Hujjatulislam M.H. Abdekhodai
L’Imam Hosseyn (la pace sia con lui) è il terzo Imam della Shi’a. Il suo soprannome è Abu Abdullah ed è chiamato sayyed ul-shuhada (il principe dei martiri). Suo padre è Amir al-Mu’minin Alì Ibn Abi Talib (la pace sia con lui) e sua madre è Fatima Zahra (la pace sia con lei), la nobile figlia del Profeta dell’Islam (la pace e la benedizione di Dio sia con lui e la sua Famiglia). L’Imam Hosseyn (A) è nato il terzo giorno del mese di sha’ban del terzo anno dell’ègira nella città santa di Medina ed è giunto al martirio il decimo giorno del mese di muharram dell’anno 61 dell’ègira a Karbala all’età di 57 anni e qualche mese (1).
Nella storia della Shi’a l’Imam Hosseyn (A) è un modello ed un simbolo eminente della lotta contro l’ingiustizia ed un esempio eccellente di pazienza e resistenza.
Gli sciiti rinnovano sempre il suo ricordo e parlano della lotta, del coraggio e della resistenza suoi, della sua famiglia e dei suoi compagni. Ogni anno celebrano l’anniversario del suo martirio e ne lamentano le sventure e le sofferenze subite da lui e dalla sua famiglia sulla via di Dio.
L’Imam Hosseyn (A) ha insegnato la lezione della fede, dell’avere uno scopo nella vita, della lotta contro l’ingiustizia e la miscredenza, della sopportazione e della resistenza a tutta l’umanità. Egli stesso ne era un modello eccellente.
Ed ora offriamo un breve saggio di tali lezioni.
La gnosi e l’amore dell’Imam per la sacra esistenza divina si possono ben dedurre dalla sua nota preghiera nel giorno di ‘Arafat. Egli in quella preghiera delinea in diversi modi due aspetti ben precisi: la ricchezza divina e la povertà umana, le infinite grazie divine e la colpa e la mancanza dell’uomo.
Dopodiché con immensa umiltà dice a Dio: “O Signore mio adorato mi trovo al Tuo cospetto quale servo umile, bisognoso, misero e piccolo”.
Nella vita dell’Imam Hosseyn (A) risplendono l’amore divino, sia quando nella giornata di ‘Arafat diceva piangendo: “Solo a Te chiedo di avvicinarmi a Te stesso e solo a Te chiedo di guidarmi verso Te stesso. Perciò guidami con la Tua luce verso Te stesso” (2); sia quando, nel momento del martirio il suo corpo versava sangue ed egli diceva: “Mi gratifica il Tuo compiacimento e sopporto per Tuo amore la disgrazia. Non esiste adorato all’infuori di Te, o riparo per i bisognosi”.
L’Imam Hosseyn (A) adorava Dio e amava servire sulla via di Dio e pregare e invocare la Verità e ciò si rifletteva in tutta la sua esistenza; persino la notte che precedette il martirio chiese al suo nemico sanguinario che gli consentisse di eseguire la preghiera e leggere il Corano. Ogni azione dell’Imam Hosseyn (A) era solo per Dio e solo in Dio egli cercava il compiacimento. Perciò quando volle uscire dalla città di Medina, si recò dapprima al Mausoleo di suo nonno il Profeta di Dio (la pace e la benedizione di Dio sia con lui e la sua Famiglia) e dopo avere terminato la preghiera invocò Dio dicendo: “O mio Dio, io amo le opere buone e respingo le opere malvagie. O mio Signore Altissimo, Ti chiedo e Ti giuro su questo Mausoleo e su chi vi riposa di riservarmi tutto ciò che procura il Tuo compiacimento e quello del Tuo Profeta” (3).
La rivolta del Signore dei Martiri era per la rinascita della religione di Dio e quei valori supremi che furono istruiti tramite il Nobile Profeta (S).
L’Imam Hosseyn (A) nel testamento che lasciò al fratello Mohammad Hanife al momento di uscire dalla città di Medina verso la Mecca, menziona questo argomento e scrive: “Io non sono uscito dalla mia città né per un atto di arroganza e di ribellione, né per diffondere la corruzione e l’oppressione, bensì per apportare correzioni alla comunità del mio Nobile nonno. Quindi intendo raccomandare il bene e proibire il male e agire secondo la consuetudine di mio nonno e di mio padre Alì Ibn Abi Talib” (4).
Nell’azione dell’Imam, tutto il programma era volto all’insegnamento. Egli insegnava sempre la lezione del monoteismo e dell’affidarsi a Dio e la sottomissione alla Sua Volontà. L’Imam incontrò Farazdagh sulla strada tra Karbala e la Mecca e gli chiese della situazione della città di Kufa. Farazdagh rispose: “I loro cuori stanno con te ma le loro spade sono contro di te. E il destino di Dio scende dal cielo e Dio fa ogni cosa che vuole”.
