Introduzione agli Al-Mażāhiru-l-Ilayyaħ di Mollā Şadrā,
di Sayyid Moĥammad Ķāmeney (seconda parte)
R.Arcadi
Per la prima parte: leggi qui
Il fatto è che la sapienza ellenica nasce non nella madrepatria, ma piuttosto nelle colonie orientali dell’Asia Minore, nella Ionia, ed in quelle occidentali dell’Italia Meridionale e della Sicilia, nella Magna Grecia. Dov’è appunto da rilevarsi quel contatto da noi poc’anzi osservato con le civiltà antecedenti al disastro minoico, che gli erano sopravvissute, principalmente nel Vicino Oriente, per i rapporti con l’Egitto, la Caldea, l’India, ma soprattutto con l’Iran dei Magi.
Ed inoltre in Italia, forse con quelle propaggini peculiari alla terra di Saturno, la Saturnia Tellus virgiliana, donde avrebbero attinto gli immigrati ellenici. Con riferimento in particolare ai primi italici, aborigeni latini, enotri, ed itali, il cui rapporto con l’ondata dei secondi italici sarebbe simile a quello dei minoici con le successive ondate achea e dorica. Tanto che le considerazioni esposte dal Vico nel De Antiquissima Italorum Sapientia sarebbero ben atro che mere escogitazioni erudite attinte dallo studio del latino.
Dov’è da rilevarsi anche che l’orfismo, il culto di Zagreo, potrebbe essere, invece che d’origine tracica, vale a dire, settentrionale e barbarica, d’origine indigena e primordiale italica. Tant’è che lo stesso Platone metteva le sue dottrine più alte non in bocca a Socrate, ma a tre elleni d’Italia, a Timeo della Locri d’Occidente, per le dottrine sull’origine dell’universo nell’opera col medesimo nome, della cui patria egli fa menzione come della città “meglio governata in Italia”, potendo il superlativo inteso come assoluto o relativo; essendosi data con Zaleuco, prima tra le città elleniche, una legge scritta.
E ad uno “straniero d’Elea” nel Sofista, dove si tratta anche della dottrina dell’ente, e nel Politico, premessa alla trattazione esaustiva della Politeia, che include anche la trattazione dei circoli degli eventi umani ed universali; ed allo stesso Parmenide d’Elea, nell’opera dello stesso nome, dove si tratta dell’ente. Tanto che non sarebbe certo un caso il fatto che lo stesso Pitagora abbia scelto Crotone come centro del suo insegnamento, dopo i suoi viaggi in Oriente, fondandovi quella che sarebbe stata appunto detta “Scuola Italica”.
D’altra parte è assai importante osservare, com’è che il nostro autore sottolinei, come le dottrine dei cosiddetti “presocratici” siano tutt’altro che abbozzi pressoché informi del pensiero discorsivo e delle scienze successive, e del loro corso, nella fattispecie di quelle moderne; avendo un’indole prettamente significativa, vale a dire, essendo fondate sui segni; dove in quanto tali vanno interpretati gli elementi primordiali, a partire dall’acqua di Talete, non come mera corporeità, ma con tutti i significati trascendenti annessi, come appunto spiegano soprattutto Platone ed i vari sapienti musulmani.
L’interpretazione materiale sarà dovuta, come vedremo più oltre, alle tendenze prettamente naturali e premoderne di Aristotele. Fatto sta che, in tutta la parte di mondo al di qua dell’Indo, viene a svilupparsi in seguito, forse dovuta alle incomprensioni di una certa barbarie ellenica, quantunque non generalizzabile, della sapienza orientale originale, la ragione lasciata a sé stessa, il cosiddetto “razionalismo”; in primo luogo da parte della sofistica, dove peraltro il termine sofista, come tanti altri, ebbe all’origine un senso tutt’altro che negativo, com’è testimoniato dall’opera platonica dello stesso nome.
Il fatto è che la ragione, o il discorso argomentativo, facoltà peraltro sempre esistita, fin dall’origine, nella persona umana, finisce così con l’esteriorizzarsi, pretendendo velleitariamente di rendersi indipendente dalle facoltà umane superiori. La reazione socratica contro la sofistica sarà a questo punto fondamentale e provvidenziale. I sofisti armeggiavano con qualcosa che essi facevano finta, o pretendevano e s’illudevano di padroneggiare.
