IL RANGO SPIRITUALE DEGLI IMAM
Nelle tradizioni sia sunnite che sciite si parla di “dodici califfi” o “dodici successori” che verranno dopo il Profeta Muhammad (S). Al-Bukhari, Muslim, Tirmidhi e Ahmad Ibn Hanbal hanno tutti riportato attraverso varie catene di trasmissione sull’autorità di Jabir Ibn Samura[1] che il Profeta (S) ha detto: “L’Islam continuerà fino a che ci saranno dodici successori” (in alcuni hadith si parla di “dodici emiri” come nel testo di al-Bukhari). Poi la tradizione continua affermando che “tutti essi saranno dei Quraysh”.[2] In un’altra tradizione il Profeta (S) afferma: “Questo affare non cesserà finché non saranno giunti dodici califfi, tutti essi saranno dei Quraysh”,[3] “Gli affari delle genti continueranno fino a che governeranno dodici uomini, tutti essi saranno dei Quraysh”[4] e “Questa Ummah ha dodici custodi, chi li abbandonerà non nuocerà loro, e tutti essi saranno dei Quraysh”.[5] Il significato di queste tradizioni è stato riportato in svariate versioni da molti narratori ed è razionalmente impossibile dubitare della loro autenticità. Ciò che ha causato confusione tra dotti ed eruditi riguarda piuttosto l’identificazione di questi dodici successori.
Ibn ‘Arabi (436-543 H.) ha ammesso che il significato di queste tradizioni non può essere compreso. Questi scrive: “Abbiamo contato i governanti dopo il Profeta e sono Abu Bakr, ‘Umam, ‘Uthman, ‘Ali, Hasan, Mu’awiya, Yazid, Mu’awiya Ibn Yazid, Marwan, Abdul-Malik...” fino a citare trentatré governanti. Poi scrive: “Se consideriamo i primi dodici governanti in ordine cronologico, il dodicesimo sarebbe Sulayman Ibn Abdul-Malik, ma se consideriamo il vero significato di califfo rimarrebbero solo cinque califfi ben guidati in aggiunta a ‘Umar Ibn ‘Abdul-‘Aziz, dunque non posso dedurre alcun significato da questa tradizione”.[6] Al-Suyuti invece afferma di aver compreso il significato di queste tradizioni: secondo lui l’esistenza dei dodici califfi non necessariamente deve essere continua ed essi non giungeranno uno dopo l’altro nonostante il Mahdi dalla progenie di Muhammad sia tra essi.[7] Sono state presentate anche altre opinioni da vari interpreti che hanno, in un modo o nell’altro, cercato di trovare un’interpretazione plausibile per queste tradizioni.
Per gli sciiti non ci sono invece ambiguità al riguardo: queste tradizioni sono correlate ad altre tradizioni che parlano chiaramente dell’importanza di alcuni membri ben precisi della famiglia del Profeta o Ahl al-Bayt. In più occasioni il nobile Profeta (S) disse che il Libro d’Iddio e la sua famiglia sono le “due cose preziose” che lascia alla sua Comunità e che chi vuole rimanere saldo sulla Retta Via deve seguire entrambi, in quanto non si separeranno mai fino al Giorno della Resurrezione.[8] Riguardo a questa tradizione, Ibn Hajar afferma che sono state riportate da numerose catene di trasmissione e da più di venti Compagni, alcuni dei quali l’hanno ascoltata ad Arafa, altri in Medina quando il Profeta (S) stava per morire, altri a Ghadir Khum ed altri ancora durante il viaggio di ritorno del Profeta da Ta’if. Egli scrive: “Non c’è però contraddizione tra queste tradizioni; data l’importanza del Libro d’Iddio e della Famiglia del Profeta, questa dichiarazione è stata ribadita in tutti questi luoghi”.[9]
Nonostante queste tradizioni, così come molte altre, siano state riportate nelle raccolte sia sunnite che sciite, sono solo gli sciiti ad aver considerato le loro implicazioni fino in fondo, criticando quei musulmani che hanno chiuso un occhio, o due, al riguardo. Il nobile Profeta (S) ebbe a dire: “L’esempio della mia Ahl al-Bayt è come l’esempio dell’Arca di Noè, chi salpò si salvò e chi l’abbandonò perì”.[10] ‘Ali invece disse: “Attenetevi alla Ahl al-Bayt del vostro Profeta, seguite le sue istruzioni e seguite le sue orme in quanto non vi allontaneranno mai dalla Guida, né vi indurranno alla distruzione. Quindi se [i membri dell’Ahl al-Bayt] si siedono sedetevi, e se si sollevano sollevatevi; non anticipateli altrimenti vi traviereste, e non rimanete indietro altrimenti perireste”.[11]
