. 440-443.

[2]Hâfez, Il libro del coppiere, a cura di Carlo Saccone, Carocci, Roma 1998, pp. 165-166, 332-333, 471.

[3]Sayyid Muhammad Husayn Husayni Tehrani, Shining Sun. In Memory of ‘Allamah Tabataba’i. A Translation of Mihr-i Taban, translated by Rawus Raja, Icass Press, London 2011, p. 69-72. ¦abā¥abā’ī scrisse delle glosse al testo, intitolate ðāshiyah bar Asfār, nell’edizione nuova dell’opera che apparve sotto la sua direzione.

[4]In Search of the Sacred: A Conversation with Seyyed Hossein Nasr on His Life and Thought , Seyyed Hossein Nasr with Ramin Jahanbegloo, introduction by Terry Moore, Praeger 2010, p. 86. « He went to Qom under difficult financial conditions. He came from a well-to-do family in Tabriz, but they lost their land and nearly everything else at that time. He began to teach Islamic philosophy and tafsīr (Quranic commentary) in Islamic seminaries in Qom, but many of the outwardlooking ¥ullāb (religious students) were against philosophy, and so they went to Ayatollah Bur™jirdī and complained that this man was teaching philosophy and this was kufr (infidelity). Ayatollah Bur™jirdī met him and saw that ‘Allāmah ¦abā¥abā’ī was such a saintly man that there was no way of criticizing him for having any ambitions of a worldly kind. Seeing that he was such a remarkably saintly person, Ayatollah Bur™jirdī said, ‘‘Whatever ‘Allāmah ¦abā¥abā’ī does is approved by me; he has my protection.’’ Being such a powerful scholar that he was, he was able to protect him fully, and so ‘Allāmah began to teach philosophy in Qom in peace. »

[5]Sayyid Muhammad Husayn Husayni Tehrani, Shining Sun…, cit., pp. 71-72. « I replied, ‘Convey this message of mine to Mr Burujirdi, that I too have studied these common conventional courses like Islamic law and principles of law. I can go about teaching and lecturing them, and am not short of anyone else in these fields. However, I came from Tabriz to Qum only (and only) to correct the beliefs of the students, and to fight against the false beliefs of the materialists and others. During the period when you, our Honourable Ayatollah [Burujirdi], used to go to the late Jahangir Khan’s lessons in secret, the students and most of the people were believers and had a pure faith; all praise is to Allah [for that]. There was no need for establishing open Asfar classes at the time. However, these days the students enter the gates of Qum with several bags full of doubts and problems!

‘Today we should rescue the students, properly prepare them to combat the materialists and secularists, and teach them true Islamic philosophy. Thus I will not stop teaching Asfar. But at the same time I consider the Ayatollah [Burujirdi] as the Religious Ruler (hakim al-sharʻ). If you make an edict for the Asfar classes to be stopped, then that will be a different story [and I will abide by it]’»

[6]Sulla vita e le opere di ¦abā¥abā’†, cfr. Sayyid Jalāl al-Dīn Āshtiyānī, Maʽāref-e islāmī, vol. IV, 1347, pp. 48-50;

 Ghulām-Riÿā Gulī Zavvārah, Jurʻah-hā-ye jānbakhsh: farāz-hā-ye az zendegī-ye ‘Allāmah ¦abā¥abā’ī wa asātīd wa shāgerdā-e ān mufassir-e ʻālī-qadr, Qom 1375/1996; Sayyid Mu|ammad ðusayn ðusaynī-ye ¦ehrānī, Mehr-e tābān: yādnāme va mu¡ā|ebāt-e telmīdh va ʻallāme, Enteshārāt-e ʻAllāme-ye ¦abā¥abā’†, Mashhad 1417/1996;  ʻAbd Allāh Jawādī Āmulī, Shams al-wa|ī-ye Tabrīzī: Sireh-ye ʻelmī ‘Allāmah ¦abā¥abā’ī, Qom 1386/2007; H. Algar, ‘Allāma Sayyid Mu|ammad ðusayn ¦abā¥abā’ī: Philosopher, Exegete, and Gnostic, in Journal of Islamic Studies (2006), pp. 26.

[7]H. Algar, ad vocem Abul ðasan Djlwa, in EI, vol. I, pp. 23-24; I. Kalin, Jilwah, ad vocem Mirza Abu’l Hasan, in The  Biographical Encyclopedia of Islamic Philosophy, edited by O. Leaman, Bloomsbury Publishing, London-New York 2015, pp. 262-263. cfr. S. Meisami, Mulla Sadra, Oneworld, London 2006, pg. 120. « Mulla Sadra also had some critics among the exponents of the school of Tehran among whom Mirza Abul’-Hassan Jilwah (d. 1314/1896) was the most important. Jilwah taught Mulla Sadra’s philosophy and wrote commentaries on some of his works, but his heart was always with Ibn Sina and Jilwah finally dedicated to him the biggest part of his teaching career at the famous Dar al-Shifa school in Tehran. He represented the Ibn Sina tradition, which had continued through Rajab Ali Tabrizi. In this respect, one of the most important tasks that he accomplished apart from teaching was a critical edition of Ibn Sina’s al-Shifa (The Metaphysics of Healing) and some other philosophical as well as mystical texts. He also trained a number of scholars and philosophers who made great contributions in the field of philosophy and mysticism. One of his students, Aga Sayyid Husayn Badkuba’i (1385/1968), was a major figure of Islamic philosophy in Iraq (Nasr 2006, 245-246). Despite his Peripatetic attachment and disregard of the Illuminationist approach to philosophy, Jiilwah’s image as a philosopher who is also deeply interested in the school of Ibn ʻArabi and Persian Sufi poetry, such as Rumi, connects him to the line of Mulla Sadra, though he is also critical of the latter’s philosophical position ». Jilwah fu anche l’insegnante di Aqā Mu|ammad ʻAlī Shāhābādī (m. 1328/1950), maestro a sua volta in filosofia di Ru|ollāh Khomeinī. In questo senso andrebbe notato il fatto che Jilwah scrisse un proprio commento all’opera Fu¡™¡ al-ðikam di Ibn ‛Arab†. Sulla sua opera poetica, cfr. Dīvān Ashʻār Mar|™m Aghā Mīrzā Abul ðasan Jillwa, collector Mīrzā Alī-Khān Ras™lī, Ferdousī, Tehrān 1347.

[8]La Scuola di Tehrān, fondata da Mullā ‘Abd Allah Zon™zī (m. 1257/1841) sotto il regno del secondo sovrano qājār Fat| ‘Alī Shāh (r. 1212-50/1797-1834), il quale da Isfahān aveva invitato ad insegnare filosofia islamica a Tehrān, nella madrasa Khān Marvī, il filosofo Mollā ‘Alī Jamshīd N™rī (1246/1830). Quest’ultimo aveva delegato il compito proprio a Zon™zī, uno dei suoi migliori allievi, segnando in questo modo, con il trasferimento del centro delle scienze islamiche, l’inizio di questa scuola, cfr. H. Corbin, Storia della filosofia islamica, trad. di R. Donatoni, V. Calasso, Adelphi, Milano 1991, pp. 355-356, S. H. Nasr, From the School of Isfahan to School of Tehran, Trascendent Philosophy, 2, 4, (December 2001), pp. 1-26. Per l’opera completa di Zon™z†, cfr. Majmʻe-ye mu¡annafāt-e |akīm-e mu’asses Āqa ʻAlī Zonzī Tehrānī, ed. Mo|sen Kadīvar, 3 voll., Enteshārāt-e e¥¥elāʻāt, Tehrān 1378/1999-2000.

[9]Il principe, pronipote di Fat| ‘Al† Shāh, nonché governatore di Yazd, tradusse e commentò in persiano il Kitāb al-Mashāʼir (Il Libro delle Penetrazioni metafisiche). Questa versione sarà pubblicata nel 1964 insieme alla traduzione in francese da parte del filosofo Henry Corbin. cfr. Mollâ Sadrâ Shîrâzî, Le Livre des Pénétrations métaphysiques (Kitâb al-Mashâʼir), texte arabe publie avec la version persane de Badiʻ Ol-Molk Mîrza ʻEmâdoddawleh par Henry Corbin, Teheran: Departement d’Iranologie de l’Institut franco-iranien; Paris : Librairie d’Amerique et d’Orient Adrien-Maisonneuve, 1964. Ne esiste anche una traduzione italiana, vd. Ÿadr al-Dīn al-Šīrazī, Il libro dei penetrali, traduzione dall’arabo e note di Bartolomeo Pirone, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Napoli 2010. A testimonianza dellʼinteresse di questo principe per la filosofia e la teologia Corbin cita anche la composizione in persiano di un trattato di metafisica sufi, sotto la forma di commentario allʼopera di ‛Abd al-Raḥmān Jāmī (m. 898/1492) intitolata Risālat Durra al-fākhira. Lʼopera fu tradotta nel 1944 in Italiano dallʼorientalista Martino Mario Moreno (m. 1964) e publicata nel 1981. cfr. Nuruddīn ʻAbdurra|mān Ǧāmī, La Perla magnifica (Ad-Durrat Al-fāẖirah), Traduzione, introduzione e note di Martino Martino Mario Moreno, a cura di A. Ventura, Istituto Orientale di Napoli, Napoli 1981.

[10]Sayyid Muhammad Husayn Husayni Tehrani, Shining Sun…, cit., pp. 23-25.

[11]A, Ehteshami and S. Rizvi, Beyond the Letter: Explanation (tafsīr) versus Adaptation (ta¥bīq) in ¦abā¥abā’ī’s al-Mīzān, in A. Keeler, S. Rizvi (Eds.), The Spirit and the Letter: Approaches to the Esoteric Interpretation of the Qur’an, Oxford University Press, Oxford 2016, p. 445. Cfr. Sayyid Muhammad Husayn Husayni Tehrani, Shining Sun…, cit., p. 13. « The late Hakim Badkubah’i had a special regard for ‘Allamah and paid special attention to him. He ordered ‘Allamah to pursue mathematics in order to strengthen his intellect and demostrative reasoning ». Sayyid Ab™ al-Qāsim Kh™nsārī (m. 1380/1960) fu il maestro di matematica di ¦abā¥abā’ī a Najaf e uno dei più grandi matematici del suo tempo.

[12]Nel 1970 e nel 1975 compose le due opere intitolate rispettivamente Bidāyat al-|ikmah (L’Inizio della Filosofia) e Nihāyat al-|ikmah (La Fine della Filosofia), sommari filosofici divenuti testi chiave del curriculum di studi filosofici nella |awza, dove anche oggi sono ampiamente studiati. Sulla genesi storica di questi testi esiste la preziosa testimonianza di Nasr, che ne fu fautore. Cfr. In Search of the Sacred …, cit., p. 84. La Bidāyat al-|ikmah è stata tradotta in inglese, cfr. ʻAllamāh Sayyid Mu|ammad ðusayn ¦ab…¥ab…’ī, The Elements of Islamic Metaphysics, trans. by Sayyid ʻAlī Qulī Qarā’ī, ICAS Press, London 2003.

