Della Libertà d’Espressione
R. Arcadi
In un nostro scritto precedente, che chiediamo venia di dovere qui citare, avevamo trattato in generale della vexata quaestio della libertà, in particolare di quella, presunta tale, tanto usurpata e conculcata dai vessilliferi vari della modernità o post modernità, che dir si voglia. Sarebbe ora invece nostro intento precipuo, occuparci di un argomento se possibile ancor più spinoso, quelle parimenti abusato della “libertà d’espressione”, di cui si fa oggi tanto vociare.
Quello di cui va quivi tenuto conto, è che quest’ultima è divenuta un argomento principe, dalla Rivoluzione Francese in poi in Occidente, e non vogliamo qui fare riferimento ad eventi antecedenti accessori di minor portata, da quella Americana, od anche da quella Inglese, per non dire di quelle minori, le quali portarono in precedenza, in Isvizzera e nei Paesi Bassi alla caduta dell’autorità temporale degli Asburgo, od addirittura ai fatti antecedenti, peraltro anch’essi cruciali della Riforma Protestante in Occidente.
Quest’ultima ebbe infatti per la prima volta l’ardire di farsi promotrice di una “libertà coscienza e di esame” meramente individuali e mondane, che possiamo a rigore considerare siccome l’anticamera della “libertà d’espressione e di stampa”, almeno per allora, a presiedere dagli artifici informatici successivi, che tanto la fece da promotrice dell’onda di eventi che sconvolsero l’Europa dopo le velleità di restaurazione della “Santa Alleanza”, con tutte le sue pretese di ricostruzione in definitiva vane, una volta perduto il principio.
Si potrebbero prendere per antecedenti di controversia anche le vicende che, sempre in Occidente, resero celebre l’Inquisizione cattolica, il Santo Uffizio, con tutti i suoi orrori, millantati o no, reali oppure inventati ch’essi fossero di sana pianta, in particolare il celeberrimo processo a Galileo, il quale oppose ai suoi Giudici la sua millantata libertà di pensiero e d’espressione, così come le sue pretese sperimentali e “scientifiche”, a suo avviso affatto incontestabili.
Senza che ci si rendesse conto sia dall’una sia dall’altra parte, tanto da Galileo con le sue assolutizzazioni e velleità “scientifiche” ante litteram, come dalla Chiesa cattolica con le sue esagerazioni ed i rigori del tutto fuori luogo, che entrambi stavano del tutto falsando la realtà dell’argomento in questione, dato che di ben altro in realtà si trattava, come avremo modo di dire nel seguito di questo nostro scritto, esaminando un po’ più attentamente la questione.
In definitiva, il risultato anche di questi male illuminati interventi, fu quello di fare pullulare in Occidente tutto un insieme di fisime liberatrici, o in un senso o nell’altro, della libertà dell’individuo ridotto alla sua velleità di mera insussistenza di specie indivisibile astratta ed inadeguata, con tutte le sue pretese d’esprimere il nulla celato nel suo cuore di tenebra, che era stato sino ad allora, seppure in maniera sovente distorta, provvidenzialmente occultato e contenuto.
Diciamo “provvidenzialmente”, a prescindere da tutto quell’insieme di errori ed esagerazioni che avrebbero portato in seguito a tutto un proliferare di presunti “campioni della libertà”, in realtà male illuminati individui, vittime non certo di abusi per quel che concerne il loro pensiero, e neppure la sua stessa espressione, che avrebbero continuato ad esistere comunque, in sé il primo, il secondo nell’ambito di un qualche confronto biunivoco non indifferente, che non lasciasse adito ad errore, contrariamente alle stolide pretese contemporanee.
Nel tentativo di dare una qualche definizione della libertà d’espressione, non possiamo certo prescindere dal fatto, che essa non sarà in nessun modo mero arbitrio discorsivo radicato in un’insussistenza individuale di fondo, ma invece confronto affatto scevro d’indifferenza, che in definitiva, ben lungi dalle pretese di relatività contemporanee, ad altro non si ricondurrà se non ad un confronto tra realtà ed insussistenza, con quell’essenza quintessenziata, con quell’essere donde inevitabilmente deriva, senza vie di mezzo, terzium non datur.
“È Essere”, come disse Parmenide nei suoi celebri frammenti, poi ripreso da Platone e Plotino, all’inizio di questa nostra era, presa dai moderni per una realtà assoluta, rendendo una testimonianza assunta dalla Rivelazione primordiale, alla sapienza e realtà antica ed originale, non certo pretesa “filosofia perenne”, come pretenderebbero invece arbitrariamente taluni, che equivocano pesantemente sui significati dei termini, in un senso meramente riduttivo.
Essendo questo solamente uno dei casi delle riduzioni contemporanee, da riferirsi più in generale all’inversione dei significati, ad un livello o ad un altro, tali da far sì che un senso trascendente abbia a ridursi ad alcunché d’inferiore, di “umano, troppo umano”, per dirla con Nietzsche in uno dei suoi rari momenti di lucidità, od addirittura infero, secondo la legge della corrispondenza, o dell’inversione dei vari livelli dell’essere, per la corrispondenza tra inferiore e superiore, della quale si potrà anche all’occorrenza abusare.
Filosofia che costituisce al più, nei casi sia di validità, sia d’inversione erronea, un aspetto derivato inferiore, che sarebbe stata poi attinta dal suo deposito adamico primordiale, dal Nunzio della Realtà, ripreso in seguito dai Messaggeri successivi, sino al Sigillo finale dell’Islam, così come dei suoi grandi depositari nel dominio dell’espressione discorsiva, quali Platone, Plotino, Molla Sadra, i quali ne avrebbero in seguito espresso ad extra l’eminenza.
Facendola così da sussidiaria dei detentori antecedenti, nel senso del tempo e dell’essere, dei depositari originali del Messaggio Rivelato, Inviati dai superiori domini della trascendenza, a rendere testimonianza all’universo ed all’Uomo dell’Essenza, degli Attributi, e degli Atti divini, onde se ne rendesse testimonianza nel loro successivo tralignamento, tanto da addurne il ricordo superno alla dimenticanza, dai Nunzi dei Figli d’Israele, così come dai loro vari fratelli, inviati ai tanti popoli del mondo intero, di cui il Sacro Corano.
Dicevamo altrove che la cosiddetta “filosofia”, vocabolo ellenico risalente a Pitagora, vale a dire il pensiero discorsivo, esprime alla perfezione l’indole sua derivata, nel senso appunto d’”amore”, o piuttosto “amicizia per la sapienza”, senza peraltro assurgere al livello di quella sapienza stessa donde pure deriva, tanto da rivelarne al mondo, dal principio donde non possono entrambi prescindere, gli aspetti sussidiari e derivati, non sotto il riguardo, ma come via alle sue eminenze, le quali a quella sapienza superiore competono di diritto.
Sua funzione sarà piuttosto quella di dare una concatenazione casuale non immediata alle conseguenze dei livelli superiori dell’essere, sotto il riguardo della “scienza consequenziale” ravvisata dai pensatori musulmani, in quanto distinta e successiva a quella presenziale, oppure anche delle scienze subordinate di cui Tommaso d’Aquino all’inizio della Summa, il cui inizio è la conclusione di quelle superiori, implicandone peraltro in qualche modo la conoscenza.
Oppure sotto il riguardo dell’intelletto immediato, distinto dalla ragione mediante, sempre in Tommaso d’Aquino, oppure anche di quelle contemplazioni ed intuizioni superiori che Molla Sadra, all’inizio degli Asfar, pone a principio delle sue argomentazioni, il che lo distingue dall’aspetto puramente contemplativo, ravvisabile invece per lo più in Ibn Arabi, il che rende conto della differente grandezza dell’uno e dell’altro sapiente.
Laonde quello che la sapienza anteriore dei Nunzi della Rivelazione include siccome il tutto, ivi comprese le varie norme effettuali, in una guisa che riconduce direttamente alla scaturigine divina trascendente, gli allevi dei suoi depositari, in una guisa subordinata peculiare al pensiero del dominio discorsivo, la esternano conseguentemente dimostrativamente e, razionalmente, nel caso in cui questa sia una conoscenza dall’antecedente d’essere, non delle astrazioni arbitrarie delle procedure discorsive, da Aristotele in poi.
Trattandosi in effetti di derivare dall’essere l’esistenza, quindi la molteplicità dall’unità, ai loro vari livelli, non certo di avvalersi di un pretesto particolare per giungere ad un altro particolare, estraendolo invece dall’identità, dall’unità, dall’unicità trascendenti, siccome appunto insegna Molla Sadra, massimo dei Maestri sotto questo medesimo riguardo. Nulla dunque che abbia a che vedere con la due perversioni dell’«induzione» e dell’”assimilazione”.
Induzione che il medesimo Molla Sadra rimproverava al Peripatetico Avicenna, costituendone l’assimilazione, in arabo il “qiyās”, la radice erronea, condannata questa, e non solamente per la Giurisprudenza, dall’Imam Jaºfar, la pace su di lui, com’ebbe a riferirci il suo discepolo Jābir, addivenendo da un particolare ad un particolare, laddove invece la prima va da un particolare ad una molteplicità, od ad un insieme generale, del tutto scevro, nella sua astrazione, da ogni universalità, che non potrà essere se non trascendente.