Se consideriamo quanto detto e raccogliamo tutte le informazioni ricevute, concludiamo che i dodici califfi sono i membri dell’Ahl al-Bayt. Nonostante il mondo sunnita abbia sviluppato la questione verso una direzione totalmente diversa, tradizioni sunnite alludono comunque alla visione sciita. Per esempio l’Imam Ibrahim Ibn Muhammad Ibn Hummawayhal-Juwayni (m. 730 H.), il quale riuscì a convertire all’Islam il re mongolo Ghazan Shah, riporta su autorità di Ibn ‘Abbas che il Profeta (S) abbia detto: “Io sono l’apice dei profeti e ‘Ali è l’apice dei successori, i successori dopo di me saranno dodici: il primo è ‘Ali Ibn Abi Talib e l’ultimo al-Mahdi.[12] Poi riporta su autorità del Profeta (S): “Ali, io, Hasan e Husayn, e i nove discendenti di Husayn siamo puri ed immacolati”.[13]
In ogni caso, nelle fonti sciite non c’è alcuna riserva nel relazionare i due gruppi di tradizioni. In esse non solo si parla dei dodici califfi o successori discendenti dal Profeta (S) ma si fa menzione del loro preciso lignaggio genealogico, dei loro nomi e delle loro caratteristiche e attributi. Secondo queste tradizioni il lignaggio genealogico dei califfi del Profeta, gli Imam, è assai più ristretto di quello più generale dei Quraysh. Ivi si parla dei discendenti del Profeta (S) attraverso sua figlia Fatima ed il suo primo successore ‘Ali. Si tratta dei due figli di Fatima, Hasan e Husayn, e dei nove discendenti speciali di Husayn ovvero ‘Ali Ibn Husayn, Muhammad Ibn ‘Ali, Ja’far Ibn Muhammad, Musa Ibn Ja’far, ‘Ali Ibn Musa, Muhammad Ibn ‘Ali, ‘Ali Ibn Muhammad, Hasan Ibn ‘Ali ed infine al-Mahdi figlio di Hasan attualmente in stato di occultazione.[14] Questo tipo di informazioni si riscontra spesso nel corpus di tradizioni sciite. Abu al-Qasim ‘Ali Ibn al-Khazzaz al-Qummi (m. 400 H.) ha raccolto molte di queste narrazioni nella sua opera intitolata Kifaya al-athar fi al-nass ‘ala a’imma ithna ‘ashar. In essa l’autore, oltre a riportare tradizioni del nobile Profeta (S) dagli Imam sciiti, riporta tradizioni da più di venti Compagni inerenti al numero e ai nomi dei dodici successori. In una tradizione riporta le seguenti parole su autorità di Masruq (m. 63 H.): “Eravamo in compagnia di ‘Abdullah Ibn Ma’sud mentre stavamo analizzando con lui le nostre copie del Corano quando all’improvviso si fece avanti un giovane che gli chiese:- Il tuo Profeta ti ha detto forse quanti successori ci saranno dopo di lui?-. Ibn Ma’sud, colto di sorpresa, rispose dicendo:- Sei giovane e non hai ancora molta esperienza. Si tratta di un affare che nessuno mi ha chiesto prima. Si, il nostro Profeta ci ha detto che dopo di lui ci saranno dodici successori, lo stesso numero dei capi dei figli di Israele-”.[15]
Dopo la questione dell’identificazione, uno dei compiti più ardui riguardanti i dodici successori o gli Imam dell’Ahl al-Bayt è probabilmente quello di definire la loro posizione spirituale e delineare il loro ruolo religioso, questione che spesso ha provocato accesi dibattiti non solo tra gli sciiti e i loro detrattori ma anche tra gli sciiti stessi. Da una parte, alcuni hanno sostenuto che gli Imam siano semplicemente dei “pii sapienti” (‘ulama abrar) mentre dall’altra parte i ghulat (letteralmente: “estremisti”) hanno considerato gli Imam come incarnazioni di Dio di natura ipostatica. Nostro obiettivo in questa sede è quello di dimostrare che la Rivelazione, manifesta nel palese per mezzo della sacra Scrittura, non è incline né all’una né all’altra prospettiva.
