Il dialogo tra le civiltà: il senso ultimo di un compito imprescindibile (R. Arcadi)

Il dialogo tra le civiltà: il senso ultimo di un compito imprescindibile

R.Arcadi

Il tema che qui iviene preso  in esame, è di quelli correnti, di cui si fa sin troppo parlare. Troppo parlare, perché sovente i discorsi sono purtroppo solo come fumo che avvolge e nasconde il nocciolo degli argomenti, invece di chiarirli. Per riferirci più precisamente alla questione del dialogo tra le civiltà, sarebbe scontato dapprima chiedersi, e cercare di illustrare, quando se ne discute, che cosa s’intenda con questo termine.

Il termine “civiltà”, ed ancor meno “civilizzazione”, non è certo antico. Ed è così che non lo ritroveremo, nel senso corrente, né in un buon vocabolario latino, né in quello della Crusca La “civilitas” contraddistingue, in latino, la condizione di cittadino, ed è termine tardo. Con questo significato si ritrova il termine “civiltà” nella Crusca. E la variante “civilizzazione” è un tardo francesismo della fine del ‘700.

Anche in arabo ed in persiano la parola “tamaddun”, con cui di solito si traduce “civiltà”, è un termine recente, non coranico, che deriva da “madinah”, città, ed è l’infinito di “tamaddana”, sesta forma del verbo arabo, di significato riflessivo, come a dire, alla lettera “farsi cittadino”. In ogni caso, termine recente, anche se personalmente non saprei dire di quanto. Ad un esperto ricercatore del lessico l’interessante compito di stabilire quando esse fece la sua prima comparsa sulla scena dell’uso linguistico. Quel che a noi qui invece preme, è di trovare una qualche conseguenza proficua dell’uso che se ne fa oggigiorno, cercando d’individuarne in qualche modo i connotati, come dicevamo poc’anzi.

Se l’uso del termine non è antico, non è detto che il suo significato debba essere recente. Ed in effetti, nel linguaggio comune, siamo abituati ad usare espressioni, quali “civiltà” egizia, babilonese, greca, romana, cinese, a via dicendo. Si tratterebbe, a questo riguardo, di universi umani completi, includenti le dimensioni politica, sociale, scientifica, artistica, spirituale, di una data comunità, o di un dato insieme di comunità, inclusione che comprende i vari aspetti dell’agire, del sentire, del pensare, ed in definitiva, dell’essere umano. La circostanza che simili realtà siano connotate anche da un aspetto urbano, se può avere influito sulla tarda designazione linguistica, non è certo una condizione essenziale.

Il fatto significativo, è che il termine “civiltà” comincia ad affermarsi con certezza in un mondo dominato dal mito razionalista del “progresso”. E’ la Francia dapprima, seguita subito, a ruota libera, dall’Inghilterra della prima Rivoluzione Industriale, che nel ‘700, nel secolo dei cosiddetti “lumi”, incomincia a proclamarsi, e ad apparire agli occhi degli illuministi europei, nel loro intellettualismo razionalista, come il paese civile per eccellenza. E’ significativo l’uso che a questo riguardo fa il Leopardi, nello Zibaldone, nelle Operette Morali, e nell’Epistolario, accettandone ed accentuandone un contenuto siffatto, pur senza farne l’oggetto di un significato positivo, dato che per lui lo stato di perfezione e felicità del genere umano sarebbe quello primitivo, contrapposto a quello del progresso razionalistico, scientifico e filosofico.

La “civiltà”, si connota qui come un fatto di progresso dal punto di vista tecnico e scientifico, in senso riduttivo, e nessuna delle correnti delle successiva filosofia occidentale riuscirà a scalzare questa presa di posizione, che avrà anzi, dopo l’illuminismo, la sua ulteriore assunzione nel positivismo.

In questa prospettiva, la civiltà diventa dunque un fatto di “progresso”: da un tale punto di vista, quelle che erano state le grandi civiltà del passato, senza riguardo alcuno, vengono respinte nelle tenebre della barbarie dei tempi retrogradi dall’irresistibile marcia in avanti dell’umanità, nella fattispecie, quella europea, in particolare l’Europa nord occidentale; ragion per cui, ad esempio, un Montesquieu non ha nessuna remora a dipingere, nelle sue Lettere Persiane, sia pure con un intendimento apparente critico, favorevole al primitivismo, come ingenui sempliciotti primitivi, al cospetto delle mirabilie e delle stranezze della civiltà e dell’illuminismo francese, i figli dei figli di Molla Sadra, Avicenna, Jaber, Biruni, Hafez, Rumi, Firdusi. E lo stesso Leopardi non esita a definire “barbari” non solo gli Indiani nei confronti degli Inglesi, ma anche i popoli dell’Europa e dell’Italia del Sud, ed i suoi stessi concittadini, “zotici e vili”, al cospetto di una civiltà che incominciava all’incirca all’altezza di Bologna, nonostante i suoi connotati negativi, in ragione del loro regresso, o mancato progresso, che li rendeva, ai suoi occhi, ancor peggiori dei “civilizzati”.

