Il Quarto Emiro e l’incompiuta Università Islamica di Bari
di Hamza Biondo
Nelle cronache medioevali, Bari è menzionata come terra di Emiri. Infatti, per un trentennio questa parte del mezzogiorno di Italia, fu sede di un insediamento musulmano stabile, governato in successione da tre comandanti. A partire dal 847, fino al 871, queste truppe saracene, guerreggiando e pregando, diedero filo da torcere a nobili longobardi, vescovi armati e financo al principe Adelchi, reso famoso dal Manzoni. Pochi però sanno che, in anni a noi vicini, il medesimo territorio fu testimone di una interessante ed alquanto singolare esperienza, il progetto di edificare una università islamica, fondare un polo di studio e divulgazione, e raccogliere, stavolta su basi culturali e teologiche, l’ eredità di quell’emirato che nel IX secolo aveva governato la città.
Artefice del progetto, Michele Tridente, italianissimo ingegnere, impegnato nel settore alberghiero e delle costruzioni, persona colta e di vaste letture, convertito all’Islam, interessato al sufismo, forse massone. Un personaggio poliedrico, straordinario, così come ancora ne produce la provincia italiana. L’idea, o meglio, il sogno di un centro religioso e culturale, in cui fossero presenti l’università, la moschea, l’azienda agricola, laboratori artigianali e di medicine alternative, si sarebbe dovuto sviluppare su un’area di più di due ettari, vicino Casamassima, a pochi chilometri da Bari. Il luogo scelto, già di suo è ricco di memorie. Bari è sinonimo di Levante e non solo per l’omonima Fiera, la città ha una tradizione di legami con il vicino oriente, furono gli emiri musulmani ad aprire le rotte commerciali con la Siria e l’Egitto, oggi dal suo porto partono le navi per Durazzo, Patrasso, Alessandria d’Egitto. La città è meta di pellegrinaggi dai paesi dell’est, nella sua basilica riposano i resti del vescovo Nicola, uno dei santi maggiormente venerati dalla chiesa ortodossa. Durante il fascismo venne scelta come sede dell’emittente radio nazionale che trasmetteva in arabo programmi di cultura e propaganda, rivolti ai paesi del Mediterraneo.
Le suggestioni non mancano e non sorprende la scelta dell’ ingegnere Tridente di edificare qui il suo ponte tra Cristianità e Islam. A tal fine acquistò nella campagna barese una masseria settecentesca, gli edifici furono modificati e altri aggiunti, con la finalità di ospitare le funzioni tipiche di un campus universitario: saloni, aule, mense, alloggi, e ovviamente luoghi di meditazione e preghiera. I lavori procedevano velocemente e la villa moschea assumeva presto un aspetto monumentale, imponente, complice il biancore della pietra pugliese utilizzata per i rivestimenti. Malgrado non sia stata ultimata, la struttura ha oggi un fascino indiscutibile. La sua storia e l’alone di mistero ci hanno conquistati, non sorprende perciò il nostro desiderio di visitare quella che sarebbe dovuta diventare una enclave musulmana in terra italica. Ma entrare ci è risultato impossibile, vista l’alta parete e le recinzioni che circondano il fabbricato. Per la descrizione dell’interno ci siamo affidati così alle note inviateci dall’amico Mario Tilgher, che in veste di archeologo urbano ha studiato il manufatto.
Dall’ingresso, chiuso da un cancello ormai arrugginito, inizia il viale alberato, e conduce all’elegante villa di fine 800. Da qui si dipanano molteplici ambienti, una torre merlata sormontata da cupole, cortili interni delimitati da colonnati, saloni con archi moreschi, chiostri e fontane che richiamano l’Alhambra, agili architetture del Maghreb cedono il passo a strutture massicce, tipiche dei saraylar ottomani. Stili diversi, sovrapposizioni, forse un po’ di confusione, così come suggeriva l’entusiasmo e la cultura autodidatta del suo ideatore. D’altronde, in terra di Puglia Oriente ed Occidente si incontrano e la contaminazione è inevitabile. Ulteriore sorpresa per i visitatori, scoprire l’esistenza nei sotterranei di un bunker, dotato di impianto di ventilazione, nel quale gli studiosi avrebbero trovato riparo da una eventuale catastrofe batteriologica. Tridente aveva previsto quasi tutto.