In una tradizione il nobile Profeta (S) ebbe a dire: “Dalla mia Ahl al-Bayt ci saranno dodici muhaddath”.[16] Il rango di muhaddath è una posizione che gli Imam sciiti hanno ripetutamente rivendicato anche per loro stessi. Muhaddath letteralmente indica “qualcuno a cui viene detto qualcosa” e secondo la definizione sciita si tratta di una persona a cui parlano gli angeli. Al-Kulayni ha dedicato un intero capitolo nella sua opera al-Kafi per chiarire la differenza tra un profeta (nabi) e un messaggero (rasul).[17] Secondo queste tradizioni un muhaddath è colui che ode la voce di un angelo senza vederlo (né in sogno né da sveglio) a differenza di un messaggero che invece ode la voce e lo vede (sia in sogno che da sveglio).[18] Questo tipo di comunicazione a volte è stato definito come una “iscrizione nel cuore” (naktun fi al-qalb), “ispirazione nel cuore” (qadhfun fi al-qalb) o “colpo negli orecchi” (naqrun fi al-asma’).[19] Comunque sia, nonostante l’aver categoricamente rifiutato il fatto di essere profeti, gli Imam hanno in qualche modo mantenuto il contatto con il mondo angelico. Apparentemente c’è una differenza assai sottile tra questo tipo di comunicazione e la rivelazione giunta al Profeta (S), e dato che si tratta di un mondo completamente ignoto per la gente comune, è stato sempre difficile per gli Imam poter spiegare queste differenze ai loro seguaci.
Generalmente si è supposto, dato che la profezia (nubuwwa) è stata sigillata con la missione del Profeta Muhammad (S), che ogni sorta di comunicazione con l’occulto fosse giunta al termine. Di conseguenza le genti avrebbero dovuto rispettare l’idea della cessazione dell’invio dei profeti e rifiutare la rivendicazione degli Imam, oppure accettare gli Imam come profeti e rigettare l’idea della cessazione dell’invio dei profeti. Alcune domande poste agli Imam dai loro discepoli dimostrano la loro confusione su questo affare. Al fine di chiarire la questione gli Imam hanno a volte fornito qualche esempio del passato menzionato nel Corano in cui alcune persone, pur non essendo profeti, hanno avuto una qualche comunicazione con Dio. Al-Kulayni dedica un capitolo in al-Kafi a questo e riporta tradizioni che alludono alla suddetta confusione. Per esempio quando l’Imam al-Baqir (AS) dice ad una cerchia di discepoli che ‘Ali (AS) fu un muhaddath, Harith Ibn Mughira gli chiede: “Vuoi dire che forse è stato un profeta?”. Ma l’Imam rispose dicendo: “No, piuttosto è stato come il compagno di Mosé, il compagno di Sulayman o Dhu al-Qarnayn. Non avete sentito il Profeta [appena fu fatta menzione di Dhu al-Qarnayn] quando disse che tra voi c’è qualcuno come lui?-”.
Tutte queste tre figure sono menzionate nel Corano e sono uomini con una connessione particolare con Dio pur non essendo profeti. Il primo viene citato nei versetti 18:65-82 ed è un uomo con una conoscenza speciale insegnatagli da Dio e da cui Mosè voleva attingere. Il secondo viene citato nel versetto 27:40 ed è un ministro alla corte di Sulayman che “aveva qualche conoscenza del Libro” e fu in grado di spostare il trono della regina di Shiba dalla Yemen alla corte di Sulayman in meno di un battito di ciglio. Il terzo viene citato nei versetti 18:83-98 e fu un sovrano che comunicava con Dio ed a cui erano stati dati i “mezzi per tutte le cose”. Quello che avevano in comune tutti e tre è il fatto di essere stati muhaddath, e nonostante non fossero stati profeti, in un modo o nell’altro, comunicarono con Dio.
