MODALITA’ DI RECITAZIONE DEL CORANO
Con il termine “qira’ah” si intende la recitazione del Corano compiuta con voce udibile (da parte di chi recita o di chi ascolta). Esistono diverse modalità di recitazione le quali presentano molteplici varianti. Sette di queste recitazioni sono le più note e diffuse tra i musulmani nonostante anche altre modalità siano sopravvissute fino al giorno d’oggi.
Ogni recitazione viene compiuta nel rispetto delle regole del tajwid il quale può essere definito come l’insieme delle regole atte a fornire una “recitazione canonica”. L’apprendimento del tajwid può essere suddiviso in quattro aree di studio:
– Makharij al-huruf: che si occupa del modo in cui vengono prodotti i suoni ed identifica gli organi da dove provengono.
– Sifat al-huruf: che si occupa di studiare le caratteristiche e le qualità delle lettere e dei suoni.
– Ahkam al-huruf: che si occupa delle regole tecniche della recitazione.
– Qira’ah: che si occupa della recitazione pratica nel rispetto di quanto appreso nelle precedenti aree di studio.
La recitazione (qira’ah) può essere compiuta in vari stili: lento (tahqiq), medio (tadwir) e veloce (hadr). Il criterio di base dei vari stili, così come delle personalizzazioni di tono, è il rispetto del tajwid e l’osservanza del tartil (recitazione chiara e cadenzata). Nel passo 73:4 il Profeta stesso viene esortato a recitare il Corano nel cuore della notte con tartil.
Come accennato in precedenza, la diffusione dell’insegnamento del Corano apportò ben presto diverse modalità di recitazione. Al tempo del Profeta un gruppo di compagni era già noto per la recitazione ed essi venivano chiamati qurra’ (recitatori). Secondo quanto riportato da Suyuti nell’opera “al-Itqan” tra i più noti qurra’ vengono menzionati Uthman Ibn Affan, Ubayy Ibn Ka’b, Zayd Ibn Thabit, Abdullah Ibn Mas’ud e Abu Musa al-Ash’ari. In seguito molti studenti dei compagni memorizzarono e impararono l’arte della recitazione del Corano nei principali centri di insegnamento. La versione codificata da Uthman veniva utilizzata in cinque città principali:
– A Medina con Sa’id Ibn Musayb, Mu’adh al-Qari, Abdul-Rahman Ibn Harmaz al-A’raj, Ibn Shihab al-Zuhri, Zayd Ibn Aslam e altri.
– A Mecca con Ubayd Ibn Umayr, ‘Ata’ Ibn Abi Rabah, al-Tawus, Mujahid, Ikrima Ibn Abi Malkiyya e altri.
– A Kufa con Alqama, al-Aswad, Masruq, Ubayda, Amr Ibn Sharhabil e altri.
– A Basra con Abu al-Aliya, Abu al-Raja’, Abu al-Aswad al-Du’ali, Hasan al-Basri, Qattada e altri.
– A Damasco con Mughira Ibn Abi Shihab al-Makhzumi, Khalifa Ibn Sa’d e altri.
Dopo il periodo dei compagni (sahaba) e dei loro studenti (tabi’un) nuove generazioni si occuparono dell’arte della recitazione dedicando la loro intera vita all’insegnamento del Corano e delle sue scienze. Tra i primi di questa era a scrivere riguardo questa arte vi fu Aban Ibn Taghlab (d. 141 H.) che studiò con Ali Ibn Husayn. L’opera porta il titolo di “Kitab Ma’ani al-Qur’an” (libro dei significati del Corano) e al-Najashi la cita chiamandola “Kitab al-Qira’at” (il libro delle recitazioni).
Comunque probabilmente il testo più antico a disposizione in materia di qira’at è quello di Abu Ubayda Qasim Ibn Salam (d. 224 H.) intitolato “al-Qira’ah”. Fu proprio la generazione dopo quella dei tabi’un a diffondere maggiormente l’arte della recitazione e i diversi stili e modalità di recitazione tra cui citiamo i seguenti:
– A Medina: Abu Ja’far Yazid Ibn al-Qa’qa’ (d. 128 H.), Shayba Ibn Nasah (d. 130 H.) e Nafi’ Ibn Abi Nu’aym.
– A Mecca: Abdullah Ibn Kathir (d. 120 H.), Hamid Ibn Qays al-A’raj e Muhammad Ibn Abi Muhaysin.
– A Kufa: Hamza Ibn Habib al-Zayyat (d. 156 H.), Yahya Ibn Waththab (d. 103 H.), Asim Ibn Abi Najud (d. 127 H.) e Ali Ibn Hamza al-Kisa’i (d. 179 H.).
