Una delle questioni che si trovano nel cuore degli insegnamenti dell’Irfan nell’Islam, è la posizione dell’essere umano nell’Universo, poiché l’uomo deve necessariamente iniziare a partire da questa situazione il viaggio spirituale che alla fine lo condurrà oltre il cosmo.
Non c’è dominio in cui il cambiamento e la trasformazione regnino con la stessa supremazia e totalità come in quello che concerne la natura e la relazione dell’uomo con essa, così come della sua conoscenza. La scienza moderna, che ha agito come un catalizzatore durante i secoli scorsi per il cambiamento in innumerevoli altri campi, è essa stessa basata sul cambiamento e l’impermanenza. Ove dovesse divenire stazionaria e immutabile, cesserebbe di esistere nella sua forma presente. E dal momento che questa è la sola scienza della natura nota all’uomo moderno, l’intera relazione tra l’uomo e la natura, così come la natura dell’uomo stesso e dell’universo che lo circonda, vengono visti alla luce del flusso e del cambiamento. La visione per cui la posizione dell’uomo nell’universo e la sua conoscenza di esso, per non parlare dell’oggetto di questa conoscenza, sono in costante mutamento è giunta ad apparire così ovvia ed evidente da far sì che ogni altro punto di vista sembri assurdo e quasi impossibile da comprendere. L’uomo moderno è disorientato anche di fronte a una possibilità di un elemento di permanenza nella sua relazione con l’universo, non perché un tale elemento non esista, ma perché il problema stesso non viene mai considerato dal punto di vista della permanenza.
Ci si dimentica spesso del fatto che prima che l’uomo iniziasse a vedere la sua relazione con la natura solo dall’aspetto del cambiamento e dell’impermanenza, egli stesso è divenuto interiormente disinteressato al principio immutabile dell’intelletto, il nous, che insieme alla Rivelazione è il solo fattore che può agire come asse immutabile e permanente per le macchinazioni della ragione umana. Con il risveglio degli elementi gnostici nel cristianesimo la facoltà razionale dell’uomo occidentale si è gradualmente estraniata dalle due fonti gemelle dell’immutabilità, della stabilità e della permanenza: la Rivelazione e l’intuizione intellettuale.[1] Il risultato è stato, da una parte, la tendenza nominalista, che ha distrutto la certezza filosofica, e dall’altra questa riduzione dell’uomo al puramente umano, tagliato fuori da tutti gli elementi trascendenti, l’uomo dell’umanesimo rinascimentale. Una tale concezione dell’uomo implica mero mutamento e divenire – che si sono manifestati anche esteriormente durante quel periodo in quelle rapide trasformazioni della società occidentale che hanno fornito al Rinascimento il suo carattere transitorio. Ma la concezione che l’uomo ha dell’universo non era ancora mutata. La sua scienza della natura era ancora essenzialmente medievale, intrisa di elementi ermetici e scolastici. Era solo la sua concezione di se stesso che era mutata, che avrebbe a sua volta portato a un mutamento nella sua concezione dell’universo e del suo posto in esso.
E’ sempre essenziale tenere a mente il lasso di tempo tra la rivolta religiosa e metafisica alla fine del Medioevo, che rappresenta un tentativo di una parte dell’umanità occidentale di recidere il proprio legame con il suo archetipo celeste e immutabile per divenire puramente terrestre e umana, e la rivoluzione scientifica che ha portato questa visione secolarizzata dell’uomo alla sua logica conclusione attraverso la creazione di una scienza puramente secolare. L’uomo, una volta che giunto a considerarsi un essere sopratutto mondano e secolare, ha sviluppato una scienza che prende in considerazione solo l’aspetto mutevole delle cose, una scienza che si concentra meramente sul divenire piuttosto che sull’essere, e questa è l’evento più logico se noi ricordiamo che anche etimologicamente secolare deriva dal latino secularis, di cui uno dei significati è mutamento e temporaneità. La distruzione della visione sacra dell’uomo e dell’universo equivale alla distruzione dell’aspetto immutabile di entrambi. Una scienza secolare non può giungere all’esistenza senza essere interamente circoscritta a ciò che è mutevole e in divenire.