[13]In Search of the Sacred …, cit., pp. 84-85. « This is also the case of Qur’ān dar Islām and Shī‘ah dar Islām, which were commissioned by Kenneth Cragg when he came to Iran to see me and said, ‘‘I want to have three books produced on Shi‘ism. There is a new center at Colgate University for the study of religions, but there is nothing good on Shi‘ism in English for the students to use.’’ And so I accepted the responsibility and asked the ‘Allāmah to write and direct them while I would undertake the task of translating and editing them for the Western audience. I edited and translated first of all Shī‘ah dar Islām into English. For a long time, the translation of this book under the title Shi‘ite Islam was the only book on Ithnā ‘ashar† (Twelve Imam) Shi‘ism in English, and even today, there is nothing like it. […].So that whole series, which introduced Twelve-Imam Shi‘ism for the first time to the Western world in an authentic and authoritative manner, this being a major event, was carried out by ‘Allāmah ¦abā¥abā’ī at my instigation and with my cooperation and help. » Cfr. Sayyid Mu|ammad ðusayn ¦abā¥abā’ī, Shi‘ite Islam, trad. S. H. Nasr, Albany: State University of New York Press, 1975; ‘Allamāh ¦abā¥abā’ī, William C. Chittick, A Shi‘ite Anthology, London, Muhammadi Trust of Great Britain and Northern Ireland, and Albany, State University of New York Press, 1981; Sayyid Mu|ammad ‘Allamāh ¦abā¥abā’ī, The Qur’ān in Islam: Its Impact and Influence on the Life of Muslims, London, Kegan Paul International, 1998).

[14]Il filosofo persiano, come evidenziato da Nasr, non era un semplice pedissequo commentatore di Mollā Sadrā, ma bensì un mujaddid, ossia un rinnovatore, che pur non essendo un modernista, riuscì a introdurre dei concetti nuovi e indediti nel pensiero islamico. Non a caso il filosofo perennialista lo accosterà al lavoro svolto da uno dei grandi maestri di Henry Corbin, il filosofo neo-tomista Gilson. cfr. In Search of the Sacred …, cit., p. 43. « ‘All…mah ¦ab…tab…’† added many new elements to Islamic philosophy that had not been discussed before, but the principles he applied were those of traditional Islamic philosophy. The U¡™l-i falsafa-yi ri’ālism reflects this reality more than his other works and represents the responses he gave to the Marxist theoreticians. The closest thing you can have to ‘Allāmah ¦abātabā’ī in the West is the works of a figure such as Gilson, who was a Neo-Thomist. Now, in his writings on art or the criticism of modern philosophy, Gilson was not just repeating Saint Thomas Aquinas but speaking from within the Thomistic tradition and as a Thomist while addressing new issues. This is the closest example in the contemporary West to what ‘Allāmah ¦abātabā’ī was doing in the contemporary Islamic world. » Sulla figura di Gilson, cfr. L. K. Shook, Étienne Gilson, intr. d I. Biffi, trad. di M. S. Rossi, Jaca Book, Milano 1991.

[15]H. Algar, cit…, pp. 12-13. Cfr. In Search of the Sacred …, cit., p. 85-86.

[16]¦abā¥abā’ī aveva qualche conoscenza del marxismo e della filosofia tedesca del XIX secolo che portò al marxismo, anche se non aveva studiato Hegel, lo sfondo filosofico di Marx. Sapeva comunque qualcosa sui suoi saggi di filosofia occidentale dell’Ottocento. Fonte delle conoscenze delle posizioni marxiste furono anche gli incontri che tenne a Tehran con tre anonimi ideologi scelti dal partito Tudeh. Bisogna in questo caso ricordare che a causa dell’occupazione sovietica dell’Azerbaijan alla fine della seconda guerra mondiale, dove era stato istituito un governo separatista di orientazione marxista, egli aveva dovuto lasciare la sua città natale, Tabriz. Dove lui e la famiglia persero le terre di loro proprietà. Fuggito a Tehran, si spostò da qui a Qom, dove arrivò nel Marzo 1946. ¦abā¥abā’†, nonostante la provenienza da una grande famiglia religiosa « wich for fourteen generations has produced outstanding Islamic scholars » e nonostante diversi ʻulamāʼ fossero stati attaccati, accettò senza paura, nel periodo immediatamente successivo al secondo conflitto mondiale, un confronto diretto con le posizioni degli intellettuali marxisti.

[17]H. Dabashi, Theology of Discontent: The Ideological Foundations of the Islamic Revolution in Iran, New York, New York University Press, 1993, p. 295.

[18]Mu|ammad ðusayn Tabātabā’ī, Murtadhā Mutahharī, U¡™l-e Falsafe va Rāvesh-e Reālism, voll. 3, Qom, Dar al-Ilm Publication Insitute 1335/ 1956. Mu¥ahharī riuscì a scrivere solo il commento al primo dei tre volumi degli U¡™l-e falsafe-ye re’ālism, nonostante le richieste esplicite di ¦ab…¥ab…’ī per finirlo. Cfr. Kernel of the Kernel: Concerning the Wayfaring and Spiritual Journey of the People of the Intellect (Risāla-yi Lubb al-Lubāb dar Sayr wa Sulūk-i Uluʼl Albāb). A Shi’i Approach to Sufism from the Teachings of  Sayyid Mu|ammad ðusayn ¦ab…¥ab, compiled, edited and expanded by Sayyid Mu|ammad ðusayn ðusayni Tihrani, tr. by Mohammad H. Faghfoory forword S. H. Nasr, State University of New York Press, Albany 2003. p. XVII. Di Mu¥ahharī in italiano fu pubblicato un piccolo ma denso saggio, intitolato Introduzione alla gnosi. Cfr. R™hollāh M™sawī Khomeynī, Mortazā Motahharī, La via spirituale. Invito e introduzione, cura e prefazione di E. Tabano, Semar, Roma 2002, pp. 23-75.

[19]Sulla figura di Corbin si veda l’ottimo recente lavoro di ricerca. Cfr. Daniel Proulx, De la hiérohistoire, portrait de Henry Corbin, sous la direction de Jean-Michel COUNET, PhD, Institut supérieur de philosophie, Université catholique de Louvain, Louvain-la-Neuve (Belgique), 2017, 688 p.

[20]Sayyid Mu|ammad ðusayn ¦abā¥abā’ī, Shī‘a: Majm‘e-ye udhākirāt bā Professor Henry Corbin, Qom 1397/1977. Cfr. In Search of the Sacred …, cit., pp. 83-84, 86-88. ¦ab…¥ab…’† era interessato a discutere con Corbin perché vedeva in questo un’apertura al mondo filosofico europeo attraverso non un ateo razionalista, ma un uomo che aveva una visione spirituale e metafisica della filosofia. Corbin condivideva una visione spirituale della realtà con ‘Allāmah ¦abā¥abā’ī e allo stesso tempo era un francese, non solo un orientalista ma un filosofo che conosceva tutte le scuole della filosofia francese e la filosofia europea abbastanza bene. Egli aveva tradotto nel 1938 Heidegger dal tedesco al francese, nonchè diversi testi di Hamann, Jaspers e Barth. Il sapiente persiano vide dunque in lui un ponte per comprendere meglio le idee della filosofia europea. Seppur malato ¦ab…¥ab…’† si muoveva con l’autobus da Qom a Tehrān solamente per partecipare a questi incontri, cosa che ne rivela la grande importanza attribuitagli. Finì per convincersi, secondo quanto affermò il figlio ʻAbd al-Baqī, che Corbin – il quale recitava frequentemente il Ÿa|īfat al-Sajjādiyya, celebre raccolta delle invocazioni del quarto Imām, l’Imam Zayn al-Ābidīn ʻAlī ibn al-ðusayn (m. 95/714), fino a piangere – si fosse convertito all’Islam, ma che per timidezza non avesse avuto il coraggio di rivelarlo pubblicamente. Il testo è stato tradotto in inglese, cfr. W. C. Chittick, (trans. with an introduction and annotation by), The Psalms of Islam, The Muhammadi Trust, London 1987.

[21]In Search of the Sacred …, cit., p. 83. « Shayegan and I once translated the Tao Te-Ching into Persian in order to study the text with ‘Allāmah ¦abā¥abā’ī. We also discussed Sirr-i Akbar, the Persian translation of the Upanishads, which had been published by Na’ini and Tara Chand. Occasionally, we read the Gospels and ‘Allāmah would make commentaries upon them from the Islamic point of view. It was a very rich experience, one that was really unique. »

[22]Sulla figura di questo grandissimo maestro spirituale contemporaneo, che ha realizzato il Corano, traducendolo in pratica, cfr. Congreye Bozorgdāsht ðazrat Ayatollah Sayyid ‛Alī Aqā Øī, 6 voll., Noor-e Velayat, Tabrīz 1391. Cfr.  H. Algar, cit…, pp. 4-6. « QāØī was a scholar of typically wide-ranging achievement. He had been trained in fiqh and u¡™l by his father, Sayyid ðusayn QāØī, a foremost pupil of the celebrated Mīrzā ðasan Shīrāzī, and having qualified as a mujtahid he could have successfully vied with other scholars in attracting students of fiqh, the main focus of the Najaf curriculum. His defining characteristic, however, was an immersion in the world of ‘practical gnosis’ (ʻirfān-i ʻamalī), a strict regimen of ascetic self-purification leading to the direct perception of the suprasensory realm. Undeniably reminiscent of Sufism in a number of ways, this discipline involves affiliation to a teacher who is himself the heir to an initiatic chain. QāØī’s initiating guide on the Path had been Sayyid A|mad Karbalā’ī Tihrānī ‘Bakkāʼ’ (d. 1332/1914), whose chain led back first to Ākh™nd ðusayn-qulī Hamadānī (d. 1311/1893) and then to Sayyid ʻAlī Sh™shtarī; the links farther removed in time are somewhat obscure. The known aspects of QāØī’s adherence to ‘practical gnosis’ were night vigils at blessed locations such as the mosque in Kufa and the Masjid al-Sahla and constant dhikr when not teaching; in addition, he would entirely disappear from view during the last ten days of RamaØān every year ». Sulla silsila di Sayyid ʻAlī Sh™shtarī (m. 1281/1865), vedi. Y. C. Bonaud, Uno gnostico sconosciuto del XX secolo. Formazione e opera dell’Imam Khomeyni, traduzione di E. Tabano, Il Cerchio, Rimini 2010, pp. 90-91

[23]Non bisogna tuttavia sottovalutare la grande capacità insieme gnostica e teoretica di questo maestro nell’aprire al suo studente i testi chiave del pensatore andaluso Ibn ‛Arabī (m. 683/1240), a riprova della completezza del livello raggiunto anche sul piano filosofico. Cfr. H. Algar, cit…, p. 6. « Qāÿī’s influence on him was profound. He used to say that before studying with him he thought that he had understood the Fu¡™¡ al-ðikam of Ibn ‛Arabī, but on re-reading it with him he realized he had understood nothing of it at all. Q…ÿī also instructed him in another key work of Ibn ‛Arabī, the Fut™|āt al-Makkiya. The path of ‘practical gnosis’ involves, however, far more than immersion in mystical texts. »

[24]¦abā¥abā’† pubblicò con annesse delle glosse alle prime sei lettere, su un totale di quattordici, la corrispondenza tra Karbalāʼī e lo Shaykh Mu|ammad ðusayn Gharawī I¡fahānī (m. /1942), filosofo eccellente che a Najaf fu suo maestro in u¡™l al-fiqh e fiqh oltre che un poeta discreto sia in arabo che in persiano. ¦abā¥abā’ī, che fu influenzato in modo molto rilevante da entrambi, teneva anche delle lezioni sul tema di queste lettere ad un ristretto e selezionato numero di studenti, delucidandone il soggetto – la gradazione (tashkīk) e l’unità (wa|dah) dell’Essere (wujd) – e cercando di elaborarlo secondo il suo punto di vista. Cfr. Mu|ammad ðusayn ðusaynī-ye Tihrānī, Taw|id-e ʻelmī wa ʻaynī dar makāteb-e |ekmī wa ʻerfanī-ye |ājj sayyid Karbalāʼī wa |ājj shaykh Mu|ammad ðusayn I¡fahānī Kumpānī bā ÿamīmah-ye tazyīlāt wa mu|ākamāt-e |ājj sayyid Mu|ammad ðusayn ¦abā¥abā’ī, Tehrān 1410/1989.

