Una versione estesa della discussione tenuta nel corso del programma televisivo “Islam in Focus”, (Canada) il 1° Novembre 1997 da Seyyed Muhammad Rizvi
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بسم الله الرحمن الرحيم
الحمد لله رب العالمين و الصلاة و السلام على محمد و آله الطاهرين
Col Nome d‘Iddio, il Clemente, il Misericordioso
Tutte le lodi appartengono a Dio, il Signore dell’Universo
Le benedizioni di Dio siano sul Profeta Muhammad e la sua progenie
L’Islam è una religione universale; la sua presenza può esser notata in tutto il mondo attraverso le conversioni o la migrazione. A ogni modo, il più visibile simbolo della presenza dell’Islam in Occidente è l’hijab – il copricapo utilizzato dalle donne musulmane per coprire la propria testa. Nell’area metropolitana di Toronto voi potete vedere donne musulmane con l’hijab nelle scuole, nei college, nelle università, sul lavoro, nei viali e lungo le strade.
Essendo il più evidente simbolo della presenza dell’Islam, è anche il bersaglio più facile per molestare i musulmani. Ovunque un politico razzista, o i media, o un gruppo estremista attacca l’Islam, il primo vero obiettivo è l’hijab della donna musulmana. Anche alcuni cosiddetti esperti dell’Islam e del Medio Oriente assumono una attitudine accondiscende e cercano di insegnare ai musulmani che l’hijab non è un dovere religioso nell’Islam, sostenendo che si tratta per lo più di una questione culturale utilizzata dagli uomini musulmani per opprimere le donne. Anche alcuni giornalisti, politici e intellettuali musulmani non in pace con se stessi salgono su questo vagone per presentarsi come “progressisti” e “liberati”.
L’hijab è realmente una tradizione culturale dei persiani o dei turchi che venne adottata dagli arabi che lo introdussero nell’Islam? O per esso vi è un fondamento religioso nel Corano e nella tradizione del Profeta?
Il termine “hijab—الحجاب” letteralmente indica una copertura, una tenda o una cortina. Non è il termine tecnico utilizzato nella giurisprudenza islamica per indicare il codice di abbigliamento femminile. Il termine utilizzato nella giurisprudenza islamica che denota la condotta di uomini e donne che non hanno relazioni familiari gli uni agli altri, e il loro codice di abbigliamento, è satr o satir—الستر، الساتر.
Negli ultimi due decenni, comunque, sia i musulmani in Occidente che i mass-media, hanno utilizzato il termine hijab per definire il copricapo e l’abito che copre interamente il corpo delle donne musulmane.
È con quest’ultimo significato – quello copricapo e di abito intero – che noi abbiamo utilizzato il termine hijab in questo articolo.
Il Libro sacro dei Musulmani è il Corano; si tratta della rivelazione di Iddio Altissimo al Profeta Muhammad (pace su di lui e la sua progenie). I 114 capitoli del Corano sono stati rivelati in forma graduale in circa 22 anni; alcuni dei versetti sono stati rivelati a Mecca mentre altri sono stati rivelati a Medina. Per i musulmani, il Corano costituisce la prima e principale fonte delle leggi e valori islamici. Esso è considerato il messaggio finale di Dio all’umanità, e deve esser seguito in ogni tempo e in tutti i luoghi fino alla fine di questo mondo.
“In quest’epoca sentiamo dire spesso che dobbiamo stare al passo coi tempi” – scrive il dott. S.H. Nasr, eminente studioso islamico che attualmente insegna l’Islam alla George Washington University in D.C. “Raramente ci si chiede cosa abbiano i ‘tempi’ con cui bisogna stare al passo. Per gli uomini che hanno perso la visione di una realtà che trascende il tempo, che sono completamente immersi nella maglia del nostro spazio-tempo e che sono stati affetti dallo storicismo prevalente nella moderna filosofia europea, è difficile immaginare la validità di una verità che non si conforma al loro immediato ambiente esterno.
L’Islam, a ogni modo, è basato sul principio che la verità trascende la storia e il tempo. La Legge Divina è una realtà trascendente oggettiva attraverso cui vengono giudicati l’uomo e le sue azioni, e non viceversa.
