Considerazioni sul Du’a (Ayatullah S.M.H. Fadlallah)

Considerazioni sul Du’ā’

Ayatullah Sayyid M.H. Fadlallah

Il Santo Profeta (S) disse:

Il Du’ā’ è l’arma del credente, un pilastro della religione, una luce dei cieli e della terra“. (1)

E ciò è indubbiamente vero. Ed è per questo motivo che esso è diventato una peculiarità per cui gli sciiti si sono da sempre distinti, scrivendo infatti moltissimi libri, introduttivi o dettagliati, riguardo gli Adi’yah (pl. di Du’ā’) trasmessi dai Puri Imam della Ahl ul-Bayt (as), alla loro importanza e alle loro regole, ed in cui vengono dati splendidi insegnamenti dal Profeta (S) e dalla sua Famiglia per i loro seguaci, mentre incoraggiano a recitarli.

Grazie ad essi ci è stato trasmesso che:

– La migliore adorazione è il Du’ā’ (2);

– L’atto più amato da Dio sulla terra è il Du’ā’ (3);

– Il Du’ā’ può risolvere i problemi e premiarci (4);

– Il Du’ā’ è la cura per ogni malattia (5).

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Cos’è il Du’ā’ (6)

Il Du’ā’ è un’implorazione, una preghiera di domanda, una supplica che indirizziamo a Dio perché soddisfi i nostri bisogni, perdoni i nostri peccati, ci aiuti a superare le nostre difficoltà, a risolvere i nostri problemi, a correggere i nostri difetti, ad avvicinarci a Lui, a trovare il retto cammino e la pace interiore.

La portata del Du’ā’ non si ferma certo qui: esso abbraccia ben più ampi settori, producendo effetti molto vari. Perciò il Du’ā’ è sempre stato, a partire da Adamo (as), l’arma favorita a cui fecero ricorso i Profeti (as), gli Imam (as) e i pii credenti per condurre a buon esito i difficili compiti loro assegnati, riuscendo a sopportare le dolorose prove che spesso dovettero affrontare: ecco perché l’Islam ha sempre raccomandato ai credenti d’appoggiarsi a questo mezzo di comunicazione con Dio per conseguire un esito felice.

Il Sacro Corano, inoltre, ci informa che Noè (as), Abramo (as), Mosè (as), Giobbe (as), Zaccaria (as) e altri Messaggeri (as) utilizzavano la Du’ā’ soprattutto nei momenti difficili, suggerendoci così di prendere coscienza del valore e dell’importanza di questa forma di adorazione nel rapporto tra l’essere umano e il suo Signore: essa affonda le sue radici nella nozione stessa di fede, tanto è vero che vi fecero ricorso anche i Profeti (as), i quali rappresentano il vertice dell’umanità per loro prossimità a Dio e per il loro legame con Lui.

Il Profeta Muhammad (S) ha detto: “Il miglior atto d’adorazione, dopo la lettura del Corano, è il Du’ā’”.

Questa raccomandazione è confermata da diversi versetti del Sacro Corano, con i quali Dio esorta i credenti ad indirizzarGli le loro preghiere di domanda affinché Egli le possa esaudire:
“E quando i miei servi ti interrogano su di Me, allora Io sono davvero vicino! Io rispondo alla preghiera di chi prega. Cerchino essi dunque di rispondere al Mio appello, e credano in Me! Forse saranno ben diretti!” (Sacro Corano, Sura al-Baqara, 2: 186)

E ancora:

“Il vostro Signore ha detto: Invocatemi ed Io vi risponderò. Coloro che per orgoglio rifiutano di adorarCi, presto entreranno umiliati nel’Inferno” (Sacro Corano, Sura al-Ghafir, 40: 60)

Questi versetti mostrano due aspetti dell’importanza del Du’ā’.

Nel primo versetto (2:186) Dio ha compassione per l’indigenza dei Suoi servi e li incoraggia a pregarLo, promettendo di venir loro in aiuto e di soddisfarne i bisogni.

Nel secondo versetto (40: 60) il Du’ā’ è presentato come un atto d’adorazione mediante la quale gli uomini devono testimoniare di essere servi di Dio, evitando così di mostrarsi altezzosi nei Suoi riguardi e di conseguenza meritare il Suo terribile castigo.