[25]Sayyid Muhammad Husayn Husayni Tehrani, Shining Sun…, cit., p. 59-60. « Their approach was the method of gnosis of the soul (maʻrifat al-nas), which, based on numerous narrations, is accompanied by the gnosis of the Lord (maʻrifat al-rabb). One achieves the gnosis of the Lord after leaving behind the imaginal world (ʻalam al-mithal) – that is, the realm of forms (surah) – and even going beyond the realm of the soul (nafs). It is upon total detachment from the soul (nafs) that one achieves everlasting subsistence by the Lord (baqa’ bi al-Rabb). The Sultan of Gnosis [i.e. the unveling of God’s unity] will manifest only when there are no remaining signs of the wayfarer’s nafs. Amongst the chief requirements of achieving this state is watchfulness and self-vigilance (muraqabah). For each and every station (manzil) of the journey, one must observe the manners and requirements of that station and situation at which he is. Otherwise, worshipping and performing the required deeds without (muraqabah) is like a patient’s taking medication without abstaining from harmful foods; it will not have the desired result. The fundamentals of self-vigilance – the details of which vary based on the different stages of journey – can be summarized in five points:

The perfection of the imperfects lies in five:

Eating and sleeping only to survive,

Solitude from the people, and talking very little,

And costant attention (dhikr), in order to thrive.

(Shah Qasim Anwar, d. 837/ 1434)

[26]ʻAllameh Sayyed Mohammed Tabataba’i, Concerning the Wayfaring and Spiritual Journey of the People of Intellect, in Religion and Politics in Modern Iran. A Reader, ed. by L. Ridgeon, I.B. Tauris, New York 2005, pp. 144-145.

[27]Sayyid Mu|ammad ðusayn ðusaynī-ye Tehrānī, Mehr-e tābān: yādnāme va mu¡ā|ebāt-e telmīdh va ʻallāme, Enteshārāt-e ʻAllāme-ye ¦abā¥abā’†, Mashhad 1417/1996.

[28]Su Salmān il Puro, l’iranico figlio di cavaliere mazdeo adottato dal profeta Mu|ammad come « uno di noi, gente della Casa », primo persiano introdotto nell’Islam arabo, cfr. L. Massignon, Salmān Pāk e le primizie spirituali dell’Islam iraniano,  in Parola data, a cura di C. M. Tresso, Adelphi, Milano 1985, pp. 103-137.

[29]H. Corbin, L’Iran e la filosofia, trad. di P. Venuta, Guida, Napoli 1992, pp. 54-55

[30]Sayyid Muhammad Husayn Husayni Tehrani, Shining Sun…, cit., pp. 16-23.

[31]In Search of the Sacred…, cit., p. 86.

[32]H. Algar, cit…, p. 24.

[33]Sayyid Muhammad Husayn Husayni Tehrani, Shining Sun…, cit., pp. 62-63.

[34]Sull’ambivalenza del termine musica in riferimento alla sharīʻa, la legge islamica, cfr. S. H. Nasr, Islam and Music: The Legal and the Spiritual Dimensions, in Studies in Comparative Religion, Vol. 10, No. 1 (Winter, 1976). « According to the Sharīʻah, the Divine Law of Islam, there are different categories of human actions and corresponding categories  of music, which are accepted or rejected legally. First, there is the category of music that is |alāl, legitimate or allowed, from the point of view of religious law. Second, there is the category of music that is mubā|. Types of music in this category are allowed, but they are not looked upon with great favor and are perhaps somewhat circumspect; they may be performed, but they are not |alāl and therefore are in a lower category. There are then those kinds of music, called makrh, which are improper, which are disapproved of by religion, but which are not totally forbidden by Islamic Law. Finally, there is that which is |arām, forbidden or illicit. It is important to reiterate that these rulings are not unanimous and there are differences of interpretation among various religious scholars as to where the distinctions between categoris lie/ […] Arabic poetry deals at once with words and phrases and music (for example, the Kitāb al-aghānī in fact means “The Book of Songs”). Likewise, of course, many Persian and Turkish poems are usually sung. This is the reason so much of the poetry of the Islamic peoples is very musical and, vice versa, why Islamic music always has a poetic dimension to it. »

[35]Sul complesso e talvolta ambiguo rapporto tra musica e Islam, cfr. Jean During, Musica ed estasi,  L’ascolto mistico nella tradizione sufi, traduzione e cura di Giovanni De Zorzi, Squilibri, Roma 2013. Il fratello di ¦abā¥abā’† scrisse un innovativo trattato sulla musica, la composizione e l’effetto di questa sull’anima, ma lo distrusse completamente in quanto « he was afraid inappropriate people and tyrannical rulers would get hold of it, and then modern illegitimate governments would abuse it. » cfr. Sayyid Muhammad Husayn Husayni Tehrani, Shining Sun…, cit., p. 25.

[36]Golshan Sheīdāi, ed. by Mo|ammad Rezā Ramzī Aw|adī, Ketāb hame, Tehran 1392.

[37]Attualmente son stati tradotti dall’arabo in inglese 12 volumi dell’opera, vera e propria ispirata enciclopedia delle scienze islamiche. Cfr. Al-Mīzān: An Exegesis of the Qur’ān, translated by Ustadh al-ʻAllamah al-Sayyid Saʻid Akhtar al-Radawi, World Organization for Islamic Services, Tehran 1983-2002.

[38]Sull’|awza, il tradizionale seminario di studi shīʻita, cfr. Al-Shahīd al-Thānī, Desire of the Aspirant. On the etiquette of the Teacher and the Student. A translation of Munyat al-Murīd fī Ādāb al-Mufīd al-Mustafīd, translated by A. Khaleeli, Edited M. Mehdi Baghi, Mohammed Ali Ismail, Intr. Mohammad Mehdi Bagi, Icas Press, London 2016; Hawza-yi ‘Ilmiyya. An entry from Encyclopaedia of the World of Islam, Edited by Gholamali Haddad Adel, Mohammad Jafar Elmi, Hassan Taromi-Rad, London, EWI Press Ltd 2012. In italiano, vd. A. Cancian, La scuola degli Imam. L’Iran e la scuola religiosa nell’Islam sciita, Jouvence, Roma 2016

[39]H. Algar, cit…, p. 24. cfr. Saadi, Il roseto, 2 voll., traduzione di I. Pizzi, Carabba, Lanciano 1917; Saʻdī, Il roseto (Golestān), intr., trad. e note di P. Filippani Ronconi, Bollati Boringhieri, Torino 1965.

[40]A. Pagliaro, A. Bausani, La letteratura persiana, Sansoni 1968, p. 244.

[41]Sayyid Muhammad Husayn Husayni Tehrani, Shining Sun…, cit., pp. 212-215. Molto interessante la nota che ¦abā¥abā’† aggiunge parlando di Ibn al-FāriØ e del suo rapporto con l’opera di Ibn ‘Arabī, circa la vicinanza di questo sommo maestro allo shī’ismo, che meriterebbe di essere trattata e sviluppata nello specifico.

« According to our master, the late Qadi, Ibn al-Farid was a pupil of Muhy al-Din (Ibn al-‘Arabi). One day Muhy al-Din told Ibn al-Farid, ‘Why don’t you write a commentary for your Ta’iyyah ode?’ ‘O our master,’ Ibn al-Farid responded, ‘this al-Futuhat al-Makiyyah of yours is a commentary of my Ta’iyyah.’ Muhyi al-Din was extremely close to Shi‘ism. Generally speaking, the case of Shi‘ism was different in early Islam and even in subsequent centuries than it is today. Most prominent scholars and gnostics were actually Shi‘a; however, they had no choice but to conceal their real faith (taqiyyah). They used to hide their actual beliefs so as to prevent external problems and conflicts. They would keep it in themselves and not reveal it except through secret words, hints or intimations. There are two verses of Ibn al-Farid whereby he clearly and explicity expresses his faith in the guardianship (wilayah) of Ahl al-Bayt. He says:

Fruitless was my life; elapsed in vain;

Because from you, I had no gain.

Save for what I got for my allegiance

To the Prophet of Qusay and his descendant. »

Sul tema, cfr. S. H. Nasr, Shiʻism and Sufism: Their Relationship in Essence and History,  in Religious Studies Vol. 6, No. 3 (Sep., 1970), pp. 229-242.

[42]Poema in rima t di settecentosessanta versi, la « grande Taiyya » sotto il velame bacchico-amoroso espone un contenuto altamente mistico sul quale si sono cimentati con risultati interpretativi diversi molti studiosi italiani. Dagli studi pioneristici e discutibili del carmelitano Pietro Valerga, che arrivò a fantasticare una reincarnazione  del poeta cairino in Petrarca, passando per Di Matteo, Nallino, fino a Giuseppe Scattolin. Cfr. P. Valerga, Il divano di Omar ben al-Fared, tradotto e paragonato col canzoniere del Petrarca, Firenze 1873; I. Di Matteo, I a. F. Il gran poema mistico noto col nome di al-Taiyyah al-Kubra, Roma 1917; C. A. Nallino, Il poema mistico arabo di Ibn al-Farid, e Ancora su Ibn al-Farid e sulla mistica musulmana, in Rivista di Studi Orientali, vol. 8, 1/4, pp. 1-106, pp. 501-562; G. Scattolin, Lʼesperienza mistica in Ibn al-FāriØ  attraverso il suo poema al-Tāʾiyyat al-Kubrā – Un’analisi semantica del poema, 3 vols., PISAI, Roma 1987.

