Islam e libertà (R. Arcadi)

Islam e Libertà

R. Arcadi

La libertà è una delle aspirazioni fondamentali ed imprescindibili della natura umana. Così come l’uomo non può non volere, per sé almeno, quello ch’egli considera il bene, così del pari egli aspira ad essere libero. Di modo che possiamo ben dire che la libertà, intimamente connessa al bene, non ne è che un aspetto, il riguardo condizionale, che tiene conto delle sue relazioni estrinseche, proiettandolo così all’esterno, onde c’è lecito d’affermare, che essa ha il bene come suo contenuto, e che a questa stregua lo definisce.

È questo il primo punto fermo di questa nostra breve disamina: si tratta d’alcunché di palese e di scontato, d’imprescindibile e d’inequivocabile: la libertà ha, e deve avere in ogni caso, un suo contenuto, quale che sia, che la definisca e la qualifichi, non potendo in nessun modo ridursi, se non velleitariamente, a qualcosa di meramente negativo e formale, ad un atto dal contenuto indifferente, o ad una mera negazione di vincoli esterni. E questa sua qualificazione dà ragione della sua verità e realtà, nel senso che, così come potrà darsi un falso bene, o meglio, più falsi beni, in ragione dell’inconsistenza, transitorietà, e manchevolezza del loro contenuto esistenziale, del pari potrà darsi una libertà illusoria e fallace, a dispetto del suo sembiante specioso, che non conduca a nessun bene reale e durevole.

Il Sacro Corano ce lo rammenta più volte, con reiterata insistenza, parlandoci della via dei “perdenti”, e di quella che conduce invece alla prosperità ed al successo, senza limitazioni di tempo, luogo e condizione, in questo mondo e nell’altro. È evidente come in tutti questi casi si definisca una via al bene, e come questa via al bene sia concretamente circoscritta in virtù di condizioni, di relazioni estrinseche, che ne definiscono il contenuto positivo: una via siffatta non potrà pertanto giammai ridursi ad una mera indifferenza o formalità, ma bensì consisterà d’una serie concreta d’atti perfettivi della compagine esistenziale umana, quali ci vengono decretati dalla Legge Rivelata. E la Legge Rivelata è di per sé la via del bene, e ad extra, la via della libertà.

Il suo fine precipuo viene definito dal Sacro Corano nel suo duplice aspetto di servitù divina (in arabo, ºibādaħ), termine che viene di solito tradotto ed inteso, impropriamente quanto al significato letterale, ma propriamente quanto al suo senso profondo, come “adorazione”; e di appagamento, compiacimento divino (in arabo riďwānu-l-Lāh), termini entrambi in esso ricorrenti. È evidente come questo duplice fine, lungi dal costituire una duplice realtà, sia invece il duplice aspetto d’una stessa realtà, intesa come forma attuativa esemplare, nella sua definizione e circoscrizione ad extra, e nel contenuto intrinseco ch’essa definisce: Iddio Altissimo non ha creato gli esseri dotati d’intelletto, vale a dire gli uomini ed i jinn, le creature intelligenti del mondo corporeo e del mondo immaginale (se consideriamo quelle che sono sulla via del conseguimento, e non quelle che sono giunte ab origine alla meta, cioè gli angeli), se non perché Lo adorassero (Sacro Corano, LI, 56), ovvero acciocché fossero Suoi servi, nel linguaggio coranico, affinché nel Suo Cospetto s’umiliassero e s’annichilissero, annichilimento ed umiliazione che hanno come proprio risultato appunto la soddisfazione divina.

Gli atti d’adorazione e servitù definiscono pertanto, a questa medesima stregua, un contenuto siffatto, che rimane nondimeno pur sempre negativo, dal punto di vista non più delle relazioni estrinseche, ma bensì del soggetto esistenziale. Invero, l’uomo, quando segue questa via, tende ad annullarsi in Iddio Altissimo, Oggetto del suo unico amore vero e reale, avendo di mira, invece che sé stesso, il soddisfacimento dell’Amato, e sotto l’aspetto dell’ubbidienza ai Suoi ordini, e sotto quello della Sua Stessa Realtà, ch’egli riguarda così come l’Unica Vera Realtà, e l’Unico Vero Fine, senza nulla concedere a sé stesso. È questo il punto di vista della povertà spirituale, propria, nel linguaggio degli gnostici, alle Genti del Bisogno (in persiano, ahle niyāz), che nulla hanno da sé, e dell’annullamento in Iddio Altissimo, ovvero, sempre nella lingua della gnosi, del fanā’ (in arabo, estinzione), e del maqw (in arabo, cancellazione, evanescenza), di chi nulla si considera di per sé, se non come un’onda transeunte del Suo Oceano Infinito, un raggio inconsistente della Sua Luce Sublime.

