La concezione islamica della Conoscenza (S.W. Akhtari)

 La concezione islamica della Conoscenza

Dr. Sayyid Wahid Akhtar

tratto da “Al-Tawhid”, vol. XII No. 3

Mentre il fatto che possa esistere un’epistemologia islamica esplicita e sistematicamente elaborata rimane ancora una questione irrisolta, è invece innegabile che nella filosofia islamica vari argomenti epistemologici sono stati trattati con un orientamento differente dal pensiero occidentale, ed attualmente vengono fatti molti tentativi per capire i temi di base dell’epistemologia secondo questa concezione. Questo è un valoroso sforzo che merita il nostro interesse e incoraggiamento, ma che può essere fruttuoso solo se si compie un’analisi rigorosa, con particolare attenzione alle precise definizioni dei vari concetti considerati.

Con questo pensiero, questo scritto si pone l’obiettivo di delineare i vari aspetti e significati del termine arabo “‘Ilm”, la conoscenza nel pensiero islamico. E’ auspicabile che questo breve articolo serva come un passo avanti per la costruzione, in futuro, delle basi di una teoria islamica della conoscenza.

Nel pensiero islamico riguardo alla conoscenza, il termine arabo utilizzato per indicare questo concetto è “‘Ilm”, che, come ha evidenziato giustamente Rosenthal, ha una connotazione molto più ampia dei suoi sinonimi in inglese e in altre lingue occidentali. “Conoscenza” non esprime esattamente tutti gli aspetti del termine “‘Ilm”. Conoscenza nel mondo occidentale significa informazione su un certo argomento, divino o terreno, mentre “‘Ilm” è un termine che abbraccia tutti questi aspetti riferendosi alla teoria, alla pratica e all’istruzione. Rimarcando l’importanza di questa parola nella civiltà musulmana e nell’Islam, Rosenthal afferma che essa dà loro un aspetto distintivo.

Nessun concetto è stato, infatti, così importante nel determinare tutti gli aspetti della civiltà musulmana come “‘Ilm”. Questo vale anche per le parole più significative per la vita religiosa islamica, ad esempio “Tawhid” (riconoscimento dell’Unicità di Dio), “ad-Din” (la vera religione) e molte altre usate costantemente e con enfasi. Nessuna di esse è uguale a “‘Ilm” per la sua profondità di significato e per il suo ampio utilizzo. Non c’è nessun aspetto della vita intellettuale, religiosa e politica islamica, e della vita quotidiana di un musulmano medio, che venga trascurato dall’atteggiamento sempre rivolto verso la conoscenza, vista come un valore supremo per il musulmano. “‘Ilm” è l’Islam, anche se i teologi sono stati esitanti nell’accettare la correttezza tecnica di questa uguaglianza. Ció che risalta maggiormente da questa accesa discussione riguardo a questo concetto è la sua fondamentale importanza per l’Islam.

É doveroso specificare che l’Islam è il percorso che porta alla conoscenza. Nessun’altra religione o pensiero ideologico ha sottolineato cosí tanto l’importanza di questo concetto. Nel Corano la parola “‘Alim” ricorre 140 volte, mentre il termine “‘Ilm” soltanto 27. In totale, il numero dei versetti in cui è utilizzata la parola “‘Ilm” o termini derivati o associati ad essa è 704.

I riferimenti agli aiuti per acquisire la conoscenza, ad esempio il libro, la penna, l’inchiostro ecc. ammontano quasi allo stesso numero. Il termine “qalam” è citato due volte, “al-kitab” in 230 versetti, dei quali 81 fanno riferimento a “al-kitab” con il significato dello stesso Corano. Altre parole correlate alla scrittura si ritrovano in 319 versetti. É importante notare che la penna e il libro sono essenziali per acquisire la conoscenza. La rivelazione islamica del Corano inoltre inizió con la parola “iqra” (‘Leggi!’ o “Recita!)[1] .

Secondo il Corano, i primi insegnamenti per Adamo iniziarono poco tempo dopo la sua creazione, e a lui furono insegnati “tutti i Nomi”[[2] .

