Le fonti dell’eredità intellettuale dell’Imam ‘Alī’*
Reza Shah-Kazemi
Una dei motivi del perché gli studiosi occidentali abbiano scritto così poco sul contenuto intellettuale dell’eredità di ‘Ali b. Abī Ṭālib è la controversa questione dell’autenticità dell’esteso corpus degli insegnamenti a lui attribuiti nella tradizione islamica.
Prima di entrare nelle nostre personali riflessioni sugli insegnamenti spirituali presenti in questo corpus, quindi, sarà bene iniziare questo libro dando un breve sguardo alla controversia.
La controversia è incentrata in larga parte sullo status del Nahj al-balāgha (1), il principale testo contenente sermoni, lettere e detti dell’Imam. Questa opera sarà la più importante delle fonti primarie alle quali si fa riferimento nei saggi che compongono il presente libro. Il Nahj venne compilato da al-Sharīf al-Raḍī (m. 406/1016), un rinomato sapiente sciita della Baghdad Abbaside (2). Egli compilò il testo facendo riferimento a tutte le fonti a lui accessibili, percorrendo spesso grandi distanze alla ricerca di materiale attribuito all’Imam ‘Ali. Egli raccolse qualunque cosa potesse trovare sotto forma di sermoni citati, lettere, testamenti, sentenze e aforismi, selezionando per il Nahj quelli che egli ritenne i più importanti in termini letterari. Il risultato è una ‘raffazzonatura’, senza un chiaro ordine, né cronologico né tematico. Alcuni sermoni sono chiari frammenti di lunghi discorsi che sono andati perduti, ma che sono inclusi comunque nella raccolta. Ma, come attestato da tutte le grandi autorità nella letteratura araba (3), lo stile rimane sempre lo stesso. Un’eleganza insormontabile unita alla profondità di significato rende questo testo un modello genuino di balagha (eloquenza) araba attraverso le differenti epoche fino ad oggi.
Nelle parole del probabilmente più importante di tutti i commentatori del Nahj al-balāgha, Ibn Abi’l-Hadīd (m. 655/1257 o 656/1258), l’espressione dell’Imam viene ritenuta come “inferiore alla parola del Creatore ma superiore a quella delle creature” (dūna kalām al-khāliq wa fawqa kalām al-makhlūqīn) (4).
Le intenzioni di al-Raḍī nel raccogliere questa opera erano letterarie, etiche e spirituali; egli non le ha intese come una raccolta di insegnamenti all’interno delle discipline legali e formali di giurisprudenza e ahadith. Quindi egli non fornì gli isnad, vale a dire le liste dettagliate dei nomi dei trasmettitori dei detti e sermoni, né citò i nomi delle fonti utilizzate, poiché l’obiettivo principale di al-Raḍī era edificare e ispirare, non corroborare e autenticare. Per oltre due secoli dopo la sua compilazione, l’autenticità del Nahj al-balagha, come testo che raccoglie i sermoni, le lettere e i detti dell’Imam ‘Ali, non venne messa in questione. Quindi molte delle fonti da cui al-Radi attinge erano sufficientemente ben conosciute che l’assenza delle catene di trasmissione nel Nahj non inficiò seriamente la sua credibilità (5). Comunque, con la graduale perdita o scomparsa di molte di queste fonti, tale mancanza nell’‘apparato tecnico’ dell’opera divenne la base per mettere in dubbio l’autenticità della sua attribuzione ad ‘Ali. Fu il biografo Ibn Khallikān (m. 681/1283) che per primo mise in dubbio l’autenticità del testo, affermando, tra le altre cose, che era probabilmente lo stesso al- Raḍī, o suo fratello, al-Murtada, l’autore reale (6).
