Dalla gnosi al martirio (Hujjatulislam Abdekhodai)

Dalla gnosi al martirio

Hujjatulislam M.H. Abdekhodai

Nell’eroica esistenza dell’Imam Husayn (su di lui la pace) risplendono quattro idee: gnosi (‘irfàn), amore, lotta sulla via di Dio (jihàd), martirio (shahadat). Esse irradiano da un unico centro, il sacro nome dell’Altissimo, da cui trae origine il loro splendore e il loro carattere eterno. A ognuno di tali concetti, che illuminano i discorsi e l’esistenza dell’Imam Husayn (A), ci dedicheremo brevemente nei paragrafi che seguono.

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Gnosi
Il du’a (supplica) di ‘arafa, opera dell’Imam Husayn (A), risplenderà eternamente nella storia della gnosi islamica. Fu pronunciata al cospetto di Dio dall’Imam Husayn (A), con gli occhi pieni di lacrime, nel pomeriggio del giorno di ‘arafa (1) sotto al cielo assolato del deserto di ‘arafàt. L’essenza stessa della gnosi impregna quest’orazione e nei momenti più elevati le conferisce una grazia particolare. In essa risplendono la potenza e l’unicità di Dio, la Sua scienza e il Suo dominio, e, inoltre, la misericordia, la grazia, la tenacia, il perdono e tutti quegli attributi di gloria e magnificenza che appartengono all’Altissimo.

L’Imam Husayn (A) nella parte iniziale dell’invocazione, riferendosi ad alcune delle grazie spirituali e materiali di Dio, dichiara la propria incapacità di ringraziare adeguatamente l’Altissimo dicendo:

Quale fra le Tue grazie, o Signore, potrei enumerare e ricordare, e di fronte a quale, fra i Tuoi doni, renderTi grazie, quando le Tue grazie e i Tuoi doni sono così abbondanti e numerosi da trascendere l’abilità del più esperto fra i contabili e del più pronto fra coloro che hanno buona memoria?”

In questa magnifica supplica dell’Imam Husayn (A) l’intera esistenza dell’uomo è segno e testimonianza della grazia di Dio: dai più fini capillari dell’occhio alla complessità dell’apparato uditivo, dal cuore alle specificità del sistema nervoso. L’Imam Husayn (A) affianca due immagini: da una parte le grazie e i doni di Dio, dall’altra le debolezze e i difetti dell’uomo (2). Di fronte alla prima immagine descrive un universo di riconoscenza e umiltà, di fronte alla seconda, chiede un modo di remissione e perdono.

Nell’invocazione di ‘arafa Dio si manifesta nella Sua perfetta autosussistenza e ricchezza e l’uomo nella sua assoluta dipendenza. In un passo del testo dell’invocazione, riferendosi all’eterno bisogno e dipendenza dell’uomo, anche nel momento dell’abbondanza e della ricchezza, recita:

“O Signore pur nell’abbondanza e nella ricchezza sono povero e bisognoso. Come potrei allora non essere bisognoso nel momento della povertà?”

Perché l’uomo non possiede nulla in sé e dipende in ogni cosa da Dio. Lo stesso concetto è espresso nel sacro Corano: “Voi tutti avete bisogno di Dio Altissimo”

e ancora, “O Signore, pur essendo dotto sono ignorante, come potrei allora non esserlo laddove non conosco?”

Non solo l’uomo non possiede la scienza per sua virtù, ma la scienza che possiede è accompagnata  dall’ignoranza. Ogni scienza è mescolata all’ignoranza e ogni cosa conosciuta è accompagnata da mille cose sconosciute. Questo è il più alto atto d’umiltà che l’Imam Husayn (A) compie al cospetto di Dio altissimo.

L’Imam Husayn (A) descrive in maniera assai interessante due caratteristiche umane: da una parte il vuoto e la povertà insiti nell’uomo, dall’altra la sua ricchezza e il suo valore. La prima caratteristica appartiene all’uomo per sua natura, la seconda la deriva dal rapporto con Dio. Recita l’invocazione:

“O signore, come posso ritenermi degno quando mi hai posto in condizione d’umiltà e di bisogno? Come posso ritenermi indegno quando mi hai legato a Te (facendomi Tuo servo e creatura)?”

