Gli Imam come ermeneuti del Corano. Significato esoterico di un versetto coranico secondo gli Imam Baqir e Sadiq (as)

Gli Imam come ermeneuti del Corano

Significato esoterico di un versetto coranico secondo gli Imam Baqir e Sadiq (as)
Amélie Neuve-Eglise

Uno degli aspetti centrali della missione degli Imam è di svelare il senso profondo ed esoterico (bâtini) dei versetti coranici. Lungi dal mettere in causa il loro senso apparente (zâhiri), essa ne costituisce l’approfondimento e ne rivela lo spirito. Presenteremo qui un esempio di questo processo di interpretazione che ci permetterà di mettere in rilievo la figura dell’Imam come “ermeneuta dei sensi esoterici (bâtini) del Corano”.

Questo articolo si basa su uno studio di Herny Corbin intitolato “Face de Dieu, face de l’homme”, pubblicato all’interno di un’opera avente lo stesso titolo. (1) Il contenuto stesso di questa interpretazione ci aiuterà a capire meglio una delle funzioni principali dell’Imam come “Volto divino mostrato all’uomo e volto che l’uomo mostra a Dio.” (2)

Una delle questioni metafisiche e teologiche di maggiore centralità è quella della natura del rapporto tra Dio e il mondo. A questo proposito, due concezioni opposte possono essere prese in considerazione: in primis una teologia definita “apofatica”, che consiste nel conoscere Dio per ciò che Lo distingue dalla Sua creazione e nel considerarLo “fuori dal mondo” per meglio preservare la trascendenza (tanzih) dell’essenza divina. L’insidia di questa concezione è quella di rendere impossibile ogni conoscenza e legame con Dio: sotto il pretesto di voler preservare la purezza assoluta di Dio in rapporto alla creazione, essa abolisce il concetto stesso di religione e apre la strada all’agnosticismo (ta’til). L’altra via opposta consiste nel credere che Dio somigli fondamentalmente alle creature (tashbih), portando ad una confusione tra Dio e la Sua creazione, e ad un abbassamento dell’Increato nel creato.

Tra queste due vie, attraverso la persona dell’Imam e più precisamente dei Quattordici Immacolati che, nella Shi’a, sono la manifestazione più perfetta degli attributi di Dio, l’insidia del tanzih e del  tashbih è evitata: i nomi e gli attributi con i quali l’uomo conosce Dio non si rapportano più all’Essenza divina stessa ma a una teofania che costituisce il supporto e il luogo di manifestazione di queste perfezioni.

A questo proposito, presentiamo il senso profondo del versetto 88 della sura “al-Qasas” (Il Racconto) tale come è stato presentato dagli Imam Baqir e Sadiq. Le loro parole sono state riportate nel Kitâb al-Tawhid (Libro dell’Unicità divina), opera di Shaykh Suduq che può essere considerata come un pilastro della teologia sciita. (3) Il pensatore iraniano del XVII secolo Ghâzi Sa’id Qomi ha scritto un ricco commentario a questa opera, così come sul tema che qui ci interessa. (4)

 .

Domanda

كُلُّ شَيْءٍ هَالِكٌ إِلَّا وَجْهَهُ

“Tutto perirà eccetto il Suo Volto” (28:88)

Alla lettura di questo versetto, una prima questione si pone: di cosa parliamo? In termini più tecnici, a cosa si riferisce l’aggettivo possessivo “Suo”, che in arabo diventa il pronome enclitico hu collocato alla fine del termine “volto” (wajh-hu), e che potrebbe essere tradotto letteralmente per Volto “di lui”?

L’esegesi corrente considera evidente che “suo volto” non è altro che il Volto di Dio: tutto scompare e perisce, ad eccezione del Volto del Creatore eterno. Tuttavia, dopo aver meditato, non vi è nulla che permetta di affermare questa ipotesi con certezza: da questo versetto si potrebbe ugualmente comprendere che “hu” rinvii al volto di una “cosa”, e che esso significhi in realtà: “Ogni cosa è deperibile ad eccezione del volto di questa cosa.” (5) Una tale ipotesi fa sorgere una nuova questione: cos’è questa “cosa” il cui volto non perisce?

Queste linee ci danno una panoramica delle ambiguità che possono contenere certi versetti del Corano, e viene sottolineata la necessità dell’esistenza di un interprete sicuro che permetta di svelare non soltanto i sensi nascosti, ma anche i più apparenti come il soggetto di tale versetto, come nel nostro caso.

.

