Uno sguardo alla storia del pensiero filosofico
Ayatullah Mesbah Yazdi
La nascita del pensiero filosofico
La storia del pensiero umano, così come della stessa creazione dell’uomo, risale a prima della storia. Ovunque egli abbia vissuto, il pensiero è stato una caratteristica inseparabile dell’uomo. Ovunque egli abbia poggiato i suoi piedi, egli ha portato con se il pensiero e l’intellezione. Non vi è alcuna certezza e informazione precisa circa i pensieri non scritti dell’uomo, eccetto quelli che sono stati ricostruiti dagli archeologi sulla base dei resti scoperti. A ogni modo il pensiero scritto si è unito alla carovana della storia a partire dall’avvento del linguaggio scritto.
Tra i diversi tipi di pensiero umano, quello relativo alla conoscenza dell’Esistenza, dell’inizio e della fine di quest’ultima, inizialmente era intrecciato alle credenze religiose. Quindi si potrebbe affermare che si dovrebbero cercare le più antiche riflessioni di natura filosofica proprio tra le filosofie religiose orientali.
Gli storici della filosofia credono che la più antica raccolta di testi considerati puramente filosofici, o che sono tali in maniera predominante, debbano riferirsi ai saggi greci, che vissero approssimativamente nel VI secolo a.C. Gli studiosi di quel tempo hanno menzionato chi ha cercato di conoscere e capire l’esistenza, e l’inizio e la fine del cosmo. Al fine di interpretare l’apparenza e i cambiamenti che avvengono negli enti esistenti, essi espressero differenti, e alcune volte contraddittorie, opinioni, e allo stesso tempo essi non approfondirono il fatto che i loro pensieri fossero influenzati più o meno dalla culture e dalle credenze religiose di origine orientale.
In ogni caso la libera atmosfera per la discussione e la critica nella Grecia di quel periodo prepararono il terreno per lo sviluppo e l’apogeo del pensiero filosofico. Quell’area si trasformò nella culla della filosofia.
Naturalmente le prime riflessioni non furono sviluppate e appropriatamente sistematizzate, e i problemi per la ricerca non furono adeguatamente categorizzati, in modo tale che ogni categoria avesse uno specifico nome e un metodo caratteristico. In breve, tutte le idee furono denominate scienza (’ilm), saggezza (hikmat) e conoscenza (ma’rifat) e simili.
L’avvento del sofismo e dello scetticismo
Nel V secolo a.C. gli studiosi hanno introdotto quelli che nel linguaggio greco furono denominati «sofisti», cioè «saggi» e «istruiti». Ma nonostante la loro millantata conoscenza, essi possedevano solo la conoscenza allora corrente, non credevano in verità assolute e per loro nulla può dirsi definitivamente conosciuto e certo.
Come riportato dagli storici della filosofia, essi erano maestri di professione che insegnavano la retorica e l’arte del dibattimento, e istruivano gli avvocati della difesa per le corti di giustizia, di cui a quel tempo vi era molta richiesta. Questa professione richiedeva agli avvocati difensori la capacità di fondare ogni enunciazione e di confutare ogni tipo di enunciazione contraria. Il dispensare questa sorta di insegnamento, che era spesso però soggetto a fallacia, gradualmente portò a un modo di pensare per cui, in fondo, non esiste alcuna verità oltre il pensiero umano stesso!
Forse il lettore conoscerà la storia di quell’uomo che, scherzando, sparse la voce che in una certa casa si stavano distribuendo dei dolci. Nella loro ingenuità le persone cominciarono ad accorrere e ad ammassarsi davanti alla porta di quella casa. A poco a poco il burlone stesso cominciò a insospettirsi e a convincersi che era vera, e per non perdere i dolcetti gratuiti corse a mettersi in fila.
Sembra proprio che i sofisti rimasero vittime di questo stesso destino. Dispensando metodi fallaci per provare qualsiasi enunciazione, a poco a poco questa tendenza si insinuò nel loro stesso modo di pensare, cioè che in fondo la verità o la falsità dipendono dal pensiero umano, e che quindi in definitiva non esiste alcuna verità al di fuori del ragionamento umano stesso.
Il termine «sofismo», che rimandava inizialmente a saggezza e competenza, cominciò quindi a essere riferito a queste persone, perdendo il suo significato originario, e divenendo invece simbolo ed espressione di un modo di pensare basato su ragionamenti fallaci. E con questo significato che l’espressione in arabo ha preso la forma di «sūfisṭī», da cui deriva il termine «safsaṭah».
Il periodo della fioritura della filosofia
Il più famoso pensatore che si rivoltò contro i sofisti e criticò le loro idee e le loro visioni fu Socrate. Sembra che egli stesso si definì philosophus, cioè «amante della saggezza», la stessa espressione che in arabo diventa filsūf, da cui deriva il termine falsafah.
Gli storici della filosofia pensano che vi siano stati due motivi per la scelta di questo nome: uno è l’umiltà di Socrate, che era solito confessare la sua propria ignoranza, e l’altra è la sua obiezione ai sofisti, che si definivano saggi, ossia, in altre parole, con la scelta di questo nome egli voleva far capire loro: voi, che per rincorrere obiettivi materiali e politici date luogo a discussioni e diatribe, insegnando e imparando, non siete degni del nome «saggio», e io stesso, che rigetto le vostre idee con la più ferma delle ragioni, non mi considero degno di questo titolo, e mi definisco un semplice amante della saggezza.