Il concetto di muhaddath è stato discusso anche nelle fonti sunnite sebbene non abbia poi ricevuto grande attenzione teologica. Sia al-Bukhari che Muslim riportano che il nobile Profeta (S) ebbe a dire: “Nelle comunità che vi hanno preceduto ci sono stati vari muhaddath e se una tale persona dovesse essere presente nella mia comunità, quella è ‘Umar Ibn al-Khattab” e “Tra coloro che vi hanno preceduto tra i figli di Israele c’erano uomini a cui Dio parlava seppur non fossero profeti, e se uno di essi esiste tra la mia comunità è ‘Umar Ibn al-Khattab”.[20] I sapienti sciiti non ritengono autentiche queste tradizioni, né conferiscono ad ‘Umar Ibn al-Khattab una posizione del genere. Comunque sia, queste tradizioni hanno originato tutta una serie di discussioni sul concetto di muhaddath nei circoli sunniti a conferma della concezione sciita rispetto al grado spirituale di un muhaddath. Per esempio al-Munawi, citando le parole di al-Qurtubi, scrive: “Un muhaddath è una persona divinamente ispirata o qualcuno su cui discendono cose da posizioni elevate attraverso ispirazione o svelamento, o qualcuno la cui lingua parla la verità senza che la intenda [razionalmente], o qualcuno a cui parlano gli angeli senza che sia un profeta”.[21] Tale spiegazione rimanda alle espressioni naktun fi al-qalb e qadhfun fi al-qalb utilizzate nelle tradizioni sciite.
Dunque l’idea di persone che comunicano con l’occulto senza che siano state nominate come profeti è presente nel Corano negli esempi citati in precedenza. Comunque il Corano fa menzione anche di un altro esempio significativo che poi relaziona l’idea di muhaddath ad un altro importante concetto coranico. Questa nobile figura è quella di Maryam madre di ‘Isa. Il Corano ci dice che Maryam comunicò con gli angeli sin da giovane: “O Maryam! Dio ti ha scelto, ti ha purificato e ti ha scelto tra tutte le donne del mondo”.[22] Nonostante il versetto chiaro ed esplicito ed altri versetti simili, nessun teologo o sapiente musulmano ha mai ritenuto che Maryam potesse essere una “profetessa” e le indicazioni testuali e spirituali sono chiare in tal senso. Ciò necessita dell’esistenza di una posizione intermedia tra il rango dei profeti e lo stato delle persone comuni completamente ignare del mondo angelico. Per quanto concerne il caso di Maryam, il Corano la descrive come “verace” (siddiqa).
Da un punto di vista religioso le genti sono suddivise in credenti e miscredenti. Comunque il Corano le suddivide non in due ma tre gruppi: credenti, miscredenti ed approssimati (muqarrabun). Nonostante quest’ultimo gruppo possa essere considerato come un gruppo di credenti, esso differisce da quello che raccoglie semplice credenti ordinari. Da un lato, tra i credenti ci sono sia coloro che guidano che coloro che devono essere guidati, e nonostante siano entrambi credenti non appartengono alla stessa categoria: “Ha più diritto di essere seguito chi conduce alla verità o chi non sa dirigersi, a meno che non sia guidato?”.[23] Da un altro lato, è detto anche che alcuni credenti sono guidati sulla via di altri credenti a cui il Corano si riferisce con l’espressione an’amta ‘alayhim (“coloro che hai colmato di grazia”). Questi sono stati posti come guida e modello come viene indicato dai versetti che dicono: “Guidaci sulla retta via, la via di coloro che hai colmato di grazia”.[24]
Ad un primo approccio parrebbe che coloro che sono stati colmati di grazia sono approssimati a Dio siano i profeti che guidano gli altri e senza venir guidati da nessun altro. Comunque altrove il Corano allude ad un’interpretazione più estesa ed implica l’inclusione anche di altre categorie ove afferma: “Coloro che obbediscono a Dio e al Suo messaggero saranno con coloro che Dio ha colmato della Sua grazia: profeti, veraci, testimoni e probi; che ottima compagnia”.[25] Secondo questo versetto ben quattro gruppi di credenti vengono colmati della grazia divina e sono i profeti (nabiyyun), i veraci (siddiqun), i testimoni (shuhada’) e i probi (salihun).
Degno di nota è il fatto che in questo versetto la promessa che è stata fatta ai credenti, a condizione che obbediscano a Dio e al Profeta, è quella di essere “con” e non “tra” coloro che sono stati colmati di grazia. Ma prima di sforzarci a comprendere il significato di questi termini tecnici si dovrà far luce sul significato di muqarrabun.
