Recensione a “Il prezzo da pagare. Un uomo e la sua famiglia in fuga dall’Islam”

Recensione a “Il prezzo da pagare. Un uomo e la sua famiglia in fuga dall’Islam”


Amélie Neuve-Eglise

Romanzo bestseller in Francia con 50.00 copie vendute alla fine del 2010 [1] e da allora un innegabile successo, “Il prezzo da pagare” è un racconto autobiografico di Joseph Fadelle, un ex musulmano iracheno convertitosi al cristianesimo alla fine degli anni ’80.

Lo scopo di questo articolo non è quello di esprimere alcun giudizio su un viaggio personale che di per sé merita tolleranza, ma di evidenziare un insieme di processi e idee presentati come parte integrante dell’Islam per giustificare il proprio approccio e contribuire ad alimentare incomprensioni e intolleranze tra cristiani e musulmani. Non è quindi come un processo individuale, ma nella misura in cui Joseph Fadelle sembra voler dedurre leggi universali dall’esperienza personale che ci avviciniamo alla critica di questo lavoro, come afferma senza mezzi termini in un’intervista: “L’ Islam come religione o come idea è la cosa peggiore che l’umanità sia stata in grado di produrre” [2], chiedendone la “distruzione” [3].

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Presentazione dell’autore e sintesi dell’opera

Mohammad al-Sayyid al-Moussaoui, che divenne Joseph Fadelle dopo la sua conversione, è nato nel 1964 in una rinomata e influente famiglia sciita irachena. A seguito di un incontro con un cristiano, Massoud, con il quale condivide la propria stanza durante il servizio militare, decide di convertirsi al cristianesimo. “Il prezzo da pagare” appare a prima vista come il racconto di un viaggio personale, dove l’autore spiega i motivi che lo hanno portato a convertirsi al cristianesimo: un incontro con un cristiano, seguito da un sogno, una rilettura “critica” del Corano, poi la scoperta dei Vangeli… Dovrà quindi affrontare la sua famiglia che fa di tutto per opporsi alla sua scelta: intimidazioni psicologiche e fisiche, poi carcere, minacce di morte, unite alla grande riluttanza della Chiesa dell’Iraq ad accogliere un nuovo convertito. Alla fine lascerà il suo paese per andare in Giordania accompagnato dalla moglie, anche lei convertita, e dai loro due figli, prima di trasferirsi in Francia, dove risiede dal 2001.

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Recensione del libro

Dall’inizio del libro, che si apre con una scena sconvolgente ed enigmatica, possiamo solo notare la presenza di una certa messa in scena tinta di sensazionalismo degno di uno scenario hollywoodiano: siamo nel deserto giordano, un uomo si trova di fronte alla sua famiglia che gli dice: “- La tua malattia è Cristo, e non c’è cura. Non potrai mai curarla … Mio zio Karim tira fuori una rivoltella e la tende verso il mio petto. Trattengo il respiro. Dietro di lui, quattro dei miei fratelli mi fissano. Siamo soli in questa valle deserta.” (p. 7)  [4]

Da queste prime righe troviamo esposti tutti i grandi temi che saranno distillati nel corso del libro: intolleranza assoluta, violenza, disumanità. Lungi dall’esser limitate a descrivere una sola famiglia e un particolare evento biografico, queste realtà saranno identificate con l’Islam stesso e con i suoi seguaci. Pertanto il desiderio sottilmente velato di racchiudere l’intera religione in tali categorie fa di questo libro non un incitamento alla comprensione e alla tolleranza reciproche, ma uno scritto che al contrario contribuisce, se necessario, ad erigere nuove barriere, alimentando questa volta in Occidente quegli stessi sentimenti di intolleranza, violenza e odio che il suo autore afferma di denunciare.

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Utilizzare idee false e di parte per supportare un viaggio personale

Come abbiamo accennato, la conversione di Joseph Fadelle avviene a seguito di un incontro con un cristiano con cui condivideva la stanza durante il servizio militare. Come parte di un approccio personale che ancora una volta non cerchiamo di giudicare, scopriamo in tutta l’opera molte incongruenze e idee false sull’Islam, soprattutto riguardo alla questione del rapporto con l’altro. Ad esempio, quando capisce con chi condividerà la sua stanza, il signor Fadelle evoca di essere colto da un sentimento di orrore presumibilmente sorto da ciò che la sua religione gli avrebbe instillato: “– Credi che io, un Moussaoui, dormirò con un cristiano? La paura mi invade e mi porta via ogni ragione. A casa mia i cristiani sono considerati degli emarginati impuri, esseri insignificanti con i quali bisogna evitare a tutti i costi di mescolarsi” (Pp. 13-14). Dopo avervi trascorso dei giorni insieme, scrive: “Sono persino sorpreso di non essere infastidito dal fetore perché nella mia famiglia è un dato di fatto: un cristiano si riconosce dal cattivo odore” (Pp. 15-16). Questa posizione è chiaramente espressa nuovamente in una delle sue interviste in cui afferma più direttamente che il Corano stesso (e non solo le tradizioni familiari) è la fonte di tale comportamento: “Prima di incontrare Cristo vedevo i cristiani attraverso il Corano e li  consideravo come mi veniva chiesto di considerarli. Vale a dire come persone impure che devono essere combattute e uccise.” [5]

L’idea che l’Islam ingiunga ai suoi seguaci di non mescolarsi con i cristiani, che sono impuri, puzzolenti o, peggio ancora, che dovrebbero essere uccisi, è assolutamente falsa e profondamente pericolosa. Per quanto riguarda prima di tutto la presunta “impurità”, la stragrande maggioranza delle attuali autorità musulmane respinge tale posizione. Il Corano, inoltre, sottolinea espressamente che i musulmani possono consumare il cibo del “Popolo del Libro” (vale a dire, in particolare ebrei e cristiani): “vi è lecito anche il cibo di coloro ai quali è stata data la Scrittura, e il vostro cibo è lecito a loro.” (5: 5). Come sarebbe dunque lecito consumare il cibo preparato e quindi toccato da una persona che è in se stessa impura? [6] Inoltre, se i cristiani sono “reietti impuri”, come si spiega il desiderio del signor Fadelle di convertirli, e quindi di annoverarli tra i suoi (pp. 16-17)?

