Ruhollah Arcadi
Gli eventi dell’età contemporanea, specialmente quelli ultimi, impongono tutta una serie di riflessioni, il cui orizzonte finisce col trascenderne l’ambito, per accennare a quel che, da ultimo, dà loro senso e realtà. L’argomento a cui qui intendiamo nella fattispecie fare riferimento, è quello della funzione e del significato dell’Islam, ed in particolare, dell’Islam puro e perfetto delle Genti della Dimora Profetica, dell’Ahlu-l-Bayt, la pace su di loro, in questa nostra età, in apparenza convulsa e confusa. Quel che balza agli occhi di un osservatore, sia pure disattento, è il gran parlare che se ne fa oggigiorno, anche se il più delle volte a sproposito, cui fa da controparte la sua importanza sempre crescente sulla scena del mondo.
Non è certo con esagerazione che possiamo affermare, a questo medesimo riguardo, che la Rivoluzione Islamica in Iran ha costituito un evento a dir poco cruciale: da allora in poi, la visibilità dell’Islam, seppure tra contrasti profondi, momentanei regressi, e veri e propri tradimenti, è andata sempre aumentando, quantunque fosse connotata il più delle volte, quanto alla sua percezione da parte dell’ambiente esterno, da travisamenti, menzogne, e calunnie, sull’onda della disinformazione imperante imposta dai poteri mondani, dapprima limitatamente agli aventi che concernevano un singolo paese, l’Iran, quindi per l’intera Umma, per la Comunità Islamica.
Il fenomeno crescente dell’opposizione e della resistenza all’egemonismo ed al colonialismo occidentale, dapprima condotta nel segno dei movimenti d’ispirazione marxista o nazionalista, oggi tende in misura sempre maggiore a ricondursi alla guida islamica, sia pure sovente in una confusione di vedute che porta talvolta a gravi distorsioni, motivo di vere e proprie aberrazioni, artefatte e propalate a volte da avversari senza scrupoli, perfidi, astuti, feroci, capaci di orientarne le potenzialità rivoluzionarie e di rigenerazione spirituale nel verso di un esito assurdo, ed in netto contrasto con le premesse iniziali fondanti, com’è stato il caso, tanto per fare degli esempi concreti, per movimenti politici ed ideologici quali il wahabismo, il salafismo, il bahaismo.
In tutta questa sarabanda apparente d’eventi contraddittori, in tutto questo gran parlare, per lo più a vanvera, che peraltro rende note, assieme alle molte connotazioni spurie, alcune realtà e nozioni genuine, sino ad ora ignote al gran pubblico, specialmente occidentale, il secondo elemento che balza alla vista in tutta evidenza, dicevamo, è appunto il coagularsi di un fronte di resistenza all’imperialismo occidentale incentrato, evento affatto nuovo, su di una realtà islamica, che va assumendo, a questo medesimo riguardo, un ruolo sempre più palese, accentuato, e riconosciuto di guida.
L’Occidente laico, modernista, progressista, liberale e democratico, per parte sua, s’è scelto oggigiorno, ancora una volta, il suo nemico, che è questa volta l’Umma Islamica, la qual cosa non avviene certo a caso. Volente o nolente che sia, il musulmano, per acquiescente che possa essere talora al ruolo subalterno al quale, nel migliore dei casi, i poteri egemonici vorrebbero ridurlo, s’è ritrovato involto nei panni del “nemico assoluto”.
Già altri nemici assoluti avevamo visto in precedenza, la cui eliminazione, fisica ed ideologica, aveva comportato da parte occidentale, ed insistiamo su questa connotazione solo apparentemente geografica, lotte feroci, condotte dall’una e dall’altra parte senza misericordia, a volte vere e proprie campagne di sterminio, nel corso delle quali ci si era anche talvolta abusivamente appellati, da entrambi i contendenti, alla religione, tentando di dare al conflitto il senso e i connotati spuri di una lotta per i destini ultimi dell’uomo e del mondo.