[43]Farghānī raccolse i commenti alla Tā’iyyah del suo maestro Ÿadr al-Dīn Qūnawī (m. 673/1274), componendo sulla loro base un lavoro sia in persiano, il  Mashāriq al-darārī , che in arabo, il  Muntaha’l-madārik. Cfr. Mashāriq al-darār Shar| Tāiyya Ibn al-FāriØ; ta’lf øa‛d al-Dn Farghān, translated and commented on by Sayyid Jalāl al-D†n Ashtiyānī, Mashhad, Iran: Anjuman-i Falsafah-i wa-‛Irfān-i Islam, 1398/1978. Cfr. G. Scattolin, “Al-Farghānī’s Commentary on Ibn al-FāriØ’s Mystical Poem al-Tāʾiyyat al-Kubrā,” MIDEO 21, 1993, pp. 331-83. Su questo sufi, allievo di Qūnawī, a sua volta il più influente discepolo di Ibn ʻArabī, cfr. W. C. Chittick, ad vocem Saʿīd al-Dīn Farghānī, in EI2 II, pp. 860-61.  Sulla poesia di Ibn al-FāriØ, cfr. ʻUmar Ibn al-FāriØ, The Poem of the Way, tr. A. J. Arberry, E. Walker, London 1952; ʻUmar Ibn al-FāriØ, The Mystical Poems of Ibn al- FāriØ, tr. A. J. Arberry, E. Walker, Dublin 1956; T. E. Homerin, Passion before me, my fate behind:  Ibn al-FāriØ and the poetry of recollection, Suny Press, Albany 2011. Un commento alla Tā’iyyah, intitolato Kashf al-durr fī na©m al-durr, sarà scritto dal mistico Bābā Rukn al-Dīn Shīrāzī (m. 769/1368). ʻAbd al-Razzāq Kāshānī (m. 730/1330) scrisse a sua volta un commentario al testo, il Kashf wujh al-ghurr li-ma’ānī na©m al-durr. In seguito il poeta e mistico ʻAbd al-Ra|mān Jāmī (m 898/1492), ne commenterà una parte rilevante col suo Shar|-e baʻØī az abyāt-e qa¡īda-ye tā’iyya-ye fāriØiyya.

[44]M. Moʻin, Hafez-e Shirin Sokhan, Tehran 1319/1940, p. 23.

[45]H. Algar, cit…, pp. 23-24.

[46]H. Algar…, cit. p. 23.

[47]In Search of the Sacred…, cit., p. 83. Su ðāfe© e la mistica, vedi l’importante riflessione di uno dei suoi migliori allievi, Murtaÿā Mu¥ahharī. Cfr. Murtaÿ… Mu¥ahharī, Tamāshāgah-e rāz: mabāḥes̲ī pīrāmūn-e shenākht-e vāqeʻī-ye Khvājeh ðāfeẓ, Enteshārāt-e Islāmī, Tehrān 1980. In italiano sul tema, vd. Mortaza Motahhari, La contemplazione del mistero: cinque discorsi sul misticismo di Hâfiz, pref. di Hamîd Rezâ Bahârlû, traduzione e note a cura di S. Pellò, i Versanti, Roma 2000.

[48]D. Shayegan, Henry Corbin: La topographie spirituelle de l’Islam iranien, Paris, Éditions de la Différence, 1990, p. 28.

[49]Alla sua morte furono pubblicati ventitre ghazal di natura mistica, cfr. Bāde-ye ʿeshq, Ṣidā wa sīmā-ye jumhūrī-ye Islāmī-ye Irān, Tehran 1368/1989-90. Sul tema vedi Ridgeon, L. (2014) Hidden Khomeini: mysticism and poetry, in Adib-Moghaddam, A. (ed.) A Critical Introduction to Khomeini. Cambridge University Press, Cambridge 2014, pp. 193-210; Asghar Seyed-Gohrab, Khomeini the Poet Mystic, in Die Welt des Islams, Vol. 51, Issue 3/4 (2011), pp. 438-458. Cfr. William Hanaway, Five Mystical Ghazals by the Ayatollah Khomeini, in Iranian Studies Vol. 30, No. ¾, Selections from the Literature of Iran, 1977-1997(Summer/Fall, 1997): 272-76. Sulla dimensione gnostica di Khomeyni, autore di diverse opere di carattere irfanico nelle quali combinò la tradizione dell’ʻirfān shīʻi con quella di Ibn ʻArabī, resta insuperata l’opera di Yahya Christian Bonaud. Cfr. Y. C. Bonaud, L’Imam Khomeyni, un gnostique méconnu du XXe siècle. Métaphysique et théologie dans le oeuvres philosopiques et spirituelles de l’Imam Khomeyni, Al-Bouraq, Beirut 1997.

[50]Jalāl-ud-Dīn R™mī, Il libro delle profondità interiori, Luni, Milano 1996, p. 65.

[51]S. H. Nasr, Il sufismo, Rusconi, Milano 1994, p. 64.

[52]Era stato questo mondo intermedio, in quanto situs dove non solo « hanno luogo » e il « loro luogo » le visioni dei profeti e le esperienze dei mistici, ma trovano realtà gli accadimenti della Resurrezione e dell’escatologia, a permettere al filosofo francese di trovare un luogo per evadere dal carcere della finitezza dell’essere per la morte. Se in fondo, come testimonia Corbin stesso, « un mondo non può sorgere all’Essere e al Conoscere fino a che non è stato nominato e denominato », la presenza di questa nozione appare relativamente tardi nella sua opera. Avvertita in modo ancora oscuro negli scambi avuti intorno ai Platonici di Cambridge tra il 1931 e il 1936 con Ernst Cassirer, che nel 1932 aveva pubblicato l’opea Die Platoniche Renaissance in England und die Schule von Cambridge, l’idea si era già manifestata, nella parola Imaginal, nella prima conferenza che Corbin tenne presso il circolo di Eranos, nel 1949. Basandosi anche su quel rifiuto della causalità storica, fisica che, sulla scorta della questione heideggeriana delle radici ontologiche della storia, aveva guidato il filosofo francese alla coniazione della distinzione tra historial e historique, e dopo l’incontro cruciale con la gnoseologia dei Platonici di Persia. Fu infatti a contatto con gli Ishrāqīyn del ceppo spirituale di Suhrawardī, che il filosofo giunse a definire, insieme a questo ‘continente perduto’ alla filosofia occidentale ‘ufficiale’, il proprio lessico, che fino allora, per esplicita dichiarazione dell’autore stesso, aveva oscillato, contemplando anche la variante imaginable. La ricerca di un termine che potesse differenziarsi radicalmente dall’imaginaire,  trovò un fondamentale soccorso nella lingua latina, perché fu con il termine latino mundus imaginalis, perfetto equivalente dell’arabo ālam al-mithāl, che Corbin diede esistenza e realtà, a un intero piano dell’Essere. Il mondo intermedio che Suhrawardī aveva designato con differenti nomi, veniva a determinare, nel termine chiave coniato dal Corbin, anche un preciso piano del Conoscere, che a sua volta a reggeva una rete di nozioni determinate: percezione immaginativa, conoscenza immaginativa, coscienza immaginativa. Tutto ciò, a partire dalle due opere fondamentali, L’imagination créatrice dans le soufisme d’Ibn ‘Arabi, del 1958, e Corps spiritual et Terre céleste, datata 1960, ma il cui nucleo originario risale anch’esso alla stagione di Eranos, esattamente l’estate 1953, verrà definitivamente stabilito e fissato, sia su un piano metafisico, che su quello lessicale. La rivendicazione di realtà che questo mondo reclamava, e che Corbin, da giovane filosofo aveva a lungo cercato, superando la Weltanschauung di Heidegger, e trovandola nel mondo spirituale iranico, esigeva dunque una distinzione ontologica e gnoseologica rispetto al termine imaginaire.

[53]H. Corbin, En Islam iranien. Aspects spirituels et philosophiques, Gallimard, Paris 1971-1972, vol. IV, p. 378.  « Le mot « imaginal » (latin imaginalis) dérive du mot imago à l’exemple des mots du même type (cf. les dérivés du mot origo : originarius, originalis etc.). Le latin distingue entre imaginare, présenter une image à la façon dont le miroir vous la présente (c’est la fonction qu’exprime le mot arabe mazharîya, et c’est par excellence la nature du ’âlam al-Mithâl, mundus imaginalis) et le déponent imaginari, s’imaginer, se figurer ».

[54]S. H. Nasr, Il sufismo…, cit., p. 65.

[55]AvicennaOpera poetica, traduzione, introduzione e note di A. Bausani, Roma, Carucci 1956.

[56]Ibn al-‘Arabī, Turjumān al-Ashwāq, Beirut, Dār øādir, 1966. Cfr. Ibn ‘Arabi, The Tarjumān al-Ashwāq, A Collection of Mystical Odes, trans, and ed. Reynold Nicholson, London, Royal Asiatic Society 1911.

[57]ʻAlā’ al-Dawla Semnānī, Dīvān-e kamel-e ash’ar farsi va arabi Sheikh Alā’ al-Dowlah Semnānī, ed. ʻA.-R. Haqiqat, Sherkat-e mo’allefan va motarjeman-e Iran, Tehran 1985. Cfr. J. J. Elias, The Throne Carrier of God: The Life and Thought of ʻAla’ ad-dawla as-Simnani, NY: State University of New York Press, Albany, 1995.

[58]Mir Dāmād, Dīvān, Isfahan, 1310 Š./1931; Mathnavī-ye Mollā øadrā, ed. Mo¡tafā FayØī, Qumm, 1376 Sh./1417/1997.

[59]Bahā’od-Dīn Mo|ammad ʽAmelī, Kollīyāt-e ašʿār wa āṯār-e fārsī-e Šayḵ Bahāʾ-al-Dīn Moḥammad al-ʽĀmelī mašhūr be Šayḵ Bahāʾī, ed. Ḡolām-Ḥosayn Jawāherī, Tehran, 1341 Š./1962. Cfr. C. E. Bosworth, Bahā al-Dīn al-‘Āmilī and His Literary Anthologies, Manchester, Manchester University Press 1989; Andrew Newman, “Towards a Reconsideration of the ‘Isfahan School of Philosophy’: Shaykh Baha’i and the Role of the Safawi Ulama,” Studia Iranica, vol. 15 (1986), pp. 165-199.

[60]Dīvān ðakim Afÿal alDīn Kāshānī, Tehrān, Zavvar 1984. Cfr. W. Chittick, ad vocem BābāafżalalDn, in EIR, Vol. III, Fasc. 3, pp. 285-291; Mo|sen FayØ Kāshānī, Dīvān, Tehran, 1357 Š./1978. Cfr. H. Algar, ad vocem Fayż-e Kāšānī, Mollā Mo|sen-Mo|ammad in EIR, Vol. IX, Fasc. 5, pp. 452-454; FayyāØ-e LāhjDvān, ed. A. B. Karimi. Tehran, 1372 Sh./1993. Cfr. W. Madelung, ad vocem ʻAbd-Al-Razzāq Lāhījī, in EIR, Vol. I, Fasc. 2, pp. 154-157.

[61]Divān-e Asrār: kolliyāt-e ašʻār-e fārsi-e Ḥāji Mollā Hādi Sabzavārī, ed. Sayyed ðasan Amīn, Tehran, 1380 Š./2001. Cfr, Seyyed Hossein Nasr, ad vocem Hādi Sabzavāri, in EIR, Vol. XI, Fasc. 4, pp. 437-441. Mollâ Hādī, sotto commissione del governatore del Khorasan, il principe Qajar Sul¥ān Murād Mīrzā ðusām al-Sal¥ana, ha composto un commentario ai passi più oscuri o più difficili, circa un centinaio, contenuti nei sei libri del Mathnawī di Jalāl al-dīn R™mī. Cfr. Hādi Sabzavārī, Shar|-e mathnawī, ed. Mu¡¥afā Bur™rjerdī, 3 voll., Vezārat-e ershād, Tehrān 1374-77/1995-98. Sul testo è stato pubblicato uno studio, cfr. J. Cooper, “R™mī and |ikmat: Towards a Reading of Sabziwārī’s commentary on the Mathnawī”, in The Heritage of Persian Sufism I: Classical Persian Sufism from its Origins to Rumi, ed. L. Lewisohn, Oneworld Pubblications, Oxford 1999, pp. 409-433. In epoca recente, tra il 1969 e il 1973, va segnalata l’uscita del monumentale commentario al Mathnawī, in ben 15 volumi, del sapiente e filosofo ʻAllamah Mu|ammad Taqī Jaʻfarī (m. 1419/1998).