Uno dei significati plausibili di questa espressione potrebbe riferirsi all’aumento della conoscenza su Dio implicando la rimozione di alcuni veli del cuore, permettendo così ai muqarrabun di percepire la Sua presenza e vedere ed udire quello che i credenti comuni non riescono ad afferrare.[26] Questa di per sé è già una grazia immensa che non viene concessa a tutti i credenti. Secondo l’Imam ‘Ali queste persone “sono poche di numero ma dal rango sublime”.[27] Essi giungono ad una comprensione di questo mondo e ad un tipo di conoscenza del proprio Creatore assai diversa da quella degli altri: “guardano all’aspetto intimo del mondo mentre gli altri guardano all’esteriore”[28] e “Dio sussurra alle loro menti e parla al loro intelletto affinché accendano una luce nel cuore, nelle orecchie e nella vista degli altri”.[29]
Maryam, nel Corano, rientra nella categoria dei siddiqun: “Il Messia figlio di Maryam non era che un messaggero. Altri messaggeri sono venuti prima di lui e sua madre era una verace”.[30] Siddiqa è la forma femminile di siddiq che, a sua volta, è il singolare di siddiqun. Un’accurata analisi del Corano e della tradizioni sulla vita di Maryam indica chiaramente che ella fosse in costante contatto con i regni superiori ed in comunicazione con gli angeli. Ciò implica il fatto che delle quattro categorie “colmate della grazia di Dio”, almeno due (i profeti e i veraci) abbiano qualche sorta di contatto con Dio sebbene la natura di questo contatto sia differente. Se studiamo le vite dei profeti prima di ricevere la rivelazione, si può facilmente giungere alla conclusione che è solo da una delle altre tre categorie dei “colmati di grazia” che Dio ha scelto i suoi profeti. Ecco perché i profeti erano in comunicazione con Dio anche prima di ricevere la missione come si deduce dalle storie di Yusuf (Giuseppe) e Musa (Mosè) nel Corano.
Ad ogni modo, è nella categoria dei siddiqun che gli sciiti posizionano i loro Imam e li considerano muhaddath. Come se ne deduce dal versetto 4:69, è una categoria che giunge subito dopo quella dei profeti e prima degli altri due ranghi (i testimoni e i probi). Quel che si presume è che i membri delle categorie superiori includano tutta l’eccellenza e i meriti delle categorie inferiori. Ne consegue che i siddiqun, dopo i profeti, siano i più eccellenti tra i muqarrabun.
La veracità è generalmente considerata una qualità discorsiva ma se le azioni sono conformi alla “giusta dottrina” (ortodossia), anch’esse possono venir considerate veraci. In maniera analoga se le azioni non sono conformi ad un credo corretto non possono essere considerate tali. Corroborare le azioni al credo è infatti un alto livello di veracità. Inoltre, a volte alcune idee, opinioni e intenzioni possono esistere o entrare nella mente di una persona affinché inconsciamente falsifichi la propria “giusta dottrina”. Evitare ciò nel proprio credo e nelle proprie intenzioni è un livello ancora più elevato di veracità. Si potrebbe dunque dire che nella terminologia tecnica coranica i siddiqun siano coloro che soddisfano tutti e tre i criteri menzionati.[31]
Fin qui si sono considerate due idee centrali del pensiero sciita in relazione ai loro Imam, ossia i concetti di muhaddath e siddiq. Rimane ora di discutere un altro concetto fondamentale, vale a dire quello della conoscenza (‘ilm), il quale non è altro che la naturale conseguenza dei primi due stadi menzionati. Prima si sono citati tre esempi dalle Corano di gente che, pur non essendo profeta, possegga una conoscenza speciale donata da Dio. Il Corano inoltre ci parla dei rasikhuna fi al-‘ilm (coloro saldi nella conoscenza)[32], ulu al-‘ilm (i detentori di conoscenza)[33] e alladhina utu al-‘ilm (coloro a cui è stata data conoscenza).[34] Secondo gli sciiti questo tipo di conoscenza non viene acquisita bensì si tratta di un dono di Dio atto ad eliminare ogni sorta di ignoranza. E’ una conoscenza conferita solo ad una piccola parte di persone, tra le quali gli Imam, che detiene una sapienza che trascende quella degli altri Compagni del Profeta o dei credenti ordinari.[35] Detto questo, giunge qui un concetto assai difficile da spiegare e comprendere. Gli Imam hanno ripetutamente asserito che la loro conoscenza non sia altro che un’estensione della conoscenza del Profeta (S) che hanno ereditato direttamente da lui.[36] E’ molto difficile immaginarsi che tipo di processo sia coinvolto in questo trasferimento di conoscenza; comunque il processo stesso di eredità della conoscenze viene indicato nel Corano: “Sulayman ereditò da Dawud e disse:- O gente! Ci è stato insegnato il linguaggio degli uccelli-”.[37] L’unica cosa che ci è comprensibile da questo versetto e dalle dichiarazioni degli Imam è che essi ereditarono un rango spirituale dai loro predecessori per via del tipo di conoscenza ricevuta. Un erede del genere viene tecnicamente definito wasi.