– A Basra: Ya’qub al-Hadhrami (d. 205), Abdullah Ibn Abi Ishaq al-Hadhrami (d 171 H.), Abu Amr Ibn al-A’la (d. 154) e Isa Ibn Umar (d. 169 H.).
– A Damasco: Abdullah Ibn Amir (d. 118 H.), Ismail Ibn Muhajir, Atiya Ibn Qays al-Kilabi e Yahya Ibn Harith al-Zamari.
Sette tra i qurra’ menzionati saranno poi noti come al-qurra’ al-sab’a (i sette recitatori)[1] la cui recitazione è stata trasmessa sino ad oggi. Essi sono i seguenti:
– Abu Abdullah Nafi’ Ibn Abi Nu’aym al-Madani: originario di Isfahan, visse a Medina. Fu mawla (schiavo liberato) di al-Layth ed autorità di qira’ah a Medina per settanta anni. Imparò l’arte della recitazione da più di settanta maestri tra cui Abu Maymuna, schiavo di Umm Salma moglie del Profeta. E’ stato riportato che la sua recitazione fosse la favorita di Ahmad Ibn Hanbal. Molti giuristi malikiti hanno sostenuto la superiorità di questa modalità di recitazione rispetto alle altre.
– Abdullah Ibn Kathir al-Makki: di origini persiane, venne inviato in Yemen per sostenere una spedizione in Abissinia[2]. Si dice abbia incontrato due compagni: Abdullah Ibn Zubayr e Anas Ibn Malik. Apprese la recitazione da Abdullah Ibn Sa’ib al-Makhzumi il quale la apprese da Ubayy Ibn Ka’b. Sia Bukhari che Muslim tramettono hadith sulla sua autorità. Muhammad Ibn Idris al-Shaf’i era solito recitare nella sua modalità.
– Abu Bakr Asim Ibn Abi al-Najud al-Kufi: kufano che imparò la recitazione da Abu Abd al-Rahman Abdullah Ibn Habib al-Sullami, un discepolo di Ali Ibn Abi Talib. Abu Hanifa era solito recitare in questa modalità.
– Abu ‘Ammara Hamza Ibn Habib al-Zayyat al-Kufi: di origini persiane. E’ possibile che abbia incontrato qualche compagno durante la sua infanzia. Studiò sotto la tutela dell’Imam al-Sadiq da cui apprese anche l’arte della recitazione. La sua recitazione però risale al Profeta attraverso Abdullah Ibn Ma’sud.
– Ali Ibn Hamza al-Kisa’i al-Kufi: originario di Rey. Divenne presto autorità di rilievo a Kufa in materia di qira’ah. La sua recitazione risale ad Ali Ibn Abi Talib attraverso Ibn Abi Layli. Fu inoltre esperto in grammatica araba e il califfo abbasside Harun al-Rashid lo utilizzò per insegnare Corano e letteratura ai suoi due figli Amin e Ma’mun.
– Abu Amr Ibn al-A’la al-Basri: di origini persiane. Studiò sotto la tutela di numerosi maestri a Mecca. Medina, Nasra e Kufa. Esperto di grammatica araba e poesia. E’ stato elogiato da molti dotti per la sua conoscenza e religiosità.
– Abdullah Ibn Amir al-Dimashqi: fu imam della Moschea di Damasco e giudice durante e dopo il regno di Umar Ibn Abd al-Aziz. Apprese la recitazione da alcuni compagni del Profeta come Fazala Ibn Ubayd e Abu Darda’. Muslim cita sulla sua autorità nel suo “Sahih”.
Alla fine del terzo e all’inizio del quarto secolo gli esperti delle scienze coraniche iniziarono a scrivere opere inerenti le modalità di recitazione più diffuse. Il più celebre di questi studi venne scritto da Abu Bakr Ahmad Ibn Mujahid (d. 324 H.) sulle sette modalità di recitazione più popolari. Questi scelse le sette modalità più in voga del suo tempo, che considerava le migliori, ed erano prevalenti a Mecca, Medina, Kufa, Basra e Damasco.[3]
Una delle ragioni per cui si optò per sette recitazioni in particolare a discapito delle altre fu la rapida diffusione di molteplici versioni la cui preservazione di ognuna sarebbe stata assai difficile. Fu così vennero “canonizzate” le sette modalità.
Alcuni studiosi hanno considerato queste sette modalità di recitazione come mutawatir ossia aventi un elevato numero di catene di trasmissione. Zarkashi (d. 794 H.) però, nell’opera “al-Burhan fi Ulum al-Qur’an”, ripone l’attenzione sul fatto che in verità si tratterebbe di modalità aventi una sola catena di trasmissione (khabar al-wahid).
