Corbin ed altro (R. Arcadi)

Corbin ed altro

R.Arcadi

Da qualche tempo a questa parte si va facendo strada nel mondo occidentale, quantunque assai faticosamente, un qualche sentore di quel mondo recondito di conoscenza proprio ai seguaci della Famiglia immacolata del Nunzio divino, a cui viene dato il nome di “ºirfān”, o conoscenza appunto, o “gnosi”.

Il fatto è, che questo lento progredire non è esente da talune pecche, alcune anche assai gravi. Cerchiamo di vedere, qui di seguito, di che cosa si tratta.

La difficoltà maggiore è da ricondursi all’attitudine, affatto occidentale, di considerare e giudicare i mondi esterni ed estranei, almeno esteriormente tali, attraverso la lente deformante delle proprie concezioni e procedure, per lo più affatto distorte e distorsive. È così che, tanto per fare un esempio, al tempo della colonizzazione inglese in India, il mondo indù venne fatto conoscere in Occidente attraverso quella Società Teosofica, avente scopertamente anche fini pubblici, nel senso di favorire le mene dei colonizzatori.

Società severamente condannata da Guénon, oltre che per la parzialità suddetta, per la sua incapacità d’adergersi al mondo trascendente dell’Induismo originale, per immergersi nelle variegate immaginazioni multicolori di un mondo sottile ed immaginale fatto passare per trascendenza pura, a parte le inquietanti inversioni del processo iniziatico, come nel caso del Kundalini Yoga, del tutto d’accordo con gli esiti aberranti dell’Induismo contemporaneo.

Dicevamo, che questa è un’attitudine del tutto generale, che va fatta risalire non certo alla pretesa superiorità dell’Occidente, nel suo complesso affatto inesistente, se non quanto ad aspetti del tutto subordinati della realtà, ma invece alla sua inferiorità di fatto e di principio, vale a dire, alla sua incapacità di adergersi agli aspetti superiori della conoscenza e della realtà, almeno in generale, se non per personalità particolari, dopo la fine del Medioevo, ed il suo conculcamento e rifiuto, che va di pari passo con la sua completa falsificazione, e con la decadenza spirituale del mondo occidentale.

 Dicevamo dunque della “conoscenza” sciita, o “ºirfān”. È questo un dominio recondito, per la sua stessa natura, sinora ben poco noto, al di fuori di quelli che sono i suoi limiti locali, se non a pochi addetti, ed a qualche appassionato, all’interno dello stesso mondo sciita, non scevri peraltro da travisamenti anche gravi, siccome vedremo qui di seguito. Vediamo in primo luogo di capire, anche se da lontano e per somme linee, di che cosa si tratti.

Il dominio della conoscenza pura e presenziale non è certamente qualche cosa di nuovo nelle tradizioni del genere umano, essendone anzi alcunché d’originario. Conoscenza che potremmo qui intendere, in un senso affatto improprio e limitativo, siccome opposta al pensiero argomentativo, ed in generale discorsivo. Contrapposizione che invece, in realtà, è del tutto fittizia ed abusiva, essendo frutto del pensiero astrattivo, e non reale, degli occidentali.

Ricordiamo che alcuni anni fa, un religioso iraniano tenne all’Istituto Orientale di Napoli alcune lezioni, appunto su questo medesimo argomento, dalle quali il Professore italiano presente ebbe a trarre indebitamente la conclusione, che si trattava del dominio di un “pensiero fluido”, contrapposto a quello “rigido” dell’argomentazione discorsiva. Conclusione che è del tutto illegittima, se innanzitutto il primo non è propriamente “pensiero”. E se il secondo, al contrario, è subordinato e consequenziale al primo, quand’anche non ne scaturisca direttamente o consapevolmente, riferendosi in ogni caso il “pensiero”, come dicevamo, ad una realtà immaginale ed astrattiva, che in quanto tale si distingue dalla conoscenza pura, la quale, quantunque non opponendoglisi, non è affatto “pensiero”, non essendo formale, nel senso delle forme astratte dalla materia, ed alle loro successive generalizzazioni. 