Se teniamo a mente i fattori storici che hanno portato alla formazione di una tale visione del mondo in Occidente, fondata esclusivamente sugli aspetti mutevoli delle cose, è possibile per noi ricostruire e riportare alla luce gli elementi permanenti nella visione dell’uomo moderno senza sembrare di star parlando di assurdità; ma ciò è possibile solo se c’è una comprensione della metafisica tradizionale e del linguaggio del simbolismo attraverso cui le verità metafisiche sono sempre state rivelate. [2]
La metafisica, o scienza di ciò che è permanente, può essere ignorata o dimenticata, ma non può essere confutata precisamente perchè non riguarda il mutamento in quanto mutamento. Quello che concerne la permanenza non può divenire “datato”, perchè esso non riguarda alcun dato come tale. Gli elementi permanenti nella relazione tra l’uomo e l’universo rimangono validi oggi come sempre. Solo essi possono divenire conosciuti una volta ancora dopo un lungo periodo di tempo in cui l’Occidente non ha ricercato gli elementi permanenti nel mutamento, ed ha anzi cercato di ridurre la permanenza stessa al mutamento e al processo storico.
Dal punto di vista delle dottrine metafisiche e cosmologiche tradizionali esistono vari elementi di permanenza nella relazione tra l’uomo e la natura e nella situazione stessa dell’uomo nell’Universo. Il primo e fondamentale elemento è che l’ambiente cosmico che circonda l’uomo non è la realtà ultima ma possiede il carattere di relatività e perfino di illusione.
Se si comprende ciò che significa l’Assoluto (mutlaq), si comprende allora anche il relativo (muqayyad) e si vede che tutto ciò che non è l’Assoluto deve essere necessariamente relativo. L’aspetto del mondo in quanto maya, per usare un termine indù, o samsara, nel senso buddista, è esso stesso un elemento permanente del cosmo e della relazione dell’uomo con esso. L’Universo, nel suo aspetto cosmico, fu sempre maya e sempre sarà maya. L’Assoluto è sempre l’Assoluto, e il relativo è il relativo, e nessun tipo di processo storico o cambiamento può trasformare l’uno nell’altro. Il processo storico può far dimenticare per un periodo ad un popolo, o anche ad un’intera civiltà, la distinzione tra l’Assoluto ed il relativo, e far sì che come conseguenza prenda il relativo per Assoluto, l’ordine creato (al-khalq) per Verità creata (al-haqq), come pare aver fatto la scienza moderna. Ma ovunque e ogniqualvolta appaia il discernimento metafisico, la distinzione si rende chiara e il mondo viene conosciuto per quello che è, ossia, illusione. L’elemento mutevole del mondo che implica il concetto di illusione è in sé una caratteristica permanente del mondo.
È nella natura del mondo cambiare, sperimentare la generazione e la corruzione, la vita e la morte. Ma il significato di questo cambiamento può esser compreso solo nei termini del permanente. Aver compreso che il mondo è mâyâ vuol dire aver compreso il significato di Atmân o Brahmân che trascendono mâyâ. Sapere che il mondo è temporaneo o samsârico in natura vuol dire sapere, per deduzione, la presenza dello stato nirvânico oltre di esso [3].
.
Il carattere mutevole del mondo rivela metafisicamente la realtà permanente che lo trascende. Comprendere la relatività delle cose è conoscere, per estensione della stessa conoscenza, l’Assoluto ed il Permanente. Questa distinzione metafisica è esistita, nel corso della storia, in tutti i periodi della cultura umana. Essa risiede nella natura delle cose, e tutti possono vederla se rivolgono il loro sguardo verso di essa. Soltanto in certe epoche come la nostra il relativo è giunto ad esser idolatrato come se fosse l’Assoluto.