Dopo Socrate, un suo allievo di nome Platone, che per anni seguì e fece tesoro delle sue lezioni, tentò di fondare i principi della filosofia, e dopo di lui un suo allievo, Aristotele, portò la filosofia all’apice della sua fioritura, e formalizzò i principi del pensiero e del ragionamento nella forma della scienza della logica, così come formulò gli inganni del pensiero nella forma di una sezione sui ragionamenti fallaci.
Dal momento in cui Socrate si definì un filosofo, l’espressione filosofia è stata usata come opposta a sofismo, e abbraccia tutte le scienze reali come la fisica, la chimica, la medicina, l’astronomia, la matematica e la teologia. Anche oggi in molte delle più rinomate biblioteche del mondo, i libri di fisica e chimica sono classificati sotto la voce filosofia, e solo alcune discipline convenzionali come l’etimologia, la sintassi e la grammatica sfuggono al dominio della filosofia.
In questo mondo la filosofia venne a essere considerata come un nome comune a tutte le scienze reali, e fu divisa in due grandi gruppi: le scienze teoretiche e le scienze pratiche.
Le scienze teoretiche includono le scienze naturali, la matematica e la teologia, e le scienze naturali a loro volta includono i campi della cosmogonia, della mineralogia, della botanica e della zoologia, e la matematica è suddivisa in aritmetica, geometria, astronomia e musica. La teologia è divisa in due parti: metafisica (o tematiche generali dell’esistenza), e la teologia propriamente detta.
Le scienze pratiche sono divise in tre branche: etica, economia domestica e politica.
scienze naturali: principi generali dei corpi, | ||
teoretica | cosmogonia, mineralogia, botanica e zoologia | |
matematica: aritmetica, geometria, astronomia, musica | ||
teologia: principi generali dell’esistenza, la divinità | ||
FILOSOFIA | ||
etica (riguardante l’individuo) | ||
pratica | economia domestica (riguardante la famiglia) | |
politica (riguardante la comunità) |
La fine della filosofia greca
Dopo Platone e Aristotele per qualche tempo i loro studenti si occuparono della compilazione, dell’arrangiamento e dell’elaborazione delle opere dei loro maestri, e più o meno mantennero vivo l’interesse per la filosofia. Non passò molto tempo però che questa vivacità venne sostituita dalla stagnazione, quella attivismo e quella prosperità intellettuale cominciò a venir meno, e in Grecia divennero sempre meno i clienti per i beni della scienza e della conoscenza.
I maestri delle arti e delle scienze si trasferirono ad Alessandria, dove si immersero nella ricerca e nell’educazione. Questa città rimase la capitale delle scienze e della filosofia fino al IV secolo d.C.
Quando gli imperatori romani si convertirono al cristianesimo e cominciarono a diffondere le dottrine della Chiesa ergendole a credenze e idee ufficiali dello Stato, cominciarono a opporsi al libero sviluppo del pensiero e della scienza, fino a quando Giustiniano, imperatore romano d’oriente, nel 529 d.C. emise l’ordine di chiudere le scuole e le accademie di Atene e Alessandria, costringendo gli studiosi, che temevano per le loro vite, a rifugiarsi in altre città e in altri paesi. Per questo motivo nelle terre dell’impero romano la fiaccola splendente della scienza e della filosofia si spense.
L’alba del sole dell’Islam
Contemporaneamente al suddetto processo (nel VI secolo d.C.), in un altro angolo del mondo ebbe luogo il più grande evento della storia, e la penisola arabica divenne teatro della nascita, della missione e della migrazione dell’eminente Profeta dell’Islam. Egli recitò il messaggio della divina Rivelazione nell’orecchio della coscienza del mondo. Come prima passo egli chiamò le genti ad acquisire la conoscenza,[1] e tenne la lettura, la scrittura e l’insegnamento nella più alta considerazione. Egli gettò le basi di quella che può essere definita la più grande civiltà e la più prospera cultura del mondo. Egli incoraggiò i suoi seguaci ad acquisire la conoscenza e la saggezza dalla nascita alla tomba (min al-mahd ila al-laḥd), dal posto più prossimo al luogo più remoto del mondo («anche se in Cina», wa law bil-ṣīn), e a qualsiasi costo (wa law bi-safk al-muhaj wa khawḍ al-lujaj).[2]
Il prolifico alberello dell’Islam piantato dalla mano potente del Messaggero di Dio nella vita, irradiante la Rivelazione divina e nutrito dalle altre culture, crebbe e diede i suoi frutti. L’Islam assorbì i frutti immaturi del pensiero umano conformemente agli esatti modelli divini e li trasformò in elementi utili nella fucina del criticismo costruttivo, e in breve tempo esso allungò la sua ombra su tutte le culture del mondo.
All’ombra degli insegnamenti del Nobile Messaggero e dei suoi infallibili successori, i musulmani cominciarono ad acquisire le varie scienze, e l’eredità scientifica della Grecia, di Roma e della Persia cominciò a essere tradotta in arabo. Essi assorbirono gli utili elementi completandoli con le proprie ricerche, e in molti campi essi divennero capaci di fare importanti scoperte, come nell’algebra, nella trigonometria, nell’astronomia, nella prospettiva, nella fisica e nella chimica.
Un altro importante fattore di sviluppo della cultura islamica fu la politica. Le oppressive dinastie degli Omayyadi e degli Abbassidi che illegittimamente occuparono il posto di guida del governo islamico sentirono di aver forte bisogno dell’approvazione popolare delle genti musulmane, mentre le Genti della Casa del Profeta, la Ahl al-Bayt, cioè coloro che erano le guide legittime (awliyah) dei popoli, furono la fonte della conoscenza e del tesoro della divina Rivelazione. Il regime governativo non aveva altri mezzi per attrarre la gente che le minacce e la corruzione. Perciò i suoi esponenti cercarono di rendere prospero il regime incoraggiando gli studiosi e riunendo le autorità e, attraverso l’utilizzo delle scienze dei greci, dei romani e dei persiani, cercarono di fornire una offerta per contrastare la Ahl al-Bayt.