Essendo questa la procedura di cui vanno fieri ed abusano la scienza ed in generale il pensiero moderno, nella pretesa di derivare il tutto dell’esistenza dal nulla, non dall’uno, vale a dire, o direttamente od indirettamente, da quell’inconsistenza, in cui le suddette procedure separative ed astrattive sono radicate, com’è ad esempio in Hegel, nella sua Scienza della Logica, a ribadire peraltro un pensiero non certo moderno, ma fondato nella sua voragine dissolutiva.
Questo ben prima che a Londra la “Massoneria Speculativa” alterasse le regole di quella operativa tramandateci dal Wren, cattolico e realista, rifacendosi alle antiche iniziazioni, o procedure attuative dei mestieri, il che avveniva significativamente nella seconda metà del settecento, poco prima della Rivoluzione Francese e di quella Americana, all’inizio del successivo sovvertimento moderno, avvenuto peraltro dopo lunga, graduale, e meticolosa preparazione.
Con una sua scaturigine profonda, tutt’altro che trascendente, derivata dal rifiuto antichissimo, seppure niente affatto originale come invece la profusione divina, prima del nostro tempo, del Padre di Menzogna, come lo definisce l’Evangelo di Giovanni, di sottomettersi all’Uomo Universale, prima scaturigine divina nella sua unità, come ci narra il Sacro Corano, facendo uso appunto, seppure in negativo, per esclusione, della procedura poi abusata dell’«assimilazione».
Ora la procedure inversa e corretta, come già c’insegnava Platone, avrà tutt’altra scaturigine, tutt’altro modo di procedere, andando dalle unità trascendenti ai loro elementi derivati inferiori, ai quali esse verranno così a dare un senso, tutt’altro significato in effetti, avvalendosi di un’inversione solo apparente, dato la non corrispondenza e la non biunivocità tra l’essere ed il nulla, ai quali i due opposti modi di procedere verranno a fare riferimento.
Non le assimilazioni dunque, così come neppure le induzioni dei moderni e dei contemporanei da esse derivate, siccome appunto dicevamo qui sopra, non le inani immaginazioni dissolutive, oppure i nessi di Aristotele, che hanno dato luogo in questi nostri tempi confusi e tenebrosi a tutta una profusione pressoché indefinita di correlazioni fallaci ed arbitrarie, immaginarie o no ch’esse siano, discorsive ed astrattive oppure sperimentali, a giustificazione di ogni arbitrio fatto passare per alcunché di valido, per realtà di fatto.
Siccome a farla da sussidi o principi a quegli arbitri ed a quegli autentici mostri che su di essi pretendono di edificarsi, in realtà derivando da quel Menzognero per eccellenza di cui abbiamo sopra detto, che tentò di conculcare all’inizio l’Uomo Universale, in quanto prima scaturigine divina. Sarà dunque proprio quella della quale abbiamo or ora detto l’arma da opporsi ai nostri vari avversari, in definitiva quella vittoriosa, la quale ne invaliderà e distruggerà punto per punto i cavilli, le fallacie dell’argomentare specioso.
Ma dicevamo all’inizio di libertà, di libertà d’espressione, che sarebbe anche e soprattutto quella de esternare il presunto e preteso pensiero umano, con tutti i suoi errori ed orrori, delle cui possibili fallacie abbia qui appunto in precedenza trattato. Perché se non vorremo conculcarle con l’imposizione, il che non sarebbe certo disdicevole nei casi di pertinacia estrema e colpevole, andrà invece, seguendo l’esempio dei Puri, messa in rilevo nella sua stessa fallacia, facendone carico ad una mente ottenebrata, tentando di risvegliarla dal suo torpore.
Tutto questo, siccome dicevamo qui in precedenza, anche a prescindere direttamente da quella pur sempre inevitabile visione presenziale, in qualche modo imprescindibile, almeno nei casi degli assunti corretti, la quale potrà nondimeno avere anch’essa i suoi errori, almeno non in quelli che sono i casi della sua purezza superna, affatto scevra da correlati non trascendenti, derivati invece dall’assunzione in essa di quegli stessi mondi derivati formali e sottili, che non sono niente affatto scevri dai loro errori e dalle loro illusioni.
Vale a dire, nei casi di quelli variamente immaginali, ma pur sempre a loro modo materiali, i quali potranno ben sovrapporsi alla trascendenze, falsandone almeno in pare la purezza, del che potremmo addurre vari esempi. Non sarà questo il nostro caso, quello dell’errore e dell’illusione puri, essendo esso invece quello liminale della dissoluzione infera, che discerne le varietà formali derivate dalla loro identità suprema, addivenendo alla cosiddetta “materia”, in realtà mero supposito incoativo dell’insussistenza e dissoluzione pura.
La sussistenza suprema verrà in essa quasi del tutto a perdersi, fatta che ne sia salva la sopravvivenza larvale e tenebrosa, in un qualche modo occultata e non perspicua, la quale farà sì che vengano ad aversi a questo medesimo riguardo molteplicità discordanti, non solo di formalità sussistenti differenziate, ma anche la loro pretesa negazione, il conculcamento dissolutivo assunto al nostro medesimo livello d’esistenza liminale, della cosiddetta “materia”, appunto nel dominio che comprende l’errore e l’illusione.
Essendo questi due ultimi, vale a dire, l’errore e l’illusione, da distinguersi, nel senso che il primo, l’errore, verrà ad essere una mera negazione insussistente, non fosse solamente per il suo proporsi di forma dissolutiva, nel mentre invece la seconda, l’illusione, avrà pur sempre la specie di una sua sussistenza formale, che è soltanto in parte realizzata, da ricondursi a formalità quasi del tutto dissolte, ma che pur sempre conservano un loro specie, assunta appunto in quanto tale, nel suo estremo disfarsi non del tutto negato.
Dunque da una parte avremo formalità pur sempre sussistenti e differenziate a loro modo, vale a dire, a quello che verrà ad essere pur sempre a buon diritto un loro livello d’esistenza, con i loro assunti affatto formali e non sussistenti se non in parte, quantunque giustificati da una qualche scaturigine. Nel mentre e dall’altra parte avremo invece la mera sussistenza dissolutiva, nel mero senso del proporsene del non essere a questo medesimo livello d’esistenza, tanto da rivendicare in questo modo il mero diritto dell’insussistenza pura.
È questo anche il noto caso delle svariate entità infere e diaboliche, con tutto quello che loro compete, così come di quanti hanno scelto di uniformarsene alla scaturigine inferiore alla sussistenza superna. Né deve fuorviare a questo medesimo riguardo l’assunto d’Ibn Arabi, per cui “anche Satana è beato”, il che significherà in sostanza, che anche a lui, persino alla sua stessa dissoluzione, in quanto essere nel senso suddetto, competerà pur sempre in definitiva un esemplare divino, vale á dire, una sua scaturigine superna.
Il che verrà ad essere affatto corretto, tenendo conto del suo essere dissolutivo, al quale competerà pur sempre una scaturigine superna, nel senso che il suo dissolversi sarà sì il dissolversi di un essere, ma senza che quest’ultimo venga ad avere, in quanto negazione e non essere, nessuna controparte trascendente, che egli rifiutò all’inizio in virtù della sua argilla, in arabo “tīn”, vale a dire, della sua inconsistenza esistenziale creata, della sua natura non primaria non trascendente, pure a suo modo secondariamente originale.
Inconsistenza esistenziale la quale lo fece precipitare sì nella voragine infera, ma senza che ne venisse leso l’esemplare superno trascendente, sopraordinato ai livelli inferiori dell’esistenza in cui s’immerge, laonde il suo sarà certo un essere negato, sotto questo riguardo senza controparti superiori, ma al quale Iddio, Ne sia esaltato l’Essere, chiede secondo il suo stesso diritto d’essere, vale a dire, “di un essere”, la qual cosa egli rifiutò ab initio, precipitando nel suo mero dissolversi, che egli compì mercé del permesso divino.
È questa in effetti la controparte di quanti gli si conformino, in virtù di un’argilla consimile, ma pur sempre assunta in quel dominio superno, nel quale era stato loro richiesto di uniformarsi al destino trascendente ad essi riservato, certo non l’unico possibile, in virtù dell’efficienza del permesso divino in lui compiutasi, a suo modo attuabile nella sua alternativa, perché recita appunto il Sacro Corano, XLII, 30, 30, che è dell’uomo che viene ogni male, come causa seconda, ma non nell’efficienza del permesso primario divino.
Sarà questo inoltre il segreto, almeno in rapporto alla sua esclusione, dell’uniformità e dell’unità, oppure anche dell’unicità distintiva dei livelli dell’Uomo Universale, e quanto alla sua eredità vicaria, e quanto alle sue varie manifestazioni, vale a dire, in questo secondo caso, per quanto concerne i depositari della Rivelazione, la qual cosa significa quanto agli Inviati del Messaggio ed ai loro Eredi legittimi, i quali non ammettono nessuna contrarietà di separazione, neppure in questo nostro basso dominio inferiore.
Vale a dire, a prescindere dall’errore e dall’illusione in cui gli esseri umani, nella loro aura sensitiva e sottile, quando non sappiano prescinderne in virtù della conoscenza, ne immergono la sussistenza inferiore, vale a dire, valendo tutto questo specialmente per l’eredità vicaria e per il suo assunto trascendente universale compendiato dalla prima luce e dalla prima intelligenza, che si discerne nelle sue varie distinzioni formali inerenti all’identità della sua sostanza primaria, alla quale quelle sono affatto identiche.