Una delle accuse mosse al riguardo era che i sermoni erano troppo raffinati, la prosa ritmica troppo precisa, per esser stati tenuti ex tempore, come venne detto. Ma la capacità di ‘Ali di parlare spontaneamente in prosa ritmica (saj) è corroborata, tra le altre cose, dalla seguente narrazione, tanto più convincente per esser stata proferita da un noto nemico degli ‘Alidi. Dopo la tragedia di Karbala (61/680), dove Husayn b. ‘Ali e settantadue dei suoi stretti parenti e compagni vennero massacrati, Zaynab, la sorella di Husayn, tenne un fiero sermone di sfida e protesta alla corte di Kufa, davanti al governatore ‘Ubayd Allah b. Ziyad. Sebbene egli fosse l’oggetto del suo attacco, in quanto uno dei principali responsabili del massacro, Ibn Ziyad non poté astenersi dall’ammirare la potenza e maestria della sua oratoria. Suo malgrado, egli lodò il suo discorso e disse: “Ella parla in prosa ritmica, come suo padre faceva prima di lei” (7). L’abilità dell’Imam ‘Ali a parlare spontaneamente in saj era quindi ben conosciuta, e questo modo di parlare rendeva facile per tutti i suoi ascoltatori memorizzare anche lunghi sermoni.
Nel corso dei secoli, i sapienti sciiti hanno assiduamente respinto le accuse mosse contro l’autenticità del Nahj, e nelle recenti decadi una grande mole di lavoro accademico è stato dedicato a dimostrare, primo, che il materiale che costituisce il testo non può essere il lavoro di al-Raḍī – la stragrande maggioranza di questo materiale essendo rintracciabile nelle fonti che lo hanno preceduto – e secondo, che la maggior parte del materiale può davvero essere attribuita, attraverso trasmettitori affidabili, all’Imam stesso, anche se non tutti i detti raggiungono il più alto livello nella scala dell’autenticità degli ahadith, quella di mutawatir (ovvero un detto che è trasmesso attraverso così tante catene costituite da narratori affidabili che la sua autenticità non può essere messa seriamente in dubbio). Nel recente studio che è stato dedicato al rovistare le fonti di tutti i sermoni, lettere e aforismi, due opere in particolare devono essere menzionate: Maṣādir Nahj al-balāgha wa asānīduh (Le fonti del Nahj al-balagha e i suoi isnad), di ‘Abd al-Zahrā al-Husaynī al-Khaṭīb (Beirut, 1988), e Madārik Nahj al-balāgha (Fonti documentate del Nahj al-balāgha), di ‘Abd Allāh Ni’ma (Beirut, 1972), opere che dimostrano entrambe l’immenso tesoro di fonti dal quale al-Sharīf al-Raḍī attinge per il Nahj, e rifiutano efficacemente l’accusa che egli ne fosse il vero autore (8).
Riassumendo la sua considerevole ricerca su questo argomento, Moktar Djebli afferma, nel suo articolo sul Nahj al-balāgha in Encyclopedia of Islam (seconda edizione):
“E’ innegabile…che un’ampia porzione del Nahdj (sic) può essere davvero attribuita ad ‘Ali, specialmente alcuni passaggi panegirici e storici, sebbene sia difficile accertare l’autenticità delle sezioni più apocrife…Comunque, è stato possibile identificare un considerevole numero di passaggi, accompagnati da isnad completi, risalenti al tempo di ‘Ali. Questi testi sono stati riportati da antichi sapienti di fama quali al-Tabari, al-Mas’udi, al-Jahid e molti altri.” (9)
L’altra fonte principale in questo lavoro è il “Ghurar al-ḥikam wa durar al-kalim” (Preziosi aforismi e perle discorsive) (10), una notevole raccolta di brevi, concisi detti ascritti all’Imam.