Tra questi due atteggiamenti estremi – cioè il rifiuto assoluto dell’altro o il desiderio di renderlo identico a sé negandogli il diritto ad ogni diversità – l’Islam invita invece a convivere con la “Gente del Libro”, che include i cristiani, e sottolinea che i credenti virtuosi presenti tra loro saranno salvati: “Coloro che credono, i giudei, i sabei o i nazareni e chiunque creda in Dio e nell’Ultimo Giorno e compia il bene, non avranno niente da temere e non saranno afflitti.” (5:69). [7] Il Corano pone anche le basi per il rispetto reciproco invitando alla convivenza [8]: “Non vi spinga all’iniquità l’odio per un certo popolo. Siate equi: l’equità è consona alla devozione.” (5: 8) Invece di enfatizzare i tratti che uniscono e avvicinano le persone, l’autore de “Il prezzo da pagare” sembra voler suscitare contrapposizioni e rendere impossibile qualsiasi dialogo.

Quando Joseph Fadelle racconta la nascita del suo interesse per il cristianesimo, ricorda che un giorno in cui il suo coinquilino cristiano era assente scoprì sul suo scaffale un piccolo libro intitolato “I miracoli di Gesù”: “Sulla copertina vidi la foto di un uomo sorridente, circondato da un alone luminoso. Non conosco questo Gesù, ma incoraggiato dalle sirene di una buona distraente lettura, porto il libro sul mio letto e inizio la prima pagina, dimenticando di sfuggita tutti i miei pregiudizi su ciò che rappresenta Massoud. Mai, nei miei libri precedenti, ho sentito parlare di miracoli, e tanto meno di uno chiamato Gesù. Anche nel Corano e nella vita di Muhammad, non ricordo alcuna allusione a questo tipo di manifestazioni.” (p. 22).

Il signor Fadelle tuttavia scrive alcune pagine sopra che “leggo il Corano ogni giorno” (p. 19) – eppure il Corano evoca in termini molto chiari numerosi miracoli, inclusi quelli di Mosè (in particolare la trasformazione del suo bastone in serpente, l’apertura del Mar Rosso…), ma anche vari miracoli dello stesso Gesù: “E quando Iddio dirà: “O Gesù figlio di Maria, ricorda la Mia grazia su di te e su tua madre e quando ti rafforzai con lo Spirito Puro! Tanto che parlasti agli uomini dalla culla e in età matura. E quando ti insegnai il Libro e la saggezza e la Torâh e il Vangelo, quando forgiasti con la creta la figura di un uccello, quindi vi soffiasti sopra e col Mio permesso divenne un uccello. Guaristi, col Mio permesso, il cieco nato e il lebbroso. E col Mio permesso risuscitasti il morto.” (5: 110). Non è necessario essere un grande commentatore per comprendere il significato di questo versetto. Come può quindi Joseph Fadelle affermare di non aver mai sentito parlare di miracoli “nel Corano“, mentre vi troviamo dozzine di esempi di questo genere di dimostrazioni? [9]

Delegazioni di autorità cristiane che, insieme ai musulmani, si recano in visita alla tomba del nipote del Profeta dell’Islam, l’Imam Husayn (Karbala, Iraq)

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La cosiddetta incompatibilità tra Islam e riflessione personale

Un’altra falsa idea trasmessa da Joseph Fadelle nel suo lavoro è quella secondo cui l’Islam proibirebbe qualsiasi riflessione e ricerca nel campo della religione: “Gli imam mi hanno sempre insegnato che è la lettura del Corano dall’inizio alla fine che sarà ricompensata nel Giorno del Giudizio, molto più che la comprensione del testo. Così, decifrare una sola lettera permette di avanzare nella pietà, di guadagnare dieci indulgenze, anche se non si comprende il significato dell’intera parola (sic).” (p. 24). Quando decide di rileggere il Corano, scrive: “Avrei dovuto essere cauto e ascoltare la raccomandazione, tratta da un versetto del Corano, di non approfondire ciò che può disturbare la fede.” (p. 27). Attribuisce quindi questa idea direttamente a un “versetto del Corano” che però si astiene dal citare.

Al contrario, una delle caratteristiche del Corano è proprio il suo continuo invito alla riflessione e alla comprensione: “[Ecco] un Libro benedetto che abbiamo fatto scendere su di te, affinché gli uomini meditino sui suoi versetti e ne traggano un monito i savi.” (38:29);  “In verità abbiamo esposto in questo Corano perché possano riflettere(17:41); “Invero abbiamo reso facile il Corano, che vi servisse per meditare. C’è qualcuno che rifletta [su di esso]?” (54:17), ecc.

Un semplice studio della storia dell’Islam permette anche di rendersi conto della massa di commenti scritti sul Corano e sui diversi aspetti della religione per comprenderne i differenti significati, e questo tanto nei circoli Sciiti quanto Sunniti. L’immensa letteratura di opere e commenti religiosi non si è prosciugata e continua ad essere oggetto di molti scritti fino ad oggi. La principale fonte di dissenso nell’Islam non è stata quindi la liceità di riflessione sulla religione o sul Corano, accettata da tutti tranne in rari momenti della storia, ma piuttosto il modo e il metodo utilizzati per commentare il Corano o più in generale per condurre una vera riflessione religiosa. [10]

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Conversione, conversioni

Ogni cambiamento di convinzione può essere il risultato di diversi fattori: intellettuali, sentimentali, psicologici, storici… Il cambiamento della religione può quindi essere il risultato di una ricerca intellettuale approfondita ma anche di un sogno, un incontro, un matrimonio, eccetera. Alcuni fattori sociali o psicologici possono inoltre favorire questo tipo di decisioni come ad esempio la volontà di fuggire dalla propria famiglia, dalla propria cultura, un desiderio di cambiamento… Senza esprimere alcun giudizio di valore, sembra qui necessario evidenziare alcuni fatti chiaramente esposti da Joseph Fadelle, l’autore stesso, per capire meglio il suo approccio. Così, anche prima della sua conversione, percepiamo nell’autore de “Il prezzo da pagare” un certo rifiuto della sua famiglia e dei suoi costumi, che si manifesta fin dalle prime pagine del libro attraverso l’uso di parole molto dure riguardanti alcuni membri della sua famiglia. Il tono è dato dal primo capitolo, dove il signor Fadelle spiega di provenire da una famiglia musulmana sciita numerosa, sottolineando che fin dalla più tenera età era destinato a subentrare a suo padre e che questo gli pesa: “Ma questa ascendenza aristocratica pesò molto presto sulle mie spalle, poiché mio padre mi nominò a succedergli quando era troppo vecchio per governare il clan […] quindi non ricordo di aver ha avuto un’infanzia felice, spensierata, tra giochi, risate, sciocchezze… Per me è stata più un dovere, molto presto la compagnia degli adulti nella grande sala riunioni accanto alla casa, e quindi una certa forma di noia.” (p. 18). Descrive un padre dal carattere prepotente che non è esente da una certa doppiezza (p. 18), fratelli gelosi (p. 19), una madre violenta e autoritaria (p. 20) e sorelle ridotte allo stato di cameriere che non hanno nemmeno il diritto di condividere la mensa con i fratelli (p. 19).