L’Imam Hosseyn (A) disse: “Se il destino divino sarà conforme al nostro interesse, loderemo Dio per le Sue Grazie, che Egli assiste all’atto del ringraziamento,se invece non sarà conforme ai nostri desideri, beato sarò colui la cui intenzione è la Verità e il cui comportamento è fondato sul timore di Dio” (5).
La predica che tenne a la Mecca all’inizio del viaggio indica pienamente la sottomissione, il compiacimento e l’amore per il martirio. Egli paragona la morte sulla strada di Dio alla bellezza della collana che una giovane ragazza porta al collo. L’Imam al termine del suo discorso dice: “Chiunque è pronto a versare il suo sangue sulla nostra via e si è preparato al martirio e all’incontro con Dio, allora parta con noi” (6).
Anche i compagni dell’Imam Hosseyn (A) cantavano l’inno del martirio e come Giovanni Battista furono pronti ad ogni sacrificio. E’ da notare che il termine “Amore” è stato pronunciato raramente nei discorsi degli Imam (A). Ma l’Imam Sadeq (la pace sia con lui) usa questo termine riguardo ai martiri di Karbala e definisce quella città “luogo degli innamorati di Dio” (7). Sì, pretendere l’amore divino non è cosa da tutti e questo termine spetta a quei puri che raggiungono le vette della gnosi e pagano il prezzo d’amore col proprio sangue.
La libertà si divide in due specie: una è nobile e eminente, l’altra è bassa e senza valore. La prima è essenziale per la magnanimità umana e la seconda è una delle caratteristiche degli animali. La prima consiste nella libertà contro la prepotenza e oppressione e l’altra è libertà da ogni regola morale ed umana. La prima è imprescindibile per obbedire a Dio, la seconda conduce solo alla ribellione dalla religione e dall’etica.
Nelle lingue persiana ed araba la prima specie è interpretata quale vera e giusta libertà e la seconda quale disobbedienza di ogni regola.
Tanto maggiore è la magnanimità dell’uomo, tanto più egli è libero e tanto maggiore è la ferocia dell’animale, tanto più esso è privo di regole.
Amir al-Mu’minin Ali (la pace sia con lui) dice a suo figlio Imam Hasan Mojtaba (A): “Non essere schiavo del tuo prossimo, perché Dio ti ha creato libero. Gli uomini liberi obbediscono unicamente a Dio e resistono di fronte ad ogni oppressione e prepotenza. E non sacrificano la virtù umana al denaro e alla prevaricazione” (8)
L’Imam Hosseyn (A) preferiva una morte dignitosa ad una morte misera e abbietta. Infatti diceva: “La morte è meglio della sopportazione della viltà e della vergogna.” (9)
Il suo nobile animo e la sua magnimità non gli consentivano di sottomettersi a Yazid e di approvarne il governo. Il governatore di Medina, Walid, dopo la morte di Mu’awiya, propose all’Imam di sottomettersi a Yazid, ma egli rispose: “Yazid è un uomo depravato, bevitore di vino, assassino e un peccatore palese, e uno come me non si sottomette a un uomo della risma di Yazid” (10).
Quando Marwan lo minacciò di morte l’Imam dapprincipio disse: “Noi tutti apparteniamo a Dio e ritorneremo verso di Lui“, poi aggiungendo: “Quando la Umma Islamica è alle prese con un capo come Yazid, bisogna dire addio all’Islam” (11).
L’Imam Hosseyn (A) ha insegnato al mondo intero la lezione della libertà e della resistenza contro l’oppressione e la prepotenza, e ha fatto capire che un uomo libero non afferma mai l’ingiusto e non gli si sottomette.
L’Imam di fronte alle proposte di suo fratello Mohammad Hanife, che gli consigliava di emigrare verso città e confini lontani, rispose: “Giuro nel nome di Dio che se anche non avrò alcun rifugio non mi sottometterò mai a Yazid” (12).
L’Imam Hosseyn (A) non volle sostenere un governo criminale come quello di Yazid, a costo di mettere a repentaglio la propria vita e quella della propria famiglia. E questo è un evento grandioso ed eterno, che è rimasto in ricordo a tutta l’umanità quale modello e simbolo dell’onore.
L’Imam diceva: “Ibn Ziad ci ha messo di fronte ad un bivio: da una parte è la via della religione e della shari’at (Legge Divina), dall’altra è la via della bassezza e della vergogna, ma sono ben lontane da noi la bassezza e la vergogna. Dio e il Suo Profeta non vogliono, i credenti e le anime sante che ci hanno educato rifiutano, ed infine gli uomini buoni non condividono che noi si preferisca l’obbedienza a persone vili al sacrificio generoso” (13).