Il compilatore, ‘Abd al-Wāḥid Āmidī (m. 510/1116), è riportato essere uno studente del grande sufi Aḥmad al-Ghazālī — fratello del più famoso Abū Ḥāmid al-Ghazālī — ed uno degli insegnanti di Ibn Shahrāshūb (m. 588/1192), autore dell’importante testo biografico sugli Imam sciiti “Manāqib āl Abī Ṭālib”; egli è quindi considerato un’importante autorità nei circoli sapienziali sciiti (11). Il testo – il più antico manoscritto del quale risale al 517/1123 – consiste di oltre diecimila brevi detti dell’Imam, raccolti da una varietà di fonti, incluso lo stesso Nahj al-balagha; il “Mi’a kalima” (Cento detti) dell’Imam, compilato dal più eminente litterateur arabo dell’epoca, Jahiz (m. 255/869) (12); il “Tuḥaf al-‘uqūl” (I doni graziosi degli intelletti) di Ibn Shu’ba; e il “Dustūr maʿālim al-ḥikam” (Costituzione delle caratteristiche degli aforismi) del giurista shafi’ta al-Qāḍī Abū ‘Abd Allāh al-Quḍā’ī (m. 454/1062). Abbiamo fatto occasionalmente riferimento anche a raccolte classiche di ahadith della Shi’a come “al-Uṣūl min al-kāfī” di al-Kulaynī e “al-Tawḥīd” di Ibn Bābawayh al-Ṣadūq (13).
Qualunque status possa essere attribuito a questi detti, possiamo prendere la seguente massima dell’Imam come la chiave per entrare all’interno del suo messaggio essenziale, che è completamente indipendente dall’identità dell’autore: “Non considerare chi lo dice, ma guarda piuttosto ciò che viene detto” (14). Per ogni imparziale osservatore e non soltanto per il ricercatore spirituale, il contenuto profondo e l’influenza pervasiva dei detti da soli ‘provano’ la loro importanza, e sono quindi da prendere seriamente, qualunque sia il livello dell’autenticità storica ad essi attribuito. Il fatto che questi insegnamenti siano così significativi per un’intera tradizione spirituale significa che non possono essere valutati solamente sulla base della loro documentata storicità. Per coloro che cercano il significato nella tradizione, la profondità spirituale è chiaramente criterio di gran lunga più importante dell’esattezza storica. Il seguente scambio tra ‘Allamah Tabataba’i e Henry Corbin mette ben in evidenza questo punto:
“Un giorno negli anni ’60 Corbin chiese ad Allamah Tabataba’i la seguente domanda: ‘Come autorità eminente nella filosofia sciita e nel pensiero religioso, quale argomento fornisce per provare che il Nahj al-balagha fosse del primo Imam, ‘Ali?’ Il venerabile maestro di filosofia islamica rispose: ‘Per noi la persona che ha scritto il Nahj al-balagha è ‘Ali, anche se fosse vissuto un secolo fa.’ (15).
Anche all’interno di una prospettiva accademica, il ruolo e l’impatto dei detti ed insegnamenti dell’Imam non possono essere ignorati. Piuttosto, ad essi sarà accordato un particolare significato nella misura in cui l’erudito assume un’imparziale, fenomenologico punto di vista, vale a dire un punto di vista che prenda sul serio gli elementi di una data tradizione religiosa che ha, in realtà, configurato le matrici all’interno delle quali avvengono la ricerca per il significato e l’illuminazione. Questo è il punto di vista sostenuto da Henry Corbin, alla cui penetrazione e delucidazione delle profonde dimensioni del pensiero islamico tutti i sapienti e ricercatori, allo stesso modo, nutrono un incalcolabile debito di gratitudine. Rivolgendosi specificatamente alla questione della provenienza del Nahj, egli scrive quanto segue, che rivela chiaramente l’influenza della risposta datagli da Allamah Tabataba’i: “Per comprenderne il contenuto il metodo più sicuro è quello di intenderlo fenomenologicamente, e cioè nel modo in cui si è inteso proporlo: chiunque sia colui che scrive, è pur sempre l’Imam che parla. Donde la sua influenza.” (16). Questa attitudine verso il Nahl al-balagha esprime bene l’applicazione dell’approccio generale di Corbin alle fonti della tradizione intellettuale islamica. Questi testi devono essere letti in profondità, bisogna andare dalla lettera allo spirito, dalla forma all’essenza; e si può fare ciò effettivamente solo meditando sulle espressioni profonde della spiritualità all’interno di queste fonti, piuttosto che limitare la propria ricerca al contesto storico dei testi.
