Il compimento del pleroma dei Dodici (H.Corbin)

Il compimento del pleroma dei Dodici*

H.Corbin

Il personaggio del Dodicesimo Imam è stato qui evocato così frequentemente che non potremmo ricapitolare le pagine dove lo fu, senza rischiare di ripeterci. Per tener presente allo spirito tutto ciò che presuppone il compimento del pleroma dei Dodici, rinviamo alle idee precedentemente date qui sull’imamologia[1]. Avendo così stabilito le premesse, avremo qui da fissare i tratti che ci presenta l’agiografia del XII Imam, un’agiografia che non è ancora chiusa, poiché continua per tutta la durata del suo «occultamento» (ghaybat). Avremo poi, se tipiche sono le concezioni fiorite intorno alla sua persona, da mostrare certe intersecazioni con altri temi noti in Occidente, e che raggrupperemo principalmente intorno ai temi della cavalleria spirituale e del regno del Paraclito. Cominciamo col ricordare da una parte, certe dichiarazioni del Profeta relative ai Dodici Imam e al Dodicesimo di essi, e dall’altra parte la legge del ritmo che determina questo numero dodici. Da una parte e dall’altra risultano delle conseguenze che convergono nella persona del XII Imam, così come la sua visione s’impone alla coscienza sciita.

La letteratura sciita riguardante il XII Imam è considerevole[2]. Ci sono prima di tutto le tradizioni registrate in differenti corpus di hadîth, e quelle tradizioni concernenti la sua breve epifania nel passato come anche la sua epifania futura, la sua parusia alla fine del nostro Aiôn, come Imam annunciatore della Resurrezione (Qâ’im al-qiyâmat), come colui della famiglia di Mohammad «che si innalza» per la Resurrezione (Qâ’im âl Mohammad). Tra queste due epifanie, la «storia» del XII Imam continua; essa è costituita dal grande corpus di racconti e testimonianze date da coloro ai quali egli si è mostrato, in sogno o allo stato di veglia, sempre in circostanze che trascendono le leggi della percezione dei sensi e i criteri delle evidenze razionali comuni.

Da una parte, così come si propongono alla coscienza sciita nel corpus dei suoi hadîth, né il numero di dodici Imam, né il compimento del loro pleroma grazie al dodicesimo, sono delle contingenze temporali. Il Profeta annuncia solennemente in certi di questi hadîth che gli Imam che verranno dopo di lui saranno in numero di dodici e non di più; l’ultimo sarà il Resuscitatore (il Qâ’im), il Mahdî (il Guidato che guida verso Dio, oppure, comprendendo come qualcuno al-Mahdî ilay-hi: colui verso cui si è guidati e che da quel punto vi guida, al-Mahdî al-Hâdî). È per lo più in rapporto alla sua missione profetica come mediatrice della lettera rivelata (tanzîl), che il Profeta annuncia l’avvento del Mahdî, del Resuscitatore, come maestro del ta’wîl o ermeneutica spirituale, cioè come colui che svelerà il senso esoterico plenario di tutte le rivelazioni divine (l’idea è comune alla gnosi sciita duodecimana e alla gnosi ismailita). In un hadîth, il Profeta parla del primo Imam designandolo come suo fratello, e parla del dodicesimo come se fosse suo figlio. L’interlocutore gli domanda: «O Inviato di Dio! chi è tuo figlio? – Il Mahdî, colui in vista del quale io sono stato inviato in missione come annunciatore[3].» Ricordiamo ancora in maniera molto particolare altri due hadîth, in uno dei quali il Profeta dichiara: «Se non restasse a questo mondo che un solo giorno di durata, Dio allungherebbe quel giorno per suscitarvi un uomo della mia discendenza il cui nome sarà il mio nome e il cui soprannome il mio soprannome; egli riempirà la Terra di pace e di giustizia, com’essa è oggi ricolma di violenza e di tirannia.» Nel secondo di questi hadîth, dopo avere annunciato che ci saranno nove Imam, non di più, dopo Hosayn ibn ‘Alî, III Imam, il Profeta precisa: «Il nono sarà il Qâ’im; egli riempirà la Terra di pace e di giustizia com’essa è oggi ricolma di violenza e di tirannia. Egli combatterà per ricondurre al senso spirituale (ta’wîl), come io pure ho combattuto per la rivelazione del senso letterale[4]