In questo modo varie idee filosofiche e modelli artistici e conoscitivi, con diverse motivazioni e per mezzo di amici e nemici, entrarono nel contesto islamico e i musulmani cominciarono a fare ricerca, adottando e criticando tali elementi. Brillanti figure cominciarono ad apparire nel campo della scienza e della filosofia, ognuna delle quali sviluppò una branca delle scienze attraverso i suoi costanti approfondimenti. La cultura islamica cominciò quindi a dare i suoi frutti.
Tra loro gli studiosi della teologia e della dottrina islamica ripresero e criticarono i problemi della filosofia divina da differenti punti di vista, e anche se molti di loro portarono alle estreme conseguenza il loro criticismo, questa modo di criticare e cavillare, domandare e sollevare dubbi portò molti pensatori e filosofi islamici ad ampliare le ricerche e ad allargare ancora di più l’orizzonte filosofico e intellettuale.
Lo sviluppo della filosofia nell’era islamica
Con l’ampliamento del dominio del governo islamico e l’inclinazione di diversi popoli ad abbracciare la religione, molti centri di insegnamento nel mondo vennero a essere inclusi entro i confini dell’Islam. Ci fui uno straordinario scambio di idee tra gli studiosi, scambio di libri tra le diverse biblioteche e la traduzione di questi libri composti in varie lingue (hindi, persiano, greco, latino, aramaico, ebraico, ecc.) in arabo, che divenne di fatto la lingua internazionale dei musulmani. Tutto ciò accelerò il passo dello sviluppo della filosofia, delle scienze e delle arti. Molti libri dei filosofi della Grecia e di Alessandria, oltre che di altri rinomati centri di insegnamento, furono resi così disponibili in lingua araba.
Inizialmente la mancanza di una linguaggio e di termini tecnici comuni concordati dai traduttori, unitamente alle discrepanze riguardanti i principi della filosofia orientale e di quella occidentale, resero l’insegnamento della filosofia difficoltoso e la ricerca e la selezione di questi principi ancora più difficile. Ma non passò molto tempo che genii filosofici come Abū Naṣr Fārābī e Ibn Sīnā furono in grado di insegnare l’intera summa del pensiero filosofico di quel tempo grazie al loro incessante impegno. Grazie ai talenti donati da Dio che fiorirono sotto l’irradiazione della luce della Rivelazione e degli insegnamenti degli imam, essi furono poi capaci di rivedere e selezionare gli appropriati principi filosofici e di presentare un maturo sistema filosofico, che oltre a includere le idee platoniche e aristoteliche, il pensiero neoplatonico fiorito ad Alessandria e le idee degli gnostici orientali (‘urafā), incluse anche le nuove visioni, e fu così capace di eccellere su tutti i precedenti sistemi filosofici orientali e occidentali, sebbene la maggior parte del nuovo sistema possa definirsi aristotelico, per la qual ragione la loro filosofia presenta una tinta aristotelica e peripatetica.
Successivamente questo sistema filosofico fu sottoposto alla lente d’ingrandimento critica di pensatori come Ghazālī, Abū al-Barakāt Baghdādī e Fakhr Rāzī. Dall’altra parte, traendo spunto dalle opere dei saggi dell’antica Persia, e comparandoli con le opere di Platone, degli stoici e dei neoplatonici, Suhravardī fondò una nuova scuola filosofica, chiamata la Filosofia Illuminativa (o dell’Illuminazione), che ebbe una tinta più platonica. In questo modo si preparò il terreno per l’incontro tra le diverse idee e correnti filosofiche, per il loro sviluppo e la loro maturazione.
Secoli dopo grandi filosofi come Khwājah Naṣīr al-Dīn Ṭūsī, Muḥaqqiq Dawānī, Sayyid Sadr al-Dīn Dashtakī, Shaykh Bahā’ī e Mīr Dāmād furono in grado di arricchire ulteriormente la filosofia islamica con le loro brillanti intuizioni. Quindi venne il turno di Ṣadr al-Dīn Shīrāzī, che introdusse un nuovo sistema filosofico grazie al suo genio e al sua spirito innovativo, un sistema che sintetizzava armoniosamente gli elementi della filosofia peripatetica e di quella illuminativa, oltre agli svelamenti gnostici, a cui egli aggiunse anche riflessioni profonde e idee significative, un sistema che egli stesso definì «teosofia trascendentale» (ḥikmat muta‘āliyyah).
La filosofia scolastica
Dopo la diffusione del cristianesimo in Europa e la confluenza del potere della Chiesa con quella dell’impero romano, i centri di insegnamento caddero sotto l’influenza degli apparati di governo in modo così profondo che dal VI secolo (come precedentemente sottolineato) le scuole di Atene e Alessandria vennero chiuse. Questo periodo, che si estese per circa un millennio, è stato definito Medio Evo, e fu caratterizzato dal dominio della Chiesa sui centri di insegnamento e sui programmi delle scuole e delle università.