Trattandosi in genere, in particolare nel dominio sapienziale sciita, di gradualità dell’ascesa e della discesa dei livelli dell’essere, che diviene contrapposizione soltanto in virtù o di un’astrazione, debita od indebita che sia, che la scinde dalla sua compagine esistenziale, oppure allorquando la differenza tra i contenuti d’essere diventi tale, da non renderne perspicua l’univocità od identità, la qual cosa dà luogo all’illusione ed all’errore, ed all’inversione dei livelli superiori.

Ora, quantunque questo dominio non sia prerogativa esclusiva del mondo sciita, quella che sarà invece la sua peculiarità sarà di ricondursi, direttamente oppure indirettamente, ai suoi depositari superni. Questi sono i XIV Puri scevri da colpa e da errore, personificazione e supposito dell’uomo Perfetto, od Universale, o della luce muhammadica, diretta scaturigine superna della Luce Divina Suprema, inattingibile ed assolutamente trascendente.

Puri che sono depositari, la pace su di loro, per semplice identità, di questa stessa conoscenza, che essi riferiscono ed alla Trascendenza Divina, in quanto sua contrazione e definizione identitaria, sia ai domini ulteriori dell’essere, in quanto ne costituiscono la continenza eminenziale onnicomprensiva, donde essi si traggono per partecipazione, siccome mediazione superna della profusione dell’essere, a tutti i suoi vari livelli ulteriori.

Nel Tasawwuf, o Sufismo, s’indica, a questo medesimo riguardo, un fulcro, o “polo”, in arabo “quţb”, ma senza che la sua persona, ininfluente ai fini dell’iniziazione, abbia ad essere perspicua, come un qualcosa d’esterno e difficilmente attingibile, e non siccome alcunché che rinvii ai primi livelli dell’attingere, funzione di cui è detentore, sempre nel caso del Tasawwuf, il depositario della formalità e virtualità della catena iniziatica, esterna e formale.          

La qual cosa è della massima importanza appunto per quel che concerne le questioni della conoscenza, ai suoi vari livelli. Conoscenza che viene appunto attuata dal suo tramite divino superno, sulla soglia della Sua stessa Inattingibilità Suprema, che è l’Intelletto Primo trascendente, attuato ed attuativo, a guisa d’iniziatore ai segreti dei suoi vari livelli, tenendo conto del fatto, che i livelli di conoscenza sono livelli d’identità e di realizzazione perfettiva.

E veniamo qui a definire una differenza fondamentale, giacché nel Sufismo per l’assenza di una mediazione attuale e presenziale, a prescindere dall’inattingibilità di fatto del Polo, il tutto va riferito ad una catena che non si riconduce ad una presenza attuale, si tratti di quella del Nunzio divino, dei Puri, o di Abu Bakr, il che fa sì che questa mediazione possa essere meramente formale, quando manchi, al di là dell’origine, la qualificazione esistenziale della Guida.

 Laddove invece, nel dominio sapienziale sciita, a rigore, la catena di trasmissione, da orizzontale e formale, si fa verticale e sostanziale, nel senso di riferirsi all’unico iniziatore, occulto ma presente e vivente, alla Guida ben Guidata, ed a quanti siano in contatto con lui, mediatamente od immediatamente, in una guisa che è anche corporea, la qual cosa li qualifica sostanzialmente ed esistenzialmente nella loro funzione iniziatica nei confronti dei loro seguaci.

 Ci troviamo qui dunque al cospetto di due mondi, uno nascosto, e difficilmente attingibile per chi gli sia esterno, ed uno esterno, nel quale, nei confronti del primo, le varie potenze dell’uomo, considerato integralmente, vanno messe in funzione, dall’argomentare razionale e dal significare esterno, al gusto del cuore, nella ricerca del Maestro, che peraltro, in ogni caso, occulta la sua qualifica interna, non mostrandola e non menandone vanto.

 Maestro che, a questa medesima stregua, prima di penetrare in quel mondo nascosto e sovraordinato, non godrà di nessuna qualifica d’infallibilità e d’inabrogabilità, sino a che egli non abbia a giungere ad un livello superiore di contatto e di comprensione. Fatto presente, che il rapporto con l’Atteso è un segreto tra lui ed il suo discepolo, che solo in circostanze eccezionali, o dopo che è venuto meno, o dopo la sua morte, potrà essere reso di pubblico dominio.