Sembra soffrire la tensione tra le apparenze da preservare e una pratica religiosa che descrive fin dall’inizio come priva di qualsiasi significato profondo per lui e la sua famiglia: “Tra i Moussavi dobbiamo dare l’immagine di un famiglia pia anche se, in realtà, pratichiamo la religione in modo piuttosto formale. Certamente leggo ogni giorno il Corano nella mia stanza, ma per me si tratta soprattutto di “giocare alla preghiera” (sic), fingere. La mia preghiera non richiede una reale adesione del cuore, nemmeno una profonda comprensione del testo” (p. 19). [11] Dopo la sua conversione, allo stesso modo qualifica “la” (e non più “sua”) preghiera musulmana come atto puramente formale: “Invece di precetti e obblighi formali, come quelli della preghiera cinque volte al giorno, le parole del Padre Nostro del Vangelo risuonano nella mia testa e nel mio cuore come un balsamo calmante.” (p. 36).

Quando parliamo di conversione, dobbiamo qui fare una distinzione tra il fatto di nascere in una comunità religiosa senza conoscere realmente i principi della propria religione o senza aderirvi in ​​tutta coscienza e poi sceglierne un’altra – dopo un sogno per esempio-, e il fatto di convertirci sulla base di una riflessione personale e di una profonda conoscenza della religione che stiamo abbandonando e di quella che abbracciamo. È solo in quest’ultimo caso che la parola “conversione” assume il suo pieno significato. Possiamo quindi dubitare della correttezza dell’uso di questo termine nei confronti di Joseph Fadelle che sembra, per sua stessa confessione, ignorare o meglio scoprire per la prima volta la religione in cui è stato allevato per ridurre tutto a “formalità”. Il resto dell’opera non fa che confermare tale ipotesi, in particolare il racconto della sua “rilettura” del Corano.

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Una rilettura parziale del Corano

Preso in dubbio sulla sua fede e su consiglio di Massoud, il signor Fadelle decide di rileggere il Corano: “Così facendo, mi ritrovo così per la prima volta nella mia vita da solo, di fronte a me stesso, senza scampo o distrazione, costretto a confrontarmi con verità su ciò che costituisce una parte importante della mia identità: l’Islam. Ed è qui che sono iniziati i guai” (p. 27). Tuttavia, poche pagine sopra, il signor Fadelle ha affermato: “Certamente leggo il Corano ogni giorno nella mia stanza” (p. 19). Il signor Fadelle continua a descrivere il suo stupore su un libro che ha letto ogni giorno, ma che tuttavia sembra scoprire ora: “Le prime righe di Al-Fâtiha, che costituisce il prologo del Corano, non pongono nessuna difficoltà particolare. È la preghiera  [12] più famosa, quella recitata ogni giorno da migliaia di musulmani. Ma non appena mi avvicino alla seconda sura, chiamata La Giovenca, o Al-Baqara, le cose si complicano. Inciampo sulla maggior parte dei versetti, perplesso, e la mia lettura è resa estremamente difficile e lenta. Quindi non capisco perché, versetto dopo versetto, Allah si abbassa a definire le regole del ripudio, i limiti di tempo, tanti dettagli molto procedurali e, a mio parere, senza alcun valore religioso reale”. (Pp. 27-28)

Possiamo vedere qui due punti: prima di tutto, una visione riduttiva del Corano, che è lungi dall’essere limitata alla definizione di regole religiose. Il giudizio di Fadelle appare poi frettoloso e perentorio: come può una sola lettura permettere di dichiarare prive di valore religioso certe regole che per secoli sono state oggetto di profondi dibattiti teologici? In generale, come si può pretendere di comprendere un libro sacro, qualunque esso sia, in una sola lettura?

E’ inoltre sorprendente che M. Fadelle non conservi altro da questa sura che le regole del divorzio, che compaiono solo a metà della sura, dopo più di 200 versetti! Quindi, se leggiamo Surah “La Giovenca”, troviamo prima una descrizione molto chiara dei pii e dei miscredenti (versetti 2-21) e poi un versetto che indica che tutto ciò che è stato creato da Dio è stato realizzato per l’essere umano: “[Egli è] Colui Che della terra ha fatto un letto e del cielo un edificio, e che dal cielo fa scendere l’acqua con la quale produce i frutti che sono il vostro cibo.” (versetto 22), che fa eco a questo versetto: “Egli ha creato per voi tutto quello che c’è sulla terra.” (versetto 29). L’inizio di questa sura contiene anche l’annuncio della Resurrezione (versetto 28), il racconto della creazione di Adamo come “luogotenente di Dio sulla terra” (versetti 30-35), del peccato di Adamo e del suo perdono da parte di Dio (versetto 37), la discesa di Adamo ed Eva sulla terra e l’invio da parte di Dio di “guide” (profeti) che consentono all’uomo di essere salvato (versetti 38- 39), l’ingiunzione alla preghiera e all’elemosina (versetto 46), la storia della liberazione del popolo d’Israele dalle mani del Faraone (versetti 47-61)…Tutto questo espresso in un linguaggio molto chiaro. Se una persona non capisce tali versetti, come potrebbe quindi capire la Genesi e i racconti biblici?! I versetti successivi menzionano Salomone, Abramo, le relazioni tra ebrei, cristiani e musulmani, il significato profondo della creazione… Arriviamo alla descrizione delle “regole” soltanto nel mezzo della sura, e alla questione del divorzio solo nel versetto 228! Possiamo quindi solo notare da parte dell’autore il desiderio di mettere in luce semplicemente alcune cose, e sempre in modo parziale, e di passarne altre completamente sotto silenzio.