Tra le personalità più significative di questo periodo ci furono Agostino d’Ippona, che cercò di utilizzare i principi filosofici, specialmente le visioni di Platone e dei neoplatonici, per spiegare i dogmi del cristianesimo. Dopo di lui alcune discussioni filosofiche furono incluse nei programmi delle scuole. A ogni modo l’attitudine verso il pensiero di Aristotele fu malvista perchè era considerata in contrasto con le dottrine religiose, e il suo insegnamento fu proibito. Con il dominio dei musulmani in al-Andalus (Spagna) e la penetrazione del pensiero islamico nell’Europa occidentale, le idee di filosofi musulmani come Ibn Sīnā (Avicenna) e Ibn Rushd (Averroè) vennero più o meno conosciute e discusse, e anche gli studiosi cristiani vennero contaminati dalle visioni aristoteliche grazie alle opere di questi filosofi.
A poco a poco i membri della Chiesa non poterono più resistere all’onda di questo pensiero filosofico, e alla fine Tommaso d’Aquino fece sue molte delle visioni filosofiche di Aristotele, che si rifletterono nelle sue opere. Gradualmente la diffidenza verso la filosofia di Aristotele andò scemando, finché tale filosofia non divenne quella predominante nei centri di insegnamento.
In ogni caso, nel Medioevo la filosofia non vide solo uno sviluppo nelle terre occidentali, perché dopo qualche tempo essa andò incontro al declino e, contrariamente a quanto avveniva nelle terre dell’Islam, in cui le scienze e l’insegnamento continuavano a fiorire e a divenire sempre più ricche, in Europa le uniche tematiche affrontate nelle scuole affiliate alla Chiesa, e che costituirono quella che fu poi definita filosofia scolastica, erano quelle che potevano in qualche modo servire a giustificare i dogmi del cristianesimo, dogmi che peraltro contenevano in sé la deviazione. È quasi inutile dire che una tale filosofia non poteva avere altro destino che la morte e l’estinzione.
Nella filosofia scolastica, a fianco della logica, della teologia, dell’etica, della politica e parte della filosofia naturale e dell’astronomia, che erano accettate dalla Chiesa, anche la grammatica e la retorica erano incorporate nei curricula, e in questo modo la filosofia di questo periodo fu considerata in maniera più ampia che al presente.
Il Rinascimento e la generale rivoluzione nel modo di pensare
A partire dal XIV secolo, a causa di diversi fattori, il terreno era oramai pronto per un radicale cambiamento nel modo di concepire l’uomo e il mondo. Uno di questi fattori fu il fiorire del «nominalismo» (l’essenzialità del dare un nome a una cosa), e la negazione dell’esistenza degli universali[3] in Inghilterra e in Francia. Questa tendenza filosofica giocò un ruolo essenziale nel minare i fondamenti della filosofia. Un altro fattore fu che la filosofia naturale di Aristotele divenne materia di controversie nell’Università di Parigi. E un altro fattore ulteriore furono le allusioni all’incompatibilità della filosofia con il dogma cristiano o, in altre parole, l’incompatibilità della ragione con la religione. Ancora, un altro fattore fu l’emergere di contrasti tra i poteri temporali e le autorità ecclesiastiche. Ci furono anche tra le stesse autorità della Chiesa dispute che portarono all’emergere del Protestantesimo. Un altro fattore ulteriore fu l’ondata del cosiddetto «umanesimo» e della tendenza ad affrontare i problemi della vita dell’uomo e, allo stesso tempo, a trascurare quelli metafisici. Alla fine, nella metà del XV secolo, l’impero bizantino collassò e un radicale cambiamento (politico, filosofico, letterario e religioso) investì l’Europa, e le istituzioni del papato furono attaccate da ogni lato.
In questo processo la debole filosofia scolastica andrò incontro al suo destino finale.
Nel XVI secolo si intensificò l’interesse verso le scienze naturali ed empiriche, e le scoperte di Copernico, Keplero e Galileo minarono le fondamenta dell’astronomia tolemaica e della filosofia naturale aristotelica. In poche parole, in Europa tutti gli aspetti degli affari umani furono messi in discussione e divennero instabili.
Le istituzioni papali furono capaci di contrastare queste ondate fragorose per qualche tempo, e gli scienziati furono portati davanti all’Inquisizione con la scusa della loro opposizione ai dogmi religiosi, cioè perché le loro visioni sulla filosofia naturale e sulla cosmologia non venivano accettate dalla Chiesa sulla base dell’esegesi della Bibbia e delle dottrine religiose. Molti furono bruciati nei fuochi del cieco fanatismo e dell’egocentrismo delle autorità della Chiesa. A ogni modo, col tempo la Chiesa e l’istituzione papale furono costrette a ritrattare nel disonore.
Il fanatico e spietato comportamento della Chiesa cattolica non ebbe altro effetto che infondere nelle genti un atteggiamento negativo verso le autorità della Chiesa, e in generale verso la religione, proprio come il crollo della filosofia scolastica, ossia l’unica corrente filosofica di quel periodo, portò un vuoto intellettuale e filosofico e alla fine alla nascita del moderno scetticismo. Durante questo processo la sola cosa che fece dei progressi fu l’umanesimo e un interesse per le scienze naturali ed empiriche in campo culturale, e una tendenza al liberalismo e alla democrazia in campo politico.
La seconda fase dello Scetticismo
Per secoli la Chiesa aveva diffuso le visioni e le idee di alcuni filosofi come fossero dottrine religiose, e i cristiani le avevano accettate come punti sacri oltre che fermi, tra cui le visioni aristoteliche e tolemaiche sulla cosmologia, che furono poi confutate da Copernico, e di cui anche altri studiosi imparziali avevano dimostrato l’invalidità. Noi abbiamo già menzionato che la resistenza dogmatica della Chiesa e il rude comportamento delle sua autorità nei confronti degli scienziati causarono una reazione avversa.