Ripetiamo: “Non considerare chi lo dice, guarda piuttosto quello che viene detto.” L’enfasi è qui riposta sul significato, e il significato ha priorità su colui che parla; colui che parla sta per l’intera gamma dei fatti storici che generano un ‘testo’. Individuare semplicemente un testo nella storia – chi scrive questo, quando e con quale obiettivo – non è la stessa cosa di spiegare o assimilare il suo significato. Questo non è negare l’importanza della storia; è, piuttosto, negare che la verità universale, o saggezza spirituale, può essere sostanzialmente determinata da qualcosa così contingente come la storia. Le forme della loro espressione possono cambiare ma le verità di questo profondo tipo appartengono a ciò che vi è di più sublime e immutabile nello spirito umano, sono universali e costanti nel ricordo e nella giustizia umana. Verità che possono cambiare da generazione a generazione possono difficilmente essere chiamate verità; non si può dire che esse tocchino quello che rende lo spirito umano ciò che è (17).
Uno dei contributi più significativi di Corbin alla comprensione dei testi islamici in generale risiede nella sua capacità di rendere questa tradizione allo stesso tempo accessibile e stimolante. Attraverso le sue meditazioni e interpretazioni creative, egli rende le verità di questa tradizione visibili attraverso i veli del tempo e spazio. Anche se non è sempre possibile condividere le sue interpretazioni, egli riesce meravigliosamente a galvanizzare la nostra consapevolezza della fecondità dei testi che egli interpreta. Per quanto riguarda la tradizione sciita, egli riesce a dimostrare che i testi che costituiscono il cuore di questa tradizione, lontano dal costituire un ‘registro di opinioni conformiste’ (18), sono ‘lo specchio nel quale la coscienza sciita rivela le proprie aspirazioni’ (19).
Il punto di vista adottato in questo libro, comunque, non è ristretto alla specifica consapevolezza sciita. Nonostante il fatto che il Nahj al-balagha è ritenuto uno dei testi fondamentali dell’Islam Sciita dopo il Corano ed i detti del Profeta, non deve esser visto esclusivamente come un ‘testo sciita’ (20). E’ semplicemente il caso, storicamente, a rendere il Nahl principalmente influente e determinante nella tradizione sciita, ma il suo ruolo è stato di significato immenso anche nella tradizione sunnita, come speriamo di mostrare in quello che segue. L’intero corpus dei detti dell’Imam può – e, noi crediamo, deve – esser visto da un punto proficuo più universale. Piuttosto che limitarsi al suo ruolo nella tradizione sciita, è più fruttuoso riflettere su questo corpus, puramente e semplicemente, come una fonte di saggezza, che è per sua stessa natura senza confini.
Per rendere chiara la posizione dell’autore dall’inizio: l’obiettivo di questi saggi è quello di riflettere sui detti dell’Imam come un osservatore obiettivo, ma dall’interno, vale a dire considerando i principi spirituali della fede islamica. Viene qui compiuto un tentativo di valutare i detti dell’Imam (21), come insegnamenti quintessenzialmente islamici e universali, trascendendo i confini che definiscono le differenti tradizioni religiose. Non vi è contraddizione qui, poiché ciò che è più essenziale del messaggio spirituale dell’Islam possiede, per lo meno, certe ‘somiglianze familiari’ con i messaggi spirituali di altre fedi; e al livello più alto, questo messaggio è identico, qualunque sia la forma religiosa nella quale esso è coperto: “Non inviammo prima di te nessun messaggero senza rivelargli: ‘Non c’è altro dio che Me. AdorateMi!’” (21: 25). E’ a causa di questa identità essenziale delle religioni rivelate che i musulmani non solo devono credere in ‘Dio, nei Suoi Angeli, nei Suoi Libri e nei Suoi Messaggeri’, ma affermare anche che ‘non facciamo differenza alcuna tra i Suoi Messaggeri’. (2: 285) (22).
