La Rivoluzione Islamica dell’Iran sulla stampa e nei diari dei diplomatici italiani dell’epoca
Non sono pochi coloro che hanno cercato di presentare la Rivoluzione Islamica dell’Iran come una rivolta popolare priva di un’essenza ed obiettivi religiosi e spirituali, che solo successivamente al suo trionfo venne “scippata dagli Ayatullah”, che eliminarono gli altri gruppi dell’opposizione e imposero la propria visione e autorità teocratica.
Ovviamente nessuno nega che tra gli oppositori del regime dello Shah ci fossero anche gruppetti di varie tendenze e orientamenti, dai laici-nazionalisti ai marxisti e stalinisti, ma il loro ruolo fu indubbiamente estremamente marginale rispetto a quello della popolazione che si era compattata sotto la guida unica e indiscussa dell’Imam Khomeyni e che manifestava – al costo di arresti, torture e martiri – coordinata dalle moschee e dagli ulamà, animata da principi spirituali e metafisici, scandendo slogan di natura religiosa. E’ interessante a questo riguardo rileggere quanto i corrispondenti italiani dell’epoca e i rappresentanti diplomatici della nostra nazione presenti a Teheran in quel periodo narrarono rispetto a ciò di cui furono diretti testimoni.
L’ambasciatore Giulio Tamagnini, capo della missione diplomatica italiana a Teheran dal 1978 al 1980, in una pagina del suo diario del 24 agosto 1978, dopo aver espresso le proprie preoccupazioni per l’estensione e continuità delle proteste, scrive: “La gente qui sa che il paese è ricco per un dono naturale, il petrolio, ma vede accumulare ricchezze enormi nelle mani di pochi, mentre la gran massa non migliora se non marginalmente la sua condizione […] E’ a questo punto che si è inserito, come detonatore della contestazione, il fattore religioso […] le moschee dunque sono state il vero canale per istradare e fomentare il malcontento popolare”. (G. Tamagnini, “La caduta dello Scià. Diario dell’ambasciatore italiano a Teheran (1978-1980), Edizioni Associate, Roma, 1990, p. 63).
Alcuni mesi più tardi e tre mesi prima del trionfo della Rivoluzione, l’ambasciatore Tamagnini scriverà ancora: “Con questa rivolta popolare in atto – scrivo a Roma – sia nel caso che il regime riesca faticosamente a domarla, sia nel caso che esso ne finisca travolto, sembra aprirsi una fase di involuzione nazionale, in cui la cultura occidentale dovrà far posto in Iran ai principi islamici tradizionali (7 novembre 1978)” (pp. 86-87).
Il suo successore, l’ambasciatore Francesco Mezzalama, che prese il suo posto solo nel 1980, riferendosi allo Scià, scrive “…commise l’errore di forzare i tempi e di sottovalutare l’influenza del clero […] Fu una crisi di rigetto popolare contro discussi provvedimenti che influivano su usi, costumi e consuetudini, un’allergia al laicismo, alla secolarizzazione delle istituzioni e all’eccessiva influenza straniera. Questi stati d’animo ampiamente diffusi, furono abilmente pilotati da un clero che vedeva nelle mode e nelle abitudini occidentali una deriva corrotta e immorale”. (F. Mezzalama, “L’avventura diplomatica. Ricordi di carriera”, Rubbettino, Catanzaro, 2006, pp. 211-212).
Il noto politologo Francesco Alberoni, su “Panorama”, con il titolo “Vincerà comunque l’Islam” (21 novembre 1978), scriveva: “Il grande movimento collettivo in cui la componente islamica ha trascinato con sé tutte le altre, ha dato un linguaggio comune a tutte le voci…”
Il celebre orientalista Francesco Gabrieli, dal canto suo, titolava un proprio articolo apparso sulle pagine di “la Repubblica” con l’emblematico titolo: “Dalle piazze si leva un solo grido: Allah for president!” (18 gennaio 1979).
Gianni De Martino, su “Lotta Continua” (12 gennaio 1979) così commentò la recente fuga dello Scià: “In questa rivoluzione c’è qualcosa di nuovo e che non ha precedenti nella storia recente […] I suoi contenuti religiosi sollecitano un interesse preciso […]. Si muovono, oltre alle ragioni di uomini e donne uniti nella lotta contro lo Scià, il suo regno dispotico e l’impero dei petrodollari, misti quanto mai inquietanti di profetismo sciita, cioè la gnosi dell’islam e il misticismo musulmano […] In Iran siamo di fronte a una rivoluzione i cui caratteri attingono alla storia e alla cultura nazionale. Una cosa impensabile per l’Europa, e che fa appello ad un ethos islamico e sciita di proporzioni ed estensioni quasi sconosciute.” Concludendo poi l’articolo con queste parole: “E’ il popolo nel suo complesso ad assumere collettivamente il ruolo del califfato.”