Ciò che si chiama ‘tempi’, oggigiorno, è, per certi versi, un insieme di problemi e difficoltà creati dall’ignoranza dell’uomo riguardo alla sua stessa natura e alla sua ostinata determinazione di ‘vivere di solo pane’. Il tentativo di piegare la Legge Divina ai ‘tempi’ non è altro che un suicidio spirituale, perché rimuove il criterio stesso attraverso cui il valore della vita e delle azioni dell’uomo possono essere obiettivamente giudicati, e quindi consegna l’uomo agli impulsi più infernali della sua natura più bassa. Per concludere, lo stesso modo di approcciare il problema della Legge islamica, e della religione in generale, che cerchi di renderli conformi ai ‘tempi’, porterà all’incomprensione dell’intera prospettiva e dello spirito stesso dell’Islam.” (1)
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Alcune sorelle musulmane hanno iniziato a incorporare l’ideologia femminista occidentale nello studio del Corano; esse credono che l’hijab e altre questioni connesse siano state interpretate principalmente da una prospettiva esclusivamente maschile. Alcune di esse giungono a dire che, poiché tutti i Profeti e Messaggeri erano uomini, anche le leggi sono parziali rispetto agli uomini.
Il problema di questo tipo di pensiero è che non vi è alcuna prova a suo supporto. È infondato accusare il Profeta (S), gli Imam dell’Ahlul Bayt (A) ed anche i giuristi – che sono considerati un’autorità solamente se sono giusti e integri nella condotta – di avere un pregiudizio maschile nell’interpretazione delle leggi divine. Dovremmo avere ora una interpretazione del Corano basata sul genere sessuale, dove gli uomini e le donne studieranno il Libro sacro differentemente? Il Corano chiaramente dice:
“Non invidiate l’eccellenza che Iddio ha dato a qualcuno di voi: gli uomini avranno ciò che si saranno meritati e le donne avranno ciò che si saranno meritate. Chiedete a Dio, alla grazia Sua. Iddio in verità conosce ogni cosa.” (4:32)
Queste musulmane “femministe” sono anche dell’opinione che una donna ha il diritto di interpretare il Corano in accordo alla sua personale comprensione, e che ha il diritto di scegliere come interpretare il proprio codice di abbigliamento. Nella loro discussione, il famoso versetto 2: 256 è portato come una prova: “Non vi è costrizione nella religione…”
Prima di tutto il versetto 2: 256 non concede al musulmano (o alla musulmana) la scelta di fare qualsiasi cosa voglia. Musulmano significa qualcuno che si sottomette ai comandi di Dio. Dire che una persona può essere un musulmano e continuare ad avere “la scelta in qualsiasi cosa” è un vero ossimoro. Secondo, queste persone convenientemente ignorano il contesto di questo versetto. Il versetto parla rispetto alla scelta della religione prima di entrare nell’Islam (sottomissione alla volontà di Dio). Questo significa che nessuno può essere obbligato a diventare un musulmano.
“Non c’è costrizione nella religione. La retta via ben si distingue dall’errore. Chi dunque rifiuta l’idolo e crede in Dio, si aggrappa all’impugnatura più salda senza rischio di cedimenti. Iddio è audiente, sapiente.”
Il versetto parla chiaramente di rigettare Satana e credere in Dio. Questo non significa che un musulmano (o una musulmana) abbia la scelta in qualsiasi cosa voglia fare.
Una volta che una persona si è sottomessa a Dio, a essa non viene lasciata scelta nelle questioni già decise da Iddio e dal Suo Messaggero. Vediamo il seguente versetto che rende chiara la questione:
“Quando Iddio e il Suo Inviato hanno decretato qualcosa, non è bene che il credente o la credente scelgano a modo loro. Chi disobbedisce a Iddio e al Suo Inviato palesemente si travia.” (33:36)
E quindi il Corano è per tutti: uomo e donna, giovane e anziano, bianco e nero, arabo e non-arabo, orientale e occidentale; ma deve essere studiato sui suoi stessi termini senza imporvi la simpatia o l’antipatia personale e senza mettergli la ‘camicia di forza’ in questo o quell’“ismo”.
L’Islam ha fortemente enfatizzato il concetto di decenza e modestia nell’interazione tra membri di sesso opposto. Il codice di abbigliamento è parte di questo complessivo insegnamento. Ci sono due versetti nel Corano nei quali Iddio Altissimo parla sulla questione del pudore e dell’hijab come definiti precedentemente.