Iddio è il primo insegnante e la guida assoluta per l’umanità. Questa conoscenza non fu impartita neanche agli Angeli. In “Usul al-kafi” l’Imam Musa al-Kadhim (A) narra che tradizionalmente la conoscenza (“‘Ilm”) puó essere di tre tipi: “ayatun muhkama” (inconfutabili segni di Dio), “faridatun ‘adila” (obblighi giusti) e “sunnat al-qa’ima” (tradizioni tramandate dal Profeta).

Questo comporta il fatto che il termine ‘Ilm, a cui tutti i musulmani sono obbligati a fare riferimento, abbraccia vari settori della scienza: teologia, filosofia, diritto, etica, politica, e le leggi impartite dal Profeta alla “umma”.

Al-Ghazali ha ingiustamente differenziato i vari tipi di conoscenza, ritenendone alcuni utili e altri inutili. L’Islam pero’ non considera nessun tipo di conoscenza trascurabile per l’umanità. Comunque, quella che nel Corano è stata definita conoscenza inutile o insignificante, consiste di pseudoscienze o di leggende contenute prevalentemente nella “jahiliyya”.

La conoscenza è di tre tipi:

o informazione (come opposta all’ignoranza),
o leggi naturali,
o conoscenza acquisita attraverso congetture.

I primi due tipi di conoscenza sono considerati utili, e la loro acquisizione è obbligatoria. Per quanto riguarda il terzo tipo, che si riferisce a ció che si apprende indovinando o tramite congetture, o a ció che è dubbioso, si dovrebbe prendere in considerazione più avanti, dal momento che il dubbio e la congettura a volte sono mezzi essenziali per la conoscenza, ma non un fine di quest’ultima.

Oltre a numerosi versetti coranici che enfatizzano l’importanza della conoscenza, vi sono centinaia di detti del Profeta (S) che incoraggiano i musulmani ad acquisire ogni tipo di conoscenza da qualsiasi parte del mondo. La civiltà islamica, durante un periodo di stagnazione e declino, confinó il proprio sapere nella teologia come unica scienza obbligatoria, un atteggiamento generalmente e ingiustamente attribuito alla distruzione della filosofia e delle altre scienze nel mondo islamico effettuata da al-Ghazali.

Certamente egli visse in un periodo turbolento e caratterizzato da un forte scetticismo, ma era sempre alla ricerca di certezze, che non trovó in una conoscenza terrena basata su discorsi, ma nelle esperienze mistiche. A suo favore bisogna affermare che egli trovó il modo di distogliere i credenti da una pura imitazione, e diede un aiuto a raggiungere l’obiettivo di una conoscenza certa.

Nel mondo islamico, la gnosi (ma’rifa) è differente dalla conoscenza nel senso di acquisire informazioni attraverso processi logici. Nelle civiltà non islamiche dominate dalla cultura greca, “hikma” (saggezza) è considerata superiore alla conoscenza. Secondo l’Islam peró “‘Ilm” non è pura conoscenza, bensí sinonimo di gnosi (ma’rifa). Si considera la conoscenza derivata da due fonti: l’“‘Aql” (il ragionamento) e l’“‘Ilm huduri” (intesa come conoscenza non mediata e diretta, che avviene attraverso esperienze mistiche).

É importante notare che c’è molta enfasi sull’esercitare l’intelletto nel Corano e nelle tradizioni, in particolare nel senso del termine arabo “ijtihad”. Nel mondo sunnita “qiyas” (il metodo di deduzione analogica proposto dall’Imam Abu Hanifa) è accettato come uno strumento per l'”ijtihad“, ma il suo maestro e guida spirituale, l’Imam Ja’far as-Sadiq (A), diede più importanza all'”‘Aql” a questo proposito. In tutta la letteratura sciita, che comprende anche “Fiqh” (Giurisprudenza) e “Usul al-fiqh” (Principi di Giurisprudenza), l'”‘Aql” viene maggiormente sottolineato, perché il “qiyas” è solo un tipo di argomento quasi logico, mentre l'”‘Aql” comprende tutte le facoltà razionali dell’essere umano.