Anche se i detti dell’Imam presuppongono così frequentemente la conoscenza delle fonti specifiche della rivelazione islamica, vale a dire il Corano e la Sunna del Profeta, uno dei aspetti più considerevoli della prospettiva dell’Imam è la modalità in cui il contenuto etico e spirituale universale di queste fonti viene messo in luce. La nostra enfasi sull’universalità del messaggio dell’Imam non implica l’assenza di caratteristiche altamente specifiche; si intende semplicemente affermare che l’essenza del messaggio non è ridotta ad alcuna delle particolarità appartenenti alle successive scuole di pensiero teologiche o giuridiche. E’ precisamente nell’aspetto intellettuale, etico e spirituale di questo messaggio che l’essenza è rintracciabile; è in questi domini, piuttosto che in quelli della legge e della teologia, che il discorso islamico è più universale e intellegibile a coloro che appartengono alle differenti tradizioni religiose.
Seguendo l’avviso fornito sopra – considerare quello che viene detto e non chi lo dice – uno deve focalizzarsi sugli insegnamenti di ‘Ali non perché egli era ‘il primo Imam’ o il ‘quarto dei califfi ben guidati’, ma per il loro valore intrinseco, la loro profondità intellettuale e fecondità spirituale. Questo non significa negare l’importanza di ‘Ali come guida; significa piuttosto apprezzare che era grazie alla sua saggezza che egli era una grande guida, o una delle ‘vere’ guide, come egli descrive sé stesso, uno degli a’immat al-ḥaqq (23), questo in opposizione all’affermazione che egli doveva essere saggio perché egli era una guida. Egli era una guida spirituale a prescindere dal suo ruolo politico, e in un senso profondo, rimane una guida ora, parlando con irresistibile potenza attraverso i secoli in un linguaggio atemporale a tutti coloro ‘che hanno orecchie per ascoltare’.
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NOTE
1) In questo lavoro faremo riferimento principalmente alla prima edizione critica del testo del Nahj al-balāgha, che è stata pubblicata dalla “Nahj al-balāgha Foundation” a Teheran (edita da Shaykh ‘Azīzullāh al-‘Utārdī) nel 1993. Tutte le traduzioni del testo arabo (incluse le appendici) saranno del presente scrittore, salvo altro avviso, e saranno riferite d’ora in poi come Nahj. Per poter fornire al lettore il contesto per tutte le citazioni, faremo riferimento anche alla migliore traduzione integrale del testo disponibile in inglese, quella di Sayed Ali Reza, Peak of Eloquence (New York, 1996) a cui ci riferiremo come Peak.
2) Il padre di Al-Radī era il pronipote dell’Imam Mūsā al-Kāzim, figlio dell’Imam Ja’far al-Ṣādiq; e sua madre era la pronipote dell’Imam ‘Alī Zayn al-‘Ābidīn, figlio di Ḥusayn b. ‘Alī b. Abī Ṭālib. Suo fratello maggiore era il famoso teologo, al-Sayyid al-Murtaḍā; entrambi i fratelli erano studenti del più rispettato e influente sapiente sciita dell’epoca, al-Shaykh al-Mufīd (m. 413/1022).