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Il primo versetto
Nel capitolo 24 conosciuto come an-Nūr (la Luce), nel versetto 30, Iddio comanda al Profeta Muhammad (S) quanto segue:
قُلْ لِلْمُؤْمِنِيْنَ يَغُضُّوْا مِنْ أَبْصَارِهِمْ وَ يَحْفَظُوْا فُرُوْجَهُمْ, ذَلِكَ أَزْكَى لَهُمْ.
“Di’ ai credenti di abbassare il loro sguardo e di essere casti. Ciò è più puro per loro…”
Questo è un ordine rivolto agli uomini musulmani che non devono guardare in maniera lussuriosa alle donne (che non siano le loro mogli); e per poter prevenire ogni possibilità di tentazione, ad essi è richiesto di abbassare i loro sguardi. Ciò è conosciuto come “l’hijab degli occhi”.
Poi nel versetto successivo, Iddio ordina al Profeta (S) di rivolgersi alle donne:
قُلْ لِلْمُؤْمِنَاتِ يَغْضُضْنَ مِنْ أَبْصَارِهِنَّ وَ يَحْفَظْنَ فُرُوْجَهُنَّ…
“E di’ alle credenti di abbassare i loro sguardi ed essere caste…”
Questo è un ordine simile a quello impartito agli uomini nel versetto precedente riguardante l’“hijab degli occhi”.
Questo “hijab degli occhi” è simile all’insegnamento di Gesù, dove egli dice: “Avete inteso che fu detto: “Non commettere adulterio”; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore”. (2) Se vedete quindi un musulmano o una musulmana abbassare i suoi occhi quando parlano con un membro del sesso opposto, ciò non deve essere considerato come rude o un’indicazione della mancanza di fiducia – si stanno semplicemente attenendo gli insegnamenti del Corano come a quelli della Bibbia.
Dopo l’“hijab degli occhi” giunge l’ordine che descrive il codice di abbigliamento per la donna:
وَ لاَ يُبْدِيْنَ زِيْنَتَهُنَّ إِلاَّ مَا ظَهَرَ مِنْهَا وَ لْيَضْرِبْنَ بِخُمُرِهِنَّ عَلىَ جُيُوْبِهِنَّ…
“…e di non mostrare, dei loro ornamenti, se non quello che appare; di lasciar scendere il loro khumur fin sul petto…”
Vi sono due questioni rispetto a questa sentenza.
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Khumur خُمُرٌ è il plurale di khimar خِمَارٌ, il velo che copre la testa. Ci consulti ogni dizionario arabo, come Lisanu ’l-‘Arab, Majma‘u ’l-Bahrayn o al-Munjid.
Al-Munjid, che è il più popolare dizionario nel mondo arabo, definisce al-khimar come “qualcosa con cui una donna copre la propria testa —ما تغطى به المرأة رأسها .” Fakhru ’d-Din al-Turayhi nel Majma‘u ’l-Bahrayn (che è un dizionario di termini coranici e ahadith) definisce al-khimar come “velo, ed è conosciuto come tale perché la testa viene coperta con esso.” (3)
Quindi il termine khimar, per definizione, significa un pezzo di stoffa che copre la testa.
In accordo ai commentatori del Corano, le donne di Medina nell’era pre-islamica erano solite indossare i loro khumur sulla testa con i due estremi legati dietro il collo, esponendo le loro orecchie e collo. Dicendo “far scendere il loro khumur fin sul petto”, Iddio Altissimo ordina alla donna di lasciare i due estremi del loro copricapo estendersi fino al loro petto, così da poter coprire le loro orecchie, collo e anche la parte sporgente dei seni. (4)
Questo è confermato dal modo in cui le donne musulmane dell’era del Profeta compresero questo comandamento di Dio Altissimo. La fonte sunnita cita Ummu ’l-mu’minin ‘A’isha, la moglie del Profeta (S), come segue: “Io non ho visto donna migliore di quelle degli al-Ansar (gli abitanti di Medina): quando questo versetto venne rivelato, tutte loro presero i propri grembiuli, li stracciarono in due pezzi e li usarono per coprire le loro teste…” (5)
Il significato di khimar e il contesto in cui il versetto è stato rivelato parlano chiaramente della copertura della testa e poi dell’utilizzo degli estremi del velo per coprire il collo e il seno. È assurdo credere che il Corano abbia utilizzato il termine khimar (che, per definizione, significa un indumento che copre la testa) solo per coprire il petto con l’esclusione della testa! Sarebbe come dire di indossare la maglietta solo attorno all’ombellico o la vita senza coprire il petto!