 Ora, è appunto di questo dominio nascosto, che in Occidente non si ha ancora nessun sentore. Tre autori si sono peraltro sinora adoperati, a prescindere da taluni studi macchinosi d’erudizione d’inizio secolo, e da qualche americanata buffonesca e dall’opera recente, precorritrice e fondamentale di C. Yahya Bonoud, per fare comprendere al pubblico occidentale qualcosa del mondo sapienziale sciita, e questi sono Amir Moezzi ed Hosseyn Nasr, d’origine persiana, e Henry Corbin, europeo, certo il più eminente tra loro.

 Il fatto è che nessuno di questi tre autori, a nostro modesto avviso, a parte certi loro meriti indiscutibili, è riuscito a fare chiarezza sulla questione suddetta, facendo conoscere, e conoscendo essi stessi, quel mondo occulto di cui sopra, con tutti i suoi accessori esterni, di cui avevamo detto. Il dominio occulto dei rapporti sapienziale con l’Atteso, con le sue propaggini esterne, nel senso appunto della trasmissione e dell’iniziazione alla sua sapienza, non è stato da loro chiarito.

Se merito di Amir Moezzi è di avere messo in rilevo la funzione conoscitiva ed iniziatica delle Guide, egli è poi incorso nell’errore madornale di scindere  questa dimensione eminente e trascendente da tutte le ulteriori dimensioni ostensive, da quella pubblica, nel senso della direzione statuale della società, a quella giuridica, a quella discorsiva ed argomentativa in generale, e più particolarmente filosofica, il che ne limita e falsa la personalità completa ed universale.

 Fondandosi a questo medesimo riguardo su narrazioni parziali tratte dai “ġulāħ”, gli “esagerati, e sulle proprie intuizioni individuali ed individualistiche, che prescindono dal riferimento ad un deposito sapienziale e tradizionale vivente, che anzi egli nega, con un errore affatto moderno, quello della leggenda della “tradizione perduta”, e sui formalismi universitari propri al positivismo di fondo del mondo occidentale, al quale egli va ascritto a pieno titolo.

 Tanto da ridurre la dimensione conoscitiva e trascendente dei Puri, la pace su di loro, al satanismo, ci perdoni Iddio Altissimo, sia magnificato ed esaltato, questo nostro dire, di una ricerca di poteri e di gratificazioni fine a sé stessi, alla Gurdijeff, o come negli esiti aberranti nell’induismo deviato contemporaneo, senza che ci sia certo da meravigliarsene, date le premesse inconsistenti ed antitradizionali, a parte, dicevamo, qualche merito assai limitato.

Quando ad Hosseyn Nasr, egli non sembra vedere altro che la dimensione formale del Tasawwuf, alla quale riduce in toto lo Sciismo, nel senso della pretesa “grande ţarīqaħ”. E quantunque non gli siano del tutto ignoti i depositari contemporanei di questa dimensione sapienziale, egli finisce col ridurli indebitamente, a dispetto delle evidenze di fatto, ad una funzione di mera interiorità, o piuttosto “interiorismo” modernista, scindendoli anch’egli dall’aspetto civile sociale, se non dagli altri aspetti, com’è invece per Amir Moezzi.

 La qual cosa, alla luce di quella gradualità modulata della quale avevamo fatto poc’anzi menzione, alla quale si riconduce la sapienza sciita, è ancora del tutto illegittima, il che spiega le frequentazioni assai discutibili del personaggio in questione, con i suoi esiti americani ed americanistici, ed il suo appoggio ai poteri oppressivi ed ai regimi inetti, corrotti e sanguinari di Reza Khan, e del suo degno figlio, che Iddio li maledica sino al giorno del Giudizio.

 E veniamo ad Henry Corbin, il principale tra questi autori. Mentre i primi due, d’origine orientale, si sono adeguati ed immersi in pieno nel mondo occidentale, al quale hanno adattato la sapienza sciita, falsificandola, quest’ultimo è invece un europeo, che ha avuto il merito indiscutibile di rifarsi direttamente alle sue fonti, viventi o trascorse che fossero, vale a dire, alla tradizione presente e passata dello Sciismo, e nella fattispecie, della sua dimensione sapienziale.