Il Du’ā’ è dunque un mezzo per raggiungere la salvezza sia in questo nostro mondo che nell’Aldilà, nonché una linea di demarcazione tra la fede e la miscredenza, tra il Paradiso e l’Inferno; il versetto seguente ci mostra nella sua pienezza il significato del Du’ā’:

“Dì: il mio Signore non si cura di voi, poiché non l’invocate, e inoltre tacciate di menzogna Iddio: presto ne vedrete le ineluttabili conseguenze” (Sacro Corano, Sura al-Furqan, 25: 77)

Da questo versetto si deduce che Dio si prende cura dei Suoi servi in proporzione del legame che essi stabiliscono con Lui mediante il Du’ā’.

A questo punto dobbiamo chiederci come può un rito religioso diventare così importante, tanto che la sua esecuzione determina il rapporto dell’essere umano col suo Signore.

Per abbozzare una prima risposta, occorre concepire il Du’ā’ non come semplice atto d’adorazione o come una mera tradizione religiosa che soddisfa una formalità esteriore: essa è piuttosto l’espressione vivente del costante bisogno di Dio che l’essere umano sperimenta in tutte le circostanze della vita, nonché nell’intimo riconoscimento della propria servitù, che si incarna nella profonda convinzione del proprio attaccamento a Dio e della totale subordinazione a Lui della propria vita.

E’ ovvio che è impossibile conseguire una fede vivente in Dio, senza questo sentimento e questa convinzione, perché la fede ha senso solo nel momento in cui si è intimamente convinti che esista una Onnipotenza illimitata e una Forza Assoluta e Infinita, davanti alla quale l’essere umano appare debole, impotente e incapace di giustificare la propria esistenza se non come effetto della Volontà Divina.

Il Du’ā’, dunque, risponde al bisogno di esprimere questa fede in Dio e di operare in modo da mantenerla viva al nostro interno, rinnovandola ad ogni istante e consolidandola costantemente. A questo proposito, un ĥadīth dice che il Du’ā’ è “il cuore dell’adorazione” in quanto esprime il significato profondo del servizio, della sottomissione e del raccoglimento che l’adorazione incarna, senza i quali quest’ultima equivarrebbe a un corpo senz’anima. Per questo il Du’ā’ non può essere considerata come un semplice rito tradizionale che l’essere umano pratica per semplice abitudine, senza comprenderlo consapevolmente.

Perché il Du’ā’ produca gli effetti desiderati e le domande ivi formulate vengano esaudite, è vivamente raccomandato che chi sollecita Dio conosca il senso delle parole pronunciate, divenendo cosciente dell’importanza del Du’ā’ e del suo significato generale: infatti, secondo l’Imam ‘Alī (as) “non si può sperare in un atto di adorazione privo di una conoscenza profonda, o in una lettura (recitazione) senza intelligenza”.

Ugualmente leggiamo nel Du’ā’ quotidiana del mese di Rajab (7): “Mio Dio, io ti prego secondo il senso delle invocazioni che ti rivolgono i Tuoi rappresentanti {coloro che detengono la Tua autorità}”: tutto ciò dimostra che la comprensione di quanto si legge nel Du’ā’ è in sé un fattore determinante perché le richieste fatte vengano esaudite.

Non dobbiamo tuttavia scoraggiarci nella lettura del Du’ā’ qualora non ne comprendessimo il significato: leggere il Du’ā’ costituisce in sé una presa di coscienza del nostro bisogno costante di Dio e dell’importanza del Du’ā’ per noi, nonché un primo passo verso la comprensione del suo contenuto.

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Il valore e la portata del Du’ā’

Il Du’ā’ è un mezzo per ottenere che Dio esaudisca e soddisfi i nostri bisogni in tutta la loro ampiezza: pertanto è un fattore suscettibile di influenzare addirittura la nostra sorte e di modificare il nostro destino. Infatti, più i credenti s’avvicinano a Dio, più essi meritano la Sua Bontà e la Sua Misericordia: ora il Du’ā’ è ciò che più avvicina l’essere umano al suo Signore.

Indubbiamente Dio è sempre “…più vicino all’uomo della sua vena giugulare” (Sacro Corano, Sura Qaf, 50: 16); ma l’essere umano si lascia sovente distrarre dalla contemplazione di Dio, perdendo così i vantaggi di questa prossimità. Per rimediare a questa distrazione, la Sharia (Legge Islamica) dedica una particolare attenzione al Du’ā’, designando preghiere adatte ai diversi momenti e circostanze della vita del credente, che così potrà più spesso rimanere in un contatto cosciente con Dio. Abbiamo dunque un Du’ā’ per ogni giorno della settimana e anche del mese, nonché per ogni bisogno dell’essere umano in questo mondo e nell’altro.