Il versetto fornisce alla fine la lista dei mahram – membri maschi della famiglia alla cui presenza l’hijab non è richiesto, come il marito, il padre, il suocero, i figli, ed altri.
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Nel capitolo 33, conosciuto come al-Ahzab, versetto 59, Iddio impartisce il seguente comando al Profeta Muhammad (S):
َا أَيُّهَا النَّبِيُّ, قُلْ لأَزْوَاجِكَ وَ بَنَاتِكَ وَ نِسآءِ الْمُؤْمِنِيْنَ: يُدْنِيْنَ عَلَيْهِنَّ مِنْ جَلاَبِيْبِهِنَّ…
“O Profeta, di’ alle tue spose, alle tue figlie e alle donne dei credenti di coprirsi dei loro jalabib.”
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Jalabib جَلاَبِيْبٌ è il plurale di jilbab جِلْبَابٌ, ed indica un “ampio indumento esterno”. Si confronti ogni dizionario arabo, come il Lisanu ’l-‘Arab, Majma‘u ’l-Bahrayn o al-Munjid.
Al-Munjid, per esempio, definisce il jilbab come “camicia o ampio abito —القميص أو الثوب الواسع.” Al-Turayhi, nel Majma‘u ’l-Bahrayn, lo definisce invece come “un ampio abito, più lungo del velo e più corto di una toga (veste lunga e sciolta) che una donna pone sulla propria testa e lascia scendere sul proprio seno…” (6)
Questo significa che il codice di abbigliamento islamico per le donne non consiste soltanto di un velo che copre la testa, il collo e il seno; esso include anche l’abito completo che deve essere lungo e largo.
Quindi, ad esempio, la combinazione di una maglia corta e stretta e jeans attillati con un velo sulla testa non rispetta i requisiti del codice di abbigliamento islamico.
La Sunna – i detti e la condotta del Profeta Muhammad (S) – costituisce la seconda più importante fonte per le norme islamiche. E’ impossibile comprendere realmente il Corano senza studiare la vita del Profeta (S), che fornisce il contesto in cui il Libro santo è stato rivelato. Iddio Altissimo dice:
“E su di te (O Muhammad) abbiamo fatto scendere il Monito (il Corano), affinché tu spieghi agli uomini ciò che è stato loro rivelato e affinché possano riflettervi.” (16:44)
“Sunna” è quella “spiegazione” menzionata in questo versetto.
Esiste una tendenza tra i cosiddetti musulmani “progressisti” e “liberati” ad affermare che essi seguono soltanto il Corano ed ignorano la sunna del Profeta (S). Rispondendo a simili musulmani, la dott.ssa Murata e il dott. Chittick scrivono: “Siamo perfettamente consapevoli che molti musulmani contemporanei sono stanchi di ciò che essi considerato materiale antiquato: essi vorrebbero abbandonare la loro eredità intellettuale e sostituirla con delle ricerche realmente ‘scientifiche’, come la sociologia. Affermando che l’eredità intellettuale islamica è superflua e che il Corano è sufficiente, queste persone si sono arrese allo spirito dei tempi. Si tratta di un’impresa molto diversa da quella seguita dalle grandi autorità, che interpretano il loro presente alla luce di una grande tradizione e che mai cade preda della moda – la più obsoleta di tutte le astrazioni..” (7)
Dal punto di vista sciita, i detti autentici degli Imam dell’Ahlul Bayt (A) descrivono la vera sunna del Profeta (S) e chiarificano inoltre i significati dei versetti del Corano. Il Profeta (S) stesso ha presentato l’Ahlul Bayt come il “gemello” del Corano. (8)
I seguenti due detti degli Imam dell’Ahlul Bayt (A) sulla questione dell’hijab, sono qui presentati a mo’ di esempio.