Procedendo quindi di livello in livello, in ciascuno di essi unitariamente, vale a dire, di unità sostanziale in identità formale, e d’identità formale in identità formale, sino a giungere con la sua unità al nostro medesimo grado d’esistenza, al mondo della corporeità sensibile, nel succedersene delle particolarità sottoposte a questo nostro basso mondo, nel quale assumono forme di corpi e di vocaboli e di discorsi, senza nessuna soluzione di continuità, che non sia appunto quella di una formalità conseguente, ma unitaria.
Nulla dunque che abbia neppure lontanamente a che vedere con pretesi pretendenti in questo nostro basso mondo, in vario modo illusori quanto a noi, sia pure nella loro efficienza effettuale, negata invece nella trascendenza, di stornarne, o conculcarne, o addirittura di ripeterne la dignità e l’ufficio, il cui sembiante verrà rigettato del tutto al termine di questo nostro tempo, in quelle tenebre inferiori di cui ci dice Gesù, la pace su di lui, nell’Evangelo, questo peraltro conformemente all’assunto dello stesso Ibn Arabi.
Il quale, al di la di certe apparenze fuorvianti delle quali si potrebbero dare varie ragioni, afferma per parte sua che Muhammad, la pace su di lui e sulla sua Famiglia immacolata, è la prima derivazione della Luce Suprema Divina, essendone Alì a sua volta l’essere più vicino, costituendone il segreto dell’annunzio stesso, oltre alla sua funzione particolare riguardante la sua autorità, in arabo “wilāyaħ”, compendiata dal quel segreto, senza venire contraddetto dalla funzione universale di Gesù, la pace su di lui, a questo riguardo.
Dov’è da ricordarsi, che la “wilāyaħ”, vocabolo arabo dal vario significato di prossimità, autorità, guida, è inclusa nella funzione e nella persona muhammadica. Ora che abbia a che veder tutto questo con una pretesa ulteriorità, è ben difficile a capirsi da ogni sana intelligenza, sia nella trascendenza, sia nell’effettualità ad essa subordinata, a meno di includerla in quell’errore dissolutivo, anch’esso a suo modo radicato, per inversione, nella trascendenza.
Non avente pertanto nessuna controparte inclusa nella sua irradiazione, a prescindere dalla dissoluzione incoativa, in essa negata, di questo nostro basso mondo, radicata nelle larve delle figure infernali, nulla più, a prescinderne dal minimo contenuto d’essere. Del quale viene negato dunque il dissolversi, e null’altro affermato se non la sua consistenza minima, dunque mera fallacia quanto al nostro immaginare erroneo privo di trascendenza.
Dicevamo in precedenza l’errore, di cui abbiamo dato qui un esempio assai noto, che certamente Ibn Arabi, il Maestro Massimo, ha voluto includere nelle sue visioni a suo modo, a guisa di segreto, com’è degno di un contemplativo puro scevro dalle adduzioni argomentative, di cui non abbia a dare nessuna spiegazione discorsiva, siccome a farne una prova per chi abbia a considerarle, suo compito e nulla più, contrariamente a quanto pretendono taluni.
Come per quelli che vorrebbero ad esempio, per rifarci ad un altro caso non dissimile, fare persino di Yazid il maledetto un fruitore del giardino superno divino, contro la lettera e lo spirito delle narrazioni che lo esprimono, o che gratificano Muhawia il traditore del titolo di “Compagno del Nunzio divino”, giungendo a citarne persino i detti, o com’è anche per gli Ašariti, che giungono anch’essi a farsi beffe maldestramente delle ingiunzioni del Libro Sacro.
Nella pretesa, che sarà poi quella medesima di Lutero e di Calvino, che salvezza e dannazione siano una prerogativa malamente esclusiva, di cui Iddio, sia magnificato ed esaltato, non rende partecipe l’uomo. A prescinderne dalle opere e dal merito, sia pure comunicatigli, dimenticando che Egli “guida chi vuole”, ma sotto questo riguardo, non “salva chi vuole”, conseguentemente se non antecedentemente, come particolarità, non come causa universale.
Dicevamo quindi dell’errore, con il quale dovremo confrontarci, che sarà in diretto rapporto con la pretesa “libertà d’opinione”. Va qui premesso, rifacendoci a quanto avevamo detto in precedenza, in altra sede, che non si darà libertà a prescindere con la relazione con Iddio Altissimo, sia magnificato ed esaltato. Nel senso che la libertà sarà dell’ascesa a Lui, così come della discesa da Lui, realizzativa e non dissolutiva, nel senso del provenirNe del Messaggio, uniformandocisi al quale gli si ascende, così come se ne discende.
La libertà non verrà dunque ad essere tale del mero individuo. Ma verrà qui a porsi un difficoltà di non poco momento. Dato che questa libertà, contrariamente alle pretese stolide di moderni e contemporanei, abbia ad essere solamente per Iddio e da Iddio, Ne sia esaltato l’Essere, che ne sarebbe allora del libero arbitrio umano? Non torneremmo ancora in questo modo a quelle difficoltà ed a quegli abusi che avevamo in precedenza condannato?
Nel senso che questa medesima libertà sarebbe dunque attuativa, ex opere operato, non presupponendo dunque solamente una libertà operativa, quella dell’uniformarvisi, la quale viene invece estrapolata e portata alle stelle dall’insipienza dei moderni, che ne fanno l’unica libertà, contro i loro stessi assunti originali che invece la negavano, come avevamo già osservato poc’anzi, nella loro pretesa fallace di negare ogni qualsivoglia ascesa alla trascendenza, per non dare ragione se non della loro mera inferiorità effettuale.
Non dunque libertà attuata od attuativa ai suoi livelli superiori, ma invece libertà conseguente abbandonata a sé stessa, la quale prescinda dal fatto di essere libertà dall’anima passionale per l’intelligenza, essendo libertà dall’intelligenza per l’anima passionale, ridotta che sia quella alle sue forme inferiori, quando siano imprescindibili, od estese ad libitum oltre ogni convenienza, com’è per le astrazioni razionali aggiunte a dismisura alla sperimentazione odierna.
Assumendo in questo modo un sua presunta “forma assoluta” separativa, com’era in certe pretese degli idealisti ottocenteschi. In effetti, ci si potrebbe chiedere, un uomo, costretto che egli sia a scegliere, sarà ancora libero? E giunto che sia in tal modo ad una qualche libertà, quest’ultima che valore avrebbe? Domande che si pongono queste, soprattutto in relazione alle suddette pretese dei moderni, contro ogni suddetta realizzazione esistenziale ascendente.
È questo il cavillo specioso a cui si appigliano i moderni nel tentativo d’invalidare e di scalzare la libertà in quanto scelta di vita, che porti ai livelli superiori dell’essere, alla beatitudine del Giardino superno, ed ancor di più, siccome recita il Sacro Corano. È questo in effetti il “libero arbitrio” negato dalla modernità protestante, ed anche in precedenza dagli Ašariti musulmani, ma accettato invece dalla cristianità sia occidentale sia orientale, così come anche da Ibn Arabi, e dai seguaci della Famiglia immacolata del Nunzio divino.
Il che è in effetti assai significativo. Perché è appunto dalla dottrina protestante che nasce la presunta e pretesa libertà aberrante degli Occidentali moderni, così come anche dagli Ašariti musulmani quelle deviazioni all’origine di modernità e modernizzazione in senso all’Islam, pur senza farsene direttamente carico, negate peraltro com’erano in precedenza dalla Legge Rivelata, inesistente in quanto tale nel Cristianesimo paolino, e dalle prospettive di conoscenza superna, che in quello andarono mano a mano perdute.
Per non dire, sempre in ambito musulmano, di wahabiti e salafiti, anch’essi negatori d’ogni efficienza delle cause seconde, scaturigini questi ultimi dei maggiori abomini nel suo stesso ambito, in definitiva un’accettazione più o meno occultata della modernità e dei suoi principi fallaci, che qui intendiamo nel suo senso stretto dissolutivo, non in quello lato inclusivo della sua contro parte attuativa, di pari passo con la sua formalità vuota, che vorrebbe farla da rigore e da ardore, dando un cadavere a quel che in essa è morto.
Dunque ci ritroviamo qui di fronte alla conseguenza, almeno apparentemente strana, per cui la negazione della libertà operativa umana inferiore porta invece alla sua assolutizzazioni, sempre inferiore, mentre dall’altro canto, il fatto d’assumerla nel suo giusto ufficio, nei suoi giusti limiti, e nella sua giusta causa, ne porta invece al compimento ed al superamento, secondo quello che avevamo già rilevato poc’anzi, per cui l’eccesso passionale nasce dal limite che conculca l’ascesa alla trascendenza ed al suo Giardino.
Perché in definitiva il libero arbitrio, se non c’è né Iddio, sia magnificato ed esaltato, né il Suo Giardino, a farla da termini di una libera scelta umana, ci saranno per un uomo velleitariamente scevro da lui, sia pure nella sua assoluta predestinazione trascendente, nel mentre il dargli il suo giusto fine, fa sì che esso funga da Suo tramite, tale da attuarne invece, conformemente alla Sua Volontà, l’ascesa attuativa nel verso del Suo Giardino e dell’estinzione in Lui. Un Fatto apparentemente assai strano, dicevamo dunque.