Oggi giorno si sente spesso affermare che tutto è relativo. Ma le stesse persone che affermano questo, frequentemente attribuiscono poi un carattere assoluto al campo del relativo. Senza rendersi sempre pienamente conto di questo, confondono il Reale (brahman) con l’illusorio (maya), a causa della loro mancanza di discernimento e di conoscenza vera, un’ignoranza che proviene essa stessa dall’Illusione (maya). Ma quando vi è conoscenza metafisica vi è anche consapevolezza della relatività delle cose alla luce dell’Assoluto, e questa verità fondamentale è un elemento permanente della situazione dell’uomo nell’Universo, e concerne il suo destino in quanto essere chiamato a trascendere la cripta cosmica nella quale è caduto e ritornare dal dominio del relativo a quello dell’Assoluto. [4]
.
Un altro elemento di permanenza nella relazione dell’uomo con l’Universo è la manifestazione dell’Assoluto nel relativo sotto la forma di simboli nel senso tradizionale della parola. [5] Il simbolo non è basato su convenzioni stabilite dall’uomo. E’ un aspetto della realtà ontologica delle cose e come tale è indipendente dalla percezione che l’uomo possiede di esso. [6] Il simbolo è la rivelazione di un ordine superiore di realtà in un altro inferiore attraverso il quale l’uomo può esser ricondotto alla sfera superiore. Comprendere i simboli vuol dire accettare la struttura gerarchica dell’Universo e gli stati molteplici dell’essere.
Durante certe fasi del processo storico, simboli ai quali una religione rivelata conferisce – mediante la rivelazione stessa – significato e potere speciali, possono perdere gradualmente la loro efficacia, parzialmente o completamente, come risultato dell’indebolimento della base spirituale di detta religione, com si può osservare nel caso dei fenomeni demitizzanti dei nostri giorni. Ma i simboli che esistono nella natura sono permanenti e immutabili. Quello che il cielo significa simbolicamente, come ad esempio la dimensione della trascendenza ed il Trono divino (al-‘arsh) – per usare l’immagine islamica – è permanente così come il cielo stesso. Il sole simboleggia l’Intelletto universale fintanto che brillerà, e l’albero con i suoi rami estesi seguirà ad essere un simbolo dei molteplici stati dell’essere finché gli alberi cresceranno sulla faccia della terra.
Questa è la ragione per la quale si può parlare di una cosmologìa perennis, di una scienza qualitativa della natura che è sempre valida e che rivela un aspetto della natura che è, quantomeno, non meno reale dell’aspetto mutevole studiato dalla scienza moderna.[7]
La principale differenza tra le scienze della natura tradizionali e quelle moderne risiede nel fatto che la scienza moderna studia il cambiamento in relazione al cambiamento stesso, mentre la scienza tradizionale studia il cambiamento in relazione alla permanenza attraverso lo studio dei simboli, che non sono altro che il riflesso della permanenza nel regno del cambiamento.
Una civiltà può sviluppare una scienza che volti le spalle all’aspetto qualitativo delle cose rivelato attraverso i simboli, per concentrarsi nei cambiamenti che si possono misurare quantitativamente. Ma non può distruggere la realtà simbolica delle cose, più di quanto uno studio qualitativo e simbolico dei fenomeni naturali non possa distruggere il loro peso o la loro dimensione. Oggi giorno, come conseguenza della distruzione dello “spirito simbolico” [8], in Occidente gli uomini hanno perduto il senso della penetrazione nel significato interno dei fenomeni che solo i simboli rivelano. Ma questa impotenza non significa che i simboli naturali abbiano cessato di esistere. Il significato simbolico delle sfere omocentriche dell’astronomia tolemaica, che rivela l’apparenza immediata dei cieli, continua ad esser valido, nello spazio assoluto teorico di Newton o nello spazio curvo della relatività, che sia la terra a muoversi attorno al sole o il sole attorno alla terra.