Sicché prendevano le mosse da principi sbagliati, o piuttosto, senza avere autentici principi, in una sorta di pluralità incoerente; ed inoltre con procedure affatto erronee e cavillose, donde pervenivano alle conclusioni più inverosimili, non tanto nel dominio della trascendenza, dove peraltro la cosa avrebbe un suo senso per la loro completa mancanza di comprensione, ma anche nella stessa effettualità mondana, che perdeva così ogni sua intelligibilità.
Sicché lo stesso oggetto dell’indagine diventava indifferente al loro modo di vedere, con una sconcertante similitudine con le procedure della moderna “scienza della comunicazione”, adoperata a piene mani nella propaganda contemporanea, non solamente commerciale, avente il fine di convincere, a prescindere dall’oggetto della convinzione. Della qual cosa gli effetti perniciosi e devastanti sono sotto tutti gli occhi di chi abbia ancora un grano di perspicacia.
Socrate reagiva in due modi a questi abusi: usando in primo luogo la ragione contro la ragione, ed in secondo luogo, ricollegandola ai suoi principi trascendenti. Per la qual cosa egli non è certo da biasimare, dato che altrimenti avrebbe lasciato il campo libero alle assurdità più disparate, sviluppando pertanto la ragione secondo i suoi principi autentici e legittimi. Tanto che egli è stato giustamente considerato dal nostro autore come un propagatore, seppure nascosto, del culto d’Iddio Uno, sia magnificato ed esaltato, essendo partecipe a suo modo dell’ispirazione secondaria di cui sopra, dell’”ilhām”.
Anche se egli dissimulava sempre la cosa per prudenza, in una sorta di “taqiyyaħ”, dissimulazione appunto, il che gli consentiva di continuare la sua opera formativa e riformativa, quantunque alla fine non gli evitò la condanna a morte. Il fatto che poi altri, dopo di lui, abbiano abusato e fatto scempio del suo modo di procedere, dando vita al razionalismo successivo, non è certo una colpa, ma è un fatto pressoché inevitabile nelle vicende umane.
Ed il fatto che, a dire di Gregorio Palamas, egli sarebbe stato posseduto da più demoni, potrebbe essere spiegato dalla secondarietà della sua ispirazione, che pure lasciava aperto il campo ad errori vari, fermi restando i principi fondamentali. La cosa peraltro, come dicevamo, non poté andare avanti più di tanto. Socrate finì col destare i sospetti dei suoi concittadini attirandosene varie accuse, ed alla fine, come dicevamo, la stessa condanna a morte.
Gli Ateniesi, i quali pure vantavano la propria “autoctonia”, ovverosia il fatto di essere aborigeni, non pervenuti d’altrove alle loro sedi, almeno a memoria umana, il che li ricollegava alla primordiale civiltà minoica, non erano stati capaci, seppure nella loro perspicacia e con le loro conoscenze, di opporsi al dilagare del culto di divinità svariate. Sicché condannarono Socrate come corruttore dei costumi pretesi prischi, che in realtà prischi non erano affatto.
Socrate ebbe inoltre il merito di lasciare dopo di sé alcuni discepoli che ne continuarono l’opera, tra i quali primeggia Aristocle, detto Platone. Il platonismo andrebbe in effetti detto socratismo, quantunque vada osservato com’è che Platone, non sappiamo per che via, a prescindere dall’ispirazione di cui sopra, per viaggi o contatti diretti, o per visione di documenti scritti, abbia avuto modo di accostarsi a quella sapienza originale della quale Socrate era stato partecipe, seppure con qualche limite, come egli stesso ebbe a confessare.
Questo a prescindere appunto da quella ispirazione secondaria, siccome già dicevamo, la quale non può vantare la perspicuità dell’ispirazione diretta, con la conseguente trasmissione personale che abbia a mediarla. Tutto questo, checché abbia a pensarne il positivismo documentale che trionfa oggigiorno nelle università, nella fattispecie quelle occidentali, a partire specialmente dal bubbone di quelle anglosassoni, autentico fomite di tralignamento.