Per cui la negazione dell’ascesa ad Iddio, Ne sia esaltato l’Essere, vale a dire, della libertà e dell’efficienza dell’essere umano in tal senso, anche se voluta antecedentemente solo da Lui, giacché come recita il Sacro Corano, “Egli guida chi vuole”, ma con un’efficienza di guida che se ne riverbera nell’agire, in lui e da lui; dicevamo che la negazione della libera ascesa ne nega, quanto all’uomo stesso, anche quell’efficienza subordinata, che si pretenderà poi velleitariamente di riesumare, come un cadavere animato, facendone il tutto.
Nel senso che a questa medesima stregua, l’uomo sarà libero solo di peccare. Quando la libera efficienza conferitagli dall’Altissimo, Suo dono e Sua grazia, di pervenire al Suo Giardino ed a Lui stesso, alla sua “visione beatifica”, per dirla con Tommaso d’Aquino, suppone la libertà dell’arbitrio radicata nella sua essenza, nella sua argilla, sempre l’arabo “tīn”, libertà dall’esito a suo modo inevitabile, nella sua efficienza consequenziale, e subordinata, non primaria, antecedente ed universale, come già prima dicevamo
Ma della quale, come dice Ibn Arabi, già l’osservavamo prima, Egli non gli ha richiesto se non quello che gli era possibile, perché nulla impone d’impossibile, sicché il vaso di nequizia verrà esso stesso a sprofondarsi nella voragine infernale, ma conformemente ad una sostanza che, provenendo da Lui, a Lui era in definitiva destinata, avendone la facoltà, ma che si è radicato nel suo limite, con il suo esito inevitabile, contro quello che gli era stato dunque riservato, che permane nondimeno nella scaturigine esemplare divina.
Dicevamo dunque che per i contemporanei questa libertà inferiore verrà ad essere tutto, a tutto dando essa valore, sia in un senso, sia nell’altro, quale che sia il termine del suo agire, ma a prescindere dal suo verso di percorrenza, dalla sua ascesa o dalla sua discesa, che non avranno in questo caso, seppure del tutto velleitariamente, nessun senso, in completa separazione da quella predestinazione a sé stante, che sempre permarrà inevitabile.
Il che sarà dunque, anche se in un modo apparentemente strano, nondimeno del tutto conseguente, l’effetto inevitabile di quel “servo arbitrio”, di Lutero prima, e di Calvino poi, di chi si ritiene infallibilmente predestinato ab aeterno, senza avere, almeno a questo riguardo, nessuna facoltà in proprio, arrogandosi in questo modo un diritto di agire indefinito, quale che ne sia il fine ed il contenuto, essendo il suo destino segnato indipendentemente dalle opere.
Laonde a questa medesima stregua, com’era anche per gli ašariti, e pure per il wahabiti, nella loro consimile negazione delle cause seconde, l’essere umano potrà permettersi di tutto, persino ogni nefandezza, se il suo stato è destinato ab aeterno, come già dicevamo, oltre ogni suo agire, in definitiva oltre qualsivoglia Legge Rivelata, nell’uno come nell’altro caso, siano Paolo, Lutero, Calvino, oppure Ibn Taymiyyah a dirlo, od i Maestri ašariti e wahabiti.
Sarà lecita a questa stregua ogni brama insana, ogni impudenza oppressiva, sia pur fatte salve quelle convenzioni d’ordine sociale, rese scevre da ogni significato trascendente ed ascesa attutiva, che consentono la sopravvivenza di questo ordine corrotto ed insano a cui si rifanno, in attesa che alla fine dal fondo di questo dominio a cui ci si era ridotti, si manifestino quegli ulteriori conati dissolutivi per ora tenuti da parte, a scanso di reazioni ancora pur sempre possibili.
Ecco dunque la radice perversa di quella libertà moderna e contemporanea, che alcuni personaggi male illuminati, ci è capitato d’esserne testimoni con le nostre stesse orecchie, ignorando disinvoltamente i dettami rivelati, si ostinano a considerare l’unica possibile, rifiutandone ogni altro verso e significato, quasi che il fatto che nella Rivelazione non sia contenuto un vocabolo, abbia a significare che non vi sia contenuta la cosa stessa nel suo senso eminente.
Nella pretesa che, allorquando nel mondo musulmano la si esiga, contro le stesse imposizioni perverse derivate dall’Occidente, ma non soltanto, solamente a quella si faccia contraddittoriamente riferimento, esigendo quel che si rifiuta, ignorando in tutto il patrimonio della Rivelazione, e della Famiglia immacolata del Nunzio divino, nel suo significato normativo eminente, che la fa a meno di ogni sottoprodotto, regressivo contro ogni apparenza.
Imponendo a tutto il mondo, o per lo meno sforzandosi di farlo in tutti i modi, con le buone o con le cattive, quella pretesa “democrazia”, o volontà popolare, famigerata per tutti, fuorché per gonzi e farabutti, il cui senso autentico dissolutivo fu già rivelato da Platone, nella sua Politeia, in attesa delle ulteriori, sempre più inquietanti attestazioni contemporanee, dai capi popolo, in greco “demagoghi”, agli odierni “poteri forti” esaminati dallo Schmitt.
Che ai nostri giorni vanno sempre più nettamente mettendo in mostra la loro scaturigine infera, al di là delle loro forme varie, con tanto di “diritti dell’uomo”, franco statunitensi, o delle nazioni unite, congrega massonica delle nazioni senza Iddio, sia magnificato ed esaltato, le quali, scisso l’uomo dalla sua origine superna, diventano l’esaltazione dell’anima concupiscibile e passionale con le sue passioni infere, dato che, assunti che fossero per assurdo, con un’indebita astrazione, in un senso superiore, avrebbero esisti affatto opposti.
Questa è dunque la libertà cui si aspirerebbe da molti, da troppi, o piuttosto, la quale si vorrebbe imporre a tutti, con le buone o con le cattive, come dicevamo. Tenendo peraltro conto del fatto che non si tratta certo qui di un’esclusiva creazione moderna, ma avendo essa la sua radice in quei poteri oppressivi, ad esempio per il mondo musulmano, vale a dire, libertà per pochi solo, non per tutti, almeno allora, che si vollero imporre alla comunità dei credenti allorquando venne disattesa la Volontà Divina, promulgata da Suo Inviato.
Oppure allorquando si fraintese il Messaggio originale precedente, conosciuto, almeno da taluni, espresso a suo tempo da Platone nella sua Politeia, il quale preconizzava un’autorità direttamente proveniente da Iddio, Ne sia esaltato l’Essere, dalla visione presenziale trascendente, in cui fosse radicato, come autorità spirituale, anche il potere temporale ad essa subordinato, laonde i pastori, privi che fossero delle dovute qualificazioni, divennero lupi, facendo scempio di chi era stato loro affidato sulle vie dell’ascesa.
Ma senza che ciò in nessun modo comportasse quella libertà inferiore, informe, indiscriminata, infame, che in Occidente impose la sua presenza specialmente dopo gli orrori della Rivoluzione Francese, ed anche Prima in America, tra i frammassoni all’inglese proprietari di schiavi negri, e poco più gradualmente, ma non meno deleteriamente, in Inghilterra, appoggiandosi in definitiva ad un traviamento completo del Messaggio Rivelato di Gesù, la pace su di lui, sostituendolo un’astrazione informe buona per ogni qualsiasi bisogna.
Essendo egli venuto a portare pentimento per quei Figli d’Israele, che avevano più volte rifiutato con arroganza la Guisa Divina, insuperbendosi dei doni largiti, sino a sancire, dopo di lui, la propria condanna. Il cui innesto paolino, peraltro in definitiva provvidenziale, sia pure nel suo arbitrio e nelle sue incomprensioni giudaiche, che svalutavano la legge Divina a pro di una fede informe, pure indusse in un Occidente decaduto dalla sua scaturigine pura originale, un’esigenza affatto simile a quelle che erano state le attitudini originali.
Dicevamo dunque libertà, nel suo mero arbitrio, ma non certo il libero arbitro ben noto alle scienze divine d’Occidente, ad un Tommaso d’Aquino e ad uno Scoto, il cui ufficio è d’avvicinare a Iddio, eccelsa Ne sia la menzione, quanto invece nel senso invertito dell’essere umano lasciato a sé stesso, senza nessuna guida divina, “libertà di tutto”, anche degli atti più immondi e ripugnanti, come droga, inversione sessuale, aborto, morte volontaria, e così via dicendo, quindi giustificata in tutto, con le eccezioni di cui sopra.
Avendo a nostro avviso una delle sue radici almeno in quelle concezioni deleterie paoline, nelle quali la fede, nulla d’intellettivo nel senso di una conoscenza superiore e presenziale, ma di un’adesione cieca radicata nelle immagini sottese all’aura sottile umana, viene a trovare stranamente, contro i principi trascendenti delle procedure discorsive unitive, contro ogni senso trascendente che ne dia ragione, la sua attuazione in un fatto del tutto corporeo, tornando così ad un formalismo affatto giudaico, dalla Legge alla Croce.
Vale a dire, nella pretesa crocefissione corporea del Cristo, della quale viene del tutto ignorata, almeno nella sua concezione occidentale cattolica, per non dire dei protestanti, l’aspetto glorioso di “Pantocratore” cui preferiscono riferirsi gli orientali, parzialmente rettificativo della crocefissione, di Signore di tutto, di trasfigurato alla soglia della prossimità divina, che spetta appunto all’Uomo Perfetto nella sua suprema prossimità divina, quale viene concepita sia di cristiani orientali, sia anche dai musulmani.
