L’IMAM KHOMEYNI: UN APPELLO PER L’OCCIDENTE
Un’immagine costruita ad arte
Se interroghiamo un qualsiasi occidentale che non abbia avuto modo di accedere ad una conoscenza più diretta dei fatti di quel lontano ’79 iraniano, circa la figura dell’Imam Khomeyni divenuta corrente nei nostri paesi, le immagini più vivide e chiare che egli conserverà in memoria saranno certamente quelle provenienti dalla ‘fabbrica dell’informazione’ ufficiale.
Mai come in quel caso giornali e televisioni riuscirono nella rapida ed efficace impresa di creare un mostro. L’Imam era l’inquietante risveglio di un remoto passato già esorcizzato dai lumi della ragione; era l’uomo del Medioevo (e sappiamo di quanti echi negativi si sia riusciti a caricare questa parola) che ricompare da quei recessi del Terzo Mondo ancora non sufficientemente rischiarati dal razionalismo. Tutte le immagini che passavano di lui le televisioni erano invariabilmente truci ed accigliate, tanto che mai lo si sarebbe immaginato capace di un sorriso.
L’Imam Khomeyni era il sanguinario responsabile del tanto sangue versato durante la rivoluzione e la successiva guerra con l’Iraq, guerra in cui Saddam Husseyn era il paladino della civiltà e della ragione. Nelle vignette satiriche la barba dell’Imam si mutava in un incendio che divorava tutto il Medio Oriente.
Questa immagine, creata con maestria, è sostanzialmente rimasta immutata e se interroghiamo un nostro connazionale ben difficilmente ne avrà un ricordo differente. Vale la pena allora chiedersi il perché di questo accanimento.
Certo, l’Imam meritò in pieno l’etichetta di ‘integralista’ che l’Occidente usa affibbiare a coloro che preservano con coerenza la propria tradizione culturale e religiosa. Ma questo fu motivo sufficiente a meritargli simile trattamento?
Certo, egli contrastò i piani geopolitici ed economici dell’Occidente ed in particolare della sua potenza egemone, gli Stati Uniti d’America, facendo uscire dalla loro orbita imperiale un paese vasto ed importante come l’Iran. Eppure, mai per un leader del blocco sovietico, che pur operò una contrapposizione ben più pericolosa sul piano materiale, tecnologico e militare, neppure per Stalin la macchina propagandistica dell’Occidente ha fabbricato un’immagine talmente distorta e temibile come quella toccata in sorte all’Imam. Perché, dunque?
Forse se ne può cogliere la ragione quando capita di scoprire il sorprendente aspetto nascosto dell’Imam Khomeyni. Quanti in Occidente sanno che l’Imam ha trascorso gran parte della sua esistenza immerso negli studi teologici e nell’insegnamento? Quanti conoscono il suo contributo alla tradizione filosofica e religiosa dell’Islam – contributo meditato e profondo? Quanti sanno che la sua avventura politica non fu da lui né preventivata né cercata, ma, si può dire, gli capitò addosso nella sua tarda età?
Sono stati questi gli aspetti che hanno allarmato l’Occidente e lo hanno spinto a correre ai ripari: un uomo che, per la prima volta dopo secoli di storia, fa sgorgare la propria azione politica dall’aver raggiunto l’apice dell’approfondimento sapienziale di una tradizione religiosa viva e fiorente, una tradizione che contiene un’alternativa reale, integra, collaudata, all’armamentario ideologico dell’Occidente stesso. L’Occidente teme colui che, anziché far procedere l’azione politica e sociale da vuote ideologie, le trae dal profondo della contemplazione della Realtà, e lo fa all’interno di una tradizione religiosa vivente.
Qui sta il pericolo, e qui sta la differenza sostanziale con altre figure ‘rivoluzionarie’: un Mao Tze Tung o uno Stalin non sono avvertiti dall’Occidente come un qualcosa di estraneo; la loro contrapposizione politica affonda le sue radici nello stesso credo immanentista, materialista e relativista dell’Occidente. Anche il più ‘arrabbiato’ movimento marxista ed antimperialista parte da presupposti ideali profondamente organici al ‘grande nulla’ materialista a cui si abbevera la modernità occidentale; e la sua traiettoria storica finirà gradualmente per smussare i suoi tratti antagonisti e confluire nel grande mare gelatinoso del mercato consumistico. Numerosi sono gli esempi ultimi di queste traiettorie. Ma un Imam Khomeyni non era riducibile a questa tipologia, come l’Occidente ha subito intuito.