Primo livello di interpretazione

Un primo chiarimento ci viene dato da un hadith dell’Imam Baqir, il quinto Imam degli sciiti. Nel corso di un dibattito sul Volto di Dio, gli venne chiesto se fosse possibile e lecito attribuire un volto al Creatore. L’Imam rifiuta una tale ipotesi sottolineando che se Dio avesse un volto, dovrebbe del pari avere un corpo e delle membra. Qui cadiamo nella trappola dell’antropomorfismo che il Corano nega chiaramente. (6)

Su questa base, l’Imam Baqir rifiuta con ironia un’interpretazione letterale di questo versetto:  “Allora tutto il resto perisce, ma il Suo volto rimane?!” (7), per poi concludere che il senso di questo versetto è che ogni cosa è votata all’estinzione salvo la sua religione, “perché il volto è quella cosa verso la quale ci voltiamo e verso la quale ci dirigiamo”. (8) Qui, un primo senso del Volto indicante la religione e “ciò per il quale l’uomo si rivolge a Dio” è sottolineato dall’Imam.

Nel commentare questo hadith, Ghâzi Sa’id Qomi precisa che l’Imam Baqir vuole presentare l’idea che il Volto Divino è da prendere in senso immateriale e simbolico, come mezzo attraverso il quale Dio si rivela e si mostra a ogni credente.

Sulla base di questa prima interpretazione, appare dunque che il volto eterno di un essere è la sua stessa religione (din), vale a dire, se seguiamo il commento di Ghâzi Sa’id Qomi, la fede e lo stato spirituale di un essere che è appoggiato e sostenuto dalla dimensione esteriore della religione (la shari’at e le sue regole).

.

Approfondimento del senso attraverso un altro livello d’interpretazione

L’interpretazione di questo versetto può conoscere nuovi livelli di profondità. Rivelando un altro livello del significato di questo stesso versetto, l’Imam Sadiq, il sesto Imam degli sciiti, dichiara: “Il Volto di Dio che non perisce siamo noi.” (9) Qui comprendiamo dunque che gli Imam (10) stessi sono il “volto di Dio”. Ma come conciliare questa nuova interpretazione di “Volto” come “Imam”, con il precedente che presentava il “volto” come religione dell’uomo – sapendo che i diversi livelli di interpretazione non possono contraddirsi tra loro?

Queste due interpretazioni della nozione di “volto” sia come “religione” (nel senso del volto che l’uomo rivolge verso Dio) sia come “Imam” si conciliano attraverso il concetto di relazione teofanica. Per un credente sciita, Dio si rivela all’uomo attraverso una persona che non è altro che quella dei Profeti e degli Imam. E’ questo volto di Dio mostrato all’uomo (seconda interpretazione) che condizionerà la relazione dell’uomo con il suo Creatore e la sua via interiore – e dunque, a sua volta, il volto che il credente mostrerà a Dio (prima interpretazione). L’Imam è dunque la via che permette di accedere a Dio; è la figura teofanica per eccellenza attraverso la quale Dio si fa conoscere alle Sue creature e permette a queste ultime di rivolgersi verso Dio, donando una dimensione perenne a questo “volto” della loro esistenza: “Tutto perisce eccetto il suo Volto”. Questa polarità dell’Imam permette all’uomo di conoscere il suo Dio, pur mantenendo la Sua trascendenza. L’Imamato si afferma qui come condizione stessa dell’Unicità Divina (tawhid).

Comprendiamo qui come queste interpretazioni permettano di evitare i due scogli evocati precedentemente: un letteralismo riducente Dio a una creatura antropomorfa o, al suo opposto, una visione allegorica razionalista che svuota il testo del suo senso profondo. (11)

Questa idea di polo tra Dio e la creazione permette di meglio comprendere i tre versetti coranici relativi all’Imamato: in primo luogo l’importanza dell’amore per la Famiglia del Profeta, “volto” di Dio rivolto verso l’uomo: « Di’: “Non vi chiedo alcuna ricompensa (ajr), oltre all’amore per i [miei] parenti più prossimi (mawadda fil-qurba)” (42:23), visto che il beneficio di questa ricompensa è destinato alle persone stesse che danno prova di questo amore: “Di’: “Non vi chiedo nessuna ricompensa (ajr). Essa vi appartiene” (34:47), e infine che la ricompensa di questo amore non è altro che il fatto di avvicinarsi a Dio: “Di’: “Non vi chiedo ricompensa (ajr) alcuna, ma solo che, chi lo voglia, segua la via [che conduce] al suo Signore”. (25:57) Il legame tra l’Imam come “volto” e “via” verso Dio appare qui in tutta la sua chiarezza.