Questo cambiamento nel modo di pensare, nelle credenze e il crollo delle fondamenta intellettuali e filosofiche del Medioevo causarono una crisi psicologica in molti studiosi, e sollevò nelle loro menti diversi dubbi del tipo: come possiamo essere certi che le credenze che ancora accettiamo siano veramente certe, e che un giorno non verranno anche esse confutate? Come possiamo sapere che le teorie scientifiche recentemente avallate non saranno un giorno confutate? Alla fine un grande pensatore di nome Montaigne negò il valore della scienza e della conoscenza, e scrisse chiaramente: «Come possiamo essere certi che la teoria di Copernico non sarà in futuro confutata?». Egli una volta ancora espresse i dubbi tipici degli scettici e dei sofisti sotto un’altra veste, difendendo a suo modo lo Scetticismo, di cui quindi si aprì una nuova fase.
L’apogeo dello Scetticismo
L’attitudine al dubbio, oltre a essere una dolorosa piaga psicologica, implica anche dei grandi pericoli, sia materiali che spirituali, per la società. Col negare il valore della conoscenza, non ci può essere alcuna speranza per lo sviluppo delle scienze e del pensiero, così come non rimane alcun spazio per i valori morali e per il loro straordinario ruolo nella vita dell’uomo, e anche la religione perde le sue basi intellettuali. Anzi, i più veementi attacchi sono diretti proprio contro i dogmi e le credenze religiosi che non hanno rapporti con gli affari materiali e sensibili. Quando l’alluvione del dubbio si abbatte sui cuori delle persone, naturalmente le credenze riguardanti il sovrannaturale sono le più vulnerabili.
Quindi lo scetticismo è una piaga estremamente pericolosa che minaccia di distruggere tutti gli aspetti della vita umana, e con la sua diffusione nessun sistema etico, legale, politico o religioso può rimanere stabile. Esso può addirittura fornire un alibi per ogni sorta di crimine, ingiustizia e oppressione. Per questa ragione la battaglia contro lo Scetticismo è un dovere di tutti gli studiosi e di tutti i filosofi, oltre che una responsabilità delle guide religiose, ed è un tema circa il quale anche i consiglieri, i politici e i riformatori sociali devono essere diligenti.
Nel XVII secolo diverse attività furono intraprese per puntellare le rovine del Rinascimento, incluso la battaglia contro i pericoli dello Scetticismo. La Chiesa cercò quindi di tagliare la dipendenza del cristianesimo sulla ragione e sulla scienza, e di fortificare le dottrine religiose attraverso il cuore e la fede. Quindi i filosofi e gli studiosi cercarono per la conoscenza e il valore una base ferma e inattaccabile, cosicché potessero restare immuni dalle fluttuazioni e dalle mode intellettuali e dai rivolgimenti sociali.
La filosofia moderna
Il più importante sforzo di questo periodo per salvarsi dallo scetticismo e rivitalizzare la filosofia fu quello di Renè Descartes, il filosofo francese definito «il padre della filosofia moderna». Dopo profonde ricerche e meditazioni, egli elaborò un progetto attraverso cui rigettare le fondamenta del pensiero filosofico; il suo principio può essere sintetizzato nella sua nota enunciazione «dubito, dunque sono», oppure «penso, dunque sono». In altre parole, anche se uno segue la via del dubbio riguardo all’esistenza di ogni cosa, tuttavia non sarà mai in grado di dubitare della propria esistenza. Dal momento che il dubbio è senza significato senza uno che dubita, anche l’esistenza umana di coloro che dubitano e dei pensatori è indubitabile. Quindi egli cercò di formulare delle specifiche leggi del pensiero simili alle leggi matematiche e di risolvere i problemi della filosofia in base a esse.
In quel periodo di fermento intellettuale il pensiero e le idee di Descartes furono una fonte di rinnovamento per molti pensatori; e anche altri grandi pensatori, come Leibniz, Spinoza e Malenbranche, cercarono di rinforzare le fondamenta della filosofia moderna. Tuttavia questi sforzi furono incapaci di elaborare un armonioso sistema filosofico avente delle fondamenta certe e consolidate. D’altra parte l’attenzione della maggior parte degli studiosi era indirizzata sempre più verso le scienze empiriche, e molti di loro non mostravano più alcun interesse nell’approfondire i temi filosofici e metafisici. A causa di ciò non si riuscì a edificare in Europa un sistema filosofico forte, saldo e ben fondato, e sebbene si collezionarono diverse idee e visioni filosofiche nella forma di specifiche scuole di pensiero filosofico che, entro certi limiti, furono in grado di avere più o meno seguito, nessuna di esse, di fatto, fu ancora in grado di essere dimostrato una volta per tutte.
La priorità dell’esperienza e il moderno scetticismo
Mentre la filosofia razionale stava rinascendo nel continente europeo, e la ragione era sul punto di trovare il proprio posto in senso al processo della comprensione della verità, cominciò a svilupparsi in Inghilterra un’altra tendenza basata sulla priorità dei sensi e dell’esperienza: l’empirismo.
Gli inizi di questa tendenza risalgono al Medioevo e a Guglielmo d’Ockham, filosofo inglese che fu uno dei fondatori del nominalismo e, di fatto, anche un negatore della priorità della ragione. Nel XVI secolo Francis Bacon, così come Hobbes nel XVII secolo, anch’essi inglesi, riproposero la priorità dei sensi e dell’esperienza, ma coloro che furono poi conosciuti come «empiristi» sono altri tre filosofi inglesi: John Locke, George Berkeley e David Hume. Questi ultimi discussero i problemi della conoscenza dalla fine del XVII secolo fino al secolo successivo e, mentre criticavano le vedute di Descartes riguardanti la «conoscenza innata», considerarono le fonti di ogni tipo di conoscenza appunto i sensi e l’esperienza.