La virtualità sciita
Chi ha raggiunto il vertice dell’approfondimento di una ricca tradizione religiosa, non è mai un cieco ripetitore del passato, bensì tende sempre a far emergere virtualità nascoste nella loro tradizione: non innovazioni, certamente, ma possibilità già contenute nel deposito iniziale ma rimaste latenti. L’Imam Khomeyni ha fatto questo in sommo grado. E proprio queste virtualità dell’Islam che egli ha portato alla luce sono quel che maggiormente ha scatenato il timore della civiltà materialistica occidentale.
E’ da secoli che l’Occidente ha elaborato contro l’Islam una corazza protettiva, in parte fondata su elementi propagandistici, in parte su elementi reali. E questa corazza è ben efficace, a giudicare dai giudizi e pregiudizi pervicacemente radicati nei nostri paesi.
Ma le virtualità contenute nella versione sciita dell’Islam, fatte emergere in special modo proprio dall’opera dell’Imam Khomeyni, si insinuano tra le giunture di questa corazza e rischiano di renderla inutile e inefficace.
La Shi’a è una virtualità dell’Islam rimasta a lungo nascosta. Con la rivoluzione del ’79 la Shi’a dei dodici Imam per la prima volta ‘fa da solo’. Dopo i Fatimidi in Egitto ed i Safavidi in Iran, dinastie ereditarie sciite che tuttavia reggevano lo stato sul modello del Califfato Abbasside, ecco ora emergere uno Stato decisamente originale nel panorama storico dell’Islam. Uno Stato che invece di affidarsi all’arbitrio di un despota, si fonda su una sorta di collegialità dei sapienti religiosi, una specie di aristocrazia della conoscenza e della fede basata sul pressoché unanime consenso popolare.
Si tratta di una visione ben diversa da quella che l’Occidente ha interiorizzato del potere islamico: uno Stato dispotico fondato sul potere arbitrario e illimitato di un solo uomo. Nelle nostre lingue le parole ‘sultano’, ‘califfo’, ‘sceicco’ o ‘pascià’ evocano l’arbitrio assoluto su un popolo asservito da parte di tiranni possessori di schiere di concubine e di sterminate ricchezze.
Questa visione, anche se stereotipa e in parte mitica, non è del tutto priva di fondamento se si guarda alla realtà passata del califfato omayyade, abbasside e ottomano ed alla realtà odierna dei paesi islamici sunniti, retti da monarchie o dittature ereditarie.
La rivoluzione iraniana, invece, porta un elemento nuovo, una gestione del potere sobria, non personalista, di origine carismatica, ma di natura pluralista ed assembleare, largamente sostenuta dal consenso del popolo e garantita da una gerarchia di sapienti che non fa che applicare alla politica la scienza attinta alla fonte della religione rivelata. Non è questo, in fondo, l’inveramento di quell’ideale politico che attraversa l’Occidente tradizionale, dalle teorizzazioni di Platone fino alla Cristianità medievale? Il democraticismo occidentale odierno non è che un frutto spurio di questa tradizione: per questo avverte come un pericolo mortale nell’esperienza iraniana. L’Occidente materialista e razionalista è un figlio illegittimo e parricida, che vede con orrore risorgere dalla rivoluzione iraniana il genitore assassinato!
Un’altra caratteristica che, nei secoli, l’Occidente ha sfruttato per costruire la propria corazza ideologica contro l’Islam è la sua presunta natura bellicosa e aggressiva, così che la diffusione della fede non avverrebbe con la persuasione della parola, ma della spada.
Ma ecco qui emergere un Islam preparato si a battersi, ma non come prima istanza, un Islam per il quale la storia di 14 secoli di guerre e conquiste non è necessariamente da difendere contro ogni critica, viziata com’è all’origine dalla mancanza della vera autorità legittima. Nelle opere dell’Imam si legge: “Il Jihad (…) può venire dichiarato in seguito alla formazione di un governo islamico degno di questo nome, sotto la guida di un Imam e dietro suo ordine (…)”. E una frase ancora più densa dell’Imam recita: “Se l’autentico Islam verrà instaurato, noi confidiamo che tutto il genere umano vi aderirà”. Un tale Islam, impersonato dall’Imam, rappresenta per la macchina propagandistica dell’Occidente un grave pericolo, e richiede quindi una totale distorsione della realtà fino a trasformare l’aggredito in aggressore, il martire di feroci persecuzioni in un mostro sanguinario.
L’applicabilità alle moderne strutture sociali
Vi è poi un altro punto, riferibile all’Islam sciita in generale, che interpella direttamente l’Occidente. Per l’Islam sunnita la porta dell’ijtihad, dell’interpretazione della Legge, è chiusa e tutto il complesso del fiqh ha assunto da secoli una struttura sostanzialmente definitiva. Ciò ha determinato un’immagine della Legge islamica come qualcosa di assolutamente datato, totalmente inapplicabile a strutture sociali appena più moderne e complesse. Così la Legge islamica, quando applicata, riporterebbe la società a situazioni pre-medievali. E’ per questo che gli attuali regimi dei paesi islamici hanno abbandonato la sharia come legislazione corrente.