L’Imam Husayn (A) sul piano della conoscenza speculativa fa riferimento al concetto di ‘aynu’l-yaqin (testimonianza certa). Chiede a Dio Altissimo di instillargli un timore ispirato dalla certezza della testimonianza, ossia dalla certezza del fatto che Egli è presente e testimone in ogni suo atto. Il timore deve insomma essere ispirato esclusivamente dalla presenza magnifica dell’Altissimo. Sul piano della conoscenza empirica l’Imam Husayn (A) considera la felicità un riflesso del devoto timore di Dio. All’Altissimo chiede di renderlo felice attraverso la devozione e la temperanza.

L’abbandono in Dio traspare dall’invocazione dell’Imam Husayn (A). Ad esempio laddove recita:

“O Signore, come potrei essere preda dello sconforto quando Tu sei la mia speranza? E come potrei essere oggetto d’umiliazione e disprezzo quando tu sei il mio sostegno?”

Nell’orazione l’Imam Husayn (A), colmo di fiducia e speranza in Dio, recita:

“O Signore, in Te solo confido, non mi abbandonare. A Te solo rivolgo le mie suppliche, non negarmi il Tuo conforto. A Te solo mi sono affidato, non allontanarmi da Te. Sono alla porta della Tua casa, non respingermi.”

Nella gnosi dell’Imam Husayn (A) non esiste né sconforto o disperazione, né indugio o quiescenza. L’’àrif, lo gnostico islamico, non si rende preda dell’afflizione nel momento della disgrazia e del dolore, né tantomeno si abbandona nel momento dell’amore e della grazia. Bensì, considerando Dio un Essere Eterno e Onnipotente, nel momento della disgrazia Gli chiede conforto e nel momento del benessere Gli chiede una grazia ancora maggiore. I continui mutamenti che si verificano nel mondo sono una testimonianza autentica e sincera di questo argomento.

L’Imam Husayn (A) nella sua invocazione indica le differenti fasi della conoscenza: parla sia dell’epifania divina che interessa l’’àrif, sia della manifestazione di Dio nella totalità degli esseri viventi. Se da una parte recita:

“O Signore, non Ti sei mai forse occultato per necessitare di una causa che giustifichi la Tua esistenza?

dall’altra dice:

“Tu sei Colui che si è fatto conoscere attraverso tutte le cose, così che attraverso ogni cosa ho potuto testimoniare la Tua presenza.”

La guida di Dio, la luce della fede e la forza ispiratrice del monoteismo occupano una posizione sublime nella gnosi islamica.

L’Imam Husayn (A) accenna a questo fatto e dice:

“O Signore, Tu hai fatto risplendere le luci nei cuori di coloro che Ti amano, cosi che hanno potuto conoscerTi. Tu hai eliminato dai cuori di coloro che Ti amano ogni interesse per altri all’infuori di Te, affinché non amino alcun altro e in altro non trovino rifugio all’infuori di Te.”

Nel pensiero dell’Imam Husayn (A), coloro che sono circonfusi dall’amore divino, hanno grazia eterna e non hanno bisogno di null’altro. Mentre coloro che si sono allontanati da Dio hanno perso ogni cosa di valore e brancolano nell’infelicità.

Nella supplica l’Imam Husayn (A) chiede in forma negativa:

“O Signore, colui che ha smarrito la Tua strada che cosa ha guadagnato? Colui che ha trovato la Tua strada che cosa ha perso?”

L’Imam Husayn (A) al cospetto della divinità smarrisce se stesso e, dimentico di sé, si abbandona completamente a Dio. Allora, pienamente sottomesso e appagato recita:

“O Signore, attraverso la Tua provvidenza fai che io non debba sorreggermi su me stesso e attraverso la Tua infinita potenza fa che io non debba ricorrere alla mia umile forza.”

L’Imam, insomma, senza  esitazione annulla al cospetto di Dio la propria forza. Egli non vede altro che Dio e ne contempla le grazie. Dio è l’unico suo sostegno nelle difficoltà, l’unico suo ispiratore e amico fidato nella solitudine, l’unico suo conforto nell’afflizione, l’unico patrono e tutore nella grazia.

Le parole dell’Imam Husayn (A) hanno il loro effetto fino al profondo dei cuori. Esse provocano nell’uomo una trasmutazione interiore  tale che l’anima si eleva a spiccare il volo verso il regno celeste, dove si estingue nella santità divina.

L’Imam Husayn (A) si annulla  nel compiacimento di Dio e ne sfugge soltanto l’ira. Al punto che se Dio solo è soddisfatto di lui e tutti gli altri sono insoddisfatti, o se Dio solo è insoddisfatto di lui e tutti gli altri sono soddisfatti, l’ira  degli altri al cospetto del compiacimento di Dio o il compiacimento degli altri al cospetto dell’Ira di Dio, non hanno per lui importanza alcuna. 

L’Imam Husayn (A) nel passaggio finale di una parte dell’orazione, levando il capo al cielo della misericordia divina, con gli occhi gonfi di lacrime recita:

“O Signore, Tu che hai udito più fine e vista più acuta di chiunque altro, Tu che più di chiunque altro sei rapido nel conto, Tu che abbondi in clemenza e compassione più di qualunque misericordia, sia la Tua pace sul Profeta e sulla su Famiglia nobile e benedetta. O Signore, Ti rivolgo una supplica che se vorrai esaudire, distogliendomi da qualsiasi altra supplica e desiderio, non ne avrò danno, ma se non vorrai esaudirla, qualsiasi altra cosa mi elargirai non ne compenserà il vantaggio: T invoco di salvarmi dalle fiamme dell’Inferno!”

L’Imam Husayn (A) fino al tramonto del giorno di Arafa, con gli occhi colmi di lacrime, ripeteva Ya Rabb! (O Signore), accompagnato nell’invocazione dalla folta schiera dei suoi amici e  seguaci che lo attorniavano come falene al lume.

La purezza di tale spirito contemplativo risplende in tutta l’esistenza dell’Imam Husayn (A), in particolar modo a Karbala. L’epopea di Ashura ha trasmesso grandi insegnamenti all’umanità intera, e soprattutto ai musulmani. Le sue radici vanno ricercate nella gnosi e nell’amore divino.

Il rifiuto del patto di sottomissione al Califfo segnò l’inizio della rivolta dell’Imam Husayn (A). Egli preferì la morte dignitosa ad una vita abietta. Non accettò nella maniera più assoluta di sottomettersi al governo usurpatore di Yazid, che non volle minimamente sostenere né attraverso la firma del patto, né tantomeno con il silenzio.

Ma fu disposto a sopportare sofferenze e patimenti straordinari.

L’Imam Husayn (A) non si fermò innanzi alla tirannia dell’oppressore Yazid. La difesa dei diritti dei diseredati e degli oppressi è ritenuto il caposaldo della sua lotta. Egli anelò alla riforma della Comunità Islamica e delle condizioni della gente.

L’Imam Husayn (A) amava con tutto il cuore la religione di Dio e desiderava che i precetti divini fossero applicati nell’intero dominio dell’Islam. Egli soffriva per l’immoralità e la corruzione e predicò in maniera sincera il comandamento  che recita “raccomanda il bene e vieta il male.”

Dimostrò la verità di questo duplice precetto nel corso della sua intera esistenza e infine sulla scena del martirio.

Yazid, il quale si arrogava il titolo di “principe dei credenti e successore del Profeta”, attraverso i suoi peccati dava un segno negativo al volto dell’Islam. Se la lotta e la sollevazione dell’Imam Husayn (A) non avessero avuto luogo, questa pura religione sarebbe stata tramandata alle generazioni successive in una forma corrotta. Ma l’Imam Husayn (A) con la sua tenace opposizione e il suo eroismo dimostrò agli occhi del mondo che la condotta di Yazid nulla aveva a che fare con l’Islam e che era invisa al Santo Profeta di Dio (S).

Gli argomenti fin qui trattati rappresentano parte delle motivazioni che spinsero l’Imam Husayn (a) alla lotta (jihad) e al martirio (shahadat) sulla Via di Dio. Dicono che “la vita consiste nella fede e nella lotta.”

Ciò che distingue l’uomo dall’animale, o più in particolare, l’uomo vivo dall’uomo morto, sono proprio questi due concetti. L’uomo vivo ha fede in qualcosa e lotta per essa. L’uomo morto, al contrario, non ha fede e non lotta per alcunché. Quindi, chi è privo di fede e non lotta per ciò in cui crede, può essere paragonato a un uomo morto. Ora, quale credo è più puro della fede in Dio? E quale impegno è più durevole della lotta sulla Via di Dio? I due concetti di fede in Dio e di lotta sulla Via permeano la vita di tutti i pii credenti. La  vita è una responsabilità, è un dovere e un impegno, è un campo, è un’università, e consiste unicamente nel credo e nell’impegno, ovvero nella fede e nella lotta sulla Via di Dio. I pii credenti non hanno altro fine che questo: Dio e l’amore per Lui, Dio e l’impegno sulla Sua Via. Coloro che sono fortemente legati alle cose del mondo spendono la vita intera nel sogno e nell’illusione. Uomini e donne che adorano Dio e la Sua Via abbracciano invece un’esistenza terrena pura e virtuosa, segnata dall’amore per Dio e dalla lotta sulla Sua Via. L’Imam Husayn (A) paragonando i valori del mondo terreno con quelli della vita eterna disse: “La ricompensa di Dio è la più alta e nobile fra le cose.” Parlando invece della morte e del martirio disse: “Restare uccisi sulla Via di Dio è la cosa più nobile.” (3)

L’Imam Husayn (A) muovendo sulla Via di Karbala pronunciò versi che descrivevano la vita e la morte secondo nobiltà e virtù. In tali versi è considerata nobile la morte di chi ha vissuto mosso da buoni propositi, lottando nella religione e nella fede, aiutando i giusti e combattendo i reprobi.

La vita e la morte del pio credente sono onorevoli, al contrario dei vili, che conducono una vita abietta e miserevole. (4)

I letterati generalmente descrivono la morte dell’Imam Husayn (A) come un incubo. L’Imam Husayn (A) paragona invece la morte e il martirio alle collane che brillano al collo delle giovani donne. (5) In realtà, la morte che segue a una vita di perdizione è veramente un incubo. Ma il monile che orna il collo del martire è ben più brillante di ogni altro.

L’Imam Husayn (A)  presagiva che la santa  battaglia intrapresa si sarebbe conclusa con la sua decapitazione, e che ciò avrebbe causato la caduta del tiranno del tempo. Per tale motivo citò l’esempio della testa tagliata del Profeta Yahya (Giovanni).

L’Imam Husayn (A) dedicò ogni cosa, addirittura la sua stessa vita al suo ideale divino. Soffriva per l’incubo dell’oppressione del peccato e per la mancanza di giustizia. Disse infatti:

“Non vedete forse che non si agisce secondo giustizia, che non si evita il peccato, e che perciò i credenti anelano a  giungere alla contemplazione di Dio attraverso il martirio sulla Sua Via?”

Per questo bisogna ricercare la radice e l’origine di tutto ciò nella gnosi e nella devozione assoluta dell’Imam Husayn (A).

La figura dell’Imam Husayn (A) risplenderà in eterno nella storia dell’umanità. Essa c’insegna la tenacia sulla Via di Dio e la fermezza di fronte all’oppressione. Questo mito è rimasto nella storia dello Sciismo ad eterno ricordo e viene costantemente ripercorso, prendendo corpo come un modello agli occhi di ogni seguace dell’Ahlul Bayt (A).

L’Imam Husayn (A) è stato il modello di tutte le lotte e rivoluzioni che si sono realizzate nella storia dello Sciismo, il capostipite degli uomini virtuosi e dei sapienti che nella storia hanno conservato e perpetuato la dottrina sciita sacrificando la propria vita sulla Via di Dio. Il compianto e dottissimo teologo Amini ne menzionò centodieci definendoli, nell’opera che ne porta il nome, “Martiri della Virtù”.

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Roma, moharram 1421
Dott. Muhammad Hadi Abdekhoda ‘i 

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NOTE

1) Il  giorno di “arafa” è il nono giorno del mese di dhul-hijja del calendario lunare islamico. I musulmani che si recano alla Mecca per compiere i riti del Pellegrinaggio trascorrono questo giorno nel deserto di “arafat”, a circa 24 km. dalla città, dedicandosi all’adorazione e alla preghiera. Tale sosta di preghiera, che dura da mezzogiorno fino al tramonto, è parte dei riti del Pellegrinaggio. In tale occasione è benaccetta la Preghiera per i musulmani che non si trovano alla Mecca. 

2) Recita l’invocazione: “Tu hai dispensato i Tuoi doni e le Tue grazie. (…) Io ho peccato, io ho errato.”

3) Biharu ‘ l-anwar, vol. XLV, p. 49.

4) Biharu ‘l-anwar, vol. XLIV, p. 192. Recita:
“Parto, la morte non è disonorevole per l’uomo virtuoso, che mira al vero e lotta da musulmano devoto si unisce con tutta l’anima agli uomini probi e si allontana dal male dei reprobi. Se vivrò non avrò di che pentirmi, (perché ho vissuto con dignità), se morirò non sarò biasimato, (perché sarò ucciso sulla Via di Dio). E’ già segno di grande viltà condurre una vita abietta.”

5) Biharu ‘l–anwar, vol. XLIV, p. 347. “La morte è per la progenie di Adamo come il monile al collo delle giovani donne.”

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Writer : shervin | Comments Off on Dalla gnosi al martirio (Hujjatulislam Abdekhodai) Comments | Category : Ashura e il martirio dell’Imam Husayn(AS)

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