Questi testi, che si potrebbe moltiplicare, attestano la certezza con cui la tradizione sciita percepisce nell’insegnamento stesso del Profeta ciò che fa l’essenza della sua profetologia e della sua imamologia: equilibrio dei complementari, dell’essoterico e dell’esoterico, della nobowwat e della walâyat, della missione dei profeti che rivelano l’essoterico e del carisma degli Imam che iniziano all’esoterico. L’Imâmat mohammadiano nel suo insieme è il Sigillo della walâyat universale; il XII Imam in particolare è il Sigillo della walâyat mohammadiana, ricapitolatrice di tutta la walâyat. È dunque dall’insegnamento stesso del Profeta che la tradizione sciita raccoglie il suo pensiero profondo concernente il Mahdî come Sigillo della walâyat mohammadiana, e questo pensiero differisce essenzialmente dalla concezione del Mahdî diffusa nell’Islam sunnita, dove evidentemente essa non potrebbe essere ricollegata organicamente né all’idea dell’Imam nel senso sciita del termine, né di conseguenza all’idea dell’esoterico (bâtin) e della sua ermeneutica (ta’wîl), né di conseguenza significare un avvenire dimorante aperto all’attesa degli uomini posteriormente alla venuta del Sigillo dei profeti. Qui in compenso, è l’ultimo Profeta che si fa egli stesso il precursore dell’ultimo Imam come ermeneuta della rivelazione apportata da lui stesso, e pertanto, come Imam della resurrezione. È in questa maniera di considerare l’avvenire, l’abbiamo già messo in evidenza, che la differenza esplode, fondamentale. Certo, lo sciismo è d’accordo; la Rivelazione è chiusa, il ciclo delle comunicazioni divine è chiuso e sigillato; Mohammad fu il Sigillo dei profeti. Ma in questa chiusura della missione profetica, la tradizione sciita percepisce il segnale dell’inaugurazione di un nuovo ciclo: il ciclo della walâyat, ciclo dell’iniziazione spirituale. Lo sciismo ha percepito come avente una risonanza patetica l’affermazione che gli umani nel loro smarrimento non hanno più profeti da attendere. Ora, malgrado ciò, è l’ultimo Profeta stesso che ha annunciato colui che si doveva attendere: l’Imam, Sigillo della walâyat mohammadiana, è l’Imam atteso (montazar). Da qui quella quiete inquieta, quella mobilità segreta, simultaneità di pessimismo radicale e di indomabile speranza, che noi abbiamo già rilevato nella coscienza sciita caratterizzandola come desperatio fiducialis.

D’altra parte, oltre questi testi che marcano il legame necessario tra il Sigillo dei profeti e il XII Imam, Sigillo della walâyat mohammadiana, l’identità del loro nome, la simmetria della loro vocazione, c’è il numero considerevole di hadîth che, insistendo sulla legge del ritmo che fissa a dodici il numero degli Imam, ci proibiscono di imputare l’interruzione della manifestazione visibile del loro pleroma in terra a qualche contingenza storica, del genere di quelle che hanno messo fine alle dinastie di questo mondo. Il loro numero è rapportato alle virtù della dodecade, esemplificata nei dodici segni dello zodiaco, i dodici mesi dell’anno, le dodici ore del giorno e della notte, i dodici capi delle tribù d’Israele etc. Peraltro ciascuno dei sei (o dei sette) grandi profeti è stato, nello schema della ierostoria sciita, seguito da dodici Imam. Ci si rapporterà inoltre all’hadîth dei «Dodici Veli di luce», i quali, presentandosi come dodici millenni, esemplificano nello sciismo le antiche teologie dell’Aiôn. Questo hadîth fu mirabilmente commentato da Qâzî Sa’îd Qommî, e abbiamo anche parlato a questo proposito d’imamologia strutturale (nel senso che la struttura dodecadica dell’Imâmat corrisponde a quella del tempio cubico della Ka’ba, trasfigurato in tempio spirituale)[5].

Ma allora, se l’insegnamento stesso del Profeta riguardo il XII Imam implica che non è chiusa la storia religiosa e spirituale dell’umanità, la ierostoria di cui i dati della storia empirica non sono che la crisalide, questo come si accorda con l’affermazione che l’Imâmat è limitato a dodici Imam, e che il dodicesimo è già nato? Ciò non implica la chiusura dell’Imâmat? No, certo; ma implica il pensiero profondo che contorna la rappresentazione del XII Imam, sapere la necessità del suo occultamento a questo mondo, la sua ghaybat. Poiché l’Imâmat dei dodici Imam copre da solo la totalità del tempo intermedio tra la chiusura della profezia e l’Ultimo Giorno, bisogna, visto che undici Imam sono apparsi anteriormente, che il dodicesimo esista e duri di una esistenza e di una durata che non sono sottomesse alle leggi comuni della biologia e del tempo cronologico, e che di conseguenza la sua presenza abbia, per tutto ciò che in questo mondo resta sottomesso a quelle leggi, la forma paradossale di una assenza. Nessuna delle sue manifestazioni misteriose ai suoi fedeli sospende la sua ghaybat, ma ciascuna sospende per il suo fedele la legge comune agli uomini che non percepiscono la «presenza occulta» dell’Imam.