Dunque dal sottile al corporeo, dalla fede alla Croce, costoro procedono per certi riguardi similmente alle concezioni sheykhite, volgarizzate in Occidente dal Corbin, per i quali, con una svalutazione del corporeo somigliante a quella di coloro che “fanno cattivo l’universo”, confutati da Plotino nelle Enneadi, ripreso da Agostino, che pure mai giunse a liberarsene del tutto, da buon seguace di Paolo, si giunge a ridurre al solo dominio sottile tutto l’insieme delle vicende sacre, ivi inclusa la persona stessa dell’Atteso Ben Guidato.
Il quale invece, nella sua presenza corporea, oltre che sottile e trascendente, prerogativa precipua dell’Uomo Perfetto ed universale, ne garantisce invece la sussistenza e la salvezza trasfiguratrice ascendente. Vale a dire, che il suo dominio corporeo è da inserirsi nella serie ordinata dei livelli successivi dell’essere, tanto da farsene garante dell’ascesa stessa, la quale sarebbe altrimenti, resa scevra da quello che è il suo cominciamento, del tutto impossibile, riducendosi così ad alcunché di affatto privo di ragione sufficiente.
Dov’è da rilevarsi che costoro, per confessione del Corbin in nota dei Mašāºir di Molla Sadra riferita ad Ahmad Ahsāºī, vessillifero della corrente suddetta, nulla hanno a che vedere col dominio della conoscenza realizzatrice, in arabo ºirfān, con le sue varie correnti, che anzi li osteggiano, non quei mutakallim, in arabo “discorsivi”, o “teologi dogmatici”, con locuzione occidentale, contrapposti ai “teologi speculativi”, di cui gli sheykhiti fanno parte a buon diritto, tanto da riservare gli speculativi le loro accuse di pensiero discorsivo.
E dov’è da rilevarsi, che la pretesa e tanto millantata novità cristiana, peraltro negata più volte dallo stesso Cristo, meglio da intendersi come “deviazione paolina”, che fa della morte, non della vita del Cristo, a cominciare da quella trascendente, la pretesa radice di ogni vita, non fa che surrogare la conoscenza presenziale suprema e la sua via, con una ragione priva di significato, se la vita è dono divino sublime, largito nella sua eminenza alla persona umana, come frutto di conoscenza attuativa, non di fede cieca.
Tanto che gli stessi dei pagani che muoiono e risorgono, sia pure nelle deformazioni leggendarie, largivano agli uomini un insegnamento operativo, tutt’altro che la fede salvifica dei paolini, soprattutto dei protestanti. Laddove è da rilevarsi che i palamiti traspongono la cosa in tal senso, considerando la persona divinificata, non il suo messaggio nel senso riduttivo di norme prive di ragione sufficiente, ma in quello invece di esternazione al mondo della sublimità della Sostanza Divina dalla persona divinificata.
Questo nostro breve esame ha portato ad una conclusione a nostro avviso incontrovertibile, che non si darà in generale una libertà incondizionata, ma invece una serie di condizioni realizzative da inserirsi in una libertà autentica, non certo frutto di pulsioni inferiori. Ma allora, queste passioni inferiori saranno libere? Tutt’altro. Ma pur non essendo esse libere quanto alla loro terminazione, potranno esse avere una qualche loro liceità incontrovertibile ed inconculcabile, seppure niente affatto sufficiente quanto alla loro realizzazione, vale a dire, un loro diritto di fatto a sussistere in quanto tali?
Riferendoci qui in particolare al caso, donde avevamo preso le mosse all’inizio del nostro discorso, della libertà d’espressione, intesa come eventualità particolare della libertà passionale suddetta, nell’alternativa dell’errore, oppure dell’illusione, quando essa abbia ad essere perniciosa, come di quelli che, ad esempio, tentano di sviare gli uomini con immagini irreali radicate nell’errore. Sarà dunque da concedersi ad una siffatta eventualità una qualche libertà, e quando così fosse, dovrebbe essere o no limitata?
Avevamo fatto in precedenza presente una procedura, in effetti la procedura per eccellenza, che avevamo assunto come la nostra, la quale si oppone agli svariati errori ed alle illusioni discorsive, trattandosi di quella unitiva, o piuttosto, di quella che procede dall’unità ed a lei fa ritorno, la quale scaturisce, per lo meno di diritto, se non sempre di fatto, dalla conoscenza presenziale e dall’essere superno, vale a dire, dai livelli superiori della trascendenza, che sempre considera dunque siccome il proprio termine finale.
Dicevamo dunque che, specialmente in questi nostri ultimi tempi di miseria, degradazione, ed ottenebramento, il tutto a dispetto delle pretese “magnifiche sorti e progressive”, sarà sufficiente un assunto discorsivo del principio, anche a prescindere dalla sua visone presenziale superna, pur sempre attuata ed assunta da quei Maestri di conoscenza, che dovranno in ogni caso guidarci ed ispirarci, entrambi radicati nella trascendenza superna, occulta o rivelata, dei Nunzi divini, e dei Maestri da loro direttamente ispirati.
Mostravamo quindi in precedenza, che questo stesso procedere, che è il medesimo che quello che fu già a suo tempo di Socrate, Platone, Plotino in Occidente anche se non di Aristotele, sarebbe a rigore affatto indiscutibile, non fosse per tutti quei cavilli che possono conculcarlo, spegnendone, anche se solo apparentemente, la luce. Quale sarà dunque il comportamento da assumersi nei confronti di coloro che errano, cavillando e rifiutando, ai quali certo non vogliamo imporre il Giardino, ma solamente le sue condizioni attuative?
In primo luogo costoro potrebbero accusarci a loro volta di errore, dandone certe loro specie, oppure potrebbero farsi fautori di una relatività, ai nostri giorni assai di moda, forse l’unico principio che in questi casi non ci si rifiuti di mettere in discussione. Andranno dunque puniti, mettendogli in ogni circostanza in condizione di non nuocere? Dicevamo poc’anzi che non è certamente questo il nostro intento, almeno in ogni caso, ferma restandone la libertà d’attuazione, la quale, come dicevamo, è il presupposto di ogni conseguimento.
Quello che soprattutto è rimarchevole, sarà che negli esempi pervenutici dai Detentori della realizzazione e del Messaggio divino, la discussione è quasi sempre di consuetudine, anzi d’obbligo, nel senso che il primo imperativo sarà quello di convincere, anche chi sbaglia, rendendolo edotto del suo errore. Ma questo medesimo imperativo varrà sempre, in ogni caso? Che dire, a questo medesimo riguardo, del comportamento della Chiesa Cattolica, con tanto di Santa Inquisizione, di Santo Ufficio, e di roghi degli erranti?
Che si sforzò in passato d’impedire la sia pur minima espressione d’errore, ricorrendo a modi affatto violenti e distruttivi. Non che gli altri, come ad esempio i Protestanti, fossero esenti da questo vizio, tutto il contrario, si veda il caso delle streghe e di Michele Serveto, solo che le loro iniziative venivano da una tradizione ormai inesistente, del tutto alterata e disgregata. Mentre in Oriente si ebbero sì reazioni anche dure, ma che non giunsero, come nel caso della controversia tra Barlaam e Gregorio Palamas, agli eccessi d’Occidente.
Quello che invece osserviamo nei Nunzi divini, così come nei Maestri ispirati loro allievi, è una discussione serrata derivata da una disponibilità affatto rimarchevole. Anche se non mancano certo i casi di dure reazioni punitive, specialmente tra i predecessori di Gesù, la pace su di lui, tra gli Inviati dei figli d’Israele, ad esempio da Mosè ed Elia, la pace su di loro. Quello che in ogni caso sarà da osservarsi, è che in genere la punizione dei tralignati, di solito la più severa, spetta ad Iddio stesso, sia magnificato ed esaltato.
Mentre in Occidente, nelle sue forme tradizionali anteriori al Cristianesimo, la tolleranza estrema, talora persino fuori luogo, com’è nei casi della relatività moderna, andava talora di pari passo con un’attitudine sovente assai dura e severa, talora fuori luogo, quando venisse messa in pericolo una compagine sociale pur sempre d’origine divina, come afferma Cicerone, come fu nel caso del Senatus Consultum de Baccanalibius, iniziativa peraltro del tutto giustificata, anche sotto il riguardo della morale e singola e pubblica.
Oppure andando ravvisati nelle ripetute e feroci persecuzioni contro i Cristiani, oppure nell’arbitraria condanna a morte di Socrate, tanto per citare gli esempi più celebri, delle ingiustizie e degli errori derivati da incomprensione, oramai di consuetudine in tempi di decadenza esistenziale, nei confronti di quella realtà trascendente alla quale ci si opponeva senza costrutto, in definitiva in una forma del tutto indebita, senza rendersi conto del rimedio promulgato dagli uni e dall’altro, a sollievo di una caduta ormai insanabile.
Si chiede appunto Platone nelle Leggi, se sia compito dei depositari della direzione della comunità, di minacciare e di punire sempre. Attitudine che dicevamo apparirebbe fuori luogo, laddove anche gli altri adducessero le loro ragioni, quantunque speciose. Al che Platone rispondeva, che la via d’obbligo sarebbe invece quella della discussione e della convinzione argomentativa, ad esempio riguardo alla questione dell’esistenza d’Iddio, Eccelsa Ne sia la menzione, della Sua creazione del mondo, e della Sua provvidenza.