Tutto questo, dobbiamo rilevarlo, ha la sua conseguenza nella concretizzazione della libertà nel sopra menzionato significato negativo. Si tratta della libertà dalle condizioni limitative di questo nostro basso mondo, dai suoi vincoli e dalle sue servitù, affatto incompatibili, di per sé, e nella loro indifferenza, con la servitù divina dell’adorazione e dell’annichilazione in Lui. Si tratta della libertà quanto alle condizioni limitative dell’esistenza umana, che la menomano, dandole un contenuto manchevole e limitato, esclusivamente empirico e transitorio. Questo avviene, laddove essa libertà non abbia a darsi altro ambito d’effettuazione che questo nostro basso mondo.

Una libertà che sia definita da un tale contenuto, si riduce in definitiva a non altro che a schiavitù mondana, ad accettazione dei vincoli della limitazione materiale, in genere con una più o meno ampia facoltà ed indifferenza di scelta, che non avrà altro limite, quando l’abbia, che la garanzia della sussistenza empirica, di fatto, e non di diritto, della sua compagine collettiva. È questa la libertà che ha per suo sfondo e scaturigine il mero atto, vuoto e puramente formale, dell’ “io voglio”, corrispettivo all’ “io penso” di cartesiana e kantiana memoria, atto affatto privo, nella sua indifferenza, di un qualche contenuto positivo.

È questa la libertà che si è attuata ed affermata nella liberaldemocrazia dell’Occidente modernista, del tutto priva di finalità superiori, a riprova della sua indole parodistica, della sua natura profonda, che ne fa la contraffazione d’una delle esigenze fondamentali della natura umana. Questa teoria e prassi distorta ed aberrante della libertà è stata sinora capace di dare scacco a tutte le false alternative agitantisi nel suo medesimo ambito effettuale ed ideologico, quali il comunismo ed il fascismo, a riprova del fatto ch’essa ha rappresentato, almeno sinora, l’esito estremo del suo tralignamento, di là dai suoi aggiustamenti e compromessi di fatto, dei quali essa va peraltro fiera, in quanto ne corroborerebbero e confermerebbero l’indole esclusivamente empirica ed effettuale, l’unica ch’essa è disposta ad accettare ed a riconoscere.

D’altra parte, i tentativi di sfuggire alle sue evidenti magagne astraendo e separando un preteso contenuto positivo della libertà, data l’inconsistenza ed assurdità d’una mera indifferenza e negazione, dalle sue condizioni e circostanze concrete e materiali, vanno pienamente d’accordo con le sue aspirazioni totalizzanti, dato che una pretesa siffatta, che definisce l’interiorismo proprio alle fallacie dello pseudospiritualismo modernista, di marca prettamente occidentale, di là dalle sue varie mascherate esotizzanti, s’accorda perfettamente, di fatto, e sovente anche nelle sue enunciazioni ideologiche, con gli assunti del liberalismo, che riconoscono nel mondo materiale l’unico valido contenuto della realtà, respingendo nell’indifferenza torbida e nebulosa d’un velleitario soggettivismo l’alternativa alle sue prevaricazioni ed ai suoi esiti aberranti.

Quello che volevamo sottolineare con tutto questo, ricollegandoci a quanto avevamo premesso a queste nostre succinte considerazioni, è che la libertà non s’esaurisce affatto nel suo aspetto negativo, come libertà “da”. Per non ridursi a mero sembiante illusorio, essa dovrà pur sempre avere una controparte positiva, niente affatto indifferente, che le consenta d’uscire dall’indifferentismo empirico della formalità priva di contenuto. Una libertà, quale quella propalata dall’interiorismo dello pseudospiritualità contemporanea, che sia meramente negativa, va pienamente d’accordo con tutte le pretese fuorvianti della libertà di cui è fautore il liberalismo, esclusivamente empirica e mondana. Essa sarebbe a questa stregua un assurdo puro e semplice, incapace di darsi una realtà sua propria.

In effetti, l’annullamento della condizione esistenziale di cui avevamo fatto poc’anzi menzione, ha per controparte che l’approfondisce, l’attua e la completa, la permanenza (in arabo, baqā’), vale a dire la realizzazione e perfezione esistenziale di là dalla transitorietà, così come l’evanescenza quanto alla visione gnostica, avrà come suo esito ulteriore la trasparenza (in arabo, şaĥw), che riguarda e contempla nelle forme create la luce dell’irradiazione divina, e le recupera in quanto tali, così come recupera la sussistenza del soggetto della servitù adorante, che viene così ad avere il suo modello esistenziale nel soggetto della missione profetica, nell’Inviato d’Iddio Altissimo, ch’Iddio benedica lui e la sua Famiglia (in arabo, RasūluHu, come si recita nella preghiera canonica, dopo d’averlo designato come Suo Servo, in arabo, ºabduHu), che si attua ad intra nell’Intimità Divina (in arabo, Wilāyaħ) propria alla funzione imamica, e nell’inviolabilità e purezza esistenziale ad essa sottesa (Maºşūmiyyaħ).