3) Per una valutazione dell’influenza dell’Imam ‘Alī’ in questo campo, cfr. Sayyid Muḥammad Rāstgū, ‘Faṣāḥat wa balāghat-i Imām ‘Alī’, in ‘Alī-Akbar Rashād, ed. Dānish-nāmah-i Imām ‘Alī (Tehran, 2001), vol.11, pp.11–76, che include una serie di detti delle più eminenti figure della letteratura araba, quali Jāḥiẓ (m. 254/868) e Ibn Nubāta (m. 374/984–5), sull’insuperabile grandezza di ‘Alī rispetto alla retorica ed all’eloquenza; e l’introduzione di Muḥammad ‘Abduh, ripubblicata a Beirut, edizione del 1996 del Nahj al-balāgha, pp.67–74. Cfr. Anche Muḥammad al-Rayshahrī, ed., Mawsū’at al-Imām ‘Alī ibn Abī Ṭālib fi’l-kitāb wa’l-sunna wa’l-ta’rīkh (Qom, 1421/2000), vol. 9, pp.5–102, per una selezione di poesie, scritte da poeti di ogni secolo dall’inizio dell’era islamica alla presente, che esaltano l’Imam ‘Alī e testimoniano la sua influenza su di essi; e vol.10, pp.261–289, per le prime fonti che fanno riferimento al suo ruolo attivo nella letteratura araba, includendo la fondazione di discipline come la grammatica.
4) Sharḥ Nahj al-balāgha li-Ibn Abi’l-Ḥadīd (Beirut, 1965), vol.1, p.24.
5) Cfr. Abu’l-Faḍl Ḥāfiẓiyān Bābulī, ‘Nahj al-balāgha’, in A.A. Rashād, ed., Dānish-nāmah, vol.12, pp.22–23.
6) Ibid., p.15.
7) Citato da Ja’far Shahīdī su p. yā’ ṭā’ dell’introduzione alla sua traduzione persiana del Nahj al-balāgha (Teheran, 1378 Sh/1999).
8) ‘Abd al-Zahrā’ al-Ḥusaynī al-Khaṭīb, Maṣādir Nahj al-balāgha wa asānīduh (Beirut, 1988); ‘Abd Allāh Ni’ma, Madārik Nahj al-balāgha (Beirut,1972).
9) Moktar Djebli, ‘Nahdj al-Balāgha’, EI2, vol.7, p.904. Cfr. anche Moktar Djebli, ‘Encore a propos de l’authenticité du Nahj al-balāgha!’ Studia Islamica, 75, 1992, pp. 33–56
10) ‘Abd al-Wāḥid Āmidī, Ghurar al-ḥikam wa durar al-kalim, 2 vol., presente insieme alla traduzione persiana, sotto il titolo Guftār-i Amīr al-mu’minīnʿAlī, di Sayyid Ḥusayn Shaykhul-Islāmī (Qom, 2000). Faremo occasionalmente riferimento anche all’edizione in un unico volume di Ghurar al-ḥikam wa durar al-kalim (Qom, 2001), che appare con la traduzione persiana di Muḥammad ‘Alī Anṣārī. Ogniqualvolta vengono presentati riferimenti alla prima, appariranno come Ghurar, seguita dal numero del volume; i riferimenti all’altra edizione appariranno come Ghurar (Anṣārī).
11) Cfr. Nāṣir al-Din Anṣārī Qummī, ‘Ghurar al-ḥikam wa durar al-kalim’, in A.A. Rashād ed., Dānish-nāmah, vol.12, p.246.
12) E’ stato detto che Jāḥiẓ abbia rivelato l’esistenza di questa raccolta soltanto al suo discepolo, Aḥmad b. Abī Ṭāhir, quando egli era vicino alla morte. Questi riporta che Jāḥiẓ gli disse in varie occasioni che esistevano cento detti di ‘Alī, ognuno dei quali equivale a mille detti dei sapienti della letteratura araba. Cfr. ‘Alī Ṣadrā’ī Khu’ī, ‘Mi’a kalima’, in A.A. Rashād, ed., Dānish-nāmah, vol.12, p.472. La frase che apre questa raccolta è la famosa sentenza: ‘Se il velo fosse rimosso, non aumenterebbe la mia certezza’ (law kushifa’l-ghiṭā’, mā azdadtu yaqīnan).’