Tra loro John Locke fu il più moderato e il più vicino ai razionalisti. Berkeley fu un dichiarato sostenitore del nominalismo, ma (forse inconsciamente) resuscitò il principio di causalità, che è un principio razionale, così come sosteneva altre vedute che mal si conciliano con la priorità dei sensi e dell’esperienza. Hume invece rimase completamente fedele alla priorità dei sensi e dell’esperienza e alle sue implicazioni, e rimase legato allo Scetticismo rispetto alla metafisica, e a una accettazione favorevole della realtà dei fenomeni naturali. In questo modo si aprì, nella storia della filosofia occidentale, quella che può essere definita la terza fase dello scetticismo.
La filosofia critica di Kant
I pensieri di Hume sono tra quelli che funsero da basi per le idee filosofiche di Kant, che ammise: «Fu Hume a svegliarmi dal mio sonno dogmatico». Egli in particolare si trovò d’accordo con la spiegazione di Hume circa il principio di causalità, basata sull’idea che l’esperienza non può stabilire una relazione necessaria tra causa ed effetto.
Per molti anni Kant rifletté sui problemi della filosofia, e scrisse molti saggi e libri. Egli offrì una particolare visione filosofica che, paragonata che agli altri tipi di visione simili, si dimostrò più duratura e accettabile. Alla fine però egli arrivò alla conclusione che la ragione teoretica non possiede la capacità di risolvere i problemi della metafisica e che i principi razionali in questo campo mancano di valore scientifico.
Egli dichiarò esplicitamente che problemi quali l’esistenza di Dio, l’eternità dell’anima e il libero arbitrio non possono essere dimostrati attraverso prove razionali, ma che la credenza e la fede in essi deriva dall’accettazione di un sistema etico (in altre parole, è un principio assodato dei precetti della ragion pratica), e che è l’etica che ci porta alla fede nella Resurrezione, e non viceversa. Per questa ragione Kant deve essere considerato come un rivivificatore dei principi etici, che dopo il Rinascimento furono soggetti all’instabilità e al pericolo di affievolirsi e finire nell’oblio. D’altra parte, però, egli deve essere considerato uno dei demolitori delle fondamenta della filosofia metafisica.
L’idealismo oggettivo
Come precedentemente accennato, dopo il Rinascimento non si riuscì a edificare alcun sistema filosofico stabile, ma anzi differenti scuole e correnti filosofiche nascevano e tramontavano costantemente. Il numero e la varietà delle scuole e gli “ismi” aumentarono a partire dal XIX secolo. In questa breve panoramica non possiamo menzionarli tutti, e ci limiteremo a discuterne solo alcuni.
Dopo Kant (dalla fine del XVIII secolo alla metà circa del XIX secolo) alcuni filosofi tedeschi, le cui idee erano più o meno fondate sul pensiero del maestro, salirono alla ribalta. Essi cercarono di rinforzare i punti deboli della sua filosofia rifacendosi a fonti mistiche, e sebbene ci fossero delle differenze tra le loro visioni, quello che ebbero in comune fu che essi partirono da un punto di vista individuale e focalizzarono l’attenzione sulla spiegazione dell’essere e sull’apparizione della molteplicità dall’unità in un stile poetico, e furono definiti «filosofi romantici».
Tra loro Fichte, che personalmente fu uno studente di Kant, era estremamente interessato alla libera volontà, e tra le visioni di Kant egli enfatizzò la priorità dell’etica e della ragion pratica. Egli affermò:
La ragione teoretica vede il sistema della natura come necessario, ma entro di noi troviamo la libertà e il desiderio di libere azioni, e la nostra coscienza elabora un sistema che noi dobbiamo cercare di realizzare. Perciò dobbiamo considerare la natura come subordinata all’Io, e non indipendente e senza relazioni con esso.
È questa tendenza verso la libertà che ha portato lui e altri romantici come Schelling ad accettare una sorta di idealismo e la priorità dello spirito (del quale la libertà era considerata un attributo). Questa scuola di pensiero fu poi sviluppata soprattutto da Hegel, e prese la forma di sistema filosofico relativamente coerente, definito «idealismo oggettivo».
Hegel, contemporaneo di Schelling, immaginò il mondo come l’insieme di pensieri e idee dello spirito assoluto, e che tra essi (lo spirito e i suoi pensieri e idee) vi fossero relazioni logiche piuttosto che relazioni casuali, come sostenuto da altri filosofi.
Secondo Hegel, il corso dell’apparizione delle idee avviene dall’unità verso la molteplicità, dal generale al particolare. Al primo livello, si pone l’idea più generale, l’idea dell’essere, dal cui interno emerge quella opposta, cioè l’idea del non-essere. Quindi essi si fondono e prendono la forma dell’idea del «divenire». Il divenire, che è la sintesi dell’essere (tesi) e del non-essere (antitesi), a sua volta si pone come tesi, e dal suo interno emerge il suo opposto, e dalla loro fusione viene fuori una nuova sintesi. Questo processo continua finché non raggiunge il più particolare dei concetti.
Hegel definisce questo triplice (triadico) processo «dialettico», ed egli ha immaginato che questa fosse una legge universale per l’apparizione di tutti i fenomeni mentali e oggettivi.
