Critica a Ignaz Goldziher

 

CRITICA A IGNAZ GOLDZIHER

Gli studiosi occidentali si sono dedicati con interesse all’islamistica producendo a volte stimolanti critiche ed analisi, contribuendo quindi all’approfondimento di alcuni aspetti inerenti allo studio delle religioni. In linea generale, gli orientalisti hanno cercato di dare uno stampo anti-teologico allo studio sull’Islam cercando di enfatizzare i canoni della razionalità e della critica storica moderna. Probabilmente il primo di questi tentativi si ebbe con Aloys Sprenger (d. 1893), con un suo libro che pubblicò nel 1869 dal titolo Das Leben und die Lehre des Muhammad (La vita di Muhammad dalle fonti originali). William Muir (d. 1905) toccò lo stesso argomento con particolare avversione nei confronti dell’Islam e del Profeta Muhammad senza però produrre profonde argomentazioni.

Fu Ignaz Goldziher (d. 1921), segretario della Congregazione Ebraica di Pecs (Ungheria), ad elevare di qualità per la prima volta la critica orientalista sull’Islam. Studiò sotto Arminius Vambery (accademico ottomanista convertito all’Islam) e viaggiò in Medio Oriente dove partecipò a vari convegni e progetti di studio.

Più tardi scriverà sul suo diario: “Veramente entrai nello spirito dell’Islam al punto tale da convincermi di essere diventato musulmano. Capii che questa fosse la sola religione che, anche nella propria formulazione dottrinale e ufficiale, potesse soddisfare le menti filosofiche. La mia idea fu quindi quella di elevare l’ebraismo ad un simile livello razionale”.

Pare dunque che Goldziher studiò abbastanza dell’Islam da essere convinto della sua verità ma, ossessionato dalle smanie dell’ego e dall’ossessione accademica, decise di non seguire l’esempio del suo maestro Vambery con una pubblica dichiarazione di fede ed optò invece di cercare di riformare la religione dei suoi padri.

Le sue tesi, presentate nel secondo volume di Muslim Studies, possono essere riassunte nei punti seguenti:

– La letteratura presente negli hadith si basa prevalentemente sulla trasmissione orale che durò per circa un secolo. Gli hadith riportati nel periodo successivo non fanno riferimento a nessuna raccolta scritta risalente al primo periodo.

– Il numero degli hadith nelle opere tarde è assai maggiore del numero presente nelle prime raccolte: ciò significa che molti hadith siano di dubbia autenticità.

– Gli hadith riportati dai Compagni più giovani sono più numerosi di quelli riportati dai Compagni più anziani.

– Il sistema dello studio sull’isnad (catena di narrazione) venne applicato arbitrariamente agli hadith non prima della fine del primo secolo e non fornisce alcuna prova genuina sull’autenticità delle narrazioni.

– Molti hadith si contraddicono a vicenda.

– Ci sono molte prove che testimoniano la fabbricazione sia degli isnad che dei matn (testo).

– La critica islamica si limita alla critica dell’isnad e non riguarda la critica del matn.

 

Di seguito presentiamo un sunto della critica di alcuni studiosi musulmani ai punti di Goldziher precedentemente menzionati:

– Goldziher stesso ammette che i Compagni e i loro studenti redassero più di dodici sahifa contenenti hadith del Profeta. La mancanza di riferimenti nelle opere più tarde la si deve al fatto che, come spiega lo stesso Alyos Sprenger, i narratori dei primi secoli facevano usualmente riferimento agli autori delle opere più antiche attraverso i loro maestri e non ne opere stesse, le quali erano spesso soggette a manomissioni. Sprenger lo dimostra facendo riferimento a Waqidi e Ibn Sa’d, raccogliendo diverso materiale scritto nell’era pre-islamica e in quella immediatamente successiva. Una pubblicazione ancor più recente è il sahifa di Hammam Ibn Munabbih e l’identificazione dei suoi contenuti simili a parti del Musnad Ibn Hanbal è una conferma ulteriore a sostegno della tesi di Sprenger. In maniera simile Nabia Abbott, basandosi sui primi papiri scritti che Goldziher neanche conosceva, fa ancora più luce sulla scrittura degli hadith del primo periodo e conclude che “la trasmissione orale e scritta camminarono di pari passo sin dall’inizio”.