Il signor Fadelle cita poi la questione dello status delle donne nell’Islam, un punto che per lui pone un problema: “Un altro punto conflittuale per me è quello di non capire l’insistenza del Corano nel definire la superiorità e il potere degli uomini sulle donne, considerarle per lo più inferiori, in possesso della metà del cervello di un uomo e talvolta come impure quando hanno le mestruazioni”. (p. 28). Il tipo di espressione usata, cioè “mezzo cervello”, conferma la tendenza dell’autore a utilizzare un processo di semplificazione caricaturale come base della sua discussione contro l’Islam. Si potrebbe però obiettare all’autore che lo stesso Cristianesimo è esposto alla sua critica. Nella prima lettera di Paolo ai Corinzi possiamo leggere: “Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’uomo […] ogni donna che prega o profetizza a capo scoperto, manca di riguardo al proprio capo, perché è come se fosse rasata […] L’uomo non deve coprirsi il capo, perché egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell’uomo. E infatti non è l’uomo che deriva dalla donna, ma la donna dall’uomo; né l’uomo fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo. Per questo la donna deve avere sul capo un segno di autorità a motivo degli angeli.” (11: 3-10) o nell’Epistola di Paolo agli Efesini: “Il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa (5:23), o la prima lettera di Paolo a Timoteo: “La donna impari in silenzio, con tutta sottomissione. Non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all’uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo. Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva; e non fu Adamo ad essere ingannato, ma fu la donna che, ingannata, si rese colpevole di trasgressione. Essa potrà essere salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santificazione, con modestia.” (2: 11-15). Non si tratta qui di stabilire il minimo confronto tra Islam e Cristianesimo né di lanciarsi in un’esegesi comparativa, ma semplicemente di sottolineare le incongruenze, le scorciatoie e lo sguardo mutilato che l’autore utilizza tanto sull’Islam quanto sul Cristianesimo, attingendo solo ciò che gli permette di esaltare al meglio la sua accusa contro l’Islam.

Joseph Fadelle evoca in questi termini la continuazione della sua critica alla condizione delle donne nell’Islam: “Mi rendo conto di aver vissuto in tutti questi anni in mezzo alla segregazione, accettandola per di più molto bene. Ma non mi rendevo conto che provenisse direttamente dal Corano e dalle sue prescrizioni“. Poi cita diversi versetti, tra cui “Le vostre spose per voi sono come un campo. Venite pure al vostro campo come volete” (2: 223), e a un tratto si improvvisa commentatore, dicendo: “Il che significa che gli uomini possono farci quello che vogliono, anche sessualmente.” (p. 28). Tale interpretazione è falsa e offensiva. Se ci riferiamo ai grandi commentatori del Corano, in particolare ad Allâmeh Tabâtabâ’i  [13], questo versetto deve essere compreso nel quadro di quelli che evocano i principi generali che fondano i rapporti tra uomini e donne sull’affetto, sul rispetto reciproco e sulla misericordia, che M. Fadelle si astiene dal citare: “Fa parte dei Suoi segni l’aver creato da voi, per voi, delle spose, affinché riposiate presso di loro, e ha stabilito tra voi amore e tenerezza.” (30:21). In questo senso, i versetti descrivono le regole che governano il rapporto tra gli sposi, in cui l’espressione “bima’rûf” – che può essere tradotta come “in modo conveniente” – viene costantemente ripetuta: anche nei casi di divorzio il rispetto e la considerazione reciproca non devono mai essere erosi. [14] Altri versetti, come “esse sono una veste per voi e voi siete una veste per loro” (2: 187) evocano l’idea di reciprocità e complementarità tra l’uomo e la donna. [15]

Un altro malinteso: quello che le donne musulmane sarebbero particolarmente attaccate ai loro gioielli, poiché “è l’unico bene che possono avere” (p. 130). Al contrario il diritto di proprietà di una donna nell’Islam è un diritto assoluto riconosciuto da tutte le scuole, e nessun uomo ha il diritto di estorcere la sua proprietà, o il suo stipendio se lavora. Il regime matrimoniale dell’Islam si basa sul dono di una dote nuziale (mahr) che è proprietà assoluta della donna: “E date alle vostre spose la loro dote. Se graziosamente esse ve ne cedono una parte, godetevela pure e che vi sia propizia.” (4: 4) e sul regime di separazione dei beni che garantisce alla donna il mantenimento della proprietà dei suoi beni e di tutto ciò che suo marito le ha dato anche in caso di divorzio: “e non vi è permesso riprendervi nulla di quello che avevate donato loro.” (2: 229)”. La donna può quindi possedere qualsiasi proprietà e disporne liberamente.

Osserviamo lo stesso ricorso a idee false e riduzioni eccessive, che a volte costituiscono un insulto ai fedeli di un’intera comunità religiosa, soprattutto quando Joseph Fadelle menziona di aver letto la biografia di Muhammad e aver concluso che è solo “un accumulo di adulteri, furti” (p. 30).

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Uno dei Nomi coranici di Dio: al-Wadud (Colui che ama)

Un Dio privo di amore?

Nel seguito della spiegazione del suo graduale passaggio dal cristianesimo all’Islam, Joseph Fadelle ci spiega che “ha in mente tutti i nomi di Allah dati dal Corano. [16] Ce ne sono novantanove conosciuti: Eterno, Non Generato, Unico, Inaccessibile, Saldo, Invincibile, Glorioso, Saggio, Benevolo, Misericordioso ma anche Vendicatore… D’altronde ce n’è un altro, il centesimo nome, che nessuno conosce. Questo nome di Allah misterioso e sconosciuto, io ho l’impressione di scoprirlo oggi, è l’Amore.” (pp. 36-37). Qui abbiamo una chiara conferma che Joseph Fadelle presenta idee totalmente false sul Corano e sul suo contenuto, che è pieno di versetti che si riferiscono a Dio come amore, così come l’amore è il fondamento del Suo rapporto con l’essere umano: “Il mio Signore è misericordioso, amorevole (11:90); “In verità il Compassionevole concederà il Suo Amore a coloro che credono e compiono il bene.” (19:96) oppure “Di’: “Se avete sempre amato Dio, seguitemi. Iddio vi amerà e perdonerà i vostri peccati. Iddio è perdonatore, misericordioso” (3:31) che esprime l’idea di una relazione di amore reciproco; “Iddio ama coloro che confidano in Lui” (3: 159); “Iddio ama i magnanimi” (5:13); “Iddio ama coloro che [Lo] temono” (9: 4). Secondo un hadith qudsî  [17] ben noto nell’Islam, la base della creazione fu l’amore di Dio: “Ero un tesoro sconosciuto, e ho amato (ahbabtu) di essere conosciuto. Allora creai il mondo, e Mi feci conoscere dalle creature, che Mi conobbero” [18]. Oltre alla parola “amore”, il Corano fa costantemente riferimento alla misericordia (rahma) di Dio, inseparabile dal Suo amore, dal Suo perdono, dal Suo affetto…: “e la Mia misericordia abbraccia ogni cosa.(7: 156); “Egli è il Perdonatore, l’Amorevole (85:14).