Le sfere omocentriche simboleggiano gli stati dell’essere che sono al di sopra delle sfere terrestri nelle quali l’uomo si trova attualmente. Gli stati dell’essere continuano ad essere reali tanto se comprendiamo e accettiamo il simbolismo naturale che gli stessi cieli ci rivelano nel nostro contatto immediato e diretto con essi, quanto se distruggiamo questa apparenza immediata e il simbolo in nome di altre considerazioni teoriche.
Di fatto, anche le nuove teorie scientifiche, se sono conformi a qualche realtà, possiedono il loro significato simbolico. Corrispondere alla realtà significa essere simbolico. Se le sfere tolemaiche simboleggiano la posizione dell’uomo rispetto agli stati superiori dell’essere, lo spazio galattico dell’astronomia moderna simboleggia il carattere indefinito del relativo, l’immensità dell’oceano del samsara.
E’ in sé stesso una prova del fatto che l’intelligenza dell’uomo fu creata per conoscere l’Infinito piuttosto che l’indefinito. Ma in un senso più diretto, il significato simbolico dei fenomeni della natura, per non parlare delle teorie scientifiche basate su di essi, rappresenta un aspetto permanente delle cose e della relazione dell’uomo con il cosmo. E’ su questo carattere permanente del contenuto simbolico dei fenomeni della natura che si può costruire una scienza simbolica della natura, una cosmologia tradizionale che conserva un valore perenne e un’importanza permanente, e che possiede oggi un significato particolare, quando le scienze puramente quantitative della natura e le loro molteplici applicazioni minacciano l’esistenza sia dell’uomo che della natura. [9]
A ogni modo, un altra caratteristica perenne della relazione tra l’uomo e l’universo, almeno in base a un certo aspetto della situazione, è il modo in cui la natura si presenta all’uomo. Oggi l’uomo cerca di mutare tutte le sue istituzioni sociali, politiche e persino religiose con la scusa che la natura stessa è sempre in cambiamento e quindi l’uomo deve mutare allo stesso modo. È vero proprio esattamente il contrario. È perché la mentalità dell’uomo ha perduto la sua àncora nel permanente ed è divenuta essa stessa un fiume transitorio di idee e immagini sempre mutevoli che l’uomo cerca solo il mutamento nella natura. Se l’uomo moderno ha letto l’evoluzione nella natura, vuol dire che ha cominciato a credere nell’evoluzione nella sua mente prima di osservarla nella natura stessa. L’evoluzione non è primariamente il prodotto dell’osservazione naturale, ma di una mentalità secolarizzata tagliata fuori da ogni via d’accesso all’immutabile, la quale poi comincia a vedere la sua propria natura fugace nella natura esterna. L’uomo vede sempre nella natura il riflesso del suo proprio essere e della sua concezione di cosa egli stesso è.
Se studiamo il mondo intorno a noi vediamo che di fatto l’ambiente terrestre in cui gli uomini hanno visto la permanenza per millenni non è mutato nelle sue caratteristiche generali. Il sole continua ancora a sorgere e a tramontare allo stesso modo ora così come faceva per l’uomo antico e medioevale, che guardava a esso come al simbolo dell’intelletto divino. Le forme naturali si riproducono ancora con la stessa regolarità e attraverso gli stessi processi come nei periodi storici più antichi. Né i petali delle rose né il loro profumo sono mutati da quando Dante e Shakespeare scrissero su di essi. Né di fatto l’uomo stesso si è evoluto biologicamente da quando esiste la storia umana scritta e anche non scritta. L’uomo di oggi è biologicamente lo stesso degli uomini dell’antichità che credevano nella permanenza e nella trascendenza. Se gli uomini moderni avessero cessato di credere, avrebbero fatto meglio a trovare qualche altra scusa che quella incentrata sulla loro evoluzione biologica e naturale.