Pur incoraggiando il credente ad invocarLo per timore reverenziale o per bisogni personali, Iddio raccomanda di invocarLo per puro spirito religioso e in maniera disinteressata; Egli rimprovera coloro che si limitano a implorarLo mentre si trovano nelle avversità, ma che Lo dimenticano quando non lo sono:

“Quando una disgrazia colpisce un uomo, questi invoca il suo Signore, a Lui ritornando pentito. Quando, in seguito, Dio gli accorda un beneficio, egli dimentica il male da cui aveva chiesto d’essere liberato” (Sacro Corano, Sura az-Zumar, 39:8)

Partendo da questi presupposti, la Sunnah del Profeta (S) e gli Aĥādīth degli Imam dell’Ahl ul-Bayt (as) invitano i musulmani ad invocare Dio non soltanto per se stessi, ma anche per i propri fratelli di religione; ottenendo così maggiori benefici di quando Lo invocano unicamente per se stessi.

In questo modo l’Islam cerca di far nascere nei musulmani un sentimento fraterno interiore, che li conduca davanti a Dio e a sentire nell’intimità del proprio cuore i bisogni dei fratelli come propri, prima ancora di pensare alle proprie necessità personali. Citiamo, a testimonianza, queste parole dell’Imam Zayn al-‘Abidīn (as): “Quando gli Angeli odono il credente che nell’intimo prega per il proprio fratello, desiderandone il bene, allora dicono: “Che buon fratello sei per il tuo fratello! Tu ne desideri il bene quando egli è assente, ricordandolo a suo beneficio. Dio ti darà il doppio di quello che hai chiesto per il tuo fratello, e il bene che di te dirà sarà il doppio rispetto al bene che tu hai detto del tuo fratello. Avrai, inoltre, reso a questi un favore di cui ti sarà debitore…”.

Questo modo di pregare durante il Du’ā’, per gli altri invece che per se stessi, può consentire ai credenti di trascendere il proprio ego, arrivando ad un altruismo assoluto che li porta ad occuparsi degli altri più che di se stessi.

L’esempio più toccante fu quello di Fatima az-Zahrā’ (as), della quale l’Imam Ĥasan (as), suo figlio, disse: “Passava le notti ad adorare Dio e a pregare per i credenti e le credenti, senza pregare per se stessa. Quando le chiesi il perché di questo, mi rispose: “Il prossimo viene prima di se stessi!”.

Ma perché Dio chiede ai credenti di pregarLo per i suoi fratelli, quando Egli stesso può, per Sua natura, venire in aiuto di costoro a prescindere dalle altrui preghiere?

Indubbiamente l’Islam mira a sviluppare nei musulmani il senso dei valori, che è più forte e profondo, quando nasce nel proprio intimo, mentre è più difficilmente assimilabile quando viene inculcato per mezzo di prediche, in quanto queste giungono dall’esterno.

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Il Du’ā’ non sostituisce lo sforzo mirato all’azione

Nel Du’ā’, il credente, prendendo coscienza della propria dipendenza totale nei confronti di Dio e riconoscendo la propria impotenza davanti alla di Lui Onnipotenza, implora il Signore perché soddisfi i suoi bisogni immediati e lontani, nonché le sue aspirazioni materiali e spirituali, fino ad accordargli la salvezza in questo e nell’altro mondo.

Così è normale che il credente, nel Du’ā’, preghi Dio di assicurargli i mezzi di sussistenza, la buona salute, la prosperità, la retta condotta, e così via, aspettandosi legittimamente che Egli esaudisca i suoi voti e venga incontro alle sue necessità.

Ma il ricorso al Du’ā’ non deve per nulla indurci a credere che noi possiamo rintanarci in un’attesa passiva e in una totale inazione, solo contando su Dio per risolvere i nostri problemi e soddisfare le nostre esigenze: una simile concezione del Du’ā’ è completamente errata, poiché l’Islam crede nella legge di causalità che Dio ha dato alle Sue creature, non al verificarsi quotidiano di miracoli nella vita dell’essere umano.

Dio ha, infatti, posto una causa all’origine di ogni cosa: la vita e la morte, la salute e la malattia, la povertà e la ricchezza, la vittoria e la sconfitta.

Egli ha chiamato l’essere umano a tener conto di queste cause, invitandolo a ricorrere a Lui per eliminare gli ostacoli accidentali e imprevedibili che potrebbero opporsi ai suoi sforzi, oppure che lo devierebbero dalla direzione in cui si è impegnato. Quando deve ottenere o raggiungere alcunché, l’essere umano deve in primo luogo impegnare a fondo le proprie capacità intellettuali e fisiche di cui Dio lo ha dotato; dopodiché, può chiedere a Dio di occuparsi di ciò che supera le sue possibilità, dicendo: “Mio Signore, ho fatto tutto quello che era in mio potere! Aiutami dunque in ciò che supera le mie forze!”