Questa permanenza e trasparenza, per avvalerci ancora del linguaggio degli gnostici, coinvolge l’intera esistenza creata. E non certo nell’indifferenza d’una passiva accettazione, ma piuttosto in quello d’una realizzazione perfettiva, che mira ad attuare ed a rendere palese nel mondo questa sua interiorità e natura luminosa, contro tutte le pretese passive e quietiste d’ogni insulso ed assurdo interiorismo e pseudospiritualismo modernista.

La compagine esistenziale mondana è soggetta a pulsioni centrifughe e regressive, perfettamente analoghe a quelle che l’anima passionale (an-nafsu-l-ammāraħ) esercita sull’individuo umano, facendolo propendere al male (S.C., XII, 53), entrambe radicate in quel fondo esistenziale comune, privo di qualificazioni perfettive, di per sé insussistente, ed in definitiva illusorio, ma pur sempre a suo modo reale in seno agli esistenti, in essi risolto e celato, che si concretizza in quell’estrema lontananza e regressione ontologica sul limitare infero dell’assoluta dissoluzione, corrispettivo all’Attributo Divino della Sua Santa Collera.

Contro questa tendenza repulsiva e dissolutiva, che lungi dal condurre alla completa annichilazione in un non essere assoluto che non ha luogo alcuno, conduce invece di nuovo alla Soglia della Stessa Presenza Divina sotto forma d’Ira e Punizione, a quel Nome d’Azione da Cui ne deriva la sostanza attuata come realtà infernale, ci è consentito, anzi ci è ingiunto d’adoperarci, di lottare, al fine di portare a compimento nel mondo esterno, così come nell’anima nostra, la trasparenza divina, il terso nitore della Sua luce, che si contrappongono alla pervicacia dell’errore, dell’illusione, della manchevolezza, che pur sempre da Lui procedono, per quello che hanno in sé di reale.

Ed è per questo che non soltanto ci è lecito, ma ci è ingiunto d’adoperarci e di combattere sulla via d’Iddio Altissimo in questo nostro basso mondo, di batterci per la sua rettificazione, che lo realizzi ad un livello superiore d’esistenza e perfezione, tale da dargli quel contenuto di bene, che è il contenuto positivo della libertà che in esso ci è dato d’attuare, di quella libertà che, lungi dal ridursi o alla supina accettazione dei suoi vincoli, o alla loro mera negazione, ha per controparte positiva e perfettiva, al nostro livello d’esistenza, l’attuazione dell’essere umano in un mondo formato secondo i canoni della Legge Divina, che ne definiscono la piena realtà e natura. Ed ogni sforzo in tal senso, come ci rammenta il Sacro Corano (II, 110, et c.), anche se non dovesse conseguire quaggiù il suo buon esito, sarà ricompensato come se l’avesse conseguito.

Al di fuori di tutto questo, non v’è che l’oppressione, che deriva dall’ingiustizia e dall’empietà, la prevaricazione e la violenza che derivano dalla trasgressione dei termini della natura creata, nei suoi vari aspetti, dall’azione distruttiva esercitata nei confronti della natura esteriore, ai guasti inferti al mondo umano, dove la dissociazione e la negazione spirituale hanno per controparte le peggiori abominazioni, nell’ambito sia collettivo, che individuale. Iddio Altissimo non accetterà nessuna scusa da chi era oppresso in questo mondo, e nulla fece per liberarsi dall’oppressione, traendo profitto dalla vastità della “Sua terra” (Sacro Corano, IV, 97), dalla possibilità che gli era stata data di trasumanarsi, dando attuazione alla sua realtà e natura anche nell’ambito della sua stessa esistenza mondana, a procedere dal suo itinerario d’ascesa alla prossimità divina, che tutti questi aspetti compendia ed attua nella sua realtà eminente ed esaustiva.

Tutto questo significa che l’Islam, la Legge Rivelata d’Iddio Altissimo, è anche lotta per la libertà, per la libertà vera, al di là di tutte le sue contraffazioni, e che esso, nel dominio collettivo, è l’unica realtà capace di guidare e di portare al successo finale quelle lotte di liberazione dei popoli oppressi e diseredati, di cui oggigiorno si fa tanto parlare, dando loro il loro autentico orizzonte, l’orizzonte trascendente dell’adorazione d’Iddio Altissimo e del conseguimento della Sua prossimità, l’orizzonte della Sua via, che tutto in sé include ed attua, nell’autentica pienezza della sua realtà, sia nel dominio umano, che in quello naturale, sia nel dominio individuale, che in quello collettivo.

“E che avete, perché non combattete sulla via d’Iddio e degli oppressi, uomini, e donne, e bambini, quelli che dicono, Signor nostro, facci uscire da questa città di gente empia, e dacci Tu una guida, e dacci Tu un ausilio?” (Sacro Corano; IV, 75).

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Writer : shervin | 0 Comments | Category : Attualità, politica e società , Il pensiero islamico

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