E’ questa, al di là delle espressioni dottrinali, una tendenza centrale del corrente modo di pensare, le cui radici andrebbero ulteriormente appurate, al quale le varie reazioni filosofiche, quali il primitivismo di Rousseau, o i vari idealismi, non poterono opporre una vera e propria resistenza, appartenendo in definitiva alla medesima radice ed alla medesima tendenza, di cui non costituivano se non una riduzione all’assurdo, che ne accetta la nozione principale, quella di progresso, come un dato di fatto indiscutibile, o condannandolo in quanto tale, come nel primitivismo, o generalizzandolo, col farne l’asse portante della stessa spiritualità umana, come nell’idealismo. Tutte le alternative genuine, come il tomismo, o la concezione ciclica di Vico, vennero ridotte ai margini della corrente di pensiero centrale, avente in definitiva la sua radice nella costituzione esistenziale dell’uomo europeo moderno e contemporaneo.

E’ così che la “civiltà” viene opposta alla “barbarie”, come dicevano, usando un termine del quale i Greci antichi non si erano certo avvalsi in tal senso, prima della strumentalizzazione politica di Socrate, designando come barbaro qualsiasi straniero, anche quegli orientali ai quali tutto, o quasi tutto dovevano, ed al cui cospetto, a cominciare dagli Egiziani, come s’afferma nel Timeo platonico, nel colloquio tra Solone ed i sacerdoti Egizi, essi potevano essere considerati come bambini. E ricordo bene, tanto per fare riferimento ad un caso limite, come un uomo politico nostrano ebbe a parlare, anni or sono, di lotta tra la civiltà, incentrata attorno all’America, e barbarie, incentrata attorno all’Islam, esternazione ripresa in vario modo da altri esponenti del mondo politico e giornalistico di casa nostra, suoi degni emuli.

In effetti, questa contrapposizione tra civiltà e presunta barbarie, funse nel secolo passato da motore al colonialismo ed all’egemonismo occidentale, ed oggi la fa da pretesto principale a quanti, appoggiandosi all’una o all’altra occasione, contro l’uno o l’altro mostro, artefatto o adoperato che sia, pretendono di scatenare nel mondo guerre sante e crociate, come ebbe a proclamare di recente un capo politico a tutti noto. E’ in un contesto siffatto, certo dei meno propizi, che si è preso a parlare, e fu questa una proposta che venne avanzata anni or sono dall’allora Presidente della Repubblica Islamica dell’Iran Mohammad Khatami, di dialogo tra le civiltà. Dicevamo, in un contesto nient’affatto propenso ad un mutuo riconoscimento, per lo meno da parte occidentale. E non si tratta certo qui di un’etichetta, o di formalismi cerimoniali, quanto piuttosto di una capacità generale di capire, approfondire, comprendere.

In primo luogo, e con questo riprendiamo la questione iniziale, s’impone il compito di chiarire che cosa s’intenda per “civiltà”, o “civilizzazione”. Che si tratti di un ambiente, di un mondo, di un universo umano, appare evidente, da quanto dicevamo poc’anzi. Solo che assai vari sono i possibili universi umani, alcuni dei quali non rientrano nel nostro modo di considerare a questo riguardo. Si tratta, a nostro avviso, di uno sviluppo dei vari aspetti della persona umana, riflesso nella comunità, dalla compagine corporea, alla dimensione più prettamente spirituale, di là dal nostro livello d’esistenza, ma che ne include i destini ultimi ed i principi primi, formativi e direttivi.

Ed è così che, tanto per fare un esempio, mondi quali quelli dei cosiddetti “primitivi”, di là dal giudizio spregiativo che s’intende di solito dare con questa parola, ed a prescindere dall’alto valore d’alcuni dei loro principi spirituali, e del grande interesse ch’essi, oggi più che mai, suscitano nel mondo cosiddetto progredito, non rientrano in questa classificazione, per la mancanza di un’adeguata connotazione sotto il riguardo del livello delle loro realizzazioni d’ordine tecnico e scientifico.

Giunti a questo risultato, ci troviamo di fronte all’altra difficoltà, dalla quale avevamo fatto poc’anzi menzione: dato che sia un contenuto alla percezione comune e corrente di quel che sia una civiltà, è innegabile d’altro canto che oggigiorno ci ritroviamo al cospetto di un universo umano, l’Occidente modernista e progressista, che se ne arroga l’esclusiva. Ed è questa una delle principali remore al dialogo.

Ma ad un attento esame, v’è un’altra difficoltà, egualmente grave, che finisce col rovesciare i termini della questione. Se noi accettiamo, e non ci sembra sia possibile non farlo, il contenuto che c’eravamo sforzati d’esporre in precedenza della nozione di “civiltà”, l’Occidente moderno in quanto tale, inteso in senso stretto, ne risulterebbe escluso. Perché possiamo in primo luogo osservare come una delle sue connotazioni principali sia quella della completa scissione dalla sua realtà della dimensione spirituale, che vi sussiste ridotta in condizione di non potere più orientare, in piena consapevolezza ed efficacia d’intenti, di là da ogni interazione accidentale ed esteriore, l’universo umano in cui essa si ritrova inclusa.