Questo modo di confidare in Dio aiuta il credente a fronteggiare il sentimento d’impotenza davanti a forze che ci sono superiori. Infatti, quando avvertiamo che l’Onnipotenza di Dio è con noi per sopperire alla nostra impotenza, possiamo agire sforzandoci in tutti i modi possibili, senza temere una sconfitta e senza scoraggiarci in anticipo di fronte alle minacce dell’ignoto.

Concludendo, ricordiamo che numerosi Aĥādīth ci ammoniscono che il Du’ā’ di chi non tiene conto delle cause naturali delle cose (il lavoro per guadagnarsi la vita, la medicina per guarire da una malattia, la forza necessaria per conseguire la vittoria) non verrà generalmente esaudito.

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Il Du’ā’ come bisogno interiore del credente

Il Du’ā’, a prescindere da tutti i bisogni che domandiamo di soddisfare a Dio per suo tramite, esprime di per sé un’esigenza interiore e naturale del credente.

Quest’ultimo, che rifiuta ogni forma di servitù tranne quella rivolta a Dio, prova talvolta nel suo intimo un desiderio del Du’ā’, come sente i morsi della fame quando il suo organismo richiede del cibo: il Du’ā’ è, per così dire, la fame di tenerezza e di pace di cui spesso abbisognano l’anima e il cuore del credente.

Nell’avversità e nelle durezze della vita, davanti a problemi che l’opprimono e all’accumularsi di crisi interiori ed esterne, l’essere umano ha bisogno di esprimere all’esterno i dolori che lo tormentano e dilaniano, insieme ai sentimenti effervescenti che lo agitano, ma senza intaccare la fierezza o ferire la propria dignità.

Per consolarsi e trovare uno sfogo sempre conservando la sua dignità, il credente incontra nel Du’ā’ un’atmosfera naturale e un clima sano che gli consentono di presentarsi davanti a Dio con un’anima di fanciullo, limpida e pura, semplice e spontanea, rivolta in tutta innocenza al Suo Signore.

Egli piange e implora, si lamenta e si compiange, sollecita con insistenza; non risparmia alcuno sforzo nel mostrare come sia estesa la propria debolezza, e si affida ad essa per avvicinarsi alla sorgente della Forza Assoluta da cui trarre forza per affrontare le inesauribili difficoltà della vita.

La natura dell’essere umano è tale che spesso deve mostrare la propria debolezza, ma è ben raro che essa si accompagni alla fierezza: l’unica debolezza di cui ci si può mostrar fieri è quella che la creatura manifesta davanti al proprio Creatore.

Insomma, il Du’ā’ è, in ultima analisi, un fattore di rinnovamento della forza vitale dell’essere umano: gli evita di piombare nell’angoscia, di soffocare sotto il fardello dei problemi e il peso della propria fierezza offesa, demoralizzandosi e riempiendosi di complessi.

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NOTE

1) “Al-Kāfî“, 2/334, ĥadīth 1.

2) “Al-Kāfî“, 2/338, incluso nell’ĥadīth n 1.

3) “Al-Kāfî, 2/339, ĥadīth 8.

4) “Al-Kāfî”, 2/341, H. 1-8.

5) “Al-Kāfî“, 2/341, ĥadīth 1.

6) Tratto liberamente dall’opera “Nos causes à la Lumiére de l’Islam” di Seyyed M. H. Fadlallah, ed. Dar az-Zahrā’, Beirut, Libano.

7) Al-Tusi riporta che questa Du’ā’ fu data dall’Imam Mahdi (aj) durante il periodo di occultazione minore (al-ghaybat as-saghira) al suo secondo luogotenente (na’ib), Shaykh abi Ja’far Muĥammad bin ‘Uthmān bin Sa’īd, il quale riferì che questa Du’ā’ andrebbe recitata ogni giorno durante il mese di Rajab, in particolare andrebbe recitato nel Masjid di Ŝa’ŝa’a. (Cfr. Mafātīĥ ‘l-Jinān, pag. 192-193 ed. Dar al-Thaqalayn, Beirut, Libano 1998 {arabo}; A Shi°ite Anthology {inglese}, °Allamah Tabataba’i, pag. 92 e 122-123, ed. Ansarian Pubblications, Iran, 1982 e http://al-islam.org/anthology/index.htm)

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Writer : shervin | 0 Comments | Category : ISLAM

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