[62]Emblematico il caso rappresentato da uno degli ʽulamā’ più rappresentativi dell’epoca qajar, Mullā A|mad Narāqī (m. 1245/1829), autore di svariati testi sui principi della giurisprudenza (u¡™l), il quale a sua volta compose un bel poema basandosi strettamente sul Mathnawī di R™mī. La lettura di questa opera era altamente raccomandata da un altro grande ‘aref recente e profondo conoscitore del testo, lo Shaykh Rajab ‘Alī Khayyāt (m. 1340/1961), il quale arrivava a commuoversi all’ascolto e affermava che avrebbe dato qualsiasi cosa avesse avuto pur di possedere una copia del Tāqdīs. Cfr. Mullā A|mad Narāqī, Mathnawī-ye tāqdīs, ed. ðasan Narāqī Tehran, Amir Kabir 1362sh/1983. A Narāqī si deve anche, nell’opera intitolata ʻAwā’id al-Ayyām, la prima articolazione della dottrina della Wilayat-e Faqih (l’autorità dei giuristi), cfr. H. Dabashi, “Early Propagation of Wilayat-i Faqih and Mullah Ahmad Naraqi”, in S. H. Nasr, H. Dabashi and S. V. R. Nasr, Expectations of the Millenium: Shiʻism in History, State University of New York, New York 1988, pp. 288-300.

[63]Sayyid Muhammad Husayn Husayni Tehrani, Shining Sun…, cit., p. 82. Emblematico l’episodio citato sempre nel testo da ¦abā¥ab…’ī, p. 264-65: « It is reported that once, certain individuals (jurist and scholars) conspired against the late Akhund Mulla Husayn-Quli, and wrote a petition against his mystic, esoteric, and monotheistic practice, which they submitted to the late Ayatollah Sharabyani. (That was when the late Sharabyani held the authority of [Shiʻa] Muslims and was recognised as the absolute Source of Emulation.) Their objection was that Akhund Mulla Husayn-Quli was following the Sufis. The late Sharabyani read their letter, picked up a pen and wrote underneath their letter, ‘I wish Allah would make me a Sufi like the Akhund.’ And with this statement, Sharabyani put an end to the matter, and all their plots fell flat. »

[64]Circa una possibile definizione del termine ‘irfan si riporta quella offerta dallo studioso Toshihiko Izutsu (m. 1993), che lo intende come « una forma particolare di filosofia sviluppatasi nell’Islam, un modello particolare di pensiero nel quale il pensiero razionale è guidato dalla realizzazione spirituale attraverso una autodisciplina contemplativa e va di pari passo con essa », in T. Izutsu, Unicità dell’esistenza e creazione perpetua nella mistica islamica, intr. di A. Ventura, Marietti, Genova 1991, p. 67. La preferenza nell’uso di questo termine per designare l’esoterismo islamico, in sostituzione del termine ta¡awwuf, si afferma a partire dall’epoca Safavide tra i religiosi shīʻiti, quando quello che inizialmente era un ordine sufi di tendenze alidi guidato dallo Shaykh øafī al-Dīn Ardibīlī e mosso da quella che Bausani definisce  « una volontà di sciismo e di entusiastica fedeltà religioso-militare a un capo semidivino », fonda il nuovo stato Persiano che impone gradualmente una « rinnovata ortodossia sciita duodecimana dei teologi ». Cfr. S. H. Nasr, Shiʻism and Sufism…, cit. p. 241. « But strangely enough, during the reign of the same dynasty whose origin was Sufi, a severe reaction set in against the Sufi orders partly because many extraneous elements had joined Sufism for worldly ends and also because some of the orders became lax in their practice of the Sharîʻah. Some of the religious scholars wrote treatises against the Sufis such as al-Fâwâʼid al-dînîyah fiʼl-radd ʻalʼl-|ukamâʼ waʼl-¡ûfîyah of Mullâ Mu|ammad ¦âhir Qumî. Even the outstanding theologian and scholar, Mullâ Mu|ammad Bâqir Majlisî, who was not completely against Sufism as attested by his Zâd al-maʻâd, was forced in these circumstances to deny his own fatherʼs Sufism and openly oppose the Sufis. In such a climate Sufism encountered a great deal of difficulty during the latter part of the Safavid era and in this period even the theosophers (|ukamâʼ) of the school of Mullâ øadrâ faced severe opposition from some of the ʻulamâʼ. It was as a result of this situation that in religious circles Sufism henceforth changed its name to ʻirfân and to this day in the official Shiʻite religious circles and madrasahs one can openly study, teach and discuss ʻirfân but never tasawwuf which is too often associated with the lax dervishes oblivious to the injunctions of the Sharîʻah, who are usually called qalandar maʼâb in Persian ». Cfr. L. Lewisohn, “Sufism and the School of Isfahan: Tasawwuf and ʻIrfan in Late Safavid Iran” ʻAbd al-Razzq Lahiji and Fayz–i Kashani on the Relation of Tasawwuf , hikmat and ʻIrfan”, in L. Lewisohn and D. Morgan, eds., The Heritage of Sufism, vol. III: Late Classical Persianate Sufism: The Safavid and Mughal Period, ONEWORLD, Oxford 1999, pp. 64-134.

[65]Sul tema, vd. A. Anzali, “Mysticism” in Iran. The Safavid Roots of a Modern Concept, University of South Carolina, Columbia 2017. Cfr. N. Pourjavady, “The Opposition to Sufism in Twelver Shiism”, in Islamic Mysticism Contested: Thirteen Centuries of Controversies and Polemics, eds. Frederick de Jong and Bernd Radtke, Leiden, Brill 1999, pp. 614-623; J. Aubin, “La Politique religieuse des Safavides,” in Le Shîʻisme imamate, Paris, ed. T. Fahd, 1970, pp. 235-243.

[66]H. Corbin, Post-scriptum biografico ad una conversazione filosofica, sito web Amis de Henry e Stella Corbin, <http://www.amiscorbin.com/textes/italien/italienpostcriptumttb.htm

[67]Circa il ruolo del maestro spirituale nella letteratura sufi persiana, cfr. S. H. Nasr, Il sufismo…cit., pp. 68-82.

[68]Ibid., p. 68.

[69]H. Algar, cit…, pp. 4-6. QāØī incontrò anche degli strenui oppositori in coloro che rigettavano la via filosofica e mistica, il cui più celebre caso fu quello di Mīrzā Mahdī Gharawī I¡fahānī (m. 1365/1945), che giunto a Mashhad intorno al 1921-22 vi fondò la scuola chiamata maktab-e tafkīk (segregazionista), la quale rifiutava ogni interpretazione allegorica (ta’wīl) e razionale nella conoscenza del Corano e divenne presto l’indirizzo dominante nell’|awza, trovando accoglienza presso gli ʻulamā tradizionalisti. Uno dei migliori studenti di ‘Allāmah ¦abā¥abā’ī, il filosofo Sayyid Jalāl al-Dīn Ashtiyani (m. 1426/2005), si opporrà a questa deriva anti-filosofica e anti-razionalistica, criticandone l’approccio meramente fideistico, considerandolo limitante. Cfr. Mīrzā Mahdī Gharawī I¡fahānī, Abwāb al-hud´a fī bayān ¥arīq al-hidāya al-ilāhiyya wa-mukhālifatihi mrāl-ʻul al-ʻulʻum al ynāniyya, Sayyid Mu|ammad Bāqir Najafī-Yazdī (ed.), Mashhad 1364 Sh/1985, new edition, ed. ðasan Jamshīdī, (Qum1385 Sh/2006); Mu|ammad Riÿā ðakīmī, Maktab-e tafkīk,  2edn, Tehran, 1376/1997; Sajjad H. Rizvi, “Only the Imam Knows Best: The Maktab-e tafkīk’s Attack on the Legitimacy of Philosophy in Iran”, in Journal of the Royal Asiatic Society, 22 (2012), pp. 487-503; R. Glave, “Continuity and Originality in Shīʽī Thought: The Relationship between the Akhbāriyya and the Maktab-i Tafkīk”, in Denis Hermann and Sabrina Mervin (eds), Shi’i Trends and Dynamics in Modern Times (XVIIIth-Xxth Centuries), Ergon Verlag Würzburg in Kommission, Beirut 2010, pp. 71-93.

[70]Su Najaf in quanto città di scienza e della sua ricerca, cfr. S. Mervin, La quête du savoir à Najaf. Les études religieuses chez les chiites imâmites de la fin du XIXe siècle à 1960 », Studia Islamica, 81, 1995, pp. 165-185. Si veda anche la meravigliosa monografia, Yasser Tabbaa and Sabrina Mervin, Najaf: The Gate of Wisdom: History, Heritage and Significance of the Holy City of the Shiʿa, Paris, 2014. Su ʻAlī ibn Abī ¦ālib dal punto di vista delle credenze, nella letteratura popolare e nell’iconografia, cfr. From History to Theology: Ali in Islamic beliefs, ed. by Ahmet Yaşar Ocak, Turkish Historical Society, Ankara 2005.

[71]Sull’esperienza del dhikr vedi L. Gardet, Dhikr, in EI, II, p. 223. Algar riporta questo affascinante aneddoto in merito. H. Algar, cit…, p. 6. « In full conformity with the traditions of his discipline, QāØī  used to warn ¦abā¥abā’ī  and his other pupils to ignore the manifestations of the suprasensory realm, the forms reflecting the divine beauty, that they might see while engaged in dhikr. ¦abā¥abā’ī had at least one occasion to act on this advice. He relates that while absorbed one night in dhikr at the mosque in Kufa, a houri appeared before him and proffered him both her own person and a goblet of the wine of paradise. He gently rebuffed her advances, and she departed–slightly offended, as ¦ab…¥ab…’ī recalled. »

[72]S. H. Nasr, Preface a Sayyid Mu|ammad ðusayn ¦abā¥abā’†, Shi‘ite Islam…, cit., p. 23. « Thanks to this master the years in Najaf became for ’Allamah Tabataba’i not only a period of intellectual attainment but also one of asceticism and spiritual practices, which enabled him to attain that state of spiritual realization often referred to as becoming divorced from the darkness of material limitations (tajrid). He spent long periods in fasting and prayer and underwent a long interval during which he kept absolute silence. »

[73]Per l’autobiografia, vd. Marzubān-e wa|ī wa kherad: yādnāme-ye mar|™m ‘allāmeh-ye sayyid Mu|ammad ðusayn ¦abā¥abā’ī, Qom 1381/2002, pp. 39-45. Cfr. Sayyid Muhammad Husayn Husayni Tehrani, Shining Sun…, cit., pp. 15-16. « One day, I offered him some perfume, which he took in his hand. Then he paused a bit and said, ‘It has been two years since our teacher, the late Qadi, has passed away, and I have not used any perfume ever since.’ Even until these recent years, whenever I gave him a bottle of perfume, he would cap it and put it in his pocket. I never saw him using perfume, even though his teacher passed away thirty-six years before. ».