In questa questione della permanenza dei fenomeni naturali così come appaiono all’uomo esiste una posizione diametralmente opposta tra il punto di vista tradizionale e quello moderno, che è la diretta inversione del primo. Oggi tutte le cose sono considerate essere in cambiamento, sebbene l’ipotesi dell’uniformismo viene usata con tale certezza in geologia, paleontologia e anche in antropologia che si potrebbe pensare che sia una legge dimostrata. Da una parte si dice che le leggi sono state uniformi, e quindi parliamo di eventi che hanno avuto luogo milioni e miliardi di anni fa senza considerare con precisione quello che intendiamo per milioni di anni. Dall’altra parte diciamo che la natura muta tutto il tempo, senza considerare la possibilità che ciò che appare come una “legge della natura” oggi potrebbe essa stessa essere mutata lungo le ere o sotto particolari circostanze e condizioni. Se non possiamo camminare sull’acqua, non c’è una ragione logica per cui un tale santo medievale non avrebbe potuto farlo.
La visione tradizionale della natura rovescia questa situazione completamente. Al posto del cambiamento essa pone la permanenza, e al posto dell’uniformità e dell’immutabilità delle condizioni naturali, il mutamento qualitativo. I processi mutevoli della natura sono visti come modelli permanenti che attraverso la ripetizione integrano il tempo e il processo nell’immagine dell’eternità. [10] L’apparente uniformità della natura viene a sua volta modificata dalla teoria dei cicli, gli yuga dell’induismo o gli adwar e akwar di certe scuole di pensiero islamiche, che non significa mera ripetizione degli stessi modelli ma l’evidenziare la differenza qualitativa tra le differenti epoche sia nella storia del cosmo che in quella umana. L’inversione moderna di queste due realtà ha distrutto la visione della permanenza nella natura così come la comprensione delle differenze qualitative nei vari cicli. Di fatto questa inversione è essa stessa una prova della realtà dei cicli cosmici e conferma solo quello che le autentiche tradizioni ci insegnano su di essi. [11]
Unicamente per questa ragione i libri più antichi di storia naturale e mitologia sono divenuti dei libri chiusi e, nel migliore dei casi, interpretati in una maniera puramente psicologica, laddove essi possono essere compresi alla luce del fatto che c’è una differenza qualitativa tra l’ambiente cosmico dell’antico ambiente naturale e il nostro. Non vi era la stessa cristallizzazione e condensazione, la stessa separazione della materia dallo spirito. L’acqua di Talete era ancora piena dello spirito animante della natura e di fatto simboleggiava il sostrato psico-fisico delle cose. Era davvero molto distante dalla materia inerte post-cartesiana con cui Lavoisier portava avanti gli esperimenti ventiquattro secoli dopo.
Comunque, tra questo mutamento e quella permanenza e attraverso questa inversione di vedute vi rimane un elemento immutabile: ossia, il modo in cui i fenomeni della natura appaiono all’uomo. Il cielo, il mare, le montagne, i cicli stagionali, queste realtà si manifestano ora come migliaia di anni fa, eccetto per alcune differenze qualitative complesse, ed essi sono il magnifico testamento dell’Immutabile manifestato nel processo del divenire. Gli uomini che amano la natura sono essenzialmente alla ricerca del permanente, e la natura stessa di fatto smentisce coloro che vogliono limitare tutta la realtà al mutamento e al divenire. Tali filosofi non sono sorti mai tra le persone che hanno vissuto vicini alla natura, ma sono stati sempre il prodotto di ambienti sedentari dove l’atmosfera artificiale ha permesso all’uomo di dimenticare sia la natura che gli elementi permanenti che essa rivela all’uomo, elementi che gli evocano quei fattori che sono permanenti e ancorati allo strato immutabile dell’essere stesso dell’uomo.
Per quanto riguarda le scienze della natura, sebbene differiscano molto dalle varie cosmologie tradizionali, anche in questo caso esiste un elemento di permanenza se si prende la scienza moderna per quello che realmente è. Certamente dal fatto stesso che la scienza moderna ha coscientemente voltato le spalle all’aspetto metafisico e simbolico delle cose, essa è tagliata fuori dalla visione tradizionale della natura attraverso il suo stesso punto di vista ed è costretta a ignorare ogni significato metafisico che le sue stesse scoperte potrebbero avere. A ogni modo, queste scoperte, nella misura in cui hanno una connessione con la realtà delle cose, posseggono un significato simbolico. Per esempio, il fatto che l’ordine si ripete in tutti i piani della realtà materiale, dalla galassia all’atomo, o il fatto che in qualsivoglia unità la scienza si imbatte, sia essa la cellula biologica o l’atomo, vi trova un’armonia delle parti entro il tutto, rappresenta le caratteristiche permanenti di ogni scienza della natura, sia che essa si preoccupi di prendere in considerazione questi fatto o meno.