Pochi giorni dopo, il 17 gennaio, “Lotta continua” pubblica un nuovo articolo dal titolo “Il tiranno è fuggito, l’Iran in festa”: “Quello che pareva impossibile è successo: il tiranno ha dovuto fuggire. Il 16 gennaio 1979 sarà ricordato come la data di vittoria di una rivoluzione impossibile, strana, straordinaria, avversata da tutti i potenti, dagli USA, all’URSS, alla Cina. Pochi mesi sono bastati per fare scoppiare un paese chiave per l’ordine del mondo, e questo scoppio non tarderà a farsi sentire: in Iraq e in Siria in primo luogo, poi in tutto il Golfo Persico; sconvolgerà tutto il lavoro costruito dai politici di Camp David, aprirà una fase di instabilità in tutta una regione costruita per essere fedele ed ubbidiente agli ordini del dio petrolio. Il popolo iraniano è in festa, cortei attraversano tutte le strade, i soldati vengono presi, risucchiati, coperti di garofani, i torturatori si nascondono e tremano, i tecnici delle multinazionali volano via. Non c’è per ora un altro potere che sostituirà quello vecchio, c’è invece una situazione in aperto movimento, milioni di protagonisti che discutono le prospettive future. Una situazione eccezionale, non paragonabile alle rivoluzioni che abbiamo conosciuto o di cui abbiamo sentito parlare. Una rivoluzione che ha trovato l’unità di un popolo intorno alla sua religione; o meglio intorno all’interpretazione filosofica di una religione. Una rivoluzione che si è rafforzata nonostante le stragi, che ha distrutto il potere senza attaccarlo con le armi, ma succhiandoselo, svuotandolo giorno per giorno. Una rivoluzione che si riconosce in un settantottenne che, seduto su un tappeto, ha sfidato con i suoi brevi messaggi tutte le potenze del mondo. E’ sicuramente un gran giorno per l’Iran e per tutti quelli che pensano che le cose che durano da anni o da secoli, possono un giorno essere sconfitte.”
Sempre su “Lotta continua”, in un articolo intitolato “La rivoluzione “impossibile” ha vinto” dell’11 febbraio 1979 gli avvenimenti rivoluzionari vengono così analizzati: “Il popolo iraniano si è ripreso l’Iran, i signori del petrolio lo hanno perso: gli sconvolgimenti non tarderanno a farsi sentire. Sottovalutata dagli esperti della CIA, attraversata da tutte le superpotenze, non capita e quindi presa sottogamba dei dottori del marxismo, la rivoluzione islamica ha sbaragliato in quarantott’ore di insurrezione il quinto esercito del mondo dopo un anno di conquista progressiva dell’unità, di ritessitura, di esperienza, conoscenza e partecipazione. L’Iran è ora una Repubblica islamica, la sua spina dorsale è l’organizzazione religiosa sciita, una capillare informale struttura che ha raccolto 1000 anni di tradizione e di opposizione al potere ed ha annunciato, con milioni di persone nelle piazze, il suo rinascimento. I palestinesi sono stati i primi a riconoscere il nuovo governo a cui si sono sottoposte tutte le gerarchie militari della provincia”
Giancesare Flesca, per “L’Espresso” (4 febbraio 1979), scrive: “Lo sciismo sembra aver compiuto il grande salto. Dalla negazione del potere alla filosofia del potere. La rivoluzione iraniana non ha fatto altro che approfondire un processo teologico-culturale cominciato all’incirca quindici anni fa […] Il rifiuto, la negazione non bastano più. Si avvicina il momento di preparare la piattaforma per un autentico governo islamico che metta fine alla dittatura dello scià.”
Poco dopo la vittoria della Rivoluzione Islamica perfino Oriana Fallaci riconobbe, suo malgrado, il carattere islamico della rivolta, scrivendo: “E’ stata una rivoluzione religiosa, non libertaria, ed è troppo presto per dire se è fallita […] Ad avviare e condurre la rivolta al regime imperiale non sono stati uomini moderni, proiettati verso il futuro […] (è stato) un po’ ingenuo sperare che le cose cambiassero, che la religione lasciasse il passo alla ragione.” (Intervista a Khomeini, “Corriere della Sera”, 26 settembre 1979).
Interessante anche quanto riporta il Memorandum della CIA per il Vicino Oriente e Sud-Asia al Direttore CIA dal titolo “PRC Meeting on Iran 6 november 1978”: “La maggior parte delle dimostrazioni e degli scontri sono opera di quella parte della popolazione che è fortemente influenzata dalle guide religiose. Queste dimostrazioni sembrano essere basate su lamentele locali e ispirate dalle guide religiose locali (…) L’Ayatollah Ruhollah Khomeini, adesso in Francia, è visto come una guida dalla maggior parte dei dimostranti. Egli rappresenta il punto di vista secondo il quale lo Shah deve andarsene e deve essere rimpiazzato da una Repubblica Islamica.”
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