Al-Fudayl bin Yasar chiese all’Imam as-Sadiq (a.s.) riguardo agli avambracci di una donna: sono essi inclusi nella “bellezza” come descritta dall’Altissimo quando Egli dice: “e non mostrare la loro bellezza ad altri che ai loro mariti…?” L’Imam rispose: “Si, e ciò che è sotto il velo che copre la testa (khimar) è parte della bellezza [menzionata nel versetto], e anche ciò che si trova sotto i polsini.” (9) Come uno può chiaramente vedere in questo hadith autentico, l’Imam ha escluso il volto e le mani, ma tutto il resto è stato annoverato come “la bellezza che non deve esser mostrata ad altri che ai loro mariti…”
Abu Nasr al-Bazinli cita l’Imam ‘Ali as-Rida (a.s.) come segue: “Una donna non deve coprire il suo capo in presenza di un ragazzo che non ha ancora raggiunto la pubertà.” (10) L’implicazione di questa affermazione è ovviamente che quando una donna si trova alla presenza di un ragazzo che ha raggiunto l’età della pubertà con il quale non ha un legame di parentela, ella deve coprire la propria testa.
Anche i fondatori delle scuole giuridiche Sunnite sono unanimi su questo punto di vista. In accordo all’opinione di Malik, Hanaf, Shafi‘i e Hanbal, l’intero corpo di una donna è ‘awrah e quindi deve essere coperto, con l’eccezione del volto e delle mani. (11)
I due versetti discussi sopra, posti insieme, mostrano chiaramente che l’hijab, quale codice di abbigliamento dignitoso per le donne musulmane, è parte degli insegnamenti del Corano. Questo è confermato anche da come il Profeta Muhammad (S) interpretò e applicò questi versetti tra le donne musulmane. Ed è inoltre confermato da come gli Imam dell’Ahlul Bayt, e i sapienti musulmani delle prime generazioni dell’Islam, interpretarono il Corano. (12)
Questa è una interpretazione che è stata continuamente affermata dai musulmani negli ultimi quattordici secoli. E, stranamente, ascoltiamo ora alcuni sedicenti esperti dell’Islam dirci che l’hijab non ha nulla a che fare con l’Islam, costituendo semplicemente un aspetto culturale ed una questione di scelta personale!
E’ piuttosto probabile che questi sedicenti esperti dell’Islam e del Medio Oriente abbiano confuso l’ordine basilare del Corano con lo stile dell’hijab indossato dalle donne musulmane di differenti retroterra etnici.
La richiesta dell’hijab è un ordine coranico. Il requisito basilare è che la donna musulmana copra la propria testa e il proprio seno con un khimar (un copricapo), e il suo corpo con un jilbab (un vestito ampio e lungo). Certamente, può lasciare scoperti il volto e le mani. (13)
Per quanto attiene allo stile, al colore e al materiale del khimar e del jilbab, ogni gruppo etnico musulmano può seguire l’ingiunzione coranica in accordo al proprio retroterra culturale. La varietà negli stili di applicazione della norma coranica deriva dal fatto che l’Islam è una religione universale che non può essere confinata a una regione, a una tribù o una cultura. Voi vedete quindi che la donna musulmana in Arabia usa l’‘abaya; la donna musulmana persiana usa il chador; la donna musulmana afgana usa il burqa; la donna musulmana indo-pakistana usa il niqab o purdah; la donna musulmana malesiana e indonesiana il kerudung; la donna musulmana dell’Africa orientale il buibui; ed ora in Occidente, la donna musulmana canadese usa abiti tradizionali con una sciarpa più grande sulla testa e un completo.
L’Islam non entra in merito allo stile finché esso rispetta i requisiti fondamentali del khimar e del jilbab. Qui la religione e la cultura interagiscono tra loro, e qui risiede l’aspetto dinamico della Shari‘a islamica; questa interazione può aver confuso alcuni dei cosiddetti esperti dell’Islam che erroneamente credono che l’hijab sia una tradizione culturale e non un dovere religioso.
Una tra le molte domande che mi sono state poste è: perché l’Islam ritiene l’hijab un dovere per la donna? L’Islam ha introdotto l’hijab come parte della dignità e della modestia nell’interazione tra i membri di sesso opposto. Il versetto 59 del capitolo 33 citato in precedenza fornisce una ragione molto valida; esso dice: “così da essere riconosciute e non essere molestate.”
Gli uomini, che lo confessino o no, sono schiavi della lussuria e del desiderio.
• L’hijab protegge le donne da simili uomini; esso simboleggia che ella è stata santificata soltanto ad un uomo ed è interdetta a tutti gli altri.