Contro questo stereotipo, in parte fondato, la richiesta dell’Islam sciita di collegarsi a un vivente interprete della Legge porta a una situazione del tutto diversa. Persino nei rapporti individuali si avverte subito che lo sciita è spinto a considerare la Legge rivelata come qualcosa che va si rigidamente rispettato, ma soprattutto capito e intelligentemente applicato senza deformare la realtà. Lo stesso Iran rivoluzionario non si può certo dire che abbia avuto timore della complessità dell’età attuale in sé: non si è volto a ricostruire una civiltà della spada e del cammello, ma sta cercando, fra sfide e difficoltà, di costruire uno stato islamico pienamente moderno nelle sue strutture tecnologiche e materiali.
Di nuovo, questo ha costretto la macchina propagandistica occidentale a una consapevole deformazione dei fatti, creando l’immagine di un Imam Khomeyni fanaticamente avverso al nuovo, un uomo che ha riportato un popolo civile all’arretratezza pre-moderna mediante la violenza e l’oppressione.
La spada della metafisica
Quando poi si passa ai tratti personalmente propri all’opera dell’Imam, emerge l’erede di una tradizione ricchissima, totalmente ignota alla stragrande maggioranza degli occidentali. Innanzitutto l’Imam ha reagito contro una impostazione, corrente anche nell’Islam sciita, che vede nella tradizione sapienziale qualcosa che va trattato esclusivamente all’interno di cerchie ristrette. L’Imam, invece, questi argomenti li ha portati addirittura in televisione.
In secondo luogo, l’Imam ha sempre sostenuto che questi argomenti non sono un complemento all’azione politica e sociale, ma stanno alla sua radice e sono un presupposto assolutamente necessario per la sua efficacia. E’ particolarmente commovente la lettera rivolta al presidente dell’URSS Gorbaciov, in cui l’Imam raccomandava al capo del più grande stato comunista del mondo la lettura di Avicenna, Ibn Arabi e Molla Sadra come unico modo per acquisire la capacità di far uscire il suo paese dalla crisi in cui versava. Un tale appello, apparentemente ingenuo, è del tutto pertinente: la crisi in cui versa l’Occidente, più che politica o sociale, è una crisi culturale, causata dall’abbandono della speculazione intellettuale, illuminata dalla fede, sulla natura della Realtà Suprema. Questa crisi, iniziata in Occidente nel Quattro-Cinquecento ha gradualmente portato all’attuale civiltà materialistica ed atea. E’ come se, in tutto l’Occidente, la spada della metafisica sia rimasta piantata nella roccia, senza che nessuno sia più riuscito ad estrarla efficacemente. Ora apprendiamo che in Oriente, ai remoti margine della comunità culturale mediterranea, vi è sempre stato chi ha maneggiato ed affilato questa spada, e ne troviamo il più singolare possessore proprio nella figura del rivoluzionario iraniano a cui ben difficilmente l’uomo comune occidentale accrediterebbe una statura culturale che vada al di là della recitazione di qualche versetto coranico.
Conclusione
L’appello che questa situazione rivolge all’Occidente è fortissimo: la trattazione sapienziale che ci giunge dall’Imam va a raggiungere proprio quelle tematiche teologiche che sono alla base della tradizione religiosa occidentale.
Abbiamo sentito di recente un prelato molto in vista dichiarare: “L’Occidente o sarà cristiano o sarà musulmano.” L’unica alternativa che non ha futuro perché ha il vuoto come radice e come proposta, è proprio quella società materialistica che abbiamo sotto gli occhi.
Sarà dunque musulmano l’Occidente? Ciò non sarà né facile né immediato. Sicuramente non sarà musulmano di quell’Islam puramente legalitario e letteralista che, ridotto spesso ad un guscio vuoto pure nei suoi paesi d’origine, esercita sui nostri conterranei una ben scarsa attrattiva.
Attrattiva ben maggiore è invece destinato ad esercitare l’Islam dell’Imam Khomeyni, con la sua armonia fra approfondimento sapienziale, legge rivelata ed azione concreta. L’opera dell’Imam è destinata a collaborare al risveglio di virtualità presenti nel deposito tradizionale dell’Occidente e ad inattesi e forse non troppo remoti sviluppi.
Né ci deve spaventare il fatto che, per far conoscere quest’opera, almeno in Italia, partiamo pressoché dal nulla. Per dirla con le parole dello stesso Imam, ‘la paura è di coloro che non hanno fede’.
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