Egli ha avuto l’umiltà di apprendere e di imparare, e non d’inventare in senso individualistico, non rifacendosi alle sole fonti cartacee, facendo conoscere tutto un insieme di Maestri, sino a lui sconosciuti, grazie alla sua immensa erudizione. Fatto sta che anch’egli, europeo prestato con soggiorni temporanei al mondo persiano, era privo di una Guida autentica, che lo orientasse in questo mondo in definitiva, a dispetto delle sue vastissime conoscenze, a lui estraneo, a parte i celebri colloqui con Tabataba’i, che nondimeno non poterono liberarlo dai suoi limiti.

 Il primo limite di Corbin è di prendere tutto per buono, dagli Shaykiti a Molla Sadra, da Heidegger, del quale è stato traduttore in francese, ad Ashtiyani, dagli Ismailiti a Tabatabai, dal dualismo gnostico e neo gnostico a Mohiddin Ibn Arabi, ignorando peraltro talune figure contemporanee fondamentali nel campo della conoscenza pura, prima fra tutte quella dell’Imam Khomeyni, che Iddio ne estenda l’ombra, il che lo ha portato a concezioni affatto errate.

Divagare che lo ha indotto a prendere per buone le vedute di una corrente quale quella shaykita, che confina la persona dell’Atteso ai mondi immaginali superiori, senza dargli un’ultima consistenza corporea, il che ne è lesivo della perfezione e compiutezza d’essere, che ne comprende tutti i livelli, col negarne la corporeità, trasgredendo così le leggi del nostro livello d’esistenza, che appunto presuppone la dimensione sensibile, come primo gradino imprescindibile dell’ascesa.

 Il tutto alla luce di una concezione neognostica, rifacentesi alle sette dualistiche d’origine manichea dei primi secoli del Cristianesimo, che gli fa mettere del tutto in non cale la corporeità, con ampie concessioni, a questo medesimo riguardo, alle vedute ismaelite, anch’esse influenzate dalle stesse dottrine, con tutte le immaginazioni eoniche e demiurgiche, che traspaiono qua e là nelle sue opere, delle quali Plotino, già a suo tempo, ebbe a fare irrevocabilmente giustizia.

 La concezione della cosiddetta “ierostoria”, in apparenza affascinante, e che sarebbe anche corretta, se riferita al contenuto occulto e trascendente di tutte le vicende umane, e non solo nel dominio della religione, diventa invece scorretta, se intesa nel senso che le sue vicende vanno separate dalla corporeità, e riferite al mondo immaginale, il quale peraltro, si badi bene, non va affatto confuso con quello propriamente trascendente e spirituale delle essenze pure.

 Così come sarebbe anche giusta la sua condanna del “suicidio sociale” della Chiesa in Occidente, ma a patto di non intenderne l’alternativa, com’egli invece fa, nel senso di una necessaria separazione, ma nel senso di un’eminenza direttiva, scaturigine trascendente della sua dimensione sociale, alla quale fa da controparte la sua amputazione da detta dimensione trascendente, che la riduce e la falsifica, nella sua estensione d’essere anche trascendente.

 Tendenze neognostiche corroborate dal suo rifarsi a quella gnosi ismaelita, che ha oggigiorno i suoi centri d’insegnamento nell’Inghilterra satanica e massonica, donde egli ha attinto a piene mani, e si vedano a questo proposito certe note al Kutābu-l-Mašāºir, Libro delle Penetrazioni, n. 120, laddove prende per buono quel “volgersi” eonico e demiurgico, in greco “νευσις”, già messo sotto accusa, dicevamo, da Plotino, nel suo scritto “Contro gli gnostici”, ovvero ”Contro quelli che fanno cattivo il mondo”.

 Scritto la cui lettura già indusse a suo tempo Sant’Agostino a staccarsi del tutto dalle sue previe concezioni dualistiche manichee. Riferimento che rimette in gioco certe immaginazioni, dicevamo, eoniche, e demiurgiche in sensu diviso, che danno ragione, nel volgersi al basso di entità intermedie incapaci di attingere alla trascendenza, della produzione del mondo della corporeità, in quanto non voluto da Iddio Altissimo, sia magnificato ed esaltato.