• L’hijab contribuisce alla stabilità e preservazione del matrimonio e della famiglia eliminando le possibilità di relazioni extramatrimoniali.
• Infine, esso obbliga gli uomini a focalizzarsi sulla vera personalità della donna e a mettere in secondo piano la loro bellezza fisica. Esso pone la donna nella condizione di prevenire le attenzioni degli estranei nei suoi confronti.
Commentando l’abbigliamento della donna in Nord Africa e nell’Asia sud-orientale, Germaine Greer, una delle pioniere del movimento di liberazione della donna, scrive:
“Donne che indossano cortes o huipiles o saris o jellaba o salwar kamiz o ogni altro esempio di ampi indumenti che possono gonfiarsi o sgonfiarsi al loro interno senza imbarazzo o disagio. Le donne con i loro scialli e veli possono allattare ovunque senza richiamare l’attenzione verso sé stessi, mentre il bambino è protetto dalla polvere e dalle mosche. Nella maggior parte delle società non-occidentali, l’abbigliamento e gli ornamenti della donna celebrano la funzione materna. I nostri la negano.” (15)
Notare anche come ella menzioni specificatamente il salwar, il kamiz e il jellaba che sono utilizzate dalle donne musulmane in Oriente.
Le femministe e i media occidentali spesso presentano l’hijab come un simbolo dell’oppressione e della schiavitù della donna. Questo punto di vista sessista dell’hijab riflette l’influenza delle femministe occidentali che reagiscono subconsciamente al concetto di velo giudeo-cristiano – “il simbolo della soggezione della donna al proprio marito”. (15)
Guardare alla propria storia religiosa o cultura e poi emettere giudizi contro un’altra religione è, nel migliore dei casi, un errore intellettuale e, nel peggiore dei casi, imperialismo culturale totale! Mio padre, in un articolo, fece un’interessante osservazione su quando gli europei penetrarono all’interno dell’Africa un secolo addietro, trovandovi alcune tribù che erano nude. Essi obbligarono le tribù a indossare abiti come segno di civilizzazione. “Ora questi difensori della ‘civilizzazione’ si stanno togliendo loro stessi i propri abiti. Ci si chiede spesso se le ‘tribù primitive’ del secolo scorso non fossero più civilizzate del resto del mondo. Dopo tutto, adesso è il resto del mondo ad imitare i modi delle cosiddette società primitive.” (16)
Sono sorpreso della società che mostra tolleranza per coloro che vogliono girare in topless ma trova difficoltoso tollerare una donna che per sua scelta vuole osservare l’hijab! Secondo Nahid Mustafa, una musulmana canadese: “Nel mondo occidentale l’ hijab è diventato il simbolo di un forzato silenzio o di una militanza radicale e senza scrupoli. Di fatto, non è né l’uno né l’altro. E’ semplicemente un modo per la donna di affermare che la sua persona fisica non svolge alcun ruolo nell’interazione sociale. Indossare l’hijab mi ha fornito la libertà da un’attenzione costante al mio fisico. Poiché la mia apparenza non è soggetta a scrutinio, la mia bellezza, o forse una parte di essa, è stata rimossa dalla realtà di ciò che può essere legittimamente discusso.” (17)
L’hijab non è il simbolo dell’oppressione. Le donne sono oppresse per ragioni socio-economiche anche in paesi dove le donne non hanno mai sentito parlare dell’hijab. Al contrario, la pratica di mostrare foto di donne semi-nude negli spot e cartelloni pubblicitari e nel settore dello spettacolo in Occidente è il vero simbolo dell’oppressione.
Né l’hijab impedisce a una donna di acquisire conoscenza o contribuire al miglioramento della società umana. Storicamente, le donne hanno dato un grande contributo all’Islam. La nobile Khadijah, la prima moglie del Profeta (S), ha avuto un ruolo significativo nella storia iniziale dell’Islam. Una commerciante di successo, è stata la prima persona ad accettare il messaggio del Profeta Muhammad (S). La sua accettazione e la sua fede furono una grande fonte di supporto emotivo per il Profeta (S). Ella fu al fianco di suo marito nei giorni difficili del primo Islam, e spese la sua ricchezza per sostenere la nuova religione.
La prima persona musulmana ad esser martirizzata nella storia islamica è stata una donna di nome Sumayya, la moglie di Yasir e la madre di ‘Ammar. Ella fu uccisa insieme a suo marito per aver rifiutato di rinunciare all’Islam.