Liberaldemocrazia capitalista (con la sua variante socialdemocratica), socialismo (con la sua variante comunista), fascismo (con la sua variante nazionalsocialista), i vari nazionalismi, se ne erano disputate le sorti, nell’orizzonte del laicismo proprio, di là da talune vane pretese, a visioni del mondo ed a società completamente secolarizzate, prive, per propria scelta, d’una Guida che proceda dalle scaturigini ultime ed originarie della natura umana, dalla sua completa perfezione, nella prossimità e nell’intimità divina.
Oggigiorno l’Islam, sia pure nelle laceranti contraddizioni che s’agitano al suo interno, e talvolta quasi passivamente, suo malgrado, per volontà di chi se l’è scelto, dicevamo, volente o nolente, per suo avversario, l’Islam appare, per lo meno di fatto, come il contraltare e l’alternativa a tutto questo. Potremmo avvalerci, a questo medesimo riguardo, richiamandoci ad un’espressione propria ad una delle varianti dell’attuale ideologia occidentale, ad un confronto tra due sorte contrapposte di società “aperte”.
L’una in una dimensione orizzontale, velleitariamente ed esclusivamente, e quindi, in definitiva, verso il basso, col suo rifiuto d’una guida trascendente, operativa ed effettuale, nel senso dell’estensione sotto il riguardo della realtà corporea e temporale, con le sue conseguenti propaggini, la sentina degli psichismi tellurici, orientati nel verso dei mondi inferi. L’altra aperta invece verso l’alto, alla Rivelazione, alla prossimità divina, alla perfezione principiale dell’umana natura, che di qui procede anch’essa a darsi una dimensione temporale esaustiva, per la natura stessa delle cose, per l’universalità del suo principio. Tutto questo, naturalmente, al di là del senso positivo unilaterale, dal punto di vista del giudizio di valore, che s’è preteso d’attribuire alla prima delle due sorte di società aperte.
Ed è questo appunto a nostro avviso, il significato ultimo del contrasto che vede protagonista l’Islam, e non più varianti subalterne dell’ideologia occidentale, che sono state riassorbite, assieme alla loro concretezza di realizzazione, nel mare magnum e nell’alveo maestro di quella liberaldemocrazia capitalista, che si ha l’ardire e la spudoratezza d’additare come la forma più alta d’attuazione degli ideali di “libertà e di giustizia”.
Tutto questo avviene al di là di quelli che sono i vari, immancabili contrasti che s’agitano tuttora, a dispetto dell’innegabile egemonia liberaldemocratica, all’interno del mostro del neocapitalismo e della sua immonda escrescenza ideologica, l’umanitarismo laicista e modernista, i cui esiti appaiono tuttora tutt’altro che scontati, sotto il riguardo degli strumenti, al di là di quella che ne è la tendenza principale e la destinazione fondante.
Il che non toglie, come dicevamo, che l’avversario della liberaldemocrazia egemone sia, e sia sempre di più, l’Islam, additato alle opinioni pubbliche, e non soltanto d’Occidente, come il nemico oscurantista fautore d’ogni regresso, unica e vera remora alle pretese “magnifiche sorti e progressive” di un’umanità che, pretendendosi oramai “emancipata”, osa porsi come fine a sé stessa, laddove non finisca con lo sprofondare nelle propaggini subumane dell’animalismo e del naturismo, nel senso d’una creazione umana od extraumana considerate come realtà a sé stanti e fini ultimi, e non come effusione della luce superna e segni dell’Altissimo, sia magnificato ed esaltato.
Quello che vorremmo qui rilevare, è che un siffatto ordine di considerazioni non è, o meglio, non è soltanto d’ordine politico. Non vorremo essere fraintesi. Quando parliamo di Islam, non intendiamo certo, con questo termine, fare riferimento ad una semplice ideologia, ad una variante temporale e relativa del pensiero umano, ad uno dei suoi tanti modi possibili di apprendere la realtà, quasi che il tutto a ciò dovesse ridursi, ad una mera percezione, di là da ogni senso obiettivo, anche, e soprattutto, per quel che riguarda la trascendenza.