A sottolineare la destinazione spirituale del luogo, troviamo sure del Corano, la Basmala, simboli della tradizione sufi, scolpiti ovunque nella pietra, da esperte maestranze con l’ausilio di eleganti calligrafie islamiche, nella rigorosa ortodossia. Su un frontone è presente la data 1404, l’anno del calendario musulmano che corrisponde all’occidentale 1984, nel quale forse Tridente aveva previsto di inaugurare l’università. Evento sempre rinviato e mai avveratosi, poiché ormai la costruzione della villa-moschea si intreccia con la vita del suo eccentrico artefice.
A questo punto, il nostro racconto da un ambito spirituale e vagamente esoterico, deve calarsi in una dimensione decisamente prosaica, quella economica e giudiziaria affrontata dal costruttore musulmano. Negli anni ’80, Bari, la Milano del sud, conosce una fase eccezionale di investimenti economici ed edilizi. Tridente con le sue imprese è nel centro del vortice. Fra le tante opere, appartiene a lui la realizzazione dell’Ambasciatori, faraonico albergo, forse eccessivo nelle dimensioni, ma dalle scelte innovative e rivoluzionarie per l’epoca e la città.
Ma il diavolo sappiamo si cela nei dettagli, presto si presentarono problemi organizzativi e finanziari. Dovette confrontarsi con lentezze burocratiche, licenze negate, difficoltà amministrative e nel reperire fondi, ostacoli che Tridente in seguito attribuì a precise strategie di potentati locali che non vedevano di buon occhio la realizzazione della università islamica e i legami che instaurava con il mondo arabo. L’università islamica era in parte attrezzata, ma non completata. Per rilanciare l’iniziativa e trovare finanziatori, coinvolse intellettuali ed accademici dal mondo musulmano, organizzò nel 1988 un sontuoso convegno sulla pace in Medio Oriente. Ma tutto questo servì poco.
Le banche chiesero il rientro dei capitali prestati e i creditori colsero l’occasione per aggredire il suo ancora ingente patrimonio immobiliare. Il Quarto Emiro, così amava firmarsi, difendeva il suo progetto e sperava su contributi che non arrivarono mai. Prevalse l’incapacità di collegarsi con le organizzazioni islamiche internazionali, le fondazioni religiose in grado di fornire mezzi e assistenza.
La sua vita, ormai legata a filo doppio col sogno di realizzare un polo religioso nell’agro pugliese, ricorda Brian Sweeny Fitzgerald, il visionario magnate del caucciù che voleva costruire un teatro nel cuore dell’Amazzonia, e la cui vicenda è magistralmente raccontata in “Fitzcarraldo“ dal regista Herzog. Anche Tridente è incompreso da coloro che lo circondano. Insegue una visione e vuole donarla ad un mondo che ai luoghi dello spirito preferisce megalopoli assordate dal chiasso e imbruttite dalla folla. La sua idea ha qualcosa di ispirato, che non può essere testimoniato a parole. Ma gli altri non capiscono, vogliono prove, toccare con mano. Così, la vicenda del centro studi islamico si avviava verso l’epilogo. Nel 2004 il tribunale di Bari dichiarava fallita la società dell’incauto e generoso Tridente e il conseguente esproprio dell’università che, dopo essere stata nella disponibilità di una banca, fu ceduta ad un prezzo irrisorio ad una società di Casamassima.
E’ proprio vero, gran parte della nostra sofferenza deriva dalla incapacità di restare quieti in una stanza. Il nostro ingegnere convertito all’Islam, costruttore di ponti tra culture, ignorato dai contemporanei, lasciava questa esistenza terrena nel 2017. La grande villa di pietra bianca esiste ancora, in parte nascosta da muri e cancelli, è un piccolo villaggio abitato dal vento, testimone del tentativo di riportare nella campagna pugliese gli studi islamici e il richiamo della preghiera. Thomas Edward Lawrence, uno che di avventure se ne intendeva, soleva dire: “Tutti gli uomini sognano, ma non allo stesso modo. Coloro che sognano di notte, nei recessi polverosi delle loro menti, si svegliano per scoprire la vanità di quelle immagini. Ma coloro i quali sognano di giorno sono uomini pericolosi, perché possono mettere in pratica i loro sogni ad occhi aperti”. Michele Tridente era uno di loro.
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