Il Positivismo
All’inizio del XIX secolo il francese Auguste Comte, considerato il padre della sociologia, elaborò una forma estrema di empirismo chiamato «positivismo», le cui basi erano limitate a quello che è dato direttamente dai sensi, e per certi versi è da considerarsi l’opposto dell’idealismo.[4] Comte considerava anche i concetti astratti della scienza non ottenuti dall’osservazione diretta come metafisici e non-scientifici. Arrivò al punto di considerare le proposizioni metafisiche come fondamentalmente assurde e parole senza significato.
Auguste Comte sosteneva che vi fossero stati tre stadi del pensiero umano: il primo, lo stadio divino e religioso, che riportava gli eventi a cause sovrannaturali; il secondo, lo stadio filosofico, che ricercava la causa degli eventi in enti invisibili e nella natura delle cose; il terzo, lo stadio scientifico, che invece di ricercare la ragione per cui avvengono i fenomeni, si occupa del come essi avvengano e delle relazioni che tra essi intercorrono, e questo fu definito lo stadio appunto della scienza positiva.
Ora, è strano che egli alla fine abbia confessato che la religione è necessaria per l’uomo, mettendo però l’umanità come suo oggetto d’adorazione. Egli si considerava il messaggero di questo credo, e sviluppò addirittura dei rituali per l’adorazione individuali e di gruppo.
Il credo dell’adorazione dell’uomo, che è un perfetto esempio di Umanesimo, trovò alcuni seguaci in Francia, Inghilterra, Svezia, nel Nord e nel Sud America, individui che si convertirono formalmente a questo credo e fondarono “templi” per l’adorazione dell’uomo. Tale pseudo-religione ha influenzato altri indirettamente in modi che non possono essere qui menzionati.
Il razionalismo e l’empirismo
Le scuole filosofiche occidentali possono essere generalmente suddivise in due grandi gruppi: razionaliste ed empiriste. Un chiaro esempio del primo gruppo nel XIX secolo è l’idealismo di Hegel, che trovò seguaci anche in Inghilterra; un chiaro esempio invece del secondo gruppo è il positivismo, che è vivo ancora oggi. Wittgenstein, Carnap e Russell possono essere considerati sostenitori di questa seconda scuola di pensiero. Molti dei filosofi religiosi sono stato razionalisti, e la maggior parte degli atei sono empiristi. Tra i filosofi minori va ricordato McTaggart, che fu un hegeliano britannico oltre che un sostenitore dell’ateismo.
La relazione proporzionata tra l’empirismo e la negazione, o quantomeno lo scetticismo, rispetto alla metafisica è chiaro, e fu così che lo sviluppo dei filosofi positivisti fu accompagnato da inclinazioni materialistiche e ateistiche.
Come detto, la più famosa scuola di pensiero razionalistica nel XIX secolo fu l’idealismo di Hegel. Nonostante la sua attrazione, dovuta alla relativa coerenza del suo sistema, la sua larghezza di vedute e la sua capacità di affrontare i problemi da prospettive diverse, esso mancava di una logica forte e di un ragionamento saldo, e non passò molto che divenne oggetto di critica anche da parte di suoi stessi aderenti. Tra loro vi furono contro di esso due specie di simultanee, ma allo stesso tempo differenti, reazioni, una delle quali fu capitanata da Søren Kierkegaard, un sacerdote danese considerato il fondatore dell’esistenzialismo, e un’altra da Karl Marx, ebreo tedesco fondatore del materialismo dialettico.
Il Romanticismo, che nacque per dare un fondamento alla libertà umana, alla fine prese la forma di un sistema filosofico inclusivo con l’idealismo hegeliano, e introdusse la storia come un grande processo fondamentale che avanza e si dispiega sulla base dei principi dialettici.
In questo modo esso deviò dal sentiero di base, perché con questa visione, la volontà dell’individuo perdeva il suo ruolo fondamentale, e per questo divenne bersaglio di numerose critiche.
Uno di quelli che criticò severamente la logica e la filosofia della storia di Hegel fu Kierkegaard, che enfatizzò la responsabilità individuale e la libera volontà dell’uomo nel suo auto-perfezionamento. Egli considerava l’umanità dell’uomo come dovuta alla consapevolezza delle responsabilità individuali, in particolare quelle verso Dio, affermando che è la vicinanza, la prossimità a Dio e la relazione con Esso che rende «umano» l’uomo.
Questa prospettiva fu successivamente supportata dalla fenomenologia di Edmund Husserl, e portò all’apparizione dell’esistenzialismo. Pensatori come Heidegger e Jaspers in Germania, e Marcel e Jean-Paul Sartre in Francia aderirono a questa specie di filosofia seppur da prospettive diverse, sia teistiche che ateistiche.
Il materialismo dialettico
Dopo il Rinascimento, quando la filosofia e la religione in Europa sembravano attraversare una crisi, l’ateismo e il materialismo più o meno entrarono in voga, e nel XIX secolo alcuni biologi e fisici come Vogt, Buchner e Ernst Haechel sottolinearono la priorità della materia e la negazione della metafisica, ma la più importante scuola di filosofia materialistica fu quella fondata da Marx ed Engels.
Marx trasse la logica dialettica e la priorità della storia da Hegel, il materialismo da Feuerbach, e considerò il fattore economico come quello fondamentale nel divenire sociale e storico, che egli suppose svilupparsi secondo i principi dialettici, in particolare sulla base dell’opposizione e della contraddizione. Egli dunque introdusse il fattore economico come la pietra angolare di tutti gli aspetti della vita umana, e considerò tutti gli altri elementi della cultura e della società come a esso subordinati.