E’ questa la realtà di fatto e di principio del laicismo, della separazione tra l’orizzonte spirituale e quello temporale, che fonda il liberalismo, vale a dire, la libertà apparente e fallace dell’uomo, al quale non viene più indicata la via dell’affrancamento dai vincoli e dalle mancanze lesive della sua natura originale, e dell’effusione della grazia divina, o che non viene più messo in grado, di fatto, di seguirla, dato che le condizioni oggettive della sua esistenza non siano per lo più occasione ad altro che allo scatenamento delle sue pulsioni inferiori, dell’anima concupiscibile e passionale, della quale egli finisce con l’essere schiavo, invece di liberarsene o dominarla, nel suo sogno di libertà fallace, che giunge ad accecarlo al punto di renderlo fiero di tutto questo.

E notiamolo per inciso, solo una comunità che si faccia carico e s’adoperi in tutti i modi per l’affrancamento dell’uomo dalla tirannide arbitraria di tali pulsioni, dandogliene le occasioni e le condizioni, potrà dirsi libera anche a livello collettivo, politico, invece di scadere in un’oppressione anche esterna, larvata o palese che sia.

Dicevamo dunque, che l’Occidente contemporaneo, a dispetto di tutte le sue pretese di superiorità, non costituisce più, a nostro modesto avviso, una civiltà in senso proprio, civiltà che altrimenti bisognerebbe ridurre, per ritrovare un comune denominatore, al solo aspetto esteriore tecnico e scientifico, escludendone tutti gli altri, o che andrebbe privata del suo orizzonte spirituale, alternative entrambe egualmente e manifestamente assurde.

Perché nel primo caso, arte, filosofia, letteratura, ne andrebbero escluse, vale a dire tutto il dominio della ricerca del bello, e del vero in senso eminente. Mentre invece nel secondo caso, arte e filosofia sarebbero ridotte ad una sopravvivenza larvale, e destinate all’estinzione, private che siano della loro scaturigine ultima, come sta purtroppo avvenendo da noi oggigiorno, in un mondo quasi del tutto privo di bellezza e di verità.

Queste sono le due grandi difficoltà, l’una dovuta all’apprensione e alla valutazione che l’Occidente contemporaneo fa di sé stesso, l’altra alla coerenza di un contenuto obiettivo basato su di un’apprensione comune, che si oppongono ad un dialogo vero, e ad un rapporto proficuo tra le cosiddette civiltà. Va sottolineata, a questo medesimo riguardo, la centralità della dimensione spirituale. Perché è proprio questo, secondo noi, il nocciolo della questione.

Dicevamo dunque che l’Occidente contemporaneo, in quanto tale, in senso stretto, risulta privo di una dimensione spirituale. Non perché esso non abbia ad interagire necessariamente con un ambito siffatto, dato che se noi ci riferiamo alla sua realtà in senso lato, e non solo sotto il riguardo delle sue innovazioni, esso continuerà pur sempre ad includere quella che è stata, ed sotto un tale riguardo è ancora, la sua dimensione spirituale, vale a dire il Cristianesimo. Ma appunto nel senso, che avevamo poc’anzi chiarito, di una sua interazione accidentale con questo medesimo elemento.

Ed un’altra circostanza che, a nostro avviso, conferma un assunto siffatto, è l’estraneità tra il progresso d’ordine materiale, in ragione del quale l’Occidente s’arroga la sua presunta superiorità, e l’ascesa alle stazioni della realizzazione spirituale, che non appartengono certo alle condizioni del nostro mondo, del nostro livello d’esistenza. Certo, quest’ascesa finisce col dominarle e trasfigurarle, le porta alla loro perfezione, anch’esse, ma è una pura illusione pretendere che uno sviluppo di questo livello possa portare di per sé a qualcosa nell’altra dimensione.

Laddove invece la capacità di riconoscere il raggio ed il riflesso della profusione divina nell’esistenza sensibile, consentirà d’ascendere sulla via che conduce alle vette della prossimità divina, e di dare all’uomo, ed al mondo intero, la sua completa realizzazione.

Possibilità ed alternativa che sino ad ora, a prescindere dal breve lampeggiare della luce profetica all’origine dell’umanità, e dei cicli del suo ricorso, del ciclo di ciascuna profezia, per lo meno nella persona dei singoli Inviati, la pace su di loro, è stata sinora del tutto disattesa dal genere umano, che ha preferito seguire l’altra via, quella dell’apparenza, la quale in questo solo ambito, della sembianza corporea, gli ha dato innegabili risultati, sotto gli occhi di noi tutti, appariscenti sì, ma privi di sostanza autentica.

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Writer : shervin | 0 Comments | Category : Attualità, politica e società

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