Facendo eco a questi versetti ed a commento della nozione di “Volto”, Henry Corbin sottolinea che “Gli Imam sono il Volto che ogni credente ha verso Dio, perché essi sono la Soglia di Dio (Bâb Allah) e poiché non possiamo dirigerci verso una cosa se non prendendo il cammino che conduce verso e attraverso la sua soglia. Allora, allo stesso modo di come colui che recita la Preghiera canonica deve, nel mondo esteriore, volgere il suo volto verso il Tempio sacrosanto (prendere la Ka’ba per polo d’orientamento), Tempio che è la casa di Dio e la soglia di Dio nel mondo esteriore o exoterico (fîl-zâhir), è importante che l’uomo, in tutte le situazioni che coinvolgono la sua conoscenza spirituale (ma’rifa) e il suo servizio divino, rivolga il volto del suo cuore verso la Soglia interiore o esoterica (bâb bâtin) e il vero Volto, verso la Ka’ba della pura luce, verso il Tempio sacrosanto del mondo superiore.” (12)

Per concludere, citiamo nuovamente Corbin a proposito della dimensione metastorica della Shi’a che contiene un messaggio attuale per ogni credente desideroso di “rivolgere” e orientare il suo sguardo verso il suo Creatore. Citando una somiglianza d’espressione tra l’arabo e il francese sul fatto che noi diciamo che una cosa “ci riguarda” per significare che essa ci concerne, egli sottolinea: “infatti, questo non è esatto. Una cosa non “riguarda”. Siete voi che la riguardate. Ed è proprio perché voi la riguardate, che essa vi riguarda. Dire che essa non vi riguarda non implica eo ipso che voi non la “riguardate”. Ora noi viviamo in un mondo dove si è compreso, per molti degli uomini almeno, che la questione di Dio non si pone più; essa è superata, dicono, la questione non ci riguarda più. Nel nostro contesto attuale, questa frase banale, nella sua accezione letterale, è un colpo terribile. Si, “Dio non ci riguarda più”, significa qui che noi non Lo riguardiamo più.” (13) Condizione della permanenza di questo sguardo, la figura dell’Imam si vede conferire una dimensione altamente metafisica e spirituale, dalla quale dipende il cammino del pellegrino verso il suo Creatore. I differenti aspetti di questa realtà di “polo” sono stati evocati in numerosi hadith degli Imam, tra cui il famoso detto dell’Imam Rida (as) concernente il senso profondo dei Nomi di Dio evocati in questo versetto: «Ad Allah appartengono i nomi più belli: invocateLo con quelli” (7:180): “Giuro su Dio, i Nomi più belli di Dio siamo noi, e l’invocazione di una persona non sarà esaudita se non attraverso la nostra conoscenza” (14).

.

Note

1) “Face de Dieu, face de l’homme”, in Corbin, Henry, Face de Dieu, face de l’homme. Herméneutique et soufisme, Entrelacs, 2008, pp. 245-313.

2) Ibid, p. 246.

3) Riprendiamo qui l’espressione di Henry Corbin, Ibid, p. 249.

4) Il commento di questo versetto compare nel capitolo 11 che affronta il tema del Volto divino.

5) “Face de Dieu, face de l’homme”, in Corbin, Henry, Face de Dieu, face de l’homme. Herméneutique et soufisme, Entrelacs, 2008, p. 250.

6) Il Corano dice chiaramente che “Niente è simile a Lui” (laysa kamithlihi shay’) (42:11). In rapporto ad avvenimento di qualche tempo addietro, non è inutile fare una precisione. La proiezione del film Persépolis in Tunisia (ottobre 2011) è stata oggetto di numerose proteste da parte del popolo tunisino, soprattutto perché vi si vede Dio rappresentato sotto forma di un vecchio uomo barbuto. I media occidentali si sono affrettati a sottolineare che queste proteste erano dovute al fatto “che nell’Islam è vietato rappresentare Dio”. Una tale espressione è totalmente fuori luogo e non comprende quale è veramente la posta in gioco: la rappresentazione di Dio non è una questione che ricade nell’ambito di ciò che è permesso o vietato; è semplicemente impossibile da un punto di vista logico e ontologico, in quanto abbassa il Creatore al rango di essere avente un corpo e dunque di conseguenza limitato e sottomesso alle leggi della materia – Dio diventa una semplice creatura terrestre tra le altre. ImmaginarLo “in cielo” o “molto grande” non cambia in nulla la questione. Noi non siamo dunque qui in presenza della trasgressione di una supposta “interdizione”, ma di un illogismo profondo, di un’impossibilità metafisica.

7) Ibid, p. 251.

8) Ibid.

9) Ibid, p. 252.

10) Si tratta più precisamente dei Quattordici Immacolati vale a dire del Profeta Mohammad (S), di sua figlia Fatima e dei Dodici Imam.

11) Ibid, p. 251.

12)  Ibid., p. 259.

13) Ibid., pp. 261-262.

14) Tafsir ’Iyysâhi, Vol. 1, p. 166 ; Musnad al-Imâm al-Ridâ, Vol. 1, pp. 334-335.

.

Tratto da: “La revue de Téhéran”- Si ringrazia l’autrice e il direttore per l’autorizzazione

Traduzione a cura di Islamshia.org © E’ autorizzata la riproduzione citando la fonte

Writer : shervin | 0 Comments | Category : La scuola dell’Ahlul-Bayt , Scienze coraniche , Via Spirituale

Comments are closed.