In definitiva è difficile limitare il numero delle modalità di recitazione a sette, e la presenza di altre modalità disponibili tutt’oggi ne porta testimonianza. Esistono inoltre versioni parziali di alcune modalità come quelle attribuite a Abdullah Ibn Ma’sud e Ubayy Ibn Ka’b. Suyuti cita le seguenti condizioni per la validità di una modalità di recitazione:
– La recitazione deve avere una catena di trasmissione autentica risalente al Profeta.
– La recitazione deve essere conforme alle regole grammaticali della lingua araba.
– La recitazione deve essere conforme alla versione codificata da Uthman.[4]
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I sette ahruf
Il termine “ahruf” è il plurale di “harf” e possiede vari significati. Letteralmente significa “limite, estremità” di un qualcosa. Nel Corano viene utilizzato in tre contesti differenti:
– Nel senso di “margine, limite, lato” come nel passo: “E tra la gente c’è chi adora Allah a margine” (22:11).
– Nel senso di “voltarsi” come nel passo: “E in quel giorno chi si tirerà indietro, eccetto chi si volgerà per combattere o raggiungere un gruppo, incorrerà nell’ira di Allah” (8:16).
– Nel senso di “distorcere, alterare” come nel passo: “E un gruppo tra essi era solito ascoltare la parola di Allah e poi la ha alterata dopo averla appresa mentre ben sapevano” (2:75).
Nel contesto delle scienze coraniche per sette ahruf si intendono spesso le sette recitazioni che alcuni hanno identificato, o confuso (dipende dai punti di vita), con le sette qira’at. Come già spiegato le sette qira’at vennero introdotte da Abu Bakr Ibn Mujahid mentre le narrazioni concernenti i sette ahruf sono attribuite direttamente al Profeta quando ancora il concetto delle sette qira’at non era in uso.
Che il Corano sia stato rivelato in sette ahruf è oltretutto accettato soltanto da alcuni studiosi mentre altri hanno rigettato tale idea. I sostenitori della suddetta tesi si basano su alcune narrazioni secondo le quali l’arcangelo Gabriele avrebbe rivelato il Corano al Profeta recitandoglielo per sette volte, una diversa dall’altra.[5]
Le narrazioni sui sette ahruf sono numerose. Comunque versioni differenti inerenti allo stesso evento hanno indotto alcuni studiosi a dubitare dell’autenticità di questa idea e ad invalidarne la legittimità. Non c’è inoltre unanimità neanche sul significato stesso di ahruf in riferimento alle sette recitazioni di Gabriele:
– Alcune narrazioni affermano che a volte i compagni del Profeta, onde facilitare la recitazione agli iniziati, sostituivano alcune parole di difficile pronuncia con relativi sinonimi. Questa opinione venne adottata da al-Tabari[6] e secondo al-Qurtubi si tratterebbe dell’opinione adottata dalla maggior parte dei sapienti.[7]
– Secondo una narrazione riportata da Ibn Ma’sud il Corano sarebbe stato rivelato in sette ahruf ossia contenente comandi, proibizioni, permissibilità, atti proibitivi, passi chiari, passi ambigui e parabole.[8]
– Secondo un’altra opinione riportata da al-Bayhaqi (d. 458) in “al-Qamus” per “sette ahruf” si intenderebbero le sette recitazioni basate sui sette dialetti arabi prevalenti del tempo: Quraysh, Hudhayl, Hawazan, al-Yaman Kinana, Tamim e Thaqif.
La posizione di chi non accetta la tesi che il Corano sia stato rivelato in sette ahruf viene riassunta in una narrazione attribuita a Ja’far al-Sadiq: “Il Corano è uno, rivelato dall’Uno. Le differenze sono state apportate dai narratori”.[9]
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NOTE
[1] Ad essi alcuni studiosi ne hanno aggiunti tre per un totale di “dieci recitatori” includendo così tra le modalità di recitazione più diffuse anche quella di Ya’qub, Abu Ja’far e Khalaf.
[2] Al-Khu’i, al-Bayan, p. 94: al-Zanjani, Tarikh al-Qur’an, p. 81.
[3] Ibn Mujahid, Kitab al-Qira’at, p. 87.
[4] Suyuti, al-Itqan, vol. 1, p. 130.
[5] Bukhari, Sahih, vol. 6, p. 482 and vol. 3, p. 90; Muslim, Sahih, vol. 2, p. 202; Tirmidhi, Jami’, vol. 4, p. 263.
[6] Tabari, Tafsir, vol. 1, pp. 48-50.
[7] Qurtubi, Tafsir, vol. 1, p. 42.
[8] Tabari, Tafsir, vol. 1, p. 68.
[9] Kulayni, al-Kafi, vol. 2, p. 64.
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