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Un concentrato di tutti i cliché sull’Islam

In generale il testo sembra aver concentrato intenzionalmente, attraverso la descrizione di una famiglia, tutte le immagini negative possibili e concepibili che l’Occidente può avere sull’Islam: dominio maschile assoluto (pp. 18-20) [19], concupiscenza sfrenata attraverso l’esempio del nonno che chiede di prendere una quarta moglie a 109 anni mentre sta morendo (p. 19) [20], doppiezza nella pratica religiosa (pp. 18-19), padre che ripudia le sue tre mogli incapaci di partorire (p. 19), importanza del clan (p. 20), relegazione assoluta delle donne alle faccende domestiche e loro assenza dalla società (p. 20), violenza pervasiva, anche tra le donne (p. 20) [21], menzogne ​​e corruzione attraverso l’esempio dell'”acquisto” indiretto di pagelle (p. 20) e, in generale, una totale mancanza di amore nei rapporti familiari basati sulla dominazione e sulla violenza. Troviamo quindi riassunti in tre pagine tutti i presunti “difetti” assimilati all’Islam. Perché si tratta di una critica all’Islam nel suo insieme, e non solo ad una famiglia: “Lei [la madre di Joseph Fadelle] sapeva come stabilire all’interno il potere che non possiede fuori, nella società musulmana”. (p. 20) Relegare la madre di Joseph Fadelle alla sfera privata non è legata al padre o ad usi particolari, ma alla “società musulmana” nel suo insieme.

In tutto il libro, quindi, osserviamo un passaggio permanente dal particolare (certe credenze e pratiche della famiglia di Joseph Fadelle) all’universale (l’Islam come religione) e all’identificazione dei due domini. Trasposta in un altro contesto, una tale logica equivarrebbe a identificare l’Inquisizione o le torture praticate dalla Chiesa nel Medioevo contro certi pensatori nella stessa cristianità! Il signor Fadelle identifica delle pratiche particolari a una religione nel suo insieme, qualcosa di chiaramente artificioso. Il suo libro non contiene analisi né alcun riferimento tranne alcuni versetti sulla donna. Lungi dall’incoraggiare la riflessione e il discernimento, attira il lettore solo in un manicheismo violento.

Ritroviamo lo stesso tono alla fine del libro: “Penso ogni giorno a lui [uno dei suoi fratelli che divenne ateo], così come a tutti i miei che continuano a vivere nell’oscurità dell’Islam.” (p. 219), ed esprime i suoi desideri in questi termini: “Sogno che un giorno l’intero clan Moussaoui possa convertirsi… Per questo, la società stessa dovrebbe cambiare, con le sue leggi, ma ahimè, il lucchetto dell’Islam lo impedisce” (p. 219). Non si tratta qui di tradizioni particolari, ma di una religione nel suo insieme che viene ora ridotta a un semplice “lucchetto” che impedisce il cambiamento della società e che basterebbe far “saltare” in modo che tutti possano convertirsi al Cristianesimo! È come se le persone fossero musulmane solo per impostazione predefinita, vittime del “buio” o per mantenere le apparenze, mentre un semplice cambiamento di codici sociali basterebbe per rimettere tutto in discussione: una concezione singolare della religione… Questa idea è implicita anche in questo brano: “Non è a causa di Cristo che ho sofferto, ma a causa dell’assenza di libertà imposta dalla società musulmana, a cui la mia famiglia non ha osato rinunciare, per orgoglio e rispettabilità.” (p. 219). Questa concezione è confermata dalle osservazioni fatte dal signor Fadelle in un’intervista che presenta i musulmani come una sorta di “vittime dell’Islam.” [22] Lungi dall’essere il semplice resoconto di una conversione, quest’opera è soprattutto un’accusa, una lunga e oscura critica di una famiglia e, attraverso di essa, di un’intera religione.

Infine, in diversi passaggi del suo lavoro e nelle interviste che ha potuto rilasciare negli ultimi mesi, Joseph Fadelle afferma che secondo il Corano chiunque abbia lasciato l’Islam debba essere ucciso: “Ogni musulmano che segue la regola coranica ha il dovere di uccidermi da quando ho lasciato l’Islam per abbracciare la religione cristiana.” [23] Va sottolineato ancora una volta e sempre con insistenza che l’Islam riconosce la libertà di coscienza come un principio assoluto, come espresso da questo versetto: “Non c’è costrizione nella religione” (2: 256). È su questa base che le comunità cristiane o ebraiche sono esistite e hanno convissuto per secoli in diversi paesi musulmani. Se a volte si verificano scontri, si tratta di atti di individui, non dell’Islam di per sé che promuove una pacifica convivenza con la “Gente del Libro” né una conversione forzata che non ha significato o valore. Inoltre, un musulmano che si converte al Cristianesimo e lo pratica in casa non è in alcun caso minacciato di morte dall’Islam fintanto che limita la sua decisione a una sfera individuale all’interno della quale la libertà di coscienza è assoluta; il problema sorge quando dà una dimensione sociale alla sua decisione e decide di fare proselitismo o lavorare per distruggere la sua vecchia religione nella società – un principio che non è nemmeno estraneo in un certo senso alla logica secolare! Come sottolineano Michel Cuypers e Geneviève Gobillot, “la fede religiosa da sola non rende nessuno potenziale bersaglio di un attacco […] Il semplice fatto che una persona non sia musulmana non è mai stato un legittimo casus belli nel Legge o fede islamica secondo il Corano: “Non c’è costrizione nella religione” (2: 256). I musulmani possono e devono vivere pacificamente con i loro vicini, senza che ciò escluda la legittima difesa personale e il mantenimento della sovranità: “Se inclinano alla pace, inclina anche tu ad essa e riponi la tua fiducia in Dio. Egli è Colui Che tutto ascolta e conosce.” (8:61). [24]