La radice araba “slm”, ci sia consentita questa digressione lessicale, comporta i due significati complementari fondamentali di sanità, salvezza, completezza, e di consegna, abbandono, resa: i due lati corrispettivi della prossimità divina nelle sue varie stazioni, vale a dire, la perfezione ascendente, e l’abbandono progressivo, che invero non è se non una rinunzia negativa delle magagne ed delle mancanze di questo nostro basso mondo, avente come controparte la profusione perfettiva (fayď nel linguaggio degli gnostici), promanante dalle altezze incommensurabili dell’intimità divina, al nostro stesso livello d’esistenza, profusione propria alla funzione profetica ed imamica, o piuttosto, alla purità e perfezione ad esse sottesa, inerente alla costellazione del pleroma dei XIV scevri da macchia e da errore, la pace su di loro.
È questo il significato e la realtà ultima alla quale facevamo invero poc’anzi riferimento, riportandovi le nostre precedenti considerazioni. Significato che trascende ed include in una guisa eminente le vicende effettuali e le miserie delle escogitazioni ed immaginazioni discorsive umane, riproponendo all’uomo l’ascesa al suo destino finale ed alla scaturigine superna della sua natura primigenia, nella compiutezza della sua perfezione.
Ascesa che ha il suo esito nella culminazione e nella completezza di quell’intelligenza, e del suo strumento e soggetto, l’intelletto, che lungi dal ridursi alle elucubrazioni discorsive e razionali, o ad una percettività riduttiva, astratta dalla sostanzialità dell’essere, s’identifica invece con la pienezza presenziale della “scienza della certezza” preconizzata dal Sacro Corano, e del suo organo, “l’occhio della certezza” (Sacro Corano, CII, 5,7); oppure, secondo un’altra lettura, l’”essenza della certezza”, ovvero l’attuazione e sostanziazione di quella scienza; che altro non sono che designazioni formali della medesima realtà onnicomprensiva.
Il Sacro Corano riferisce in continuazione il suo insegnamento a quelli che hanno “cognizione”, “sapere”, “fede”, vale a dire, nel suo senso ultimo, “certezza”, (S.C., VI, 97, 98, 99, et c.), tutte funzioni, entità, stazioni, livelli differenti, che non escludono certo, d’altra parte, quello che è l’aspetto discorsivo, argomentativo e percettivo, ma il cui senso ultimo e fondante è quello interno, presenziale, entitativo, trascendente, esaustivo.
Questo per dare rilievo al fatto che la dimensione ultima dell’Islam, di là dia suoi immancabili aspetti storici, politici, sociali, ed in generale esteriori, temporali, è una realtà d’ordine eminentemente trascendente, conoscitivo, intellettuale, conseguibile con l’occhio e col soggetto della gnosi, dell’”irfan“, inteso nel senso sopra detto d’attuazione onnicomprensiva, il che preconizza il conseguimento da parte della persona umana della sua realtà ultima e primigenia, della sua perfezione sovratemporale e fondante.
La procedura per eccellenza di questo conseguimento, è quello sforzo e lotta contro la nafs, l’anima concupiscibile e passionale, che ne comporta l’attuazione ai livelli supremi di “anima pacificata”, accetta all’Altissimo, sia magnificato e glorificato, ed accolta nel Giardino superno (S.C., LXXXIX, 27-30), che d’altro canto essa consegue appunto grazie all’intelligenza, alla conoscenza, come recita una celebre narrazione attribuita all’Imam Abū °Abdillah, la pace su di lui.