– L’aumento del numero degli hadith nelle opere più tarde (come quelle del terzo secolo) è un dato di fatto. I primi narratori non conoscevano tante narrazioni quanto quelli dei periodi successivi. Inoltre, con l’espansione dei territori islamici gli esperti di hadith iniziarono a viaggiare nei diversi centri di conoscenza e formazione e a studiare gli hadith. Fu soltanto dopo i viaggi di questi esperti e la trasmissione degli hadith che avevano appreso ai loro studenti che iniziarono ad originarsi raccolte più complete ed esaurienti.

– Alcuni orientalisti hanno presupposto che quei Compagni che vissero più a lungo con il Profeta avrebbero dovuto narrare un numero più elevato di hadith. Dato che i Compagni più giovani hanno riportato un numero più elevato di hadith, alcuni hanno concluso che la gran parte degli isnad è stata fabbricata. Ma non necessariamente è così. Infatti i Compagni più giovani sono vissuti un lasso di tempo maggiore e furono in grado di disseminare più hadith tra le masse in quanto vissero nel periodo post-profetico che fu l’era della diffusione degli hadith.

– Riguardo l’autenticità delle prime narrazioni Nabia Abbott ha raccolto una serie di testi antichi dai papiri acquistati dalla Chicago Oriental Institute tra il 1929 e il 1947. Abbott, dopo averli trascritti e tradotti, ne parla nel suo Studies in Arabic Literary Papyri pubblicato in tre volumi. Nonostante faccia rara menzione di Goldziher, Abbott critica implicitamente le sue teorie affermando l’importanza della legge islamica sin dalla prima era.

– Non ci sono dubbi sul fatto che molti hadith siano in contraddizione tra loro ma ritenere che per tale ragione siano stati tutti, o quasi, fabbricati è abbastanza illogico. Le contraddizioni apparenti tra alcuni hadith infatti spesso sono state risolte facendo ricorso all’analisi contestuale, giacché spesso situazioni differenti richiedevano necessità differenti. Non si tratta dunque di una vera e propria contraddizione ma di specificazioni e adattamenti dei vari ordini e delle varie proibizioni. In secondo luogo, è pur vero che non sarebbe possibile negare la proliferazione di fabbricazioni, ma affermare che tutti gli hadith o la gran parte di essi siano stati fabbricati perché contraddittori non rappresenta una valida ragione.

– Come già menzionato, le fabbricazioni sono un dato di fatto. La nascita e lo sviluppo dello studio sulle mawdw’at (fabbricazioni) è stato oggetto di ricerche e discussioni sia nei circoli musulmani che non-musulmani. Affermare però che ciò provi l’inaffidabilità dell’intero corpus di narrazioni è alquanto speculativo.

– Secondo la critica islamica l’isnad rappresenta potenzialmente una buona evidenza ma non una garanzia assoluta. Lo studio comparativo degli hadith con il Corano, la Sunna unanime e l’intelletto ne portano testimonianza. In questo caso purtroppo Goldziher pare non essere al corrente degli studi musulmani inerenti al matn.

 

JOSEPH SCHACHT

Lo studio su Goldziher è servito a molti come introduzione ai contributi accademici di Joseph Schacht, le cui conclusioni paiono esser ancora più radicali di quelle del suo predecessore. Questi ritiene che secondo il Profeta la legge non rientrerebbe a far parte degli insegnamenti religiosi e che i suoi dettagli tecnici non sarebbero stati aspetti importanti per i primi musulmani. In altre parole il contenuto legale degli hadith non sarebbe altro che una frode storica.

La critica di Schacht non è però stata universalmente accettata neanche nel mondo accademico. Samuel Goitein per esempio, nel suo Studies in Islamic History and Institutions scrive che “anche le questioni strettamente legali non erano indifferenti alla religione ma parte della rivelazione divina” e che “l’idea della legge non è uno sviluppo post-coranico ma venne formulata da Muhammad stesso”. Obiezioni analoghe sono state fatte da N.J. Coulson in European Criticism e History of Islamic Law, il quale trova Schacht “troppo rigido” e “non troppo convincente”.

Un tentativo di risposta islamica in ambito accademico si è avuto con Muhammad Mustafa Azami nel suo Study in Early Hadith Literature culminato poi con una risposta diretta a Schacht dal titolo On Schacht’s Origins of Muhammadan Jurisprudence.

   

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Writer : shervin | 0 Comments | Category : Novità , Tradizioni

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