Quello che il nostro autore afferma qui con decisione, è che la dottrina platonica, ben lungi dal costituire una mera consolazione sentimentale, come avvenne poi che venisse considerata dalle corti del cosiddetto “Rinascimento” in poi, con il suo corteggio di sogni vani, è strettamente collegata all’effettualità stessa dell’esistenza umana, con il suo ufficio attuativo, che è quello di fare pervenire l’uomo ai livelli di quella trascendenza, che costituiscono il suo fine, i gradi successivi del realizzarsi del suo stesso sé.
La città di Platone è tutt’altro che un sogno. Essa è una realtà, la cui stessa trascendenza, come sottolinea egli stesso nella Politeia, deve essere ed è eminentemente attuativa ed inclusiva delle identità ad essa subordinate, costituendo il punto di riferimento di ogni uomo che ambisca ad essere autenticamente e compiutamente tale, risalendo i livelli del suo essere, com’è testimoniato dall’ascesa del Nunzio divino ad Iddio Altissimo, sia magnificato ed esaltato.
Del che è oggigiorno testimonianza, questo è l’asserto a nostro avviso rimarchevole ed indiscutibile del nostro autore, la realtà di quella Rivoluzione Islamica Iraniana e di quella Repubblica Islamica, la quale, a dispetto delle varie difficoltà di percorso, dovute alla maggiore o minore ricettività del sostrato umano, non certo alla forma divina irradiativa di per sé, si oppone e reagisce al circolo regressivo delle vicende umane e mondane.
Evento questo che proietta il circolo suddetto verso il palesamento di quel Vicario divino, il Ben Guidato ed Atteso, che Iddio Altissimo voglia affrettarcene la gioia, che porrà termine a questa presente sequela delle vicende umane, restaurando la plenitudine della stessa esistenza mondana nel verso della sua identità trascendente, tanto da realizzarla al nostro medesimo livello d’effettualità, con lo stabilirne le condizioni conformi antecedenti e necessarie.
Platone ebbe a sua volta il merito di essere all’origine di tutta una corrente, e sapienziale, e di pensiero, non certo scevra dunque dal pensiero della ragione argomentativa, la quale si continuerà per vari secoli. Fatto sta che nella cerchia stessa dei suoi discepoli fa, durante la sua stessa vita, improvvisa irruzione il pensiero corrotto e soppiantatore di Aristotele. Ci permettiamo di non ritenere sia stata colpa di Platone, com’è invece l’opinione del nostro autore, d’avere consentito ad Aristotele di insinuarsi tra i suoi discepoli.
“Ogni Nunzio divino ha un suo Nemico”, recita il Sacro Corano, VI, 112, onde avviene che, nel corso della stessa esistenza terrena degli Inviati d’Iddio, si accostino loro quegli stessi che poi li tradiranno. Essendo questo un segreto avente le sue radici nella stessa indole esaustiva della loro missione, il che è applicabile, seppure ad un livello subordinato, allo stesso Platone, nei confronti appunto di Aristotele, come avvenne per Gesù, la pace su di lui, e Giuda, e per lo stesso Muhammad, benedica Iddio lui e la sua Famiglia immacolata.
Fatto sta, che ad un certo punto Aristotele farà mostra di rinnegare Platone, come Giuda tradì Gesù, e come taluni che erano dappresso a Muhammad, benedica Iddio lui e la sua Famiglia immacolata, tradirono lui rinnegandone la Progenie, di cui conculcarono i diritti. Ma non potrà farlo del tutto, per l’imprescindibilità della dottrina platonica. Essendo questa certo la ragione, per cui Guénon afferma che le differenze tra Platone ed Aristotele sono state pur sempre esagerate, sia pure osservando che nella sua opera sono contenuti segreti, che verranno decifrati solamente dall’Anticristo, l’Impostore dell’Islam.
Il fatto, è che Aristotele incomincia, essendo tra i primi in questo, a rivolgere la sua attenzione specialmente alla natura corporale, com’è esemplificato dal celebre affresco della Scuola d’Atene di Raffaello, in contrapposizione alla trascendenza platonica, o piuttosto diremmo, a quella sua completezza la quale coinvolge, a partire dalla trascendenza, anche lo stesso mondo corporale. Nulla che abbia a che vedere con il cosiddetto “naturalismo”.