La nobile Fatimatu ’z-Zahra’, la figlia del Profeta Muhammad, fu un faro di luce e una fonte di guida per le donne del suo tempo. Ella fu fedelmente al fianco di suo marito, l’Imam ‘Ali (A), nella sua lotta per il suo diritto al califfato, e protestò fortemente contro la prima violazione del diritto all’eredità per le figlie nell’Islam.
Uno dei più importanti eventi nella storia iniziale dell’Islam fu l’evento di Karbala, la protesta guidata dall’Imam Husayn contro la tirannia di Yazid. In questa protesta, i soldati di Yazid massacrarono Husayn e settantadue suoi sostenitori. Fu la sorella di Husayn, Zaynab, che continuò la protesta sociale e fu particolarmente influente nel portare la consapevolezza tra la gente nel sollevarsi contro la tirannia dei regnanti. Zaynab contribuì grandemente ai fattori che successivamente portarono alla caduta degli Ummayadi.
A coloro che molto duramente e rapidamente giudicano l’hijab come un simbolo dell’oppressione della donna, io chiedo: quando voi vedere una suora con il suo abito, cosa pensate? E’ questo il simbolo dell’oppressione o un abito che richiede dignità e rispetto? L’abito di una suora è un hijab completo. Perché allora questo doppio criterio? Questo non è imperialismo culturale? Quando una suora cattolica veste in questo modo manifesta dignità, ma quando una donna musulmana veste così, diventa il simbolo dell’oppressione?! Nell’Islam, noi vogliamo questa dignità e rispetto per ogni donna musulmana, non solo per poche prescelte che hanno deciso di servire la causa della loro fede.
Io saluto quelle donne musulmane che hanno trovato il coraggio in loro stesse di osservare l’hijab in questa società non-musulmana, e chiedo fortemente alla controparte maschile di apprezzare il grande contributo della donna nell’essere in prima linea nella lotta nel ritagliare una nicchia per l’Islam nella molticulturale società canadese.
Un’ultima cosa che posso dire è che, nonostante tutte le discussioni sulla soppressione dei diritti della donna nelle società musulmana, noi abbiamo avuto tre paesi nel mondo dell’Islam – Turchia, Pakistan e Bangladesh – che hanno avuto un Primo Ministro donna. Contro questo primato d’avanguardia, gli Stati Uniti d’America o il Canada non hanno ancora mostrato quest’apertura per l’avanzamento della donna dove una signora può esser scelta per un mandato come Presidente o Primo Ministro. Credo questo dica molto sull’Islam ed i Musulmani.
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DELLA DONNA
1. Padre
2. Nonno
3. Fratello
4. Suocero
5. Marito
6. Figlio
7. Figliastro
8. Genero
9. Nipote
10. Zio (paterno)
11. Zio (materno)
12. Ragazzo (minore)
13. Donne
DELL’UOMO
1. Madre
2. Nonna
3. Sorella
4. Suocera
5. Moglie
6. Figlia
7. Figliastra
8. Genera
9. Nipote
10. Zia (paterna)
11. Zia (materna)
12. Ragazza (minore)
13. Uomini
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1) Seyyed Hossein Nasr, Islamic Life and Thought (Albany: SUNY, 1981) pag. 26.
2) Il Vangelo di Matteo, capitolo 5, versetti 27-28.
3) Al-Munjid (Beirut: Daru ’l-Mashriq, 1986) pag. 195; at-Turayhi, Majma‘u ’l-Bahrayn, vol.1 (Tehran: Daftar Nashr, 1408 AH) pag. 700. Cfr. at-Tusi, at-Tibyan, vol. 7 (Qum: Maktabatu ’l-l‘lam al-Islami, 1409 AH) pag. 428; at-Tabrasi, Majma’u ’l-Bayan, vol. 7 (Beirut: Dar Ihyai ’t-Turathi ’l-‘Arabi, 1379AH) pag. 138; cfr. anche il famoso commentatore sunnita, Fakhru ’d-Din ar-Razi, at-Tafsiru ’l-Kabir, vol. 23 (Beirut: Daru ’l-Kutubi ’l-‘Ilmiyya, 1990) p. 179-180. Anche Hans Wehr in Dictionary of Modern Written Arabic (Ithaca, NY: Spoken Languages Services, 1976) definisce al-khimar come “velo che copre la testa ed il volto di una donna.” (pag. 261). Nessuno ha escluso la copertura della testa dalla definizione di “al-khimar”.