È questo, a nostro avviso il punto cruciale della contemporaneità, ed in generale, della storicità dell’Islam, e della sua opposizione ad un nemico apparente che altro non è che un’escrescenza delle pulsioni regressive interne che contendono alla persona umana la sua ascesa alla prossimità divina, vale a dire alla realizzazione perfettiva ed esaustiva della sua natura primigenia di Ķalīfaħ, di Vicario e Luogotenente dell’Altissimo nell’universo creato (S.C, II, 30).
Opposizione, questa, conseguente, ed a suo modo necessaria, che non è dato di negare, ma che va intesa nel suo senso vero ed ultimo di segno attuativo della trasparenza e dell’effusione divina, imprescindibile al nostro livello d’esistenza, per chi proceda sulla via che mena al luogo del non procedere, al luogo della Presenza, sua destinazione, dove essa è risolta e compresa ab aeterno sul limitare dell’Essenza Trascendente Infinita, di cui la natura vicaria primigenia dell’essere umano è scaturigine immediata.
Vale a dire, il “piccolo sforzo” (jihād) esteriore altro non è che occasione, segno, ed ausilio di quello che è “grande sforzo” interiore, come recita una celebre narrazione profetica, dove il termine “jihād” va inteso nel suo significato generale di “sforzo” o di “combattimento”, laddove invece la traduzione tanto propalata, il più delle volte a sproposito ed in mala fede, in Occidente, di “guerra santa”, a parte la sua imprecisione e scorrettezza lessicale, si riferisce soltanto ad un significato e ad un aspetto particolare e subordinato del termine in questione, sotto lo stesso riguardo esteriore.
Quello su cui noi vorremmo far riflettere con queste nostre brevi considerazioni, è che, ammesso e non concesso che fosse possibile una vittoria esterna, d’ordine politico e militare, sui nemici della fede, la lotta contro i quali ci è peraltro ingiunta dal Sacro Corano (S.C., IV, 75), a prescindere da una vittoria interna sulla nafs, dalla rettificazione delle pulsioni passionali, essa non sarebbe, a questa stregua, di nessun momento; né d’altro canto essa sarebbe possibile, giacché, siccome recita il Sacro Corano, “Iddio non cambia quel che è d’una gente, sinché non cambiano le loronafs“ (S.C., XIII, 11).
Ed invero, per assurdo, se ciò non fosse, se le pulsioni dell’anima concupiscibile e passionale continuassero a dominare l’uomo, non si avrebbe altro che la sostituzione di un’empietà con un’altra ben peggiore, quella di coloro che non credono, con quella di coloro che dicono di credere, ma non credono, vale a dire con una mascheratura ipocrita, contro la quale il Sacro Corano insiste con ancor maggiore veemenza (S.C., II, 6-20).
Certo, è doveroso combattere contro le Guide della miscredenza (S.C.,IX, 12), contro il grande ed i tanti piccoli Satana di questo nostro basso mondo, ma senza dimenticare che si tratta pur sempre, com’ebbe a definirlo in un suo recente discorso il Walī Faqih Guida dei Musulmani, d’un “Satana incarnato”, il cui aspetto interno è quello fondante e significativo, aspetto del quale noi, che non siamo certo Profeti, che non siamo certo Imam, che non siamo Puri, la pace su di loro, siamo in qualche modo, ognuno nella sua misura, partecipi.
Ed è questo a nostro avviso, quello interno, l’aspetto più importante, che dà senso e realtà a tutto il resto, della lotta che l’Islam è tenuto oggigiorno più che mai a combattere contro i nemici della fede, contro la loro velleitaria ripulsa della sua guida e del suo insegnamento, lotta che è intimamente connessa, e non esclude, e non è esclusa, anzi comporta, essendone a sua volta conseguenza, quella che l’uomo è tenuto a combattere contro sé stesso, sulla via che mena alla sua perfezione ultima, alla prossimità divina.
“E lasciate il sembiante del peccato ed il suo interno” (Sacro Corano, VI, 120)
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