Anche l’intuizione e l’esperienza mistica sono considerate come un eccellente esercizio di “‘Aql“. Nella letteeratura sciita in particolare, e in quella sunnita in generale, l'”‘Aql” è ritenuto un prerequisito per la conoscenza. A partire dall'”Usul al-kafi“, tutte le raccolte sciite di Hadith dedicano il primo capitolo ai meriti dell'”‘Aql” e alle virtù dell’ “‘Ilm“. Nelle raccolte di Hadith della letteratura sunnita, che includono “al-sihah al-sitta” fino ad arrivare a “Ihya” di al-Ghazali, si trova sempre un capitolo che tratta questo argomento, anche se non gli viene data una priorità assoluta. Questo dimostra che vi è consenso fra i musulmani riguardo all’importanza del termine “‘Aql“, sottolineata nel Corano da parole come “ta’aqqul“, “tafaqquh” e “tadabbur“.

L’esercizio dell’intelletto (‘Aql) è significativo per tutta la letteratura islamica, che ebbe un ruolo importante nello sviluppo di tutti i tipi di conoscenza, scientifica o di altra natura, nel mondo musulmano. Nel ventesimo secolo, il filosofo musulmano indiano Iqbal, nella sua opera intitolata “Ricostruzione del pensiero religioso nell’Islam”, ha sottolineato che l'”ijtihad” è un principio dinamico nella struttura dell’Islam. Egli afferma che, ancora prima di Francesco Bacone, i principi di induzione scientifica erano chiaramente espressi nel Corano, che sottolinea l’importanza dell’osservazione e della sperimentazione allo scopo di giungere a conclusioni certe.

É bene ricordare anche che i “fuqaha” (giurisperiti) e “mufassirun” (commentatori) Musulmani hanno fatto uso del metodo basato sull’analisi linguistica per interpretare le prescrizioni del Corano e la tradizione (“sunna“) del Profeta (S). L’opera “Tahatut al-falasifa” di al-Ghazali è probabilmente il primo trattato filosofico in cui fu utilizzato il metodo dell’analisi linguistica per dare spiegazioni su vari temi filosofici. Personalmente credo che questo autore sia stato messo in cattiva luce e frainteso dai musulmani, sia conservatori sia liberali, che hanno voluto interpretare la sua filosofia. Il suo metodo basato sul dubbio diede origine ad un’efficace attività intellettuale nel mondo islamico, ma a causa di fattori storici e sociali, culminó nella stagnazione del pensiero filosofico e scientifico, che più tardi suscitó all’autore molte critiche da parte di altri filosofi.

Nella filosofia preislamica, sviluppatasi sotto l’influenza del pensiero greco, si fece una distinzione fra saggezza (al-Hikma) e conoscenza. Nell’Islam invece non esiste questa differenza. Coloro che credettero in questa diversità, influenzarono i musulmani verso un pensiero non islamicamente corretto. Pensatori quali al-Kindi, al-Farabi e Ibn Sina sono considerati “hakim” (filosofi), e quindi superiori agli “Ulama’” e ai “Fuqaha“. Questo concetto errato si ritrova nell’attacco di al-Ghazali agli altri filosofi. L’Islam è una religione che invita i suoi seguaci ad esercitare il loro intelletto e ad avvalersi della propria conoscenza per ricercare la verità assoluta (“al-Haqq“).

I pensatori musulmani seguirono diversi percorsi per raggiungere questo obiettivo. Quelli che sono chiamati filosofi si dedicarono ad un metodo logico e scientifico, e furono criticati dai Sufi, anche se alcuni di loro, ad esempio Ibn Sina, al-Farabi e al-Ghazali seguirono un percorso mistico per ricercare la verità. Come ho detto prima, ‘Ilm non deve essere tradotto come pura conoscenza; bisogna ricordare che è anche sinonimo di gnosi o ma’rifa. Si possono ricercare elementi riguardanti l’esperienza mistica nelle opere dei filosofi musulmani. Nell’opera “Kashf al-mahjub” di al-Hujwiri viene distinta l’informazione (“khabar”) dal pensiero analitico (“nadhar”). Questo non riguarda solo i pensatori musulmani, ma anche la maggior parte dei filosofi musulmani che tentarono di raggiungere la vera conoscenza che comprende tutte le cose, terrene o divine.