Quando nel corso del combattimento, gli proposero di accettare la sottomissione, disse: “No, nel nome di Dio, non vi darò la mano per bassezza e non accetterò il vostro governo da schiavo” (14)
Stabilire i valori divini ed etici e lottare contro che ostacolano la loro pratica, è compito dei Profeti di Dio e delle guide religiose. Dio Altissimo nel Corano dice: “Invero inviammo i nostri messaggeri con prove inequivocabili e facemmo scendere con loro la Scrittura e la Bilancia (la Legge) affinché gli uomini osservassero l’equità” (15).
D’altro canto per osservare la giustizia e l’etica è necessario un governo giusto, perciò nell’Islam il governo (fondato sui principi religiosi) è la base e il principio di ogni bene e riforma in senso buono. Se il governo è giusto, chiama la gente al bene e se invece è corrotto, conduce la gente alla depravazione.
L’Imam Hosseyn (A) in una lettera alla gente di Kufa scriveva: “Giuro sulla mia vita, è Imam (guida e capo del governo) soltanto colui che regna secondo il Libro di Dio, pratica la giustizia, crede alla religione vera e si dedica a fare tutto ciò solamente per amore divino” (16).
Non è consentito tacere di fronte all’oppressione e alla depravazione, bensì è essenziale e necessario opporsi ad esse e combatterle.
L’Imam Hosseyn (A) rimproverava coloro che indossate le vesti della religione e della scienza tacevano, e diceva: “Avete visto con i vostri occhi che i patti di Dio sono stati infranti, ma non temete nulla, mentre temevate per la rottura dei patti dei vostri avi. Ora il patto e l’impegno del Profeta di Dio non hanno nessun valore. E i ciechi, i muti e gli storpi in tutte le città sono rimasti senza tutori e non c’è nessuna pietà per loro. E voi non vi date da fare secondo la vostra capacità e responsabilità e non osservate chi lavora in questa direzione, e rimanete tranquilli tollerando gli oppressori. Tutte queste sono le questioni che Dio vi ha ordinato di proibire e non commettere, ma ve ne siete astenuti” (17).
Formare il governo secondo la verità e la giustizia fu un diritto e un dovere dell’Imam Hosseyn, ma date le condizioni di quel tempo, ciò era impossibile. Tuttavia l’Imam è insorto sulla via della lotta contro l’oppressore e l’usurpatore del governo, per adempiere al suo secondo dovere che era la lotta contro l’oppressione.
Allora anche se fu impossibile praticare il bene, era però possibile proibire il male attraverso il martirio: risolse quindi di sollevare la bandiera della lotta e della ribellione.
L’Imam Hosseyn (A) rivolgendosi in una lettera ad alcuni abitanti di Kufa, e anche al suo incontro col primo gruppo dell’esercito nemico, citando un hadith del Nobile Profeta (S), disse: “Chiunque vede un regnante oppressore che ha dichiarato leciti i divieti di Dio, ha rotto il patto divino ed è in contrasto con la tradizione del Profeta di Dio, ed ha un atteggiamento peccaminoso e ostile con i servi di Dio. Ma se non protesta e non critica né con le parole né con i fatti, merita che Dio lo conduca allo stesso luogo (l’inferno) dove farà entrare il regnante oppressore ed ingiusto”.
L’Imam poi aggiunge: “E sapete che questa gente (Yazid e i suoi seguaci) ci tengono ad obbedire a Satana e hanno rifiutato l’obbedienza di Dio manifestando la depravazione, e non rispettano e non osservano i limiti imposti da Dio, appropriandosi dei beni dei musulmani considerandoli propri. E considerano lecito ciò che è proibito e proibito ciò che è lecito e io sono la persona più adatta per contrastarli” (18).
L’insurrezione dell’Imam Hosseyn (A) era un grido di difesa dei diseredati, degli oppressi e dei poveri, la sua rivolta era una contestazione contro l’oppressione, la depravazione e la miscredenza del sistema di governo oppressore e ingiusto dell’epoca.
NOTE
(1) Usul Kafi, Il libro di al-Hajja.
(2) Mafatih al-Jinan, L’invocazione di Arafa.
(3) Bihar al-Anwar, vol. 44, p. 328.
(4) Ibid., p. 329.
(5) Ibid., p. 365.
(6) Safinat al-Bahar.
(7) Naqsh al-Mahmum, Bihar al-Anwar, vol. 44, p. 366.
(8) Nahj al-Balagha, il testamento dell’Imam Alì all’Imam Hassan Mujtaba.
(9) Bihar al-Anwar, vol. 44, p. 196.
(10) Ibid., pag. 325.
(11) Ibid., pag. 326.
(12) Ibid., p. 329.
(13) Tuhuf al-‘uqul, p. 245.
(14) Bihar al-Anwar, vol. 45, p. 7.
(15) Il Corano, Sura Hadid.
(16) Bihar al-Anwar, vol. 44, p. 334.
(17) Tuhuf al-‘uqul, p. 242.
(18) Naqsh al-Mahmum, Bihar al-Anwar, vol. 44, p. 382.
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