Secondo gli sciiti ‘Ali (AS) fu il wasi del nobile Profeta (S). Il termine wasi indica un “fiduciario”, un “custode” o “qualcuno che esegua un volere e si prenda cura di un determinato lascito”. Un’analisi non troppo approfondita dei testi a disposizione ci induce a concludere che ‘Ali (AS) fosse noto con questo epiteto anche durante la vita del nobile Profeta. Ibn ‘Asakir, rinomato sapiente, tradizionista e storico sunnita (m. 571 H.) – definito in ambito sunnita come “imam dei sapienti di hadith del suo tempo” – riporta che il nobile Profeta (S) abbia detto: “Ogni profeta ha un wasi e il mio wasi è ‘Ali”.[38] Inoltre è stato riportato da Ibn Ishaq, al-Tabari, Abu Nu’aym, Ibn Abi Hatam e Ibn Mardawayh che il nobile Profeta (S) disse all’inizio della sua missione che ‘Ali (AS) fosse il suo “fratello, erede e califfo” (akhi wa wasi wa khalifati).[39] Al-Hindi riporta anche da Abu Sa’id che il nobile Profeta (S) disse: “Il mio wasi, il mio fiduciario e il migliore che lascio dopo di me è ‘Ali”.[40] Si riporta che una volta fu detto ad ‘Aisha che ‘Ali sarebbe stato un wasi ma essa lo negò.[41] La negazione di ‘Aisha è certamente un argomento su cui poter discutere ma in ogni caso la tradizione mostra il fatto che tale epiteto in riferimento ad ‘Ali (AS) fosse già in circolazione. Questo fatto viene citato in molte fonti storiche. Al-Ya’qubi (m. 284 H.) riporta che in occasione della proclamazione del califfato di ‘Ali, Malik al-Ashtar disse le seguenti parole: “O gente! Questo è il wasi degli awsiya, l’erede della conoscenza dei profeti avente enorme grazia e bene in abbondanza”.[42] Ed in più occasioni sia Hasan che Husayn sono stati presentati come i “figli del wasi” sottintendendo che fosse un epiteto ben noto per loro padre.[43]
Secondo le tradizioni sciite ogni profeta ebbe un erede spirituale, un wasi, un profeta o un altra figura tra i muqarrabun. Dopo ‘Ali, gli undici califfi del Profeta (S) furono eredi spirituali l’uno dell’altro fino al giungere del Mahdi che è il wasi attualmente presente ma in occultazione.
Dato che un wasi eredita la sua posizione spirituale da un profeta o un Imam, necessita di una nomina chiara e specifica (nass) dal suo predecessore. Viste però le qualità che devono essere presenti in un Imam (che è muhaddath, siddiq e ulu al-‘ilm) i credenti comuni non hanno competenza per nominarlo o eleggerlo ed è solo Dio che può guidare le genti verso di lui per mezzo del Suo Profeta (S) o attraverso un Imam riconosciuto dal Profeta (S). Gli sciiti ritengono che ci sia un nass chiaro ed esplicito da parte del Profeta non soltanto riguardo ad ‘Ali come suo successore ma anche nei riguardi di tutti e dodici gli Imam.[44] Inoltre ci sono nomine per ogni Imam da parte del loro predecessore.[45] Gli sciiti ritengono che le citazioni riguardo ‘Ali sono così tante e senza alcuna ambiguità che negarle significa di fatto negare il nobile Profeta.[46] Da questo punto dunque sorgono le varie controversie inerenti all’integrità morale e religiosa di tutti i Compagni del Profeta e agli eventi che seguirono la morte del nobile Profeta. Certamente non si può ignorare il fatto che molte delle opinioni attinenti i Compagni furono conseguenze della situazione politica dei primi due secoli dopo il Profeta. Sarebbe assai azzardato supporre che il dogma riguardante all’integrità e la purezza di tutti i Compagni fosse stato un principio unanime tra gli stessi Compagni così come è difficile immaginarsi che 1.700 Compagni del Profeta che combatterono al fianco di ‘Ali contro Mu’awiya con l’intenzione di ucciderlo lo considerassero al tempo stesso una persona pia al pari di ‘Ali (S). E difficile è anche potersi immaginare che Mu’awiya e i suoi uomini non abbiano tentato di diffamare ‘Ali e sminuire la sua posizione spirituale. L’idea che i Compagni non debbano essere giudicati per quello che hanno fatto dopo il nobile Profeta e non siano degni di biasimo è un dogma sviluppatosi nel corso dei due secoli successivi a Mu’awiya.