Egli inoltre introduce una “logica” formale, avulsa dai suoi contenuti, di fatto senza nessun uso, fondata per di più sul principio di contraddizione, secondario e derivato, non primario, sul quale costruirà il suo “sillogismo”, nella fattispecie quello induttivo, procedendo il tutto dalla distinzione all’unità, e non dall’unità alla distinzione, com’è invece per il principio socratico e platonico dell’identità trascendente ed inclusiva, questo sì primario.
Laonde dapprima si separa, o si accetta la separazione, per poi unire, sicché l’unità sarà in questo modo sempre difettiva, compiuta che sia a suo modo. E sempre disgiunta dall’estrapolazione razionale, che darà luogo a tutte le più inverosimili escogitazioni spettrali, specialmente in questa nostra età. Errore dunque al quale corrisponde quello di avere estratto una formalità argomentativa, la cosiddetta “logica”, dalla concretezza del procedere discorsivo argomentativo, con un esito inverso rispetto a quello delle premesse naturalistiche.
Il tutto avendo peraltro pieno riscontro nel suo propendere alla corporeità, dato che, come afferma egli stesso nella sua Metafisica, l’inconsistenza astrattiva sarà una conseguenza della corporeità, in essa di fatto inclusa, vale a dire, “cum fondamento in re”, a prescindere poi dalla correttezza dell’assunto in se stesso, in senso diviso. La qual cosa sarà dipoi all’origine di tutti gli errori moderni e contemporanei, per non dire della cosiddetta “postmodernità”.
Vale a dire, sia quanto all’induzione, che generalizza indebitamente i particolari, sia più fondamentalmente quanto all’errore di assimilazione tra particolari, condannato dall’Imam Jafar, la pace su di lui, che ne è la radice, fondato sull’uso maldestro e preteso principiale del principio di contraddizione che, siccome appunto dicevamo, prima esclude, per poi mettere assieme gli esclusi, dalla molteplicità all’unità dunque, e non invece viceversa, come sarebbe corretto per via della priorità quanto all’essere di questa e di quella.
Donde scaturirà un’astrazione, che prende le mosse dalle particolarità individue giustapposte, senza avere in definitiva con esse legami, a parte tutte le sue pretese d’averli, onde esse abbiano invece a modellarvisi; dato che poi abbia a procedere di per sé, senza nessun riscontro che non sia meramente estrinseco, a dispetto dell’origine astrattiva e delle pretese coincidenze sperimentali, partecipi del medesimo errore di assimilazione ed induzione, com’è che avviene appunto nelle tanto millantate scienze moderne.
Astrazione che è assenza di separatezza sotto un riguardo meramente mentale, venendo quindi a contrapporsi alla trascendenza platonica, affatto reale, in greco lo “αυτο”, il “sé stesso”, malamente reso con “idea”, un termine poco o niente affatto usato da Platone; od al denudamento dalle condizioni limitative, in arabo “tajarrod”, il quale definisce nella sapienza platonica, così come in quella dell’Islam, i successivi livelli superiori dell’essere.
Con tutti gli errori conseguenti per quel che concerne la cosa pubblica, la “politica”, dove, invece di procedere e ritornare ad un principio, ci si dà a considerare in un modo meramente effettuale e sperimentale le varie forme di governo, affermando poi arbitrariamente, senza nessun fondamento, la superiorità degli Elleni sui cosiddetti “barbari”, a cui quelli tutto dovevano, dove il termine viene usato qui usato in senso spregiativo, non nel mero significato di “straniero”, com’era invece all’origine, senza giudizio di valore.
Rivalutando quindi, in questa prospettiva, la “democrazia”, ovverosia il preteso governo di tutto il popolo indistintamente, separandola arbitrariamente da quella “oclocrazia”, dominio della sua feccia, a cui essa va a ridursi in virtù del numero, della mera quantità; dimenticando che i Sovrani orientali erano, almeno in linea di principio, gli esatti equipollenti dei re ellenici sacrali delle origini, niente affatto oppressivi ed arbitrari, essendo essi sottomessi, a differenza dei meri Signori, o “Tiranni” ellenici, alle leggi prische e sacre.
Salvo poi volgersi ad Alessandro il Macedone, il più barbaro e violento tra tutti, ubriacone e crapulone, nemico giurato e sanguinario di Elleni ed Orientali. Dal quale prenderà poi le distanze allorquando questi, dopo l’incendio di Persepoli, con la distruzione dei documenti scritti sulla dottrina dei Magi, comincerà ad inclinare verso il superiore elemento persiano ed orientale, accettandone la supremazia morale, sapienziale, e giuridica, per quanto egli poteva esserne capace, come osserva giustamente il nostro autore.