4) Ar-Razi, at-Tafsiru ’l-Kabir, vol. 23, pag. 179, e altri noti commentari e raccolte di ahadith come at-Tabataba’i, al-Mizan, vol. 15 (Tehran: Daru ’l-Kutub, 1397AH) pag. 121; al-Kulayni, al-Furu‘ mina ’l-Kafi, vol. 5 (Tehran: Daru ’l-Kutub, 1367AH) pag. 521. Cfr. anche le esegesi di al-Kashshaf, Ibn Kathir, at-Tabari e al-Qurtubi.
5) Ibid., cfr. anche al-Bukhari, Sahih (Arabo e inglese) vol. 6 (Beirut: Daru ’l-‘Arabiyya) pag. 267; Abu ’l-A‘la Mawdudi, Tafhimu ’l-Qur’an, vol. 3 (Lahore: Idara-e Tarjuman-e Qur’an, 1994) pag. 316.
6) Ibid. al-Munjid, pag. 96; at-Turayhi, Majma‘u ’l-Bahrayn, vol. 1, pag. 384.
7) Sachiko Murata-William C. Chittick, The Vision of Islam (St. Paul, MN: Paragon House, 1995) p. xi.
8) Per maggiori informazioni sulla sunna e la connessione tra il Corano e l’Ahlul Bayt, cfr. il mio “Introduction to Islamic Laws”. N.d.t.: Il testo è stato tradotto e stampato in italiano dall’Associazione Islamica Imam Mahdi con il titolo “In11troduzione alla Shariah Islamica” ed è disponibile per coloro che fossero interessati. La versione italiana è disponibile anche on-line al seguente indirizzo: Al-Islam
9) Al-Kulayni, al-Furu‘ mina ’l-Kafi, vol. 2, pag. 64.
10) As-Saduq, Man la Yahduruhu ’l-Faqih, vol. 2, pag. 140; Qurbu ’l-Asnad, pag. 170. Cfr. Wasa’ilu ’sh-Shi‘ah, vol. 14 (Beirut: Dar at-Turath al-‘Arabi, n.d.) pag. 169
11) ‘Abdu ’r-Rahman al-Juzari, al-Fiqh ‘ala ’l-Madhahibi ’l-Arba‘ah, vol. 5 (Beirut: Daru ’l-Fikr, 1969) p. 54-55.
12) Oltre alle fonti citate in precedenza, cfr. anche at-Tabrasi, Majma‘u ’l-Bayan, vol. 7-8, pag. 138, 370; at-Tusi, at-Tibyan, vol. 8, pag. 361; Fakhru ’d-Din ar-Razi, at-Tafsiru ’l-Kabir, vol. 23, p. 179-180.
13) Indossare un velo per coprire il volto non è la richiesta iniziale delle norme dell’hijab. La Shi’a, come la maggioranza dei giuristi sunniti, afferma che il volto deve esser coperto solo se vi è il pericolo di fitna, una situazione che può condurre a commettere un peccato.
14) Greer, Sex & Destiny: The Politics of Human Fertility (London: Picador, 1985) pag. 14.
15)Cfr. Aid to Bible Understanding, pag. 468.
Dalla prospettiva biblica cristiana, vedere cosa dice S. Paolo: “Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’uomo, e capo di Cristo è Dio. Ogni uomo che prega o profetizza con il capo coperto, manca di riguardo al proprio capo. Ma ogni donna che prega o profetizza senza velo sul capo, manca di riguardo al proprio capo… Giudicate fra voi stessi. È conveniente che la donna preghi Dio senza essere coperta?” (Corinzi 1, 11:3-5, 13)
Questo significa che se un uomo copre la sua testa in preghiera, egli sta rispettando Cristo; e se una donna copre la sua testa in preghiera, ella sta rispettando suo marito. Per il concetto biblico ebraico, cfr. Genesi 24:65.
16) S. Said Akhtar Rizvi, “On Modesty,” in Sunday News (Dar-es-salaam), 27 Novembre 1966.
17) Mustafa, “My Body Is My Own Business”, Globe & Mail, 29 Giugno 1993.
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