Ad ogni modo, i due concetti di wisaya e nass danno origine ad una domanda teologica ben precisa ossia: perché il nobile Profeta (S) necessita di un wasi e di un califfo avente queste qualità? Nella terminologia sciita un califfo con la qualità di wasi, indicato da nass e avente conoscenza, legittimato da nomina divina, arricchito spiritualmente in quanto muhaddath e siddiq, e detentore della conoscenza divina, viene chiamato “Imam” e quindi la domanda può essere riformulata nel seguente modo: perché si necessita di un Imam dopo il nobile Profeta? In origine l’uomo di fede non si avvicina alla questione dell’imamato in questi termini. Secondo questi l’Imam deve essere seguito per ordine divino e profetico ed in ciò egli trova ogni risposta e certezza di cui ha bisogno. Comunque certe situazioni hanno portato a dover fornire una certa spiegazione sulla necessità della presenza di un Imam e ciò è avvenuto considerando il concetto di hujja o “prova divina”.
Una volta l’Imam ‘Ali parlò ad uno dei suoi intimi discepoli Kumayl Ibn Ziyad al-Nakha’i, che in seguito venne martirizzato da Hajjaj Ibn Yusuf proprio per aver seguito ‘Ali. Le seguenti parole sono state riportate sia in fonti sunnite che sciite senza troppe variazioni. Dopo aver espresso tristezza e dolore per non aver trovato nessuno a cui confidare i suoi segreti, ‘Ali disse a Kumayl:
“La terra non sarà mai priva di una persona che agisca per Dio con una prova [hujjah], sia esso conosciuto e presente o sconosciuto e lontano, affinché la prova di Dio e i Suoi messaggi evidenti non vengano cancellati. Quanti sono in numero e dove risiedono? Giuro su Dio che sono pochi di numero ma dal rango elevato. E’ attraverso di loro che Dio preserva le Sue prove e i Suoi messaggi così che li insegni a chi ne è degno e li riponga nei cuori di chi è loro affine. La conoscenza ha fatto loro percepire le cose per quello che sono e le hanno toccate con lo spirito della certezza. Essi sono i vicereggenti di Dio sulla terra e coloro che invitano ad aver fede a Lui.”[47]
La hujja è una persona la cui conoscenza eccelle quella degli altri non in termini di quantità ma qualità La sua conoscenza viene preservata dal Corano e dalla Sunna del nobile Profeta. In lui risiede l’assoluta e indubitabile certezza della fede. Per questo egli viene nominato Imam e “Prova di Dio” su chiunque altro. Secondo la dottrina sciita la terra non può mai privarsi di un Imam altrimenti l’eredità e il lascito del Profeta, e tutti i significati del Libro Sacro, andrebbero perduti.
Il concetto di hujja è talmente centrale all’idea di imamato e di guida spirituale che al-Kulayni, nella sua opera al-Kafi, ha intitolato un lungo capitolo a tale questione chiamandolo appunto Kitab al-hujja (letteralmente: “il libro della prova”). La “prova” è l’autorità finale attraverso la quale viene conclusa ogni disputa e divergenza in materia di fede. Questa “prova” possiede la stessa conoscenza del nobile Profeta così come un erede che è soggetto al volere del defunto. La dottrina sciita, definendo gli Imam “eredi”, riconosce il fatto che la fede non sia un’innovazione originale di nuova provenienza bensì viene emanata dalla conoscenza del nobile Profeta e dunque non può estendersi più di essa. La conoscenza delle “prove” è necessaria per preservare il lascito del nobile Profeta, non per presentare nuove profezie o nuove leggi. Così facendo gli sciiti e i loro Imam non solo si riconoscono all’interno dei confini del Corano e della Sunna ma affermano di aggrapparsi alla vera e unica interpretazione, autentica e inalterata, di essi.
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NOTE
[1] Fu un compagno del Profeta e nipote di Sa’d Ibn Abi Waqqas che visse a Kufa oltre l’anno 70 Hijri.