Fatto sta che la corrente di pensiero aristotelica, incentrata nel Liceo si spegnerà presto, quasi subito dopo la morte del fondatore, mentre l’Accademia, che riuniva invece i seguaci di Platone, avrà ancora quasi nove secoli di vita, protraendosi fino al tempo di Giustiniano, che la chiuse definitivamente, onde i suoi ultimi membri si rifugiarono significativamente presso il re di Persia, poco tempo prima dell’avvento dell’Islam, che certo l’assorbì.
È da osservarsi qui come da un lato, avvalendoci sempre delle preziose osservazioni del nostro autore, l’Accademia sarà ravvivata dalla traduzione in lingua ellenica dei testi persiani sopravvissuti al rogo di Persepoli, trasferendosi quindi in Egitto, poi a Roma, con lo stesso Plotino, donde si diffonderà nel resto d’Europa, tanto che il primo pensatore ed uomo di conoscenza del Medioevo occidentale è Scoto Eriugena, platonico di stirpe celtica.
Nel mentre il pensiero di Aristotele, dopo alcuni secoli di oblio, verrà ravvivato dai pensatori musulmani, primi fra tutti Farabi, ed Abu Ali Sina, detto in Occidente Avicenna, che faranno tesoro dei suoi aspetti innegabilmente validi, per quanto legati ad un linguaggio “quidditativo”, vale a dire, astrattivo, e non esistenziale, come sarà poi invece per Molla Sadra. Ricostruendosi un Aristotelismo fittizio, nel quale l’iniziatore non si sarebbe più riconosciuto, come afferma giustamente ed acutamente il nostro autore.
Pensiero che, a nostro modesto avviso, anche se il nostro autore non ne fa cenno, sarà all’origine della stessa Scolastica in Europa, ultimo bagliore autentico del pensiero e della sapienza d’Occidente; peraltro solo esternamente aristotelica, ma con un cuore platonico ed orientale, date la sue origini suddette, prima del suo definitivo tralignamento, dovuta a varie cause umane ed ambientali, non ultima la sua commistione con la premodernità di Aristotele, che la renderà facile preda e vittima designata del dilagare di tutti gli orrori successivi.
In Oriente invece avveniva tutt’altro, proprio al tempo di questo medesimo crollo della Scolastica mercé del naturalismo rinascimentale, con le sue reazioni sovente sbagliate ad un aristotelismo del quale coglieva solamente gli aspetti negativi esterni, senza riuscire ad apprenderne il nucleo, a nostro avviso affatto platonico, com’è per Tommaso d’Aquino, Dante, e Scoto, giungendo quindi a liquidarlo in toto, avendo in ciò buon gioco, per le ragioni suddette.
Così com’è che la scienza moderna per parte sua, ridottosi il platonismo, nel suo rigore significativo, a mera sentimentalità immaginifica, riusciva ad avere alfine ragione degli ultimi elementi trascendenti involuti della scienza aristotelica. In Oriente invece, al tempo del compiersi di questo tracollo, Molla Sadra fu continuatore che fece tesoro dei precedenti di Sohravardi, d’Ibn Arabi, e dello stesso Avicenna, per esplicitare e portare ai fastigi la dottrina dell’essere.
Ed è qui da rilevarsi un’indole peculiare al pensiero musulmano, almeno nel suo nucleo più valido, che si ricollega a quanto avevamo già detto all’inizio. In contrapposizione con quelle che sarebbero state le elucubrazioni del pensiero occidentale, da Cartesio in poi, ma anche prima, si pensi a Giordano Bruno, il pensiero orientale si manterrà saldamente appigliato alla dimensione trascendente, all’“appiglio senza incrinature” del quale il Sacro Corano, II, 256.
E qui vogliamo prescindere da taluni traviamenti contemporanei, alla maniera d’imitazioni pedisseque del tralignamento occidentale, che lasciano il tempo che trovano, così come dai passati sviamenti ashariti e mutaziliti. Fatto sta che il pensiero valido procede dalla trascendenza in due maniere, o dall’attuarsi dalla visione diretta e presenziale, come espone Molla Sadra nell’introduzione agli Asfar oppure anche, in tempi di tralignamento generalizzato quali sono i nostri, mantenendo un suo orientamento trascendente.