Perché il tempo dell’Imam nascosto è un tempo intermedio «tra i tempi»; la sua «storia» nella coscienza dei suoi è la maturazione di questo «inter-tempo» fino all’apparire di un tempo altro che metta fine a quel tempo che è dell’assenza. E perché, ancora, il fedele ammesso a vederlo si trova egli stesso «tra i tempi». La sua visione non è dentro il tempo di questo mondo, un evento col quale si possa fare la storia di questo mondo. La «presenza occulta» dell’Imam è un non ancora il cui epilogo resta sempre imminente, – è «l’Ora imminente» di cui parla la sura LIV. L’avvento dell’Imam atteso è designato dalla semplice parola «Gioia» (farah); nessuno sciita pronuncia né scrive il nome del XII Imam, senza farlo seguire dal saluto rituale: «Che Dio ne affretti per noi la Gioia».

Dunque la storia integrale del XII Imam ingloba gli eventi della sua manifestazione tanto nel passato che nell’avvenire, rapportandosi qui avvenire e passato al tempo oggettivo della cronologia, mentre il presente della sua presenza occulta è il tempo esistenziale, un tempo «tra i tempi» della cronologia. Ogni evento della sua storia spezza la Storia, perché essa non rientra in ciò che è la Storia nel senso ordinario della parola e che resta sottomesso a quella che vien detta causalità storica (si potrebbero moltiplicare gli esempi di ciò di cui si tratta: per esempio, una cosa è parlare d’Israele che attraversa il Mar Rosso, altra cosa è parlare, nello stesso caso, di Israele che si separa dalla schiavitù della materia per entrare nel mondo spirituale della sovranatura). Diciamo che si tratta prima di tutto qui di seguire la direzione che ci hanno mostrato i nostri teosofi, nominatamente Qâzî Sa’îd Qommî, mostrandoci cosa sono il tempo e il luogo del malakût. La «storia» del XII Imam è una agiografia di cui tenteremo di indicare qui i principali eventi. Ma preavvisiamo subito che una volta varcata la soglia dell’agiografia del XII Imam, il lettore si accorgerà che quella che vien detta comunemente critica storica, ha perduto la quasi totalità dei suoi diritti. In compenso, se accettiamo di deporre davanti a quella soglia le rivendicazioni di questa critica in favore di una percezione delle cose verosimilmente fenomenologica, ci renderemo disponibili per percepire e comprendere, con l’organo appropriato, il significato degli eventi che avvengono «tra i tempi» e l’ordine di realtà superiore che questi eventi annunciano, poiché essi appartengono a quest’ordine superiore.

Ogni agiografia ha dei testimoni da produrre, sovente in gran numero, come nel caso del XII Imam. Essa non può per questo produrre dei certificati, attestazioni e documenti del genere di quelli che esige la nostra ossessione della storicità materiale essoterica, la quale ha finito per non rappresentarsi più di un solo piano di realtà ammissibile perché ci siano «eventi». Per esigere dall’agiografia che essa produca i suoi documenti critici, bisogna cominciare col degradare l’ordine di realtà che è proprio degli eventi che riporta l’agiografia. È da tempo, senza dubbio, che il lavoro di degradazione viene perseguito. Meno si è atti a percepire che ci sono degli «eventi nel Cielo», più si esigeranno delle prove di storicità materiale. Più si perde il senso degli eventi la cui realtà è essenzialmente mysterium liturgicum, più si cancelleranno feste dal calendario. Ciò che viene detto oggi «materialismo storico» ha lontani precursori, fin dentro la teologia. È dunque possibile che tutto quello che riporteremo qui sull’agiografia del XII Imam, appaia allo storico come riposante su documenti senza valore oggettivo. E tuttavia gli eventi sono arrivati! Ma i documenti che custodiscono la sola traccia che possano lasciare degli eventi compiutisi nel malakût, non sono che delle spoglie, delle crisalidi, se non se ne ha la chiave. In compenso per ogni filosofo che professa un minimo di «realismo spirituale», questi documenti appariranno come inestimabili.