Nella tradizione filosofica occidentale c’è differenza fra la conoscenza dell’Essere Divino e quella che appartiene al mondo fisico. Nell’Islam invece non c’è questa differenza. “Ma’rifa” è la vera conoscenza, e deriva dalla conoscenza della propria persona (“Man ‘arafa nafsahu fa qad ‘arafa rabbahu“: “Chi conosce se stesso conosce anche il suo Signore”). Questo processo comprende anche la conoscenza della grandezza del mondo. Comunque, la saggezza e la conoscenza, che sono considerati in modo diverso l’uno dall’altro nelle culture non musulmane, hanno lo stesso significato nel pensiero islamico.

Nel trattare l’argomento della conoscenza, è importante chiedersi come si possono risolvere i dubbi su alcune dottrine riguardanti Dio, l’universo e l’uomo. Generalmente si ritiene che nell’Islam, per quanto concerne la fede, non ci deve essere alcun dubbio sull’esistenza di Dio, del Profeta Muhammad (S) e degli ordini divini, e sul fatto che l’Islam richiede una sottomissione totale alle sue prescrizioni. Questo pensiero molto diffuso è un concetto sbagliato se si considera l’enfasi dell’Islam sull'”‘Aql“.

A proposito dei concetti fondamentali della fede (“Usul ad-din“), il credente è obbligato ad accettare il “tawhid” (Unicita’ divina), la “nubuwwa” (profezia) e ed il “ma’d” (aldila’) (nella dottrina sciita, “‘Adl“, Giustizia Divina, e “Imama“, Imamato, sono concetti fondamentali), sia da un punto di vista razionale sia sulla base delle esperienze della vita di ognuno.

Ció assicura che nell’Islam c’è spazio per il dubbio e lo scetticismo prima di raggiungere la certezza nella fede (“Iman“). I sufi ritengono che la fede sia suddivisa in tre stadi: “‘‘Ilm al-yaqin” (conoscenza certa), “‘ayn al-yaqin” (conoscenza attraverso la vista) e “haqq al-yaqin” (conoscenza data dall’unità del soggetto con l’oggetto). L’ultimo stadio è raggiungibile solo da pochi eletti.

‘Ilm“, in molti versetti coranici, è riferito alla luce (“an-Nur“), e Dio è descritto anche come la Vera Luce. Questo significa generalmente che “‘Ilm” è sinonimo di “luce di Dio”. Questa luce non splende sempre per tutti i credenti. A volte essa è nascosta dalle “nuvole” del dubbio proveniente dalla mente umana. Il dubbio nel Corano è spesso interpretato come il buio, cosí come l’ignoranza, in un certo numero di versetti. Dio è considerato una luce, e anche la conoscenza è simbolizzata dalla luce. L’ignoranza è il buio e la conoscenza (ma’rifa) è la luce.

Nell’”ayatu al-kursi[3] Dio afferma:

“Dio è la luce dei cieli e della terra … Dio è la guida assoluta per i credenti e li guida lontano dal buio verso la luce”.

Solitamente il buio è interpretato come miscredenza e la luce come fede in Dio. Ci sono molti versetti nel Corano, cosí come molti detti del Profeta (S), che sottolineano il fatto che la luce debba essere raggiunta da coloro che lottano contro il buio.