Ora è da osservarsi, che nell’Occidente contemporaneo, anche se non in generale, contro le sue pretese di libertà indiscriminata, si sta facendo strada sempre più un’attitudine punitiva, sotto vari riguardi. Leggi che vietano questo o quello, con punizioni subdole, anche se non appariscenti, come nella nostra disgraziatissima Italia, nella sua sventurata “repubblica democratica”, dopo che negli anni precedenti invece una specie fallace di libertà aveva ingannato tanti, fatta loro credere da una propaganda ingannevole.
Dicevamo una libertà affatto speciosa, che nulla ha a che vedere con quella autentica, avente in definitiva il compito di tirar fuori, come da un cadavere putrescente, le varie pulsioni, in definitiva infere, come appunto già dicevamo, dell’anima passionale e concupiscibile, rendendole in definitiva obbligatorie, con le buone, oppure con le cattive, tutto il contrario dell’ufficio attuativo ascendente della libertà autentica di cui sopra, radicata invece nella trascendenza, e nel rapporto con Iddio, sia magnificato ed esaltato.
Se s’invocasse l’indole apparentemente blanda delle pene contemporanee esse saranno sì tali per baldracche, pervertiti, e criminali, nei rari casi in cui gli uni e gli altri soggetti vengano puniti, invece di premiarli, ma non certo per chi si renda responsabile, anche minimamente, di una sorta di delitto di lesa maestà nei confronti di figuri non certo irreprensibili, per cui viene applicata una pena, che è una caricatura di quella che spetterebbe a ledere chi ha una dignità formale o sostanziale, un ufficio spirituale oppure temporale.
Per non dire di quelle pene anch’esse arbitrarie per chi si renda responsabile di una mera discussione di quello, che per sua natura andrebbe invece affatto discusso, e non facciamo in questa sede esempi concreti, per non essere eventualmente incriminati dalle leggi della “repubblica libera e democratica”, con i suoi “diritti umani”, pronta a riservare ai malcapitati, una morte non subitanea, ma lenta, per fame, di chi è stato privato di tutto, non “redento” da crimini talvolta orrendi, in definitiva inesistenti per quelle leggi.
Ci è capitato di sentire addurre a questo proposito, con riferimento ad una delle leggi odiose ed arbitrarie di questa nostra sventurata “repubblica democratica”, addirittura il caso di Galileo, cui potrebbero esserne aggiunti molti consimili, per le iniziative passate, sovente truculente, e male illuminate, della Chiesa cattolica, dei quali ai nostri giorni tanto si ciarla con orrore da simulatori, da responsabili d’iniziative peggiori, pronti a privare di tutto i loro malcapitati avversari, facendoli morire di fame, come il Conte Ugolino dantesco.
L’esempio è stato addotto, in effetti, quanto mai a sproposito. Perché Galileo andava a nostro avviso certo condannato, per le sue iniziative letali, ma delle quali non era peraltro il solo responsabile, ma non certo punito, facendone un improbabile campione di libertà fallaci, di chi credeva di vedere le stelle, intendendo qui le realtà trascendenti, con un cannocchiale, o pretendeva di legiferare in tutta infallibilità, senza elementi probanti, ma con mere congetture, sul movimento, almeno quello progressivo, se non quello locale rotatorio.
Su cui nessuno, tranne Iddio, eccelsa Ne sia la lode, o chi per Sua grazia è radicato nella conoscenza, potrà legiferare con certezza, di là da congetture e supposizioni, com’ebbe ad osservare correttamente a questo medesimo riguardo il Cardinale Bellarmino, questo per la stessa scienza moderna, condannata o a rifiutare di avvalersi di un apparato di riferimento, od a riconoscere quello di riferimento inerziale nelle stelle fisse col loro cielo inconculcabile, contro i suoi stessi assunti di relatività corporea, come farà in seguito Newton.
Perché il movimento materiale presuppone sempre un soggetto corporeo, contrariamente agli assunti fallaci di certi insipienti, essendo in generale il corpo sussistente entro uno spazio, che non sarà mai vuoto, il che porterebbe a negare il principio dell’essere al nostro livello d’esistenza, perché il vuoto non è se non un supposito del non essere puro, essendo riservato ad Iddio, sia magnificato ed esaltato, il suo stabilirsi, ed a nessun altro, onde risulta affatto assurdo privilegiarlo in quanto tale, siccome corpo, e spazio non vuoto.
Costituendo dunque esso uno di quegli imponderabili, come ad esempio il valore delle merci e degli strumenti di scambio, in particolare astrattamente del denaro, nella scienza delle finanze, per la qual cosa non sarà dato all’uomo comune di dire la sua, ma solamente alla rivelazione divina, vale a dire, ad Iddio, Ne sia esaltato l’essere, ed a chi è radicato, a vari livelli, nella Sua stessa Scienza, dovendo noi ridurci, a questo medesimo proposito, a delle mere congetture, non certamente assolute, come pretendeva invece Galileo.
Tanto da rendere ridicola la pretesa di quelli, per cui alla conoscenza trascendente non sarebbe dato di dire la sua a questo medesimo proposito, tutto il contrario, non essendo invece la conoscenza sperimentale o congetturale nel suo complesso, né in particolare quella umana della natura, nella fattispecie quella della quale sono depositarie le università occidentali, affatto congetturali e fallaci nelle loro pretese accampate d’assolutezza, per nulla autorizzate a dire la loro su uno qualsivoglia di quegli argomenti cruciali.
Fare di Galileo un improbabile campione della libertà di frammassoni e protestanti, vessillifero di quella che sarebbe stata la libertà moderna e contemporanea, con tutti i suoi errori ed orrori, fu certamente uno sbaglio assai grave, andando invece egli condannato e combattuto con argomenti probanti, ed ineluttabili, siccome recita il Sacro Corano, XXVII, 64, senza lasciarsi andare a nessun increscioso e controproducente abuso di potere, secondo quello che consigliava anche Platone: “Adducete il vostro argomento, se siete veridici”.
La qual cosa era in definitiva alquanto difficile, avendo la Chiesa fatto suo un aristotelismo in sostanza premoderno, che finiva con l’accettare taluni degli assunti di Galileo, quantunque pure trasfigurando quella medesima natura corporea nelle sue qualità sideree, come fa ad esempio Tommaso d’Aquino, che assegna ai cieli una materia inalterabile diversa dalla nostra, come facevano anche gli Hanbaliti nell’Islam, a proposito del preteso corpo d’Iddio, eccelsa Ne sia la menzione, il quale, secondo loro, sarebbe sì, ma non come il nostro.
Laonde si finiva con l’accettare in sostanza quei medesimi corpi celesti di Galileo, che poi ci si adoperò in tutti i modi per scalzare, così come per la terra se ne ignorava la natura di stato dell’esistenza, riducendola ad un corpo mobile o no, come un altro, valendo il medesimo assunto per i vari stati trascendenti con la loro significazione siderea, a prescindere dal fatto che vi siano altri cieli e corpi celesti oltre ai nostri, questione avente a che vedere con i mondi sottili coordinati, non certo risolvibile con volgari espedienti sperimentali.
L’interpretazione stessa della Scrittura Rivelata ne ignorava completamente l’ascesa significativa ascendente, tanto da farne della lettera, sia pure imprescindibile com’è, lo spirito stesso, contro l’assunto d’Iddio stesso, Ne sia esaltato l’essere, che recita “abbiamo posto i nostri segni negli orizzonti ed in voi stessi”, Sacro Corano, LXI, 52, che rende edotti di come, in ogni caso, queste realtà parziali vadano invece intese secondo la loro fondamentale attitudine attuativa e significativa quanto ad una conoscenza umana sopraordinata.
Attitudine peraltro certo assai simile a quella di certi ignoranti, che si sono dati a pontificare su pretesi e presunti errori del Sacro Corano, accusando di non sensi, o d’interpolazioni contro la lettera, com’è per la nozione di “sforzo”, in arabo “Jihad”, per chi non ignori completamente la lingua, solo subordinatamente “guerra santa”, espressione peraltro inesistente in arabo. O sulla questione delle “abrogazioni”, tali da dare adito secondo loro non ad un’ascesa perfettiva esemplare, ma invece ad una “doppia realtà” nientemeno.
Od addirittura sproloquiando di “errori scientifici”, sic, quello che è al di sopra, nel verso della trascendenza, delle congetture falsificabili ed inautentiche della sperimentazione e dell’astrazione scientifica moderna, o persino d’«errori linguistici» nientemeno, nella sua esemplarità trascendente che lo rende modello a questo medesimo riguardo, com’è peraltro sempre stato di fatto, in quanto sostanza trascendente che discende di livello in livello. Si veda a questo proposito l’Imam Ķomeinī nel suo commento alla sūraħ della Lode.
Tanto da fare, a suo non modesto avviso, da lui presunto tale, dei fedeli musulmani, non di frammassoni e protestanti ed in genere di occidentali moderni, anglosassoni nella fattispecie, coi loro scienziati sperimentali ed astrattivi, in ogni dominio, umano e naturale, dei figuri sempre a suo credere inaffidabili, tanti salafiti pronti alla strage ed all’omicidio, ma non per mandato dei loro creatori e manutengoli d’Occidente. Leggere per credere a tanto abominio, purtroppo anche preso sul serio da taluni fratelli, ce ne dispiace.
Ma non è questo il luogo per trattare di simili aberrazioni. Tornando invece al caso precedente, la repressione di Galileo, non la condanna e la confutazione, ne fece il campione d’ignoranti ed insipienti, così come anche quella di Bruno, assai facilmente confutabile nelle sue assurdità materiali e materianti, che confondeva la materia prima corporea con la Causa, Principio ed Uno dell’Essenza Divina nientemeno, per riprendere il titolo di un suo celebre testo, sarebbe stata meglio da sostituirsi con una confutazione serrata.