I una maniera anche più evidente si vede la ripetizione di certi modelli e problemi attraverso tutta la storia della scienza, un fatto che più di ogni altro ha spinto molti moderni scienziati a studiarla. Non importa quanto muti la scienza: l’incontro della mente dell’uomo con la natura sembra produrre certi modelli permanenti. Prendiamo per esempio il problema della continuità e discontinuità dei corpi, che ha occupato Aristotele e gli atomisti greci, i peripatetici musulmani e i teologi così come i moderni fisici; o la relazione dell’Uno alla molteplicità, o tra l’ordine e il disordine, o tra la possibilità e il determinismo; questi sono tutti problemi che ricorrono costantemente in tutte le forme della scienza. Molti scienziati si rivolgono oggi alla storia della scienza per trovare l’ispirazione per nuove metodologie al fine di affrontare problemi della fisica o della biologia contemporanea, che sono fondamentalmente legati ai problemi delle scienze antiche e medievali. La ricorrenza di questi modelli e problemi è comunque un elemento di permanenza in un dominio che è il più mutevole e fluido di tutti i campi, proprio perché gli uomini hanno voltato le spalle all’Unità per vedere la molteplicità, per studiare il contingente senza considerare il Principio.
Ma forse l’elemento permanente più importante nella relazione dell’uomo all’Universo è la sua situazione “esistenziale” nella gerarchia dell’esistenza universale. L’uomo tradizionale sapeva con certezza da dove veniva, perché viveva e dove sarebbe andato. L’uomo moderno, a ogni modo, per la maggior parte non conosce né da dove viene, né quale sarà la sua fine e quindi, cosa più importante di tutte, perchévive. Nonostante ciò, come l’uomo tradizionale, egli affronta i due punti che determinano l’inizio e la fine della sua vita terrestre. Egli nasce e muore. Questo fatto non è mutato di una iota, né lo farà attraverso la volgare forma di ricerca dell’immortalità che l’uomo moderno cerca, pur se inconsciamente, attraverso mezzi artificiali quali i trapianti di cuore. L’unica differenza è che quello che una volta era una certezza è divenuta oggi dubbio e paura. Ma la realtà della nascita e della morte rimane, e nessuna quantità di scienza moderna può districare i misteri di queste due “eternità” tra cui si pone il fuggevole momento della vita terrena. [12]
Sono questi due “infiniti” che determinano il carattere e il significato della finitudine che esiste tra essi. Rispetto a questi due “infiniti”, la situazione dell’uomo non è mutata affatto, anche se la distruzione delle cosmologie medievali ha distrutto per la maggior parte degli uomini la dottrina metafisica degli stati dell’essere che quella cosmologia simboleggiava così splendidamente. L’uomo è comunque una creatura finita con un’intelligenza in grado di capire l’Infinito e l’Assoluto, e non meramente l’indefinito e il relativo, la cui portata totale va sempre aldilà della conoscenza della scienza umana. Rispetto all’Assoluto e a tutti gli stati dell’esistenza che compongono l’Universo, l’uomo è quello che è sempre stato e sempre sarà, una immagine dell’Assoluto nel relativo, gettato nella corrente del divenire al fine di riportare questo divenire stesso all’Essere. Oggi si parla così tanto di mutamento che gli uomini sono ipnotizzati dalle loro stesse frasi e dimenticano che proprio sotto la superficie di queste onde del mutamento, in continuo movimento, si trova il mare immutabile e permanente della reale natura dell’uomo. La situazione di questa natura permanente che l’uomo porta entro di sé dovunque egli giunge faccia a faccia con il Reale, nel suo senso metafisico, non è mai cambiata né mai può essere alterata. La situazione ontologica dell’uomo nello schema totale delle cose è per sempre lo stessa; essa, più di tutti gli altri elementi della cosmologia e delle scienze che mettono in connessione l’uomo all’Universo, una situazione di permanenza in mezzo al mutamento apparente.