Altrimenti detto, l’organo di percezione dev’essere qui «quell’occhio dell’anima che mai sonnecchia», come dice Filone d’Alessandria. Gli eventi che si situano nel tempo del XII Imam, che siano riferiti in documenti che appartengono al passato, al presente o all’avvenire, quegli eventi, essi, non possono essere afferrati da altro organo se non dai «sensi spirituali» di cui parlano tutti i nostri teosofi. Perciò l’Imam, assente per la percezione sensibile, sarebbe ancora invisibile come tale, anche se fosse lì in persona, per tutti coloro che sono incapaci di vedere diversamente dalla maniera con cui percepiscono un oggetto qualsiasi nel mondo esterno. Ora l’epifania dell’Imam, la sua parusia, non può prodursi fintantoché la coscienza degli uomini non si è svegliata. Essa non può avvenire «tra tempi» che per il piccolo numero di coloro che ha scelto egli stesso, coloro che possono averne la conoscenza spirituale (ma’rifat), non la semplice conoscenza esteriore di cui anche l’animale è capace. È ciò che ci hanno insegnato i testi che, ricordandoci cosa significa «vedere l’Imam in Hûrqalyâ», sottintendono che il mondo soprasensibile di Hûrqalyâ e il mondo materiale sensibile coesistono, si interpenetrano, si contengono l’un l’altro; Hûrqalyâ è contemporaneamente sotto di noi, intorno a noi e all’interno di noi. Quando, a causa della nostra inscienza, non è all’interno di noi, non può essere né conosciuto né riconosciuto da noi «da nessuna parte», perché niente può essere conosciuto esteriormente se non grazie a una modalità corrispondente che sia in noi. Esteriormente, per comprendere la presenza occulta dell’Imam nascosto, che dimora invisibile in questo mondo, ci si può ancora riferire alla maniera in cui il buddismo mahayanista si rappresenta la persona del bodhisattva che rinuncia a lasciare questo mondo, e rinvia l’ingresso nel nirvana prima di aver salvato tutti coloro di cui ha carico. Interiormente, si penserà alla maniera in cui Mollâ Sadrâ, per esempio, professa che ogni anima, ogni entità spirituale, porta in se stessa il suo cielo o il suo inferno. Semplici indicazioni in vista di un modus intelligendi che comporta un rigore proprio; se no, tanto vale dare una confessione d’impotenza a comprendere tutto ciò che è ierognosi, percezione dei mondi invisibili e degli eventi visionari di cui si compone la ierostoria. Al ricercatore che «salva i fenomeni» procedendo come un pellegrino dal cuore sincero, gli eventi riveleranno, meglio di ogni esposizione teorica, il segreto dell’anima sciita, un segreto la cui forza sfida vittoriosamente, da dieci secoli, le potenze del dubbio e del rifiuto.

 

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NOTE

[1] Vedere libro I, cap. III, 3, sul pleroma dei Dodici; cap. VI, 5, sul ciclo della nobowwat e il ciclo della walâyat; t. III, libro IV, cap. I, 3, sul Sigillo della walâyat mohammadiana etc.

[2] Per semplificare, facciamo riferimento globalmente a due grandi opere che costituiscono delle Somme sull’argomento: Shaykh ‘Alî Akbar Nahâvandî, al-Kitâb al-‘abqarî al-hossan fî ithbât Mawlânâ Sâhib al-zamân (in persiano, nonostante il titolo in arabo), Teheran 1327 e. / 1928, 5 tomi in 2 vol. in-folio. Shaykh ‘Alî Yazdî Hâ’erî, Ilzâm al-nâsib fî ithbât Hojjat al-ghâ’ib, Teheran 1352, in-folio di 264 pagine. Cfr. infra p. 310, n. 7, il riferimento all’opera fondamentale di Majlisî.

[3] Cfr. Lotfollâh Sâfî Golpâyagânî, Montakhab al-athar fî’l-Imâm al-thânî ‘ashar (Antologia di tradizioni riguardanti il XII Imam), Teheran 1333 / 1954, p. 62, art. 9.

[4] Ibid., p. 86. Safînat Bihâr al-Anwâr, II, pp. 101-102 (s. v. tahara); Tafsîr al-Imâm al-Hasan al-‘Askarî, Teheran 1316, p. 186.

[5] Cfr, il nostro studio su La Configurazione del Tempio della Ka’ba come segreto della via spirituale, secondo l’opera di Qâzî Sa’îd Qommî (1103 / 1691), in Eranos – Jahrbuch XXXIV / 1965, pp. 79-166, e supra libro V, cap. III, 2.

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* Tratto dal IV volume dell’opera dello studioso francese intitolata “En Islam iranien”. La traduzione in italiano è stata gentilmente messa a disposizione dell’Associazione Islamica Imam Mahdi (AJ) dal Dott. Fabio Tiddia, che a tale argomento ha dedicato la propria tesi di laurea.

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Writer : shervin | 0 Comments | Category : Mahdaviyyah , Via Spirituale

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