Confutazione tale da non largirgli vie d’uscita, invece di farne il campione dei vari pretesi fastigi del pensiero moderno, con tanto di libertà, d’espressione anche. Finendo con l’attribuire alle banalità del pensiero del primo e del secondo l’indole di conoscenze arcane e superiori, nella loro inconsistenza e nella loro gratuità priva di ogni prova affidabile. Per non dire qui dei millantati esperimenti, che lasciano il tempo che trovano mercé della loro indole induttiva di cui sopra, del tutto priva di ragione sufficiente complessiva.
Né di un’astrazione d’indole aristotelica, che si limita a tirar fuori elementi della realtà di per sé insussistenti secondo lo stesso Aristotele, le “secundae intentiones” degli scolastici, frutto della mente, nient’affatto radicate in una trascendenza denudata delle condizioni limitative, che s’imponga nella sua perspicuità anche a questo nostro mondo, contenendolo in sé. Dicevamo dunque confutare, più che punire, facendolo con elementi vari e validi, che non lascino vie d’uscita, senza compromessi ambigui, banali, e riduttivi, com’è ai nostri giorni.
Ora il fatto è, che in questa nostra età oscura la confutazione ben poco potrà contro soggetti affatto ottenebrati, contrariamente a quel che si crede, oppure verrà del tutto subissata da una congerie di strumenti propagandistici, niente affatto significativi, talora subliminali, che s’imporranno a furia di gemiti strani ed urla fiere, facendo di tutto per togliere di mezzo i termini della questione, per sostituirli con mere sembianze accattivanti, essendo questa purtroppo l’indole quasi sempre prevalente del nostro tempo disgraziatissimo.
Anche nel caso in di uomini che derivino da Iddio Altissimo, sia benedetto e glorificato, il loro potere e la loro autorità, essi avranno pur sempre a che fare non con la sottomissione di chi non sa sapendo di non sapere, com’era invece sovente alle origini, ma con la pretesa non tanto di avere spiegazioni, il che sarebbe affatto legittimo, come risulta dalle narrazioni del Nunzio divino e degli Eredi della sua Famiglia immacolata, quando invece di dire la propria imponendola in tutti i modi possibili, per miseri che essi possano essere.
Tanto che ai nostri giorni, se non tutti, almeno molti, se non i più, si arrogano l’infallibilità della scelta e del giudizio, pretendendo di farla da sapienti e da Guide, se non di altri, almeno di sé stessi, senza nulla saperne o capirne. Come dunque convincere costoro? Una propaganda martellante nulla conseguirebbe, in ragione sia della loro indole, oramai acquisita, se non ingenita, sia delle incessanti pulsioni esterne. Né avrebbe senso d’altro canto abbandonarli tutti in ogni caso al loro destino, senza curarsene minimamente.
D’altro canto, la pretesa libertà d’opinione, per certi argomenti almeno, esigerà che anch’essi abbiano sempre a dire la loro, e non sempre come mero punto di vista addirittura, vale a dire, senza pretendere d’imporlo infallibilmente ed inevitabilmente, com’è invece ad esempio per le questioni sedicenti scientifiche, peraltro senza mai neppure tentare di dimostrarle, oppure per certi assunti dell’ordine pubblico, come ad esempio la cosiddetta “democrazia”, od i presunti “diritti dell’uomo”, autentica punta di diamante d’ogni ciarlatano.
Quello che a nostro modesto avviso sarebbe auspicabile, sarebbe un insieme quanto possibile capillare di detentori di una conoscenza in definitiva rivelata, sempre pronti a rispondere ai dubbi di ognuno, pur sempre legittimi in quanto tali, almeno entro certi limiti di rispetto e di correttezza, dubbio che potrebbe sussistere operativamente anche nei casi di certezza di principio, come insegna Sacro Corano a proposito dello stesso Abramo, la pace su di lui, nei confronti della resurrezione dei corpi nel Giorno del Giudizio.
Quello che andrebbe discusso in questi casi sarebbe anche la propaganda avversa, in tutta la sua speciosità e fallacia. Quanto va rimarcato a questo medesimo riguardo, è la modalità da usare in tali casi, oltre il procedere unitivo, nel modo dei centri d’insegnamento religioso del mondo musulmano, nella fattispecie sciita, com’è che peraltro avveniva sempre anche nelle università dell’Occidente medievale, e così anche nei centri d’insegnamento dell’antichità, si consideri a questo riguardo l’esempio di Socrate e Platone.
La quale consisterà nel fare sì che il destinatario dell’esposizione abbia a ripetere a sua volta, internamente e spontaneamente, quel medesimo itinerario che ha portato altri a quel risultato, senza nessuna costrizione, com’è che avviene invece ai nostri giorni nelle moderne e sciagurate università d’Occidente, con i loro insegnanti ed insegnamenti, che non esitiamo a definire autentiche mostruosità, ripieni come sono di una boria insulsa e vuota, tutti intenti a fare accettare la propria ignoranza a poveri sprovveduti.
I quali ci si adopera in definitiva in ogni modo per continuare a mantenere tali, uniformandosi al modello delle catene di montaggio delle moderne industrie, non certo dell’antica creatività delle varie arti, sempre volta, quella catena, a costruire nel minor tempo possibile altre macchine e manufatti insulsi, i quali sempre in sostanza nulla varranno, sovente a nulla servendo, ma nei cui campo di concentramento moltitudini di uomini sono indotti a lavorare come schiavi, seguendo il miraggio di un guadagno apparentemente facile.
Il fatto è che l’inganno del nostro tempo fa in modo che tutti vengano a sentirsi autorizzati a dire di tutto, a dire di ogni cosa la propria, eccezion fatta per quegli asserti pretesi scientifici, in definitiva quasi del tutto privi di ragione sufficiente, come appunto dicevamo, propalati senza ritegno e senza argomento a soggetti non più abituati a pensare con la propria testa, ma pure illusi di sapere, tranne quello che dicevamo, vittime in sostanza in questa loro pretesa di una propaganda esterna onnipervarsiva, che li conduce dove vuole.
Che però s’arrogano il diritto di dire la propria addirittura sul destino della comunità, in virtù di quella “volontà popolare” insussistente, in quanto coacervo insussistente d’individui insussistenti, in sé e nel loro complesso, che nondimeno ci si adopera per orientare nel senso dovuto, gradito ai “poteri forti”, in virtù di “principi scientifici”, subliminali o no, in cui la fanno da padrone le cosiddette “statistiche”, guai a metterne in dubbio la validità, che s’impongono, gli uni in generale, e le altre in particolare, a tali soggetti.
Statistiche delle quali sarà assai difficile stabilire un qualche senso, ma dato che esse siano nelle mani inflessibili dei depositari dei famigerati “poteri forti”, che avranno i mezzi per accumulare le immense congerie di dati che esse richiedono, essendo facilmente manipolabili, interpretate che siano a dovere nel verso voluto, la qual cosa fa da controparte e da codicillo a quelle pretese “realtà scientifiche”, delle quali sopra si è detto, fatte passare per irrefutabili ad un pubblico o del tutto incapace di riflettere, o che si rifiuta di farlo.
Tanto che, per riprendere l’esempio di poc’anzi, senza nessuna riflessione sulla scienza e sui suoi asserti, si è giunti, da certi insipienti, certo ispirati dai massoni dalle università americane, a tacciare il Sacro Corano d’indole contraria alla scienza nientemeno, nella sua eminenza significativa superiore ad ogni scienza, che dir si voglia, così come in passato anche in Occidente la si era riservata ai Libri Sacri, non certo alle immaginazioni framassoniche, peraltro quasi del tutto ignorati in questi nostri tempi, pretesi illuminati, in quella loro indole.
Questo a prescindere dalle manipolazioni, paoline o no che esse siano. Tanto da ridurle ad una funzione meramente formale e cerimoniale, vale a dire, una forma in definitiva vuota, del tutto priva d’intelletto, adattata che sia “rudi populo”, tanto per ripetere l’espressione di Tommaso d’Aquino, al punto da renderle un insieme di vocaboli buoni solo per la domenica e le feste comandate, oppure da rimettersi a discussioni solamente al sopraggiunger di tempi pretesi più radiosi ed illuminati, ma bisogna vedere da chi e come.
Diciamo che di tutto questo si dovrà dare ragione: “Adducete il vostro argomento, se siete veridici”, ci permettiamo di ripetere ancora una volta il verso del Sacro Corano, senza farsi ingannare da “ipse dixit”, dato che la Rivelazione ha per suo segno e sostanza la conformità all’intelligenza, a procedere da quella superiore e presenziale, essendo l’”ipse dixit” stato inventato di sana pianta, una delle tante leggende massoniche, per squalificare tempi in cui si ragionava con la propria testa, attenendosi ad argomenti probanti.
Senza che le suddette misure punitive estreme, peraltro non esclusive del mondo cattolico, come già dicevamo, venissero in definitiva applicate, almeno al di là di certi abusi pur sempre possibili, se non in casi di grave pertinacia ed irriducibilità, peraltro in un modo sovente gratuito ed esagerato, che non condusse per parte sua se non a risultati del tutto contrari agli intenti voluti, come già prima osservavamo, mercé della propaganda avversa, che teneva conto solamente di queste, non di altre gravissime altrui magagne.