Fra i filosofi musulmani, in particolare alcuni mu’taziliti, come Nazzam, al-Jahiz, Aba Hashim al-Jubbay ed altri, presero la strada dello scetticismo. Al-Ghazali fu il più importante fra i filosofi musulmani che, nella sua biografia spirituale “al-munqidh min ad-dalal“, elaboró il percorso dello scetticismo che intraprese per ricercare la pura verità. Vi furono molti pensatori musulmani, ad esempio Abu Hashim al-Jubbay, al-Baqillanis al-Nazzam e altri, che scelsero lo scetticismo allo scopo di raggiungere una certa fede religiosa. Lo scetticismo è una filosofia che ha tre diversi significati:

o negazione di qualsiasi tipo di conoscenza,
o agnosticismo,
o un metodo per trovare la certezza.

La maggior parte dei filosofi musulmani raggiunsero l’obiettivo della certezza. Lo scetticismo, inteso come l’impossibilità della conoscenza, non è compatibile con gli insegnamenti islamici; esso é accettabile solo se guida dall’incertezza verso la certezza. Il metodo scettico è composto di due aspetti, il rifiuto di tutta la conoscenza assoluta e l’approvazione di un percorso per superare l’incertezza.

I filosofi musulmani hanno intrapreso la seconda strada, perché dava molta importanza al rifiuto della fede in modo cieco. Shaykh al-Mufid, un celebre Faqih sciita, affermava che vi era un confine molto sottile fra fede e miscredenza qualora il credente imitasse alcuni teologi. Secondo la sua opinione, colui che imita va verso la miscredenza (“kufr“).

Nell’Islam, “‘Ilm” non è confinato solo all’acquisizione della conoscenza, ma comprende anche aspetti sociopolitici e morali. La conoscenza non è pura informazione; richiede ai credenti di agire sulla propria fede e di dedicarsi al raggiungimento degli obiettivi a cui è finalizzato l’Islam. In breve, vorrei affermare che la teoria della conoscenza nel pensiero islamico non riguarda esclusivamente l’epistemologia. Essa unisce conoscenza, ispezione interiore e azione a livello sociale come concetti fondamentali. Vorrei citare qui un detto del Profeta (S) narrato dall’Amir al-Mu’minin ‘Ali Abi Talib (A): un giorno Gabriele si recó presso Adamo. Portó con sé fede (Iman), moralità (“Haya‘”) e ragione (“‘Aql“), e gli chiese di scegliere una delle tre. Quando Adamo scelse la ragione, Gabriele ordinó alle altre due di tornare fra i cieli. Essi dissero che Dio aveva ordinato loro di accompagnare l'”‘Aql” in qualunque posto andasse. Questo indica quanto sia vasto il significato delle nozioni derivate dall’intelletto e dalla conoscenza nell’Islam, e come siano profondamente correlate alla fede e alle facoltà morali.

Lo sviluppo simultaneo di vari settori della conoscenza riguardanti i fenomeni naturali e sociali, cosí come il processo logico di discussione per spiegare la dottrina islamica e per dedurre le leggi (“ahkam“) con riferimento agli ordini prescritti nel Corano e ai detti del Profeta, avvengono grazie al concetto islamico di “‘Ilm“.

Il sapere scientifico, comprese le scienze naturali e fisiche, fu avviato e sviluppato da scienziati e matematici musulmani a partire dai primi decenni del primo secolo dell’Egira. Il progresso scientifico trovó il periodo di maggior splendore con la nascita di “Bayt al-Hikma” nel regno di al-Ma’mun. Indubbiamente, il maggiore contributo alla filosofia e alle altre scienze provenne dagli iraniani, ma il mito creato dagli orientalisti riguardante il fatto che le fonti di base dell’Islam, il Corano e la Sunna, non contengano idee scientifiche e filosofiche è totalmente falso.

Come già detto, non solo il Corano e gli Ahadith incoraggiavano i musulmani, o piuttosto li obbligavano, a ricercare la verità utilizzando liberamente qualsiasi risorsa, ma contenevano anche alcuni principi guida che potevano dare una base sicura per lo sviluppo di scienze religiose e di altra natura. Alcuni detti del Profeta (S) danno primaria importanza anche all’apprendimento tramite riti. Diversi detti affermano che