Non certo nel verso della naturalità corporea, alla maniera di Aristotele e di Kant, o più in generale, in quello del fondo oscuro dell’esistenza, com’è per Hegel, e per il cosiddetto idealismo nel suo complesso, che in effetti idealismo non è nel senso platonico, nulla sapendone dell’Intelletto Primo, che sostituisce con un’estrapolazione indebita e degradante, che finisce con l’opporsi all’essere stesso; ma nel verso invece dell’essere puro, vale a dire, del culmine dell’esistenza, quale ebbe anche a definirlo la tarda scolastica con Suarez.
E nella fattispecie, quando questa via sia a portata di mano, senza che d’altra parte essa venga negata nell’altro caso, che è peraltro quello fondante, della Rivelazione divina, vale a dire, dei Testi Sacri e della tradizione in senso stretto, dei detti ad essi riconnessi; questo in primo luogo nella prospettiva musulmana, ed anche in quella cristiana, se si distingue tra le fonti primarie e quelle secondarie, quali gli Atti degli apostoli e le loro Lettere.
È questa fondamentale prospettiva trascendente, che contrassegnerà d’ora in poi, a dispetto della fine della Scolastica in Occidente, ultimo baluardo del suo pensiero tradizionale, il pensiero musulmano, nella fattispecie quello sciita duodecimano, distinguendolo dunque dalle vuote elucubrazioni razionaliste, o dall’inane sperimentalismo occidentale, così come da certe derive fideistiche del suo medesimo mondo, che lasciano entrambe il tempo che trovano.
Del che fa fede il nostro autore, distinguendo in Molla Sadra un aspetto più propriamente “filosofico”, vale a dire, argomentativo e discorsivo, quantunque neanche esso scevro dal riferimento trascendente; ed un aspetto più peculiarmente conoscitivo, presenziale, realizzativo, che va riferito a talune sue opere, successive agli Asfar, nella fattispecie a quella di cui questo prezioso scritto del nostro autore, qui recensito, costituisce l’introduzione.
L’autore medesimo ravvisa in questo modo, e a buon diritto, un’innegabile superiorità del pensiero musulmano, in virtù di questa sua indole suddetta, nei confronti della stessa Scolastica, ultima valida manifestazione del pensiero occidentale, così come, ed a maggior ragione, per tutte quelle che ne sarebbero state le successive elucubrazioni, razionalistiche o no che esse siano, a dispetto di tutti quanti i loro vari reggicoda ed imitatori anche orientali.
Per la Scolastica, mercé della sua indole almeno formalmente aristotelica e premoderna, a dispetto del suo fondamentale contenuto platonico; ravvisabile nella dottrina delle formalità esemplari della mente divina, così come del profondersi trascendente delle creature celesti incorporee, o nella medesima dottrina trinitaria, se intesa come una proiezione al livello dei nomi divini del configurarsi delle varie relazioni trascendenti che conducono all’Essenza Suprema, scevra da relazioni personali d’origine, o “ipostatiche”.
Nel mentre, per quel che concerne invece il pensiero occidentale moderno e contemporaneo, è interessante com’è che questo autore lo tacci di “scetticismo”, vale a dire, di una riflessione che sfocia nel dubbio, com’era inizialmente per la sofistica. E come sarà poi da Cartesio a Heidegger, nel suo considerare, all’unisono con gli idealisti, un essere primo non perfetto e profusivo, ma indefinito, affatto privo di qualità, completamente avulso da un creato che per ciò stesso non può creare, il tutto nel verso dell’inintelligibilità.
Per non dire delle escogitazioni assurde della scienza moderna, fatte passare abusivamente per certezza assoluta, in realtà fondata su tutta una serie di enunciati inautentici, di cui Popper, sia pure col ribadirne il valore assoluto, non fa che rilevare l’inconsistenza, la falsificabilita; o delle astrazioni numeriche e quantitative, lasciate all’arbitrio dei vari universi formali non euclidei, o degli spazi astratti; o le logiche arbitrarie alla Gödel, prive di principio.