13) Muḥammad b. Ya’qūb al-Kulaynī, al-Uṣūl min al-Kāfī (Tehran, 1418/1997–8); Abū Ja’far Muḥammad b. ‘Alī b. Bābawayh al-Ṣadūq, al-Tawḥīd (Beirut, 1967).
14) Lā tanẓur ilā man qāla, wa’nẓur ilā mā qāla. Ghurar, vol.2, p.1222, n.68.
15) Questo racconto è stato fornito da Seyyed Hossein Nasr nel suo ‘Reply to Zailan Moris’, in The Philosophy of Seyyed Hossein Nasr, The Library of Living Philosophers, vol. 28, ed. L.E. Hahn, R.E. Auxier, L.W. Stone Jnr. (Carbondale, IL, 2001), p.635. E’ degno di nota che Nasr inizi il saggio di apertura di questo importante lavoro, ‘An Intellectual Autobiography’, con un riferimento all’Imam ‘Alī come il ‘rappresentante par excellence dell’esoterismo e della metafisica islamica’. Ibid., p.3.
16) Henry Corbin, Storia della filosofia islamica, Adelphi, p.50.
17) ‘Non vi è nulla di nuovo sotto il sole.’ Ecclesiastes, 1: 9.
18) Per Corbin ‘… una Tradizione trasmette sé stessa come qualcosa di vivo, poiché essa è un’ispirazione rinnovata incessantemente, e non un corteo funebre o il registro di opinioni conformi. La vita e la morte delle cose spirituali sono nostra responsabilità; esse non sono consegnate “al passato” se non attraverso le nostre omissioni, il nostro rifiuto delle metamorfosi che esse richiedono, se queste cose spirituali devono essere conservate per noi “al presente”.’ En Islam iranien (Paris, 1971), vol.1, p. 33. Cfr il nostro saggio ‘Tradition as Spiritual Function’, Sacred Web, n.7, 2001, pp.37–58, per un’elaborazione su questo aspetto del significato di tradizione. [in italiano, H.Corbin “Nell’Islam iranico. Aspetti spirituali e filosofici”, Mimesis, 2012]
19) H. Corbin, Storia della filosofia islamica, p. 36.
20) Questo è dimostrato, a parte altre cose, dal fatto che il più importante commentario sul testo – sia nelle tradizioni sciite e sunnite – è certamente quello del sunnita mutazilita Ibn Abi’l-Ḥadīd, al quale abbiamo fatto riferimento sopra. Questo non vuol dire negare che vari detti – in particolar modo nel Sermone n. 3, conosciuto come al-Shiqshiqiyya — sostengono il punto di vista sciita sulla successione al Profeta. Il punto è che il testo non deve esser visto attraverso il prisma della controversia storica e della contestazione politica se la preoccupazione principale attiene il suo messaggio spirituale.
21) Se nella presente opera ci riferiamo ad ‘Alī come ‘l’Imam’ lo facciamo nel senso più generale del termine, quello di ‘guida’, che non esclude la concezione specificamente sciita di questo suo ruolo come primo Imam, né la implica necessariamente.
22) Cfr. Il nostro “The Other in the Light of the One: The Universality of the Qur’ān and Interfaith Dialogue” (Cambridge, 2006), per una discussione su questo e temi annessi, basata principalmente su esegesi gnostiche del Corano.
23) Queste ‘vere guide’ sono descritte come quelle il cui sostentamento non deve essere maggiore di quello di cui usufruisce il più povero fra i loro sottoposti, come vedremo in seguito. Nahj, p. 244.
* Tratto da: R.S. Kazemi “Justice and remembrance. Introducing the Spirituality of Imam ‘Ali”, I.B. Tauris & Co Ltd.
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