Non possiamo in definitiva fare a meno di approvare, seppure “cum grano salis”, quelle che furono le posizioni di un De Maistre, e di un grande non cattolico, seppure ispirandosi alla tradizione, come Julius Evola, anche in modo più pesante ed estremo. Rammentando a questo medesimo riguardo l’assunto ed il compito capitale ricordato da Platone nel Politico per chi governi la comunità, formulando le leggi dalla superiorità della sua visione presenziale della trascendenza, diretta per lui, indotta per i subordinati, come dalla Politeia.
Che assume che vi sono due qualità capitali del governante autentico e superiore ispirato dalla trascendenza, le quali, assunte che esse siano separatamente l’una dall’altra, l’una accanto all’altra senza comunicare tra loro, oppure ancora l’una senza l’altra, non faranno che corrompere e distruggere la comunità governata, vale a dire, la troppa morbidezza, e l’eccessiva durezza prive di discernimento sopraordinato, le quali, di per sé stesse, separatamente dicevamo, saranno solamente due vizi capitali ed irreparabili.
Le quali invece, assunte che siano nella loro giusta misura, per opera della virtù superiore dell’intelletto, non faranno se non condurre, rifuggendo sia dalla violenza o gratuita od eccessiva, com’era nel caso suddetto del Santo Uffizio lodato dal De Maistre e da Julius Evola, sia pure in definitiva con una qualche ragione, siccome già prima dicevamo ed approvavamo, sia pur “cum grano salis”, senza il timore di essere tacciati come forcaioli in un mondo che la forca ha finito in effetti col riservarla ai giusti ed agli innocenti.
Sia rifuggendo dall’insulso “vogliamoci bene” alla Papa Francesco, con tanto di sorrisetti melensi ed accattivanti, i quali non faranno se non legittimare le violenze più estreme e le oppressioni più odiose, siccome di un amore indiscriminato invenzione di teosofi e massoni, o di zitelle o baldracche, anglosassoni o no, fallite, sviate, o fuori uso, o no che esse siano, sempre a conculcamento di giusti ed innocenti, lasciati a sé stessi senza nessuna giustizia e difesa, non d’ingiusti e colpevoli, blanditi ed esaltati oltre ogni misura e ritegno.
Nulla dunque d’eccessivo, nell’uno e nell’altro caso, tenuto anche conto del fatto che l’eccesso concerne le perfezioni non semplici, non assolute, com’è il caso della discussione in mancanza di una conoscenza infallibile della realtà, com’è invece per le visioni presenziali superiori anche al dominio sottile, oltre alla sensibilità corporea, discussione nella quale non bisogna escludere la possibilità di un qualche errore, che ne invalidi almeno una parte, onde in questi casi occorrerà andare piano negli asserti, a prescindere dai principi.
E neppure in generale per quei conseguimenti finali ed originali, universali e particolari, quali l’essere, la perfezione, l’uno, il bene, vale a dire, per i trascendenti nel senso degli scolastici, non in quello kantiano, al di là dal loro assunto platonico sopra esistenziale che ne prescinde dall’universalità, dai quali non è possibile prescindere, ma il cui conseguimento ulteriore sarà qualcosa d’imprescindibile e necessario, nell’ordine divino, vale a dire, umano e naturale, derivato da Iddio, ne sia esaltato l’essere, all’universo creato.
Laonde sarà sempre obbligatorio e necessario, in considerazione del destino ultimo, rendersi quanto più possibile perfetti, amando, ed adorando, e servendo Iddio Altissimo, sia magnificato ed esaltato, non certo ammettere e riverire in ogni caso l’errore, giungendo sino ed intesserne la lode, andando a braccetto con i suoi fautori nel blandirne gli abomini, oppure punendolo in ogni caso, senza remissione, anche se i due errori non si equivalgono per gravità, essendo il secondo assai meno grave, perché almeno non tollera l’errore.
Perché a questo medesimo riguardo, “est modus in rebus”, in quanto “Iddio ha dato una misura a tutte le cose”, Sacro Corano, LXV, 3, e secondo la Bibbia “Hai creato tutto secondo un numero, un peso, ed una misura”, laonde sotto questo stesso riguardo, e solo sotto questo riguardo, della loro limitazione, le realtà esistenziali saranno sottoposte a condizioni, com’è per la stessa legge Divina, nel suo aspetto limitativo e definitivo, non in quello trascendente, che ne stabilisce l’assolutezza in sé, oltre le sue varie condizioni.
L’errore andrà punito dunque, più o meno severamente, quando se ne abbia a ciò la prova irrefutabile, l’autorità, e la forza, solo in casi estremi di conculcamento distruttivo irrimediabile, così come andrà al contrario tollerato, quantunque sempre adoperandosi per renderlo innocuo o distruggerlo, in un qualche modo, in particolari casi a loro modo favorevoli, che sono peraltro di gran lunga la stragrande maggioranza dei casi comuni, nei quali non s’impone la volontà irrimediabile di un fine perverso dissolutivo.
Mentre invece per quello che ci riguarda, per noi che autorità non siamo in nessun senso, né in quello della sapienza, né in quello del potere, l’errore sarà lasciato alla nostra discrezione, pur sempre fondata su congetture probabili, o di lasciare gli iniqui al loro destino, oppure di trattare con loro con dolcezza e gentilezza, conformemente ai due casi contrapposti, apparentemente contraddittori, espressamente previsti da Sacro Corano, XVI, 125, e XXVIII, 55, casi peraltro del tutto corrispondenti ai due sopraddetti di Platone.
Dov’è da osservarsi, che alcuni insipienti, peraltro in tutta mala fede, ispirati non sappiamo bene da chi, certamente da qualche immonda latrina infernale, ma difficilmente per farina del loro stesso sacco, si sono dati impudentemente ad accusare il Sacro Corano di “contraddizione” nientemeno, e perché non anche Bibbia, Evangelo, e tutto il resto, anche Socrate e Platone, per avere riconosciuto in Iddio Altissimo, Ne sia esaltato l’Essere, la generosità e la collera, il premio dei giusti e la punizione dei reprobi.
Come se l’Altissimo, sia pure nella sua universalità trascendente, non prevedesse il limite creato, non ammettendo, al di là della Sua Essenza Perfetta, errore ed illusione, senza che Egli abbia a dare pertanto luogo se non a quello a cui il Suo creato medesimo darà luogo, a limite ed a punizione, a beatitudine e largizione, le quali nei suoi riguardi, e non solamente, ma anche per l’uomo, assumono la forma di collera e beneficio. Ma basta con queste miserie, che ai nostri tempi purtroppo vanno per la maggiore.
Quello con cui vorremmo concludere, in questa nostra disamina della libertà d’opinione con tutte le sue pretese, che apparentemente ha travalicato i suoi limiti, è l’osservare che neanche questa sarà assoluta, siccome pretenderebbero insipientemente i contemporanei, contrariamente ed alla sua natura limitata, ed ai loro stessi comportamenti ed assunti, che puniscono severamente e senza nessuna remissione, siccome già dicevamo, chiunque abbia ad incorrere nella collera di chi si vede negati certi assunti perversi e deleteri.
Esigendo invece dei limiti, quei limiti dettati dall’intelligenza e trascendente e subordinata, che faranno sì che essa non abbia ad essere il pretesto di nessuna regressione esistenziale dissolutrice, né che un’eccessiva severità a suo riguardo conduca ad esiti indesiderati. Come per il Santo Ufficio, fucina d’improbabili campioni della pretesa libertà, e l’Indice dei libri proibiti, che li rendeva invece celebri, sia pure se di per sé, così come entro certi limiti, entrambi legittimi, perché anche Platone, nelle Leggi, punisce severamente i reprobi.
Onde essa abbia d essere all’origine di un’autentica discussione costruttiva, scevra da ogni compromesso, come quelle del Nunzio divino e dei suoi eredi, dunque che porti a risultati validi, non ad indifferenza e banalità, com’era anche per tutte le discussioni degli antichi, sempre foriere di risultati univoci, senza nessun “vogliamoci bene” a tutti i costi, com’è per “Papa Francesco” e Marco Pannella, o per certe autentiche trappole nelle quali sovente si fanno attrarre anche taluni sapienti musulmani, seppure in buona fede.
Senza che, a questo medesimo riguardo, ci si lasci andare dunque a facili accettazione deleterie e regressive, a danno della realtà, trascendente e di fatto, che ben altro esige, oppure a condanne fuori luogo, che lasciano il tempo che trovano, la cui parzialità sempre ha portato e porterà a facili confutazioni, una volta che venga accettata senza discernimento. Com’è stato, in una riunione pontificia, per quella “persecuzione religiosa”, la quale non riguarda certo l’Islam, com’è per la propaganda avversa, ma invece proprio l’Occidente secolare con tutti i suoi i suoi vari manutengoli e seguaci.
Questo dunque vorrebbe essere il nostro modesto appello, che nel condannare facili accettazioni fuori luogo, non chiuda peraltro tutte le porte ad un confronto leale, civile, e soprattutto intelligente, che abbia per fine la conoscenza della realtà, in primo luogo quella d’Iddio, sia magnificato, ed esaltato, previa la Sua accettazione, con i suoi vari livelli, siano al limitare dunque dell’Altissimo, con le Sue scaturigini inferiori mondane, concernenti la natura creata, con tutte le regole necessarie all’ascesa a Lui. Per il che Ne chiediamo l’ausilio, perché Egli, com’è che recita il Sacro Corano, “guida chi vuole”.
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