Od il neopositivismo, nella sua sorta d’assurda astrazione esperienziale; o della stessa esperienza, come nel primo positivismo, in sé mutabile, e del tutto priva di un principio che non si riduca alla negazione di ogni principio. E così via, perché il discorso sarebbe lungo, in questa galleria degli orrori, fatta passare, dicevamo, per certezza ineccepibile, appunto perché priva di riferimenti trascendenti presenziali, ma del tutto incapace di mettere in discussione sé stessa.
La nostra disamina potrebbe procedere oltre alquanto a lungo, se volessimo esporre le varie affermazioni profonde del nostro autore, sempre in possesso di una documentazione ineccepibile sulle fonti d’Occidente, ivi inclusa l’età antica, purtroppo alquanto rara tra i sapienti musulmani anche contemporanei, ed insuperabile inoltre per competenza ed acutezza quanto alla sapienza ed al pensiero musulmani, ed al loro confronto con il pensiero d’Occidente.
Ad esempio, nei confronti della corrente Ismaelita originaria, depositaria d’insegnamenti riservati, cosiddetti “esoterici”, in pieno accordo con il magistero imamica successivo a Jafar Sadiq, la pace su di lui, a dispetto di tutte quelle che saranno, ci permettiamo anche di osservare noi, le pretese alternative quanto alla sua successione con tutti i tralignamenti conseguenti, da ricollegarsi pure alla funzione dottrinale ed iniziatica dei Fratelli della Purità.
O per quel che concerne i rapporti tra il primo cristianesimo ed il platonismo, non necessariamente conflittuali, come attesta il reciproco rispetto tra Plotino ed Origine, significativamente non santificato dalla Chiesa Occidentale, e non abbiamo notizie quanto a quella orientale, entrambi discepoli del platonico Ammonio; com’è avvenuto anche per Bahira, il primo a riconoscere il Sigillo del Vaticinio, e per i Sette Santi Dormienti, le “Genti della Caverna” del Sacro Corano, santificati invece dalla Chiesa Orientale.
Il che farebbe supporre da un lato un’adesione platonica alla sequela del Vaticinio; e dall’altro, ci permettiamo di aggiungere noi, un cristianesimo originario, non paolino, più strettamente legato alla Rivelazione stessa, più orientato verso la trascendenza, con la trasposizione superiore dell’incarnazione e della trinità; nel senso l’una di un profondersi, e non di un’associarsi, l’altra di un livello inferiore di rapporto, concernente i nomi e non l’Essenza, o discendente e verticale, non orizzontale, risolvibili nella trascendenza, non in una prospettiva particolare, che introduca soluzione di continuità nella Rivelazione.
Anche vogliamo qui tributare un riconoscimento a quella corrente sadriana, esplicitazione argomentativa e discorsiva dell’anteriorità trascendente del Nunzio divino e di tutti i Puri della sua progenie, la pace su di loro, dei cui livelli essa dà ragione nell’ordine dottrinale, accennando peraltro alla prospettiva autenticamente iniziatica, operativa e realizzativa in un senso trascendente, non trascurando nessuno degli aspetti della realtà della persona umana.
La quale corrente, nella medesima prospettiva di un platonismo inteso in senso affatto corretto, come variante della tradizione rivelata, e non delle immaginazioni sentimentali delle corti del Rinascimento e dei tempi successivi in Occidente, si è resa capace di calare dal cielo stesso della trascendenza quelle norme della vita umana, atte a renderla alfine degna del fine precipuo della creazione dell’uomo; che è quello dell’adorazione e della conoscenza divina, come recita il Sacro Corano, LI, 56, costituendone la necessaria premessa realizzativa, sotto il riguardo sia personale, sia pubblico.
Tanto che uno dei suoi massimi esponenti contemporanei, l’Imam Ķomeini, che Iddio ne esalti la stazione, è stato nel nostro tempo di tenebra, il condottiero della Rivoluzione Islamica. Questo a dispetto di tutte le sue difficoltà, dovute alla materia e non alla forma, vale la pena ripeterlo, sempre frapposte anche alla missione dei Nunzi divini, le quali avranno fine col risolversene nel termine di questo nostro circolo delle vicende umane, con il palesamento dell’Atteso, che Iddio Altissimo voglia affrettarcene la gioia.
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