 Rimarchevole è poi in quest’autore l’attitudine ad essere valido nell’esporre e commentare l’opera altrui, nel mentre invece, lasciato che si sia alle sue immaginazioni, si lascia andare ad imprevedibili ingenuità, come quella di prendere sul serio la cosiddetta “gnosi di Princeton”, con la stupida americanata dei suoi giochetti matematici, avente il fine di riunire ebraismo e cristianesimo, forse nel segno di quel “Signore dell’Abisso” della dottrina gnostica e massonica.

Figura immaginata siccome scaturigine di ogni dualità irriducibile, e dunque dello stesso mondo corporeo, con le sue opposizioni, lasciato a sé nella sua pretesa indipendenza esistenziale, al quale soltanto, e non alla trascendenza inattingibile, quei segni distorti di quella “gnosi” possono accennare, anche nei loro tentativi d’”unificazione”, che nulla ha a che vedere con l’unità e l’identità primigenie. Tanto da addivenire ad una rivalutazione della modernità, e della corporeità sua scaturigine, in tutta la loro irriducibile indipendenza esistenziale dalla trascendenza, ma senza addurne ragioni, assai significativamente.

O tanto da inficiare la totalizzazione degli stati dell’esistenza creata nella Luce Muhammadica, sulla soglia della Trascendenza assoluta e dell’Infinita infinità, siccome infinito secondario in suscettibile di un più, riguardandola, senza darne ragione, siccome una pretesa “idolatria metafisica”, ma applicando così alla trascendenza, nell’indifferenza della suddetta dualità irriducibile, i medesimi attributi della materia, con la sua indefinitezza, e non infinità.

 O tanto da attribuire alla sostanza stessa del Nunzio divino una potenzialità meramente negativa, e non processiva, tale da limitarne lo stato del Vaticinio nei confronti della sua “antitesi dialettica”, vale a dire, dell’intimità vicaria, in termini hegheliani, scaturigine dell’essere dal nulla e del più dal meno, com’è anche per l’essere semplice e non perfetto di Heidegger, per pretendere di pervenire all’unicità di una plenitudine, non avente nessuna ragion d’essere.

 Tutti questi sconcertanti assunti non inficiano, vale le pena ripeterlo, la parte valida dell’opera di Corbin, anche se la limitano, a dispetto dei suoi meriti. Che in quanto traduttore di Heidegger non è esente, come dicevamo poc’anzi, da quell’errore, rimarcato da Tommaso d’Aquino, ed ignorato dai pensatori moderni, specie tedeschi, di prendere quell’essere indefinito scevro di contenuto, di per sé insussistente, scaturigine di nulla, per l’essere perfetto scaturigine di tutto.

 Ora, quello che va invece recisamente condannato a questo medesimo riguardo, è la pretesa di fondare sull’opera di Corbin una presunta conoscenza, o “ºirfān”, a prescindere dai suoi legittimi rappresentanti, tuttora vivi ed attivi nel mondo sciita, e soprattutto in Iran. Perché Corbin, in primo luogo, non ebbe per nulla concetti chiari a proposito dello ºirfān. Ed in secondo luogo, esso va attinto dai suoi depositari viventi, e non dai suoi divulgatori.

 La sua tendenza dichiarata fu quella di asserire limitativamente l’importanza ed influenza imprescindibile dei Puri per il Sufismo, ma senza tenere conto del fatto che un altro livello di conoscenza, o la conoscenza presenziale sic et simpliciter, è quella di cui sono depositari i discepoli prescelti dell’Imam Mahdi, dimensione che si dichiara all’esterno nell’opera dei vari sapienti, e dottrinale, e operativa, tuttora vivi e vegeti nell’Iran islamico.