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Conclusione

In conclusione, vorremmo sottolineare ancora una volta questo punto essenziale: chi pretende di denunciare l’intolleranza e la violenza spesso le alimenta e le rinforza. Cosa apporta un simile lavoro oltre a rafforzare l’incomprensione e i peggiori pregiudizi che possono esistere su una religione? La fierezza di Joseph Fadelle contro l’Islam non può essere paragonata a ciò che afferma di denunciare? Vuoi provare la validità della tua religione distruggendo quella dell’altro? Perché a questo aspira l’autore del “Prezzo da pagare”: “Voglio distruggere l’Islam, prima di tutto per salvare i musulmani. La distinzione tra i due è ancora una volta essenziale. È salvezza dei musulmani che conta per me.” [25] Più insidiosamente, Joseph Fadelle identifica totalmente l’Islam e l’islamismo; la fonte di ogni violenza sta secondo lui nel Corano stesso, arrivando a corrompere l’umanità dei musulmani: “Alcuni musulmani ignorano ciò che dice l’Islam (sic) e sono buoni perché la loro umanità impone loro di fare cose buone [… ] I musulmani “cattivi” o estremisti sono proprio quelli che leggono e applicano il Corano”. [26] Oltre a queste affermazioni di ovvia incoerenza, cosa significa “musulmano che ignora l’Islam”? O il fatto di qualificare come “cattivo musulmano” colui che legge il suo libro sacro? Qualificheremo come “cattivo cristiano” colui che legge la Bibbia?

Attraverso il suo libro e i suoi molteplici interventi nei media e in varie istituzioni, Joseph Fadelle contribuisce anche a cristallizzare la sfiducia e l’odio nei confronti dei musulmani non più solamente dell’Iraq, ma della Francia, presentando ogni credente come un individuo potenzialmente criminale:In Francia, gli altri sono dei musulmani che conoscono il Corano. Sembrano moderati perché attualmente sono in minoranza e quindi non possono applicare il Corano. Ma quelli che sono chiamati “buoni musulmani” saranno spinti ad uccidere come fanno gli altri quando leggono il Corano, o lasceranno l’Islam come ho fatto io.” [27] Cresce anche la psicosi fino a prevedere la creazione di un governo islamico in Francia: “Esiste inoltre il pericolo per la democrazia in Francia. I musulmani cercano un’identità che non è quella della Francia e quindi si rifugiano nell’Islam. Il giorno in cui avranno la maggioranza in Parlamento, voteranno per la Sharia!” [28]

La personalità e la storia di Joseph Fadelle, che, ricordiamolo, si è convertito nel 1987, vale a dire più di 20 anni fa, sembra giungere nel momento giusto per rafforzare alcuni pregiudizi e per servire un processo di disumanizzazione dell’altro perfettamente in linea con gli interessi di una certa classe politica, come è stato per un periodo con “Mai senza mia figlia” di Betty Mahmoody. Le procedure sono le stesse: la scelta del genere narrativo che consente di rendere una storia attraente per il maggior numero di persone possibile ricorrendo a procedure di drammatizzazione ed esagerazione, spesso con l’aiuto di idee apertamente false che consentono di ridurre una realtà complessa a nozioni di “buono” e “cattivo”.

Questo eccessivo manicheismo ha portato anche ad alcune reazioni all’interno della stessa comunità cristiana, in particolare da parte di padre Christophe Roucou, responsabile del Secrétariat pour les Relations avec l’Islam (SRI) presso la Conferenza dei vescovi di Francia, che ha ricordato il rischio che un’opera del genere pone per il dialogo islamo-cristiano: “I sacerdoti raccomandano questo libro ai loro parrocchiani. Lo stesso Fadelle è invitato a tenere conferenze ovunque. E non semplicemente a parlare del suo itinerario, che è completamente rispettabile, ma a dire che l’Islam è opera del diavolo. Sentiamo una crescente ostilità nei confronti dell’Islam tra i cattolici – come tra tutti i francesi. Siamo attaccati come ingenui nei confronti dei musulmani perché discutiamo con loro, mentre questa è la nostra missione. La mia posizione, come SRI, è di dire che non devo scegliere tra la mia solidarietà con i cristiani del Medio Oriente e l’amicizia con i musulmani qui.” [29] In un contesto in cui la conservazione di questo dialogo, questa amicizia o almeno questo rispetto reciproco tra cristiani e musulmani è una necessità vitale, tale tipo di opera non fa che rafforzare i peggiori cliché sull’Islam e contribuisce pericolosamente alla demonizzazione dell’altro, preludio a ogni sorta di odio e abuso di cui purtroppo possiamo solo vedere l’aumento. È così che possono trionfare l’amore e la tolleranza per il prossimo?

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NOTE

[1]  www.oeuvre-editions.fr/Nouvel-article  [In Italia il testo è stato tradotto con il titolo “Il prezzo da pagare. Un uomo e la sua famiglia in fuga dall’Islam”, stampato niente di meno che dalle Edizioni San Paolo!]

[2]  Intervista a Joseph Fadelle di Faustine des Lys, http://www.citeetculture.com/article-interview-de-joseph-fadelle-chretiens-francais-revegez-vous-61708795.html

[3]  Ibid.

[4]  Tutte i virgolettati sono tratti da “Il prezzo da pagare”, salvo diversa indicazione.

[5]  Intervista a Joseph Fadelle di Faustine des Lys.

[6]  Nell’Islam, alcuni elementi o cibi sono considerati impuri, come l’alcol o il maiale; nel senso che non si deve entrare in contatto con questi elementi, il cui consumo però non rende “in sé” impura una persona.