.
NOTE:
(1) Cfr. S. H. Nasr, The Encounter of Man and Nature, the Spiritual Crisis of Modern Man, London, 1968, pp. 63.
(2) Cfr. F. Schuon, The Transcendent Unity of Religions, trans. by P. Townsend, London , 1953, pp. 9 ff.,[tr. it.: Unità trascendente delle religioni, Edizioni Mediterranee] e R. Guénon, La métaphysique orientale, Paris , 1951. [tr. it.: La metafisica orientale, Sear].
(3) Vedesi F Schuon, In the Tracks of Buddhism, trans. by M. Pallis, London, 1968, in cui la relazione tra il nirvana e il samsâra è discussa in tutta la sua portata e profondità.
(4) Riguardo a questo tema nel suo contesto islamico, vedesi S. H. Nasr, An Introduction to Islamic Cosmological Doctrines, Cambridge (U.S.A.), 1964, chapter XV.
(5) Il significato dei simboli tradizionali non possono essere trattati in questa sede. Questo tema è stato ampliamente trattato negli scritti di F. Schuon, R. Guénon, T. Burckhardt, e A. K. Coomaraswamy, così come di H. Zimmer e M. Eliade.
(6)“La scienza dei simboli – non semplicemente una conoscenza dei simboli tradizionali – deriva dai significati qualitativi delle sostanze, delle forme…, non stiamo presentando in questa sede valutazioni soggettive, perché le qualità cosmiche sono ordinate sia in relazione all’Essere che in accordo a una gerarchia che è più reale dell’individuale…” (F. Schuon, Gnosis, Divine Wisdom, trans. G. E. H. Palmer, London, 1959, p. 110).
(7) Sulla cosmologia perennis, vedesi T. Burckhardt, “Scienza moderna e saggezza tradizionale”, Torino, 1968; vedesi anche “Alchimia”, Guanda, che affronta i valori permanenti della cosmologia ermetica.
(8) Riguardo allo “spirito simbolico”, vedesi F. Schuon, “The Symbolist Outlook“, Studies in Comparative Religion, Winter, 1966, pp. 50.
(9) L’autore ha affrontato a fondo questa questione nel suo “L’uomo e la natura“, Rusconi.
(10) Sulla relazione tra tempo ciclico e tempo lineare e il suo effetto sulla storia e sulla cosmologia, vedesi M. Eliade, Il mito dell’eterno ritorno; vedesi anche A. K. Coomaraswamy, Tempo ed eternità, Luni, in cui viene spiegata la relazione metafisica tra il tempo e l’eternità nelle differenti tradizioni.
(11) La tendenza verso il basso del Kali Yuga o Era Oscura, che essa stessa oblitera la visione del tempo qualitativo per la maggior parte degli uomini, è magnificamente trattata da R. Guènon in molti dei suoi scritti, in particolare “Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi”, Adelphi.
(12)“La scienza moderna, che è razionalista in quanto al suo soggetto e materialista in quanto al suo oggetto, può descrivere la nostra situazione fisicamente e approssimativamente, ma non può dirci nulla circa la nostra situazione extra spaziale nell’Universo totale e reale”. F. Schuon, Light on the Ancient Worlds, trans. by Lord Northbourne, London, 1965, p. 111 [tr. It.: Sguardo su mondi antichi, Edizioni Mediterranee].
.
Tratto da “Sufismo vivo. Ensayos sobre la dimensiòn esotérica del Islam” Ed. Herder
.
Traduzione a cura di Islamshia.org © E’ autorizzata la riproduzione citando la fonte