[74]QāØī scrisse un commento al Corano rimasto inconcluso, arriva fino alla sesta sura, la sura al-Anʻām, e purtroppo non ancora pubblicato. Cfr. Sayyid Muhammad Husayn Husayni Tehrani, Shining Sun…, cit., pp. 45-46; Sayyid Mu|ammad ‘Allamāh ¦abā¥abā’ī, The Qur’ān in Islam…, cit., pp. 54-59.

[75]Da rilevare che Sayyid Hāshim al-Haddād (m. 1404/1984), uno degli allievi prediletti di M†rz… ʻAlī Qāÿī ¦abā¥ab…’ī, fu anche uno dei più rilevanti maestri spirituali di Tehr…nī, che alla guida di ¦abā¥ab…’ī debbe molto e che fu dunque guidato da entrambi gli allievi del grande Qāÿī. Fu proprio ¦ehr…nī a raccogliere in un testo i pensieri e le idee, mai messe per iscritto ad eccezione di alcune lettere, di questo elevatissimo maestro mistico iraqeno che riponeva un grande amore nel Mathnavi di Rumī e che lo stesso ‘Allāmah ¦abā¥ab…’ī stimava molto. Cfr. Sayyid Mu|ammad Husayn ðusayni ¦ehranī, R™|-e mojarrad, Enteshārāt-e ðekmat, Tehran 1414/1995.

[76]Sulla vita di Bahjat, cfr. The Model of Gnostics. Uswat al-ārifeen (Biography of Ayatollah Bahjat), by Mahmoud al Badri, Translated by Yasin T. al-Jibouri, An¡āriyān, Qom 2008.

[77]Sayyid Muhammad Husayn Husayni Tehrani, Shining Sun…, cit., pp. 262-263.

[78]Kernel of the Kernel…, cit., p. xvi.

[79]Sulla walāyah, cfr. M. A. Amir-Moezzi, “Notes à propos de la Walaya imamite’, JAOS 122, 4, 2002, pp. 722-741. Sul tema vedi anche l’importante riflessione di uno dei migliori studenti di ¦ab…¥abā’ī, cfr. Ayatullah Jawadi Amuli, Wilayat in Quran,  translation Sayyid Athar Husain Rizvi, Ansariyan Publications, Qom 2012.

[80]Sull’Imām e la conoscenza ad esso legata, cfr. Sayyid Mu|ammad ðusayn ¦ab…¥abā’ī, Shi‘ite Islam…, cit., pp. 150-168. Cfr. H. Corbin, L’Imam nascosto, a cura di G. Cerchia, trad. di M. Bertini, SE, Milano 2008.

[81]Sayyid Muhammad Husayn Husayni Tehrani, Shining Sun…, cit., pp. 60-61. « Our late teacher had a very high regard for two religious scholars whom he remembered with great reverence. One was Sayyid ʻAli ibn Tawus (may Allah elevate his rank). ʻAllamah cherished his book Iqbal al-Aʻmal and used to call him the Master of the Watchful (sayyid ahl al-muraqabah), The other was Sayyid Mahdi Bahr al-ʻUlum (may Allah elevate his rank). ʻAllamah admired his lifestyle, self-vigilance, and his approach to knowledge and practice. He used to frequently talk about both men’s meetings with Imam Mahdi (may our spirits be sacrificed for him). ʻAllamah was amazed at their purity from the desires of the base soul and their diligence on the path to their cherished destination. He respected their lifestyles and admired their determination in seeking God’s pleasure, Exalted is He. He had a high regard for the treatise on spiritual journey and wayfaring (sayr wa suluk) attributed to Sayyid Bahr al-ʻUlum, and recommended its reading. He had himself taught several series of the treatise with fairly thorough and exstensive explanations for some intimate students who were passionate devotees of the Truth and aspirants of the vision of Allah ». Cfr. Sayyid Mahdī Ba|r al-ʻUl™m, Resāle-ye seyr va sulk, With commentary of ¦abā¥ab…’ī, ed. Sayyid Mu|ammad ðusayn ðusaynī-ye Tehrānī, Enteshārāt-e ʻAllāmeh-ye ¦abā¥abā’ī, Mashhad 1416/1995; Treatise on Spiritual Journeying and Wayfaring. Attribuited to Ba|r al-ʻUlm, edited, annotated and introduced by Sayyid Mu|ammad ðusayn ðusaynī-yi Tehrānī, translated by Tawus Raja, Kazi Pubblications, Chicago 2013. Sulla sua vita e opera, cfr. R. D. McChesney, “The Life and Intellectual Development of an Eighteenth Century Shiʻi Scholar: Sayyid Muhammad Mahdi Tabataba’i ‘Bahr al-ʻUlum’, in Folia Orientalia, vol. 22 (1981-84), pp. 163-184.

[82]S. H. Nasr, Theoretical Gnosis and Doctrinal Sufism and Their Significance Today, in Transcedent Philosophy 1, (2005): 1-36, pp. 20-21. « The tradition of ‘irfān-i na©arī continues to this day in Persia. After the generation of such figures as Ayatollah Khomeini, ‘Allāmah ¦abā¥abā’ī (d. 1404/1983), who was a major gnostic without writing any commentaries on Ibn ‘Arabī, and also one of the important masters of ‘irfān, Sayyid Mu|ammad Kā©im ‘A¡¡ār, notable figures have appeared upon the scene such as Sayyid Jalāl al-Dīn Āshtiyanī, ðasan-zādah Āmulī, and Jawād Āmulī, of whom the latter two still teach at Qom. Āshtiyanī’s commentary upon the introduction of Qay¡arī to the Fu¡ū¡ mentioned above, as well as a number of his other commentaries such as those on Tamhīd al-qawā‘id and Naqd al-nu¡ūs}, are major contemporary texts of theoretical gnosis, while the recent commentary by ðasan-zādah Āmulī on the Fu¡ū¡ entitled Mumidd al-himam dar shar|-i fu¡ūs} al|ikam reveals the living nature of this School in Persia as does Jawād Āmulī’s recension of Tamhīd al-qawā‘id. »

[83]Islamic Images and Ideas. Essays on Sacred Symbolism, Edited by John Andrew Morrow, North Carolina, 2014, p. 237. Sulla Marthiya, cfr. C. E. Bosworth, ad vocem Marthiya, in EI, vol. 6, p. 602-613. Sull’ ʻĀsh™rā’ vedi, M. Ayyub, Redempting Suffering in Islam: a Study of the Devotional Aspects of ʻĀshrā’ in Twelver Shīʻism, The Hague 1978.

[84]H. Dabashi, Theology of Discontent…, cit., p. 292.

[85]S. H. Nasr, ‘Metaphysics, Poetry and Logic in Oriental Traditions’, in Sophia Perennis, vol. III, n. 2, 1977, pp. 123-124.

[86]Kernel of the Kernel…, cit., pp. 72-73. Il Profeta Idrīs viene nominato due volte nel Corano, 19: 56-57 (« E nel Libro ricorda Idrīs: che fu un giusto, un Profeta – e lo elevammo ad altissimo luogo »), 21: 85-86 (« E rammenta Ismaele e Idrīs e D™’l-Kifil, che tutti furon pazienti. – E li facemmo entrare nella nostra Misericordia: per vero essi sono ora fra i santi »). Viene identificato nella tradizione islamica con il biblico Enoch, talvolta con Elia o col misterioso al-Khaÿir, o come nel caso del filosofo Sohravardī con Hermes e considerato il padre dei filosofi (Abu’l |ukamā’). Interessante come oltre al Profeta Mu|ammad nella sua ascensione anche diversi grandi maestri sufi, quali ‘Ibn Arabī e R™zbehān Baqlī Shīrāzī (m. 606/1209), abbiamo affermato di aver incontrato il Profeta Idrīs nei loro viaggi visionari. Sul Profeta Idrīs, cfr. Al-¦arafī, Storie dei profeti, a cura di R. Tottoli, Il melangolo, Genova 1997, pp. 52-58.

[87]Farīd ad-Dīn ’Aṭṭār, Il verbo degli uccelli, a cura di C. Saccone, Milano, SE, 1986, p. 50.

[88]Sayyid Muhammad Husayn Husayni Tehrani, Shining Sun…, cit., p. 353.

[89]Sulla tendenza della mistica islamica nota come movimento della malāmatiyya, cfr. H. Algar, ad vocem Malāmatiyya 2. In Iran and Eastern Lands, in EI, vol. VI, pp. 224-225; Sulamī, I custodi del segreto, trad. di G. Sassi, Luni Editrice, Trento 2004.

[90]L’adorazione (parastesh) dello gnostico verso Dio non dipende da nessuna aspettativa relativa a recompense in questo o nell’altro mondo. Dio merita di essere adorato per il Suo valore e in quanto l’adorazione rappresenta un mezzo giusto di rappresentare la relazione tra uomo e Dio. Aliena da paure e da speranze, l’adorazione come afferma Ibn Sīnā « è una disciplina spirituale, una pratica costante di attenzione nei confronti del Principio e di distacco dal mondo ».

[91]Topos famoso della poesia persiana, il marchio a fuoco per mezzo del quale con il ferro rovente si sugellano i cavalli rappresenta qui il segno della marchiatura d’Amore dei mistici.

[92]Il vicolo dove l’innamorato attende senza pace di contemplare l’amico desiderato, e Dio è l’amico per eccellenza, è un topos della poesia persiana.

[93]Qui rappresenta il simbolo di colui che per Amore divino annichilisce il proprio sè. Farhād è il nome dell’infelice spaccapietre che secondo la leggenda fu rivale del Re sasanide Khosrov II Parvīz (r. 591-628) nell’amore per la bella « armena » Shīrīn. Simbolo frequentissimo nella poesia classica persiana dell’amore appassionato ed infelice, le sue avventure furono cantate dal celebre poeta Nezāmī Ganjavī nel poema masnavī, di circa settemila versi, intitolato Khosrov-o-Shīrīn, il secondo dei cinque poemi noti come Panj ganj (I Cinque tesori), divenendo fonte d’ispirazione di numerosi lavori narrativi in persiano, turco, urdu, pashto e curdo. L’opera fu scritta nel 1180 e dedicata all’atābeg azerbaigiano Mo|ammad Jehān Pahlavān. Racconta di come Farhād, per amore della sua amata Shirīn, spaccò con la sua ascia la durissima pietra del monte Bīsot™n, non lontano da Kermānshāh, aprendone una via per far passare un « torrente di latte » (gi-ye scīr) di cui la bella armena era grande amante. Nonostante la fatica immensa e la riuscita in un lavoro titanico che pareva impossibile Farhād non ebbe successo. Giuntagli per mezzo di un messaggero di Khosrov la notizia falsa della morte della principessa Shīrīn in preda alla disperazione cadde dalla montagna e morì. Dal manico dell’ascia caduta e sprofondata col tempo nel terreno nascerà secondo la leggenda un melograno i cui frutti ancora oggi sono copiosi. Cfr. H. Moayyad, ad vocem Farhād, in EIR. Sulla leggenda cantata da Nezāmī e il suo poema, definito da Alessandro Bausani (m. 1988) « per la forza psicologica (unica in tutta la letteratura persiana), il senso drammatico e per il singolare « femminismo » uno dei migliori del Quintetto», cfr. A. Pagliaro, A. Bausani, La letteratura persiana…, cit., pp. 399-412; P. Orsatti, ad vocem Kosrow o Širin, in EIR.