[7] Il cattolicesimo, al contrario, ha impiegato molto tempo per poter considerare la questione della salvezza dei non cristiani e dei non battezzati. L’esempio estremo è senza dubbio quello dei santuari à Rèpit (o “del respiro”, ma anche della “doppia morte” o “della morte sospesa”), che hanno funzionato fino all’inizio del XX secolo in Europa e in Francia. Erano destinati ai bambini che erano nati morti e non erano potuti venire battezzati. Secondo la credenza erano quindi destinati a vagare nel limbo, una specie di inferno, per l’eternità. I bambini venivano collocati in questo santuario in attesa del minimo segno di un temporaneo ritorno alla vita in modo che potessero essere battezzati e impedire loro di vagare. Il concetto di limbo è stato solo recentemente abolito dal Vaticano. Vediamo quindi che per molti secoli il concetto di salvezza è arrivato al punto di escludere i neonati cristiani! La questione della salvezza dei non cristiani ha ricevuto una risposta più aperta al Concilio Vaticano II, che ritiene le altre religioni come “semi dello spirito santo” che, tuttavia, si limitano a “disporre” le anime dei non cristiani alla salvezza, la via ultima rimanendo in Cristo e nella Chiesa cattolica.

[8]  Altri versetti del Corano sono spesso citati fuori contesto per esporre la cosiddetta “intolleranza” dell’Islam, incluso “Quando poi siano trascorsi i mesi sacri, uccidete questi associatori ovunque li incontriate, catturateli, assediateli e tendete loro agguati. Se poi si pentono, eseguono l’orazione e pagano la decima, lasciateli andare per la loro strada. Iddio è perdonatore, misericordioso.” (9: 5) Questo versetto fu rivelato in seguito alla conquista della Mecca da parte di Muhammad e dei musulmani, una città i cui abitanti avevano giurato di annientare Muhammad e i suoi seguaci fino all’ultimo. Ci troviamo in un contesto di guerra. Quando la Mecca viene conquistata, invece di uccidere o imprigionare gli sconfitti che volevano assassinarlo, il Profeta Muhammad ha tenuto un discorso davanti agli abitanti della città, proprio quelli che l’avevano cacciato e volevano eliminarlo. Parte di questo discorso è riportato da Martin Lings: “Il Profeta poi rivolse loro le stesse parole di perdono che aveva detto Giuseppe quando, secondo quanto riporta il Corano, i suoi fratelli erano venuti a trovarlo in Egitto: “In verità, vi dirò quello che disse mio fratello Giuseppe:Oggi non subirete nessun rimprovero! Che Dio vi perdoni, Egli è il più misericordioso dei misericordiosi.”. (Martin Lings, “Il Profeta Muhammad, la sua vita secondo le fonti più antiche”, Il Leone Verde). Muhammad invita quindi a perdonare anche coloro che volevano eliminarlo. È in questo contesto che poi concesse quattro mesi (i mesi sacri) a queste persone per convertirsi o andarsene: che è una tolleranza enorme e raramente vista in una guerra! Quindi chi resta e dimorano malgrado tutto senza aver cambiato i propri disegni sono dunque in pericolo reale, da qui l’ingiunzione del versetto di eliminarli: è un caso di reale legittima autodifesa, poiché si concede l’opportunità a una persona che vuole ucciderci di andarsene, e se questa rimane senza aver cambiato idea, la sua presenza diventa un vero pericolo. Viene comunque detto ancora, in seguito, che se queste stesse persone si pentono, deve essere loro concessa la libertà.

Questo versetto si riferisce a una particolare situazione storica e, se guardiamo al suo contesto, non contraddice i principi universali di tolleranza e rispetto reciproco come “Non vi spinga all’iniquità l’odio per un certo popolo. Siate equi: l’equità è consona alla devozione.” (5: 8); “Se inclinano alla pace, inclina anche tu ad essa e riponi la tua fiducia in Dio. Egli è Colui Che tutto ascolta e conosce.” (8: 61)”; “Chiunque uccida un uomo, che non abbia ucciso a sua volta o che non abbia sparso la corruzione sulla terra, sarà come se avesse ucciso l’umanità intera” (5: 32) o altri versetti che menzionano ancora una volta che la base delle relazioni con persone di altre religioni o che hanno idee diverse è la tolleranza e il dialogo rispettoso: “Chiama al sentiero del tuo Signore con la saggezza e la buona parola e discuti con loro nella maniera migliore.” (16: 125).

[9]  Evoca ancora questo stesso aspetto poche righe sotto, quando riferisce la sua discussione con il proprio compagno di stanza quando quest’ultimo ritorna:

Chi è questo Gesù di cui parla il tuo libro?

-È Isa ibn Mariam, il figlio di Maria …

Risposta del tutto inaspettata e incomprensibile per me. Isa lo conosco, figura nel Corano tra gli altri profeti che vennero prima di Maometto. Ma non ho mai sentito che avesse un altro nome, né che questo Gesù/Isa avesse compiuto miracoli così straordinari.” (p. 23).

Diversi aspetti della questione devono essere qui distinti. Joseph Fadelle afferma: 1. All’inizio non conosce questo “Gesù”, cosa che può essere concepibile se si tiene conto del fatto che Gesù è talvolta chiamato diversamente nel Corano e dai cristiani del Medio Oriente; 2. Che non ha mai sentito parlare di miracoli in senso assoluto (cosa impossibile per chi ha mai letto il Corano); 3. Anche dopo aver capito che l’Isa del Corano è il Gesù dei cristiani, afferma di non aver mai sentito dire che compì miracoli di tale portata, mentre il Corano evoca molto chiaramente il fatto che Gesù parlò quando era solo un neonato, che guarì i malati, resuscitò i morti, ecc. Possiamo quindi formulare qui due ipotesi: o M. Fadelle non ha letto il Corano, il che sarebbe sorprendente per un musulmano, oppure mostra chiaramente malafede.

[10]  Si legga in particolare su questo argomento: Cuypers, Michel; Gobillot, Geneviève, Le Coran, idées reçues, Le cavalier Bleu éditions, 2007, pp. 69-72.

[11]  Un po’ più avanti egli scrive a proposito della preghiera nell’Islam: “la maggior parte di ciò ho imparato riguardava le abluzioni, molto esteriori.” (p. 40).

[12]  Qui l’espressione usata è più che approssimativa: Al-Fâtiha o “L’apertura” è la prima sura del Corano che viene recitata durante la preghiera, ma non è una preghiera in sé.