Egli sostenne che la storia dell’uomo attraversa diversi stadi, che ebbero inizio con il primo stadio del comunismo primitivo, che fu seguito poi da quelli della schiavitù, del feudalesimo e infine del capitalismo, fino a quando non si raggiunge lo stadio del socialismo e del governo dei lavoratori, che porterà infine al comunismo, stadio in cui la proprietà è completamente abolita e non vi sarà bisogno di alcun entità statale o governo.
Pragmatismo
In conclusione di questa breve panoramica permetteteci di lanciare uno sguardo alla sola scuola di pensiero filosofico fondata da pensatori americani, alla soglia del XX secolo, il più famoso dei quali è William James, rinomato psicologo e filosofo.
Questa scuola, che è stata denominata «pragmatismo» (ossia priorità dell’azione) considera una proposizione vera se possiede un’applicazione pratica. In altre parole, la verità è significato costruito dalla mente al fine di ottenere maggiori e migliori benefici pratici. Questo punto non è stato esplicitamente proclamato da nessun’altra scuola filosofica, sebbene le sue radici possano essere rintracciate nelle parole di Hume, secondo cui la ragione è considerata al servizio delle esigenze umane, e limita il valore delle conoscenza al suo aspetto pratico.
La priorità dell’azione nel senso suddetto fu dapprima esposta dall’americano Charles Peirce, e poi fu sviluppata in una tendenza filosofica da William James, una tendenza che trovò seguaci in America e in Europa.
James, che definì la sua visione «empirismo radicale», si distingueva dagli altri empiristi sul come determinare il dominio dell’esperienza. In aggiunta all’esperienza sensoriale esteriore, egli includeva anche l’esperienza psicologica e quella religiosa. Egli considerava le credenze religiose, in particolare la credenza nel potere e nella misericordia di Dio, come utile alla salute mentale e, per questa ragione, «vera». Egli stesso soffrì di un esaurimento nervoso all’età di ventinove anni, e guarì grazie alla sua attenzione verso Dio, alla Sua Misericordia e al Suo Potere di cambiare il destino dell’uomo. Per questo motivo egli esaltò la preghiera e l’invocazione, sebbene non considerasse Dio come assolutamente perfetto e infinito, ma anzi immaginava che ci fosse anche per Dio una sorta di «progresso», e che in fondo la mancanza di progresso equivale a stagnazione ed è un segno di imperfezione!
La radice di questo estremo e aggressivo progressismo può essere ritrovata in parte nelle parole di Hegel, incluso la sua introduzione alla Fenomenologia dello Spirito, ma ancor di più fu successivamente esaltato da Bergson e Whitehead.
William James esaltò inoltre la libera volontà e il suo ruolo creativo, e a questo riguardo egli la pensava allo stesso modo degli esistenzialisti.
Una breve comparazione
Con questo rapido sguardo lanciato alla storia del pensiero filosofico dell’uomo, oltre a fornire una breve visione generale della storia della filosofia, si è chiarito come, dopo il Rinascimento, la filosofia occidentale ha attraversato alto e bassi, come sia stato tortuoso il suo cammino, e come oggi essa sia piena di contraddizioni. Sebbene da sempre perspicaci scoperte siano compiute da alcuni filosofi di quella parte del mondo, e siano stati posti molti precisi problemi, in particolare riguardo alla conoscenza e, allo stesso modo, sebbene siano scaturite da alcune menti e da alcuni cuori delle intuizioni illuminanti, non è stato edificato nessun sistema filosofico stabile e potente. I punti intellettuali illuminanti non sono stati capaci di elaborare per i pensatori una linea retta ben fondata, ma piuttosto le confusione e il disordine hanno sempre governato, e continuano a governare, l’atmosfera filosofica dell’Occidente.
Differente è invece la stato con cui si presenta la filosofia islamica. Questo perché la filosofia islamica ha sempre seguito una via retta e solida, e con l’esistenza di prospettive che da sempre l’hanno caratterizzata, essa non ha mai deviato dal suo corso principale, e tutte le varie prospettive interne possono essere considerate come rami di un albero che crescono in differenti direzioni e contribuiscono allo sviluppo e alla fioritura dell’albero stesso.
Si spera che questo cammino di sviluppo, grazie agli sforzi dei pensatori religiosi, possa continuare su questa via, in modo tale che il buio che la circonda possa essere illuminato dai raggi della sua luce per liberare gli uomini dai nomadismi e derive privi di senso.
NOTE
[1] Vedesi i primi versetti rivelati al Profeta: «Leggi! In nome del tuo Signore che ha creato, ha creato l’uomo da un’aderenza. Leggi, che il tuo Signore è il Generosissimo, Colui che ha insegnato mediante il calamo, che ha insegnato all’uomo quello che non sapeva» (Corano XCVI, 1-4).
[2] Si allude alle numerose e ben note tradizioni attributi al Profeta.
[3] Gli “universali” sono gli oggetti di pensiero che possono essere applicabili a più individui. La “questione degli universali” consiste nel chiedersi quale sia la natura di tali oggetti di pensiero, se essi siano solo parole o anche realtà, e, in quest’ultimo caso, quale tipo di realtà. Le dottrine che vanno sotto il nome di “nominalismo“, o concettualismo, hanno tutte in comune tale presupposto: l’universale non è una “cosa”, ma solo un “nome”[n.d.t.].
[4] Tra i primi esponenti di questa specie di filosofia, le cui radici si possono rintracciare in Kant, ci fu Saint Simon.
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