[94]Nato nel 244/857 a ¦™r, nella privincia del Fārs, presso il villaggio di Bayda, Al-ðallāj, una delle più eminenti personalità rappresentative del sufismo, fu accusato dai sufi di aver rotto la « disciplina dell’arcano » rivelando pubblicamente la dottrina dell’unione mistica, predicando la mescolanza (imtizāj) fra nāst (umanità) e laht (divinità) e l’incarnazionismo (|ulliyya). Venne infine imprigionato e messo a morte dalle autorità abbasidi a Baghdād nel 309/992. ðallāj aveva frequentato differenti ambienti sciiti, compresi quelli ismailiti e carmati, e sciiti imamiti furono anche coloro che formularono l’accusa nei suoi confronti, compreso il giudice che lo condannò. Durante il suo supplizio dopo essere stato mutilato fu issato su una sorte di croce (¡alīb) e vi rimase esposto per un giorno intero prima di essere giustiziato. Il suo cadavere fu poi bruciato e le ceneri gettate nel Tigri. Così cantava Jalāl al Dīn R™mī – sublime poeta che pur aveva in odio la poesia intesa come arte e come scienza – in un’ode (132) del Dīwān-e Shams-e Tabrīzī: Quanti Manṣūr nascosti con fiducia nell’anima dell’Amore/ han rinunciato al pulpito (minbar) e sono saliti sul patibolo (dār). Su Al-ðallāj e il morire sulla forca come motivo del martirio mistico nella lirica tradizionale, simbolo dell’amore divino e dell’unione mistica nella poesia persiana, turca e indiana, cfr. A. Pagliaro, A. Bausani, La letteratura persiana…, cit., pp. 164-166. Sull’opera di questo straordinario martire mistico, il cui spirito si sarebbe reincarnato in seguito nel corpo del grande poeta mistico Farīd al-Dīn ʻA¥¥ar (m. 617/1220), cfr. Al-Ḥusayn ibn Manṣūr al-Ḥallāj, Il Cristo dell’Islam. Scritti mistici, a cura di A. Ventura, Mondadori, Milano 2007.

[95]Il mondo e i suo possessi sono equiparati allo status dei cadaveri. Riferimento probabile ad un noto |adīth dell’Imām ʻAlī: « Il mondo è un cadavere (jīfa) e voi [che lo desiderate] dei cani ».

[96]La primavera (bahār), con tutti i suoi tradizionali elementi – dal roseto e la giovinezza ai fiori sulla riva del ruscello, fino all’usignolo – è uno dei temi prediletti della poesia tradizionale. ¦abā¥abā’ī, rubando le parole di Carlo Saccone nella sua Storia tematica della letteratura persiana, in quanto poeta mistico « ne dà un’interpretazione tutta interiorizzata e simbolica, in cui traspare il “giardino dell’anima” o la “primavera dello spirito” che anela alla verità ».

[97]Sul cipresso (sarv), albero sacro iranico, come frequente motivo-immagine della lirica classica e in quanto tale « figura classica della bellezza dell’amato », cfr. A. Pagliaro, A. Bausani, La letteratura persiana…, cit., pp. 168-171.

[98]Nella letteratura persiana l’arco del sopracciglio (abru) dell’amato rappresenta il Cupido che scaglia le frecce amorose, a sua volta identificate con le ciglia. Carlo Saccone sottolinea anche il topos frequente che vede i poeti persiani paragonare scandalosamente il sopracciglio, a causa della sua forma ricurva, alla nicchia della preghiera, il mihrāb. Cfr. Hâfez, Il libro del coppiere…, cit., pp. 121, 270-271.

[99]Sulla coppa e il suo significato simbolico presso gli gnostici (ʻārefīn), ad indicare l’anima purificata e resa limpida, cfr. A. Pagliaro, A. Bausani, La letteratura persiana…, cit., pp. 145-148.

[100]Sul termine bāde, uno dei vari termini usati nella poesia persiana per indicare il vino, proibito legalmente dall’Islam, cfr. J. W. Clinton, ad vocem Bāda, in EIR, Vol. III, Fasc. 4, pp. 353-354.

[101]Nome di due sovrani della dinastia achemenide nell’antico persiano ha il significato di colui “che domina sugli eroi”, e qui rappresenta la transitorietà del potere terreno e la finitezza di ogni gloria mortale. Impermanenza delle cose umane che è un topos frequentissimo tra i poeti persiani. Il primo Khashāyar, conosciuto col nome latino di Xerses, fu il quarto sovrano Achemenide, e prese il potere nel 486 a.c., alla morte di Dario Grande, esercitandolo fino al 466, quando venne assassinato da Artabano, il comandante della guardia reale. Le sue infauste guerre con la Grecia sono cantate straordinariamente dal poeta tragico Eschilo nella tragedia I Persiani. cfr. R. Schmitt, ad vocem XERSES i, The Name, in EIR, online edition, 2011.

[102]Lo gnostico è infatti definito come « figlio dell’istante » (ibn al-waqt), che deve custodire con prontezza i momenti epifanici che si trova ad attaversare. In quanto tale, come afferma il sufi Junayd (m. 297/910), considerando solo i limiti della propria condizione si deve conformare a quanto gradito a Dio, associandosi unicamente all’attimo (dam) intemporale dell’eterna Presenza divina. Nella poesia persiana l’idea che invita a ‘cogliere l’attimo’ compare in modo ricorrente in Hāfez, che parla di ‘gusto dell’istante’ (‘aysh-e naqd), e anche R™mī afferma eloquentemente che « non v’è domani per chi è sulla Via ».

[103]Esplicito e chiarissimo in merito alla seduzione del mondo è il Corano, che si cita nella versione curata da Alessandro Bausani, cfr. Il Corano, Rizzoli, Milano 1988. Sura III, 14: « Fu reso adorno agli occhi degli uomini l’amor dei piaceri, come le donne, i figli, e le misure ben piene d’oro e d’argento, e i cavalli di purissima razza, e i greggi e i campi. Questi son beni di questa vita terrena, ma presso a Dio è la mèta buona ». Sura XXXI, 33: « O uomini! Temete il vostro Signore, e paventate un Giorno, quando un padre non potrà riscattare il figlio, né il figlio il padre potrà riscattare, affatto! E la Promessa di Dio è vera, e non vi seduca la vita del mondo, e non vi seduca, su Dio, il Seduttore! ».

[104]A tale proposito il settimo Imām M™sā al-Kā©im (m 183/799) disse: « La parabola di questo mondo è come quella di una serpe, essa è soffice al tocco ma contiene un veleno mortale. Gli uomini d’intelletto sono cauti, mentre i bambini tendono le loro mani verso di essa ». cfr. Mu|ammad Bāqir ibn Mu|ammad Taqī al-Majlisī, Bi|ār al-Anwār al-Jamiʻah li Durar Akhbār al-A’immah al-A¥hār, Mu’assasah al-Wafā’, Beyr™t 1403/1983, 2nd ed., v. 78, p. 311, no. 1.

[105]La metafora della coppa del vino sembra qui alludere all’intero processo di crescita e cura dell’amore nell’anima del mistico, nei suoi vari stati di purificazione, fino al traguardo finale dell’assenza di sè (ghā’ib) nell’abbandono (tawakkul), nella sottomissione (taslīm) e nella totale accettazione (tafwīÿ) della volontà divina. L’immagine del vino e della coppa ha una base coranica, dunque sacra, dove si parla di coppe offerte ai privilegiati del paradiso (LVI, 18), e dove in un caso è addirittura il Signore che funge da coppiere abbeverando gli eletti di bevanda purissima (LXXVI, 21). La terminologia specifica e talvolta oscura dello gnostico spesso confligge con il significato attribuito comunemente a termini chiave come gusto (dhawq), bevuta (shurb), vino (sharāb) ed  ebbrezza (sukr).

[106]Evidente gioco di parole, qui difficilmente riproducibile. Se non che proprio dal persiano rokh deriva la parola ròcco, con la quale si indica in italiano proprio la torre del gioco degli scacchi. Da questo termine deriva poi il verbo arroccare, verbo dal quale deriva il sostantivo arrocco, col quale si designa una mossa particolare del gioco che include oltre al re proprio una delle due torri. Sull’origine pehlevica del nome rukh, il cui nome originale sarebbe stato raxv-vartin, « carro da guerra », cfr. A. Pagliaro, Sulla più antica storia del giuoco degli scacchi, in « Rivista degli Studi Orientali », XVIII, 1940, pp. 328-340.

[107]Un altro gioco di parole. Il nome Majn™n etimologicamente significa « posseduto dai jinn », ovvero « Pazzo ». Viene dato al bellissimo fanciullo arabo di nome Qays ibn al-Mulawwa|, figlio dello Shaykh della tribú dei Ban™ ʻĀmir, per il suo amore appassionato e disperato verso Leylā, amata appartenente ad un’altra tribú, quella dei Karīma, con la quale gli viene impedito di ricongiungersi. Entrambi moriranno d’amore, e Majn™n, ritiratosi nel deserto, canterà fino alla fine il suo folle amore, incantando con questo le fiere, le piante e le stelle. La storia di Leyla e Majn™n rappresenta la piú popolare storia d’amore di tutto l’oriente musulmano che sul tema ha composto diverse opere in poesia e prosa, in lingua araba, persiana, turca e urdu. In lingua persiana sono celebri le versioni date da Ne©āmī (1188), Amīr-e Khosrov (1299) e Jāmī (1484). Sull’antica saga araba e la parabola degli amanti infelici assunta a simbolo dell’amore mistico e dell’aspirazione a Dio. Cfr. A. Pagliaro, A. Bausani, La letteratura persiana…, cit., pp. 151-160. Ne©āmī, Leylā e Majnn, a cura di G. Calasso, Adelphi, Milano 1985.

[108]Az samak ta be semāk, espressione che qui sta a significare dalle realtà più basse a quelle più elevate, ricalca il detto arabo min al-samak ila al-simāk. Stella di notevole luminosità fu cantata da Esiodo e Virgilio, sebbene circondata da un’aura infausta. Viene conosciuta dagli arabi come al-simāk al-rāmi|, ma il suo nome viene attribuito a due stelle diverse, « al-simāk disarmato » e « al-simāk armato di lancia ». Cfr. Zakarīyyā’ ibn Mu|mmad al- Qazwīnī, Le meraviglie delle creature e le stranezze degli esseri, a cura di S. von Hess, trad. di F. Bellino, Mondadori, Milano 2008, p. 94. Sul tema vedi anche, C. A. Nallino, Storia dell’astronomia presso gli Arabi, Istitto per l’Oriente, Roma 1944.

[109]Si vedano i versi molto simili di R™mī, circa la necessità di sacrificare sé stessi nel patto della religione d’Amore.

