LA SCIENZA DEGLI HADITH
Un hadith, nel linguaggio tecnico, è una narrazione che riporti un detto, un’azione o una silente approvazione del Profeta Muhammad. In ambito sunnita vengono spesso incluse le narrazioni dei compagni del Profeta e in quello sciita le narrazioni degli Imam. Con il termine athar si intende ogni tipo di narrazione, mentre khabar viene applicato sia agli hadith che agli athar. Una riwayah è invece una narrazione che è stata trasmessa con o senza catena di trasmissione.
Lo scopo principale degli hadith è quello di voler identificare la sunna del Profeta. Per “sunna” viene intesa la tradizione (sacra consuetudine) del Profeta manifesta per mezzo delle sue parole, azioni e tacito assenso. La distinzione tra sunna e hadith venne presto a meno dopo che l’Imam Shafi’i insistette sul fatto che ogni sunna dovesse essere corroborata con un valido hadith. Di fatto i due rimangono comunque concetti distinti.
La sunna viene comunemente accettata come seconda fonte di legislazione, dopo il Corano, per stabilire la prassi religiosa, come importante fattore interpretativo delle ingiunzioni del Corano e in quanto fonte dell’insegnamento morale, sociale e spirituale. A volte con questo termine vengono intese anche alcune preghiere rituali supererogatorie o abitudini del Profeta non ufficialmente canonizzate.
La prima generazione di musulmani al tempo del Profeta è nota come la “generazione dei compagni”. I compagni vengono generalmente definiti come coloro che furono al fianco del Profeta, lo videro fisicamente e credetto pubblicamente in lui. Questa generazione fu la prima ad aver trasmesso hadith per via orale e scritturale. Inizialmente i compagni appresero la sunna direttamente dal Profeta ma ben presto la maestria nella scienza degli hadith divenne ottenibile attraverso i viaggi nei centri di erudizione laddove si svilupparono i metodi di insegnamento formali.
I principali modi di trasmissione degli hadith erano i seguenti:
Nonostante la recalcitranza da parte di alcuni compagni, o la loro estrema scrupolosità, di fatto sin dalle origini si ebbero i primi sahifah ossia raccolte scritte di hadith. Abdullah Ibn Amr redasse al-Sahifah al-Sadiqah che venne poi in possesso di Mujahid e, in seguito, di Amr Ibn Shu’ayb (un nipote di Abdullah). Altri sahifa risalgono a Samura Ibn Jundab, Anas Ibn Malik, Ibn Abbas e Jabir Ibn Abdullah. Abu Hurayra, altro noto compagno, iniziò a scrivere hadith verso la fine del periodo profetico. Il sahifa di Hammam basato sulle narrazioni di Abu Hurayra è ben noto tra gli esperti in materia di hadith. Il Kitab Ali, il libro di Ali, viene descritto come uno dei più importanti testi di hadith profetici redatti nel primo periodo islamico. In seguito diversi narratori ne citeranno varie parti; ciò a testimonianza della sua portata in seno ai vari ambienti di erudizione.
Nonostante ciò, da vari documenti si evince la proibizione di riportare hadith per iscritto promulgata da alcuni compagni. Ciò avvenne presumibilmente al fine di concentrarsi sulla raccolta e sul messaggio del Corano piuttosto che altro materiale di dubbia provenienza. Si riporta che il secondo califfo Umar Ibn al-Khattab fece imprigionare Abu Masud, Abu Darda’ e Abu Masud al-Ansari per aver trasmesso troppe narrazioni.
La messa al bando degli hadith venne sollevata per la prima volta dal califfo Umar Ibn Abdul-Aziz (99-101 H.). In questo periodo iniziarono le prime attività sulla trasmissione ufficiale degli hadith. Traccie di tale evento storico si riscontrano nel Muwatta dell’Imam Malik, nel Sahih di Bukhari e nel Tabaqat di Ibn Sad’. Khatib al-Baghdadi nell’opera Taqiyd al-Ilm discute in dettaglio la questione della proibizione degli hadith nell’immediato periodo post-profetico. La prima parte dell’opera riguarda prevalentemente la disapprovazione del profeta di riportare hadith secondo quanto trasmesso compagni quali Abu Sa’id al-Khudri, Abu Hurayra e Zayd Ibn Thabit.
Alcuni studiosi hanno argomentato che il comando di “non riportare hadith ma solo il Corano” venne espresso in un periodo in cui il Corano non era ancora stato canonizzato e quindi i musulmani dovettero concentrarsi su di esso affinche non andasse perduto ed onde preservarlo e non dimenticarlo.
Di fatto il Profeta Muhammad fece scrivere centinaia di lettere che fece mandare ai vari governanti arabi, bizantini e persiani. Il Corano stesso esorta i fedeli a mettere per iscritto gli accordi commerciali.