[13] Se ci riferiamo al più grande commentatore sciita del Corano contemporaneo, ‘Allâmah Tabâtabâ’i; egli stesso traendo ispirazione da molti commentatori, sottolinea che il campo è un’immagine che simboleggia la vita e la permanenza della specie umana, grazie al quale il seme prende vita e la vita continua. Viene qui sottolineata l’importanza centrale della donna in quanto “madre dell’essere umano”, e che consente la sopravvivenza della specie umana. Per quanto riguarda la seconda parte del versetto, ‘Allâmah Tabâtabâ’i sottolinea che l’uomo può avere rapporti sessuali con sua moglie quando lo desidera (tranne eccezioni per esempio durante il digiuno del Ramadan), tuttavia, queste relazioni fanno parte del quadro di amore, rispetto reciproco e misericordia che Dio ha creato tra gli sposi (e non nel senso che l’uomo possa disporre liberamente della moglie come meglio credeva, senza alcuna considerazione per essa). Tabâtabâ’i, Mohammad-Hossein, Al-Mizân, vol. 2, traduzione persiana, p. 319.

[14]  Come attesta questo versetto: “Si può divorziare due volte. Dopo di che, trattenetele convenientemente o rimandatele con bontà; e non vi è permesso riprendervi nulla di quello che avevate donato loro.” (2: 229) L’espressione bima’ruf è usata anche in questo versetto, che ci insegna anche che è proibito a un marito di trattenere la propria moglie contro la sua volontà se lei vuole divorziare: “Quando divorziate dalle vostre spose, e sia trascorso il ritiro, riprendetele secondo le buone consuetudini (bima’ruf) o rimandatele secondo le buone consuetudini (bi’maruf). Ma non trattenetele con la forza, sarebbe una trasgressione e chi lo facesse, mancherebbe contro se stesso.” (2: 231)

[15]  Va inoltre ricordato che secondo il Corano sono sia Adamo ed Eva ad aver peccato, a differenza del racconto della Genesi in cui solo Eva è la fonte del peccato e inganna il marito: “Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò […] il Signore disse: «Chi ti ha fatto sapere che eri nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». Rispose l’uomo: «La donna che tu mi hai posta accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato».” (Genesi, 3: 6-13). Le conseguenze di un tale peccato sono particolarmente evidenti nella prima lettera di Paolo a Timoteo (2: 11-15) citata sopra.

Nel Corano non c’è differenza tra uomo e donna riguardo al peccato originale: sono entrambi ugualmente responsabili: “Satana li tentò per rendere palese [la nudità] che era loro nascosta. Disse: “Il vostro Signore vi ha proibito questo albero, affinché non diventiate angeli o esseri immortali”. E giurò: “In verità sono per voi un consigliere sincero”. Con l’inganno li fece cadere entrambi. Quando ebbero mangiato [dei frutti] dell’albero, si accorsero della loro nudità e cercarono di coprirsi con le foglie del Giardino. Li richiamò il loro Signore: “Non avevo vietato quell’albero, non vi avevo detto che Satana è il vostro dichiarato nemico?”. (7: 20-22).

[16] Ciò sembra attestare la sua conoscenza del Corano…e rafforza le contraddizioni sul fatto che non fosse a conoscenza della presenza di versetti sui miracoli, o anche della sua rilettura del Corano che sembra quasi essere una scoperta…

[17]  Un hadith qudsi è una parola di Dio espressa con le parole del Profeta Muhammad.

[18]  Utilizziamo qui la traduzione di Christian (Yahyâ) Bonaud, Le soufisme, Maisonneuve e Larose, 2002, p. 23.

[19]  Un esempio tra gli altri: “Gli uomini, fratelli miei, sfuggono a questa autorità [della madre] grazie al loro sesso, che dà loro potere su tutte le donne, madre inclusa” (p. 20). Tuttavia, il signor Fadelle non sembra soffrire troppo di questa situazione, ma piuttosto approfittarne: “Con lei [sua madre] approfitto spudoratamente della mia situazione privilegiata. Sbavo ancora al ricordo dei cinque deliziosi pani appositamente sfornati da mia madre, su mia richiesta“. (p. 20).

[20]  Questo passaggio merita di essere citato: “Mio nonno paterno aveva certamente lo stesso carattere prepotente, ma era anche un goditore, amava mordere la vita a pieni denti. Morì a 109 anni, chiedendo di sposarsi una quarta volta, mentre gli versavamo gocce d’acqua nella bocca e suo figlio gli leggeva il Corano!” (pp. 18-19). Qui sono associate le idee di religione, sensualità e dominio in una miscela rivolta all’assurdo. Partendo dall’opinione che questo esempio sia vero, non fa che confermare l’esistenza di un desiderio di caricaturare definitivamente un ambiente che Joseph Fadelle sembra fin dall’inizio rifiutare.

[21]  Scriveva di sua madre così: “Sovrintende alla cucina, alla lavanderia, dà gli ordini alle sue sette nuore e alle mie sorelle nubili, a volte anche violentemente, al punto da picchiarle“. (p. 20).

[22]  “Voglio distruggere l’Islam, prima di tutto per salvare i musulmani. La distinzione tra i due è ancora una volta essenziale. È la salvezza dei musulmani che conta per me“. Intervista a Joseph Fadelle di Faustine des Lys, www.citeetculture.com/article-interview-de-joseph-fadelle-chretiens-francais-revegez-vous-61708795.html

[23]  Ibid.

[24]  Cuypers, Michel; Gobillot, Geneviève, Le Coran, idées reçues, Le cavalier Bleu éditions, 2007, p. 104.

[25]  Intervista con Joseph Fadelle condotta da Faustine des Lys, www.citeetculture.com/article-interview-de-joseph-fadelle-chretiens-francais-revegez-vous-61708795.html

[26]  Ibid.

[27]  Ibid.

[28]  Ibid.

[29]  Christophe Roucou, www.perepiscopus.org/islam/le-temoignage-de-joseph-fadelle-inquiete-le-sri

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Tratto da “La Revue de Teheran”, n. 68, luglio 2011, http://www.teheran.ir/spip.php?article1413#gsc.tab=0

Traduzione a cura di Islamshia.org © E’ autorizzata la riproduzione citando la fonte

Writer : shervin | 0 Comments | Category : Attualità, politica e società , Novità

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