” ای عشق می‌کن حکم مر، ما را ز غیر خود ببر      ای سیل می‌غری، بغر، ما را به دریا می‌کشی”

O Amore, passa l’amaro giudizio! Taglia da me tutto ciò che non sei Te!/ O torrente, tu stai ruggendo! Ruglia! Tu ci conduci all’Oceano! Cfr. Kulliyyāt-e Shams yā dīwān-e kabīr, ed. B. Fur™zānfar, 10 vols, Tehran 1336-46/1957-67. Sull’insegnamento spirituale di R™mī, cfr. W. C. Chittick, The Sufi Path of Love: The Spiritual Teachings of R, Albany, New York 1983.

[110]L’irradiamento e la rivelazione del Divino nel creato (al-tajallī), che come luce onnipresente si svela illuminando il fedele e trasformandolo. La Sua apparizione comporta infatti il dissolvimento dell’io. Cfr. Corano, sura VII, 143: « E quando Mosè venne al Nostro convegno e il suo Signore ebbe parlato con lui, disse Mosè: “ O Signore! Mostrati a me, che io possa rimirarti! ˮ Rispose: “ Non mi vedrai. Ma guarda il monte, e se esso rimarrà fermo al suo posto, ebbene, tu mi vedrai! Ma quando Iddio si manifestò al monte lo ridusse in polvere e Mosè cadde fulminato. E quando ritornò in sé disse: “ Sia Gloria a Te! Io a Te mi converto e sono il primo dei credenti ! ˮ ». Corano, sura VII, 172: « E quando il tuo Signore trasse dai lombi dei figli d’Adamo tutti i lor discendenti e li fece testimoniare contro se stessi: “ Non sono Io, chiese, il Vostro Signore? ”. Ed essi risposero: “ Sì, l’attestiamo! ˮ E questo facemmo perché non aveste poi a dire, il Giorno della Resurrezione: “ Noi tutto questo non lo sapevamo! ˮ ».

[111]La pena d’amore allude in generale alla separazione dall’Amato, al dolore causato dal distacco da esso. La sofferenza ha una funzione chiave nel guidare l’amante alla morte del proprio ego e alla rinascita in Dio.

[112]Sayyid Muhammad Husayn Husayni Tehrani, Shining Sun…, cit., p. XIII.

[113]Corano, sura XXIX, 69: « Ma quelli che lotteranno zelanti per Noi, li guideremo per le Nostre vie, e certo Dio è con coloro che operano il bene!  »

[114]Libertà dell’uomo che trova la sua massima espressione nella assoluta obbedienza e servitù (ʻubdīya) verso Dio. E che richiede per questo la rottura dei legami che incatenano l’uomo a questo basso mondo. In questo senso, la libertà spirituale viene ad identificarsi con la purificazione dell’anima (tazkīe-ye nafs).

[115]Corano, sura XVIII, 45: « E proponi loro l’esempio della vita terrena, che è come acqua che abbiam fatto scender dal cielo, e imbeve l’erbe della terra, e al mattino dopo queste son già stoppia dispersa da’ venti, e Dio è sopra tutte le cose possente ». Fugace anche in confronto all’Altra vita, « più bella della prima ». Corano, sura XLIII, 33-35: « Anzi, se non fosse che gli uomini sarebber divenuti una nazione sola, avremmo fatto per le case dei negatori del Misericordioso, tetti d’argento, e scale d’argento a salirvi – e per le case loro porte d’argento, e letti d’argento per adagiarvisi – e ornamenti d’oro. Ma tutto questo non è che godimento breve di vita terrena, mentre v’è Altra presso il Signore per i timorati di Dio ».

[116]Il termine ebbrezza (mastī) rivela qui il suo duplice significato. Se precedentemente aveva rivesitito un valore positivo per l’amante, qui ne acquisisce uno negativo, ossia quello di colui che dona al mondo e alla sua parvenza di ombra una reale esistenza. Colui che segue la via mystica non solo ha svuotato il suo cuore da ogni forma fenomenica, dal possesso e dal desiderio di essa, ma in quanto vero faqīr non possiede la sua stessa esistenza, che appartiene a Dio, dal quale egli la riceve.

[117]Il Calamo supremo (qalam) col quale secondo la tradizione islamica gli angeli scrivono su decreto divino nella Tavola Custodita (law| al-ma|f™©) il destino (qaØā) di tutti gli esseri. Viene identificato dai filosofi musulmani sovente con l’Intelletto primo, mentre la Tavola simboleggia l’Anima universale. Il Corano, nel quale una sura viene a portarne il titolo, lo cita due volte (Cor., LXVIII, 1; XCVI, 4).

[118]Il maestro della taverna (pīr-e kharābāt), nella sua chiara funzione iniziatica, è uno dei protagonisti principali della poesia hafeziana, che come vedemmo fu altamente amata e meditata da ¦abā¥abā’ī. Nella poesia sufi shīʻita viene identificato con il primo Imām, l’Imām ʻAlī. Cfr. Hâfez, Il libro del coppiere…, cit., p. 95. « Ascolta il mio grido, o maestro della cara taverna/ con un sorso giovinezza ridammi, chè vecchio già sono ».

[119]A. Pagliaro, A. Bausani, La letteratura persiana…, cit., pp. 151-160.

[120]Compilata da Sayyid Sharīf al-Rāÿī (m. 406/1015), dopo il Corano e il corpus degli a|ādīth del Profeta e degli Imām è l’opera più importante dell’Islam shīʻita, non solo per la sua vita religiosa in generale, ma per lo stesso pensiero filosofico. Ha conosciuto infatti un numero grandissimo di commenti (shar|) da parte di svariati pensatori shīʻiti come sunniti, da Ibn Abī al-ðadīd (m. 625/1258), Maytham b. Maytham al-Ba|rānī (m. 681/1282), fino al caso più recente e celebre rappresentato da Mu|ammad ʻAbduh (m. 1905). A proposito della sua attribuzione molto netto era stato il giudizio di ¦ab…¥ab…’†, come riportato da questo aneddoto di Corbin, « chiunque sia colui che scrive, è pur sempre l’Imâm che parla ». Cfr. H. Corbin, En Islam iranien…, cit., vol. I, p. 173. « J’ai parlé ici de phénoménologie, mais j’ai dans la mémorie le propos dun éminent shaykh shî’ite iranien, qui, lui, n’avrait jamais entendu parler de phénoménologie, mais qui d’emblee frappait la not juste. C’était à propos des critiques mettant en doute l’authenticite d’une partie du corpus des prônes, entretiens et lettres du Ier Imâm, connu sous le nome de Nahj al-balâgha. Le shaykh s’exprima ainsi: « Oui, je sais les critiques que l’on fait au sujet de ce livre; mais ce que je sais aussi, c’est que, quel que soit l’homme qui ait tenu la plume pour écrire le texte que nous lisons aujourd’hui, à ce moment-la c’est l’Imâm qui parlait. »

[121]R™hollāh M™sawī Khomeynī, Mortazā Motahharī, La via spirituale, cit., p. 37.

[122]M. Molé, I mistici musulmani, trad. di Giovanna Calasso, Adelphi, Milano 1992, p. 94. « Gli sciiti considerano i loro imām come autentici awliyā’. Guidati dall’ispirazione divina, gli imām interpretano infallibilmente il Corano e ne rivelano il senso nascosto. Secondo un celebre |adīth, Mu|ammad ha lottato per la rivelazione (tanzīl) del Corano, ʽAlī per il suo senso esoterico (ta’wīl). Gli imām sciiti conducono una vita ritirata, l’ultimo di loro è nascosto, ma senza di lui il mondo crollerebbe: egli è sempre là, è il Signore del tempo. Un giorno ritornerà e allora il senso nascosto di tutte le cose apparirà e le realtà ultime potranno essere insegnate a tutti ».

[123]Con tale espressione coranica – menzionata due volte nel testo, nella sra hd al versetto 73 e nella sra al-ʻA|zāba al versetto 33 – e letteralmente la ‘Gente della Casa’, la tradizione shīʻita comprende ʻAlī, la sua sposa Fā¥ima, l’amatissima figlia del Profeta, e i loro discendenti. Cfr. M. A. Amir Moezzi, La religion discrète: croyances et pratiques spirituelles dans l’Islam Shiʻite, Vrin, Paris 2006, pp. 19-48.

[124]ðusayn ibn ʻAlī, terzo Imām degli shīʻiti che fu martirizzato a Karbalā’ nel 61/680 nella battaglia contro il califfo ommayade Yazīd ibn Muʻāwiyyah. Cfr. A. Bausani, Persia religiosa, Il Saggiatore, Milano 1959, pp. 412-457. Sulla figura dell’Imām ðusayn vedi i sermoni tenuti nel mese di Mu|arram dell’anno 1389 (Marzo 1969) da parte di uno dei migliori allievi di ¦abā¥abā’ī, raccolti in seguito in un testo. Cfr. Murtaÿā Mu¥ahharī, Majmʻeh-ye ā¡ār: ðamāseh-ye ðuseynī, 2 voll., Enteshārāt-e øadrā, Qom 1361/1982.

[125]Sayyid ‘Alī al-M™sawī al-ðaddād, ʻĀrifun fī al-Ri|āb al-Qudsiyya, p.47. « Il mio maestro Marhum Qadhī (possa il suo spirito essere santificato) mi ha detto che per un essere umano è impossibile raggiungere la stazione del Taw|īd [prossimità a Dio] senza il sentiero di Sayyid al-Shuhadā’ [il Principe dei Martiri, l’Imām ðusayn] ». Sull’Imām ðusayn e la poesia persiana, cfr. W. C. Chittick, Rmī’s view of the Imam ðusayn, in Alserât: Papers from the Imam ðusayn Conference, London, 6th-9th July 1984, Muhammad Trust, London 1986, pp. 3-12.

[126]Sulla sua figura, cfr. Farīd ad-Dīn al-‘Aṭṭār, Tadhikirat al-awliyā. Parole di øūfī, trad. di L. Pirinoli, Luni Editrice, Trento 1994, pp. 35-43.

[127]Sul tema del vino nella poesia persiana sufi, vedi, N. Pourjavady, Bāde-ye ʻeshq: Pazhheshī dar maʻna-ye bāde dar sheʻr-e ‘erfānī-ye fārsī, Nashr-e Kārnāma, Tehran 1387/2008. cfr. N. Pourjavady, “Love and Metaphors of Wine and drunkness in Persian Sufi Poetry”, in Metaphor and Imagery in Persian Poetry, ed. by Ali Asghar Seyed-Gohrab, Leiden, Brill 2012, pp. 125-36.

[128]A proposito della purificazione dell’anima come somma libertà. Cfr. Corano, sura XCI, 9-10: « Certo prospererà chi la purificherà  – e perirà chi la corromperà ».

[129]Merito, virtù (shāyestegi), che in questo caso potrebbe proprio significare il ricordo di Dio, quella dedizione al servizio di Dio che ha come sua base imprescindibile l’astensione da tutto ciò che è illecito, e che costituisce lo stesso premio agli sforzi ascetici dei viandanti sulla via mistica (sālikn).

 

Fonte: Meykhane http://meykhane.altervista.org/QMEY-7_TabaTidd.pdf

 

Writer : shervin | 0 Comments | Category : Via Spirituale

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