[2] Sunan Abu Dawud, vol. 2, p. 309; Musnad Ibn Hanbal, vol. 5, p. 90; Sahih al-Muslim, vol. 6, p. 3; Sahih al-Bukhari, vol. 8, p. 127; Sunan al-Tirmidhi, vol. 3, p. 340.
[3] Sahih Muslim bi Sharh al-Nawawi, p. 201.
[4] Ibid.
[5] Kanz al-‘Ummal, Muttaqi al-Hindi, vol. 12, p. 33.
[6] al-A’imma Ithna ‘Ashar fil-Umma, Sayyid Murtada ‘Askari, pp. 23-24.
[7] Ibid., p. 25.
[8] Cfr. ad esempio: Mustadrak al-Hakim, vol. 3, p. 109; Musnad Ibn Hanbal, vol. 5, p. 181; Sunan al-Tirmidhi, vol. 2, p. 308; Kanz al-‘Ummal, pp. 44, 47, 48; Sunan al-Darimi, vol. 2, p. 431.
[9] Ibn Hajar, al-Sawahiq al-Muhriqa, pp. 230, 231.
[10] Mustadrak al-Hakim, vol. 2, p. 343 e vol. 3, p. 150.
[11] Nahj al-Balagha, Sharif al-Radi, sermone 190.
[12] Fara’id al-Simtayn, al-Juwayni, p. 160, h. 1164.
[13] Ibid., 1691.
[14] Cfr. per esempio: al-Kafi, al-Kulayni, vol. 1, pp. 525-535; Basa’ir al-Darajat, al-Saffar, pp. 339-340; ‘Uyun Akhbar al-Rida, al-Saduq, vol. 2, pp. 47-70.
[15] Kifaya al-athar fi al-nass ‘ala a’imma ithna ‘ashar, al-Khazzaz, pp. 24-25.
[16] Kitab al-Ghayba, al-Nu’mani, p. 72.
[17] Al-Kafi, al-Kulayni, vol. 1, pp. 176-177.
[18] Secondo queste tradizioni un profeta invece ode la voce dell’angelo, lo vede in sogno ma non lo vede da sveglio.
[19] Ibid., p. 263.
[20] Al-Bukhari, vol. 4, p. 400; Muslim, vol. 7, p. 115.
[21] Kanz al-Haqa’iq, al-Munawi, vol. 4, p. 664.
[22] Corano, 3:42.
[23] Corano, 10:35.
[24] Corano, 1:5-6.
[25] Corano, 4:49.
[26] Nahj al-Balagha, Sharif al-Radi, sermone 222.
[27] Ibid., detto 147.
[28] Ibid., detto 432.
[29] Ibid., sermone 222.
[30] Corano, 5:75.
[31] Cfr. per esempio: Corano, 2:177 e 33:23.
[32] Corano, 3:7.
[33] Corano, 3:18.
[34] Corano, 29:49, 34:6.
[35] Al-Kafi, al-Kulayni, vol. 1, pp. 212-214.
[36] Ibid., vol. 1, pp. 221-228.
[37] Corano, 27:16.
[38] Tarikh Madina al-Dimashq, Ibn ‘Asakir, vol. 42, p. 392.
[39] Kanz al-‘Ummal, Muttaqi al-Hindi, vol. 13, p. 133.
[40] Ibid. Vol. 12, p. 209.
[41] Al-Musnad, Ahmad Ibn Hanbal, vol. 6, p. 42.
[42] Tarikh, al-Ya’qubi, vol. 2, p. 179.
[43] al-A’imma Ithna ‘Ashar fil-Umma, Sayyid Murtada ‘Askari, p. 222.
[44] Al-Imama wa al-Tabsira, Ibn Babawayh, pp. 21-23.
[45] Al-Kafi, al.Kulayni, vol. 1, pp. 525-535.
[46] Cfr, anche: al-Muraja’at, pp. 187-307.
[47] L’hadith è reperibile nel Nahj al-Balagha di Sharif al-Radi, Kamal al-Din di Shaykh Saduq, Kitab al-Irshad di Shaykh Mufid; e tra le fonti sunnite nel Tadhkirat al-Huffaz di al-Dhahabi, Tarikh Madina al-Dimashq di Ibn ‘Asakir, vol. 4, p. 18 e Kanz al-‘Ummal di Muttaqi al-Hindi.
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