Ibn Qutayba nell’opera Ta’wil mukhtalaf al-hadith ritiene che le narrazioni proibitive appartengano al primo periodo profetico ma vennero poi abrogate in un secondo periodo. Egli afferma inoltre che un’altra spiegazione alternativa potrebbe essere inerente al fatto che la proibizione fosse indirizzata a quei compagni non sufficientemente esperti nell’arte dello scrivere ma non a coloro che erano in grado di farlo.
Dopo l’era dei compagni giunge quella dei loro studenti: i tabi’un. I tabi’un, a loro volta, attrassero molti altri studenti, in ispecie nelle grandi città che divennero presto veri e propri centri di insegnamento. Si diffuse così la pratica di trasmettere le narrazioni profetiche su autorità dei compagni.
Al-Hakim suddivide i tabi’un in quindici categorie, Ibn Sa’d in nove, ma la gran parte degli studiosi cita prevalentemente tre categorie: gli studenti dei compagni che accettarono l’Islam prima della conquista di Mecca, gli studenti dei compagni che accettarono l’Islam dopo la conquista di Mecca e gli studenti dei compagni che non erano ancora adulti al momento della dipartita del Profeta. Gli studenti dei tabi’un sono noti come “studenti degli studenti” o, più precisamente, “successori dei successori” (atba’ al-tabi’in).
Si racconta che Ibn Shihab al-Zuhri (d. 124 H.) “spese soldi come se fossero acqua” al fine di diffondere la conoscenza degli hadith. Nella stessa guisa molte note personalità scelsero una vita austera onde poter spendere la gran parte di ciò che avevano nella diffusione degli hadith.
Al contempo però sorse anche il problema dell’autenticità delle narrazioni. L’esistenza di fabbricazioni nel corpus delle opere di hadith è evidente nonché un fatto accettato comunemente dagli studiosi. Non è facile identificare il periodo in cui sorsero le prime fabbricazioni ma molto probabilmente risale all’epoca del Profeta stesso. Nonostante ciò, si assiste anche all’emergere di un gruppo di studiosi onesti effettivamente impegnati nel determinare e diffondere i detti del Profeta. Tra i tabi’un si può citare Ibn Abi Layla (d. 83 H.), Raja’ Ibn Hayawayh (d. 112 H.), Muhammad Ibn Sirin (d. 115 H.), Abu Zinad (d. 132 H.) e Yahya Ibn Sa’id (d. 142 H.). Nel tentativo di ostacolare le fabbricazioni Tawus Ibn Kaysan esortò i suoi studenti ad apprendere gli hadith solo da persone religiose o da chi praticasse la pietà.
Tra le figure di spicco a Medina vi fu Malik Ibn Anas (d. 179 H.) a cui fece seguito uno dei suoi più brillanti studenti: Muhammad Ibn Idris al-Shafi’i (d. 204 H.).
Altro fattore determinante fu l’importanza della rihlah ossia la prassi di viaggiare alla ricerca della conoscenza. Gli stessi compagni si dedicarono al viaggio onde apprendere nuovi hadith, rinfrescarsi la memoria e per insegnare. Per esempio Abu Ayyub si spostò da Medina all’Egitto, Jabir Ibn Abdullah viaggiò un mese intero al fine udire un solo hadith da Abdullah Ibn Unays e altre personalità si trasferirono a Damasco per frequentare le lezioni di Abu Darda’. La pratica del viaggio fu sin dai primi tempi considerata un elemento fondamentale per l’ottenimento della conoscenza degli hadith. Abu Ishaq al-Sabi’i (d. 126 H.) apprese gli hadith da quattrocento maestri, Abdullah Ibn Mubarak (d. 181 H.) da millecento, Malik Ibn Anas da novecento, Hisham Ibn Abdullah da millesettecento, Abu Nu’aym da ottocento, Ibn Asakir da milletrecento, eccetera. Al-Zuhri godette della compagnia di Sa’id Ibn Musayyab per dieci anni e Thabit Ibn Aslam studiò hadith sotto alla tutela dell’Imam Malik per quaranta anni.
Storicamente nessuna opera ufficiale fu pubblicata prima della seconda metà del secondo secolo. Questo perchè gli ommaiadi reinforzarono il bando degli hadith iniziato dopo la dipartita del Profeta. Gli abbassidi invece mantennero un’attitudine differente e diffusero raccolte di hadith e sulla varie branche scientifiche in generale. Durante il califfato di Abu Jafar al-Mansur (d. 158 H.) si assiste alla proliferazione di raccolte di hadith come le opere di Ibn Jurayj (d. 151 H.) a Mecca, Hammad Ibn Salama (d. 167 H.) e Sa’id Ibn Aruba (d. 156 H.) a Basra, al-Awza’i (d. 157 H.) in Siria, Malik Ibn Anas (d. 179 H.) e Muhammad Ibn Abdul-Rahman (d. 159 H.) a Medina, Sufyan al-Tahwri (d. 161 H.) e Zayd Ibn Qudama (d. 160 H.) a Kufa. Inoltre Ibn Ishaq (d. 151 H.) scrisse il Kitab al-Maghazi.
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