 Ignorarlo, il che non fece a rigore Corbin, sia pure con tutte le sue incomprensioni, asserendo che in Iran si sarebbe invece imposta una rivoluzione d’indole meramente pubblica ed esteriore, è o mentire spudoratamente, o non avere il sia pur minimo sentore della realtà, sull’onda dell’incomprensione malevola e dell’ignoranza occidentali; ed anche di quel dualismo corbiniano di matrice neognostica, che nega ogni scaturigine esteriore della trascendenza, finendo col negarne l’esemplarità essenziale, ivi inclusa la funzione di quella trascendenza inattingibile, che ne è nondimeno foriera.

 Sbraitare contro l’Imam Khomeyni, che Iddio lo esalti, anche equiparando il suo movimento, come fa Amir Moezzi, di scaturigine prettamente sapienziale ed irfanica, all’opera di raggruppamenti come i Fratelli Musulmani, limitati ad una dimensione meramente pubblica, significa ignorare che egli fu in primo luogo, e fu fino all’ultimo, un uomo di conoscenza, e che solo e soltanto in tal senso va inteso tutto quanto il suo operato, dall’inizio alla fine; tutto questo è del tutto fuori luogo, e non merita confutazione.

 Così come ignorare che i maggiori depositari contemporanei della corrente filosofica ed irfanica sadriana furono anche, come Sayyid Ashtiyani, i due Amoli, Mutahhari, e via dicendo, grandi rivoluzionari legati strettamente all’Imam Khomeyni.

Condannare l’Iran perché, per resistere alla sovversione antiumana, massonica e satanica del mondialismo prevaricatore, stia provvedendo a procurarsi, in tutta indipendenza, tutti i ritrovati della modernità, che è da condannarsi in quanto modernismo, e non nell’assunzione strumentale dei suoi ritrovati, altrimenti deleteri, fatti salvi in ogni caso i limiti morali, pretendendo ad esempio, che il paese debba affrontare con spade e frecce tutto l’orrore delle armi moderne, sarebbe sin troppo comodo. Magari riducendolo a fattore di emozioni inusitate per viaggiatori stranieri insulsi ed ignoranti. Nulla di tutto questo.

 Le cose stanno invece ben diversamente, proprio alla luce di quella dottrina dell’unità che dà ragione, senza nessun dualismo irriducibile, di ogni aspetto dell’esistenza, nella graduazione del suo procedere, sino a rendere conto anche di quelle dimensioni infere e telluriche, inversione a suo modo necessaria della trascendenza, che nondimeno vanno combattute, sebbene nella loro necessità condizionata, perché, com’ebbe a dire Gesù, la pace su di lui, “È necessario che vengano gli scandali, ma guai a chi è causa degli scandali”.

 Nostra convinzione è che ci troviamo in un’età oscura, preconizzata dalle narrazioni, a suo modo necessaria tra le dimensioni dell’essere, delle cui realtà, data a mo’ di condizioni oggettive, è doveroso avvalersi, per sopravvivere e contrattaccare, ma rifiutando in toto quelle degenerazioni di fatto e dottrinali che, più che condizioni oggettive, sono di volta in volta scaturigini dirette del libero arbitrio umano, che si tenta peraltro d’imporre, a dispetto della loro abiezioni e dei loro orrori.

Tutto questo non è se non premessa all’estremo liminale della loro nullificazione esistenziale, che cederà il passo, venendo meno di per sé stessa, all’espansione dell’essere al suo massimo grado di purità al nostro livello d’esistenza, della quale sarà latore quell’Atteso Ben Guidato, preconizzato dai detti dei Puri, che Iddio Altissimo ce ne affretti la gioia. Sino ad allora la lotta sarà senza esclusione di colpi e di mezzi, sia pure in tutto discernimento.

Noi ci proponiamo di far conoscere, come abbiamo già incominciato a fare, e com’è stato già merito di C. Yahya Bonoud, le opere di quegli uomini di conoscenza, come l’Imam Khomeyni e Sayyid Ashtiyani, che sono i depositari di quella tradizione e di quella sapienza, che già Corbin aveva confusamente anticipato. Tradizione integrale, che oggigiorno, anche nei suoi risvolti esterni, è quella della Guida divina, dell’estinzione in Lui, e della trasparenza che ne deriva nel mondo.  

.

A cura di Islamshia.org © E’ autorizzata la riproduzione citando la fonte

Writer : shervin | 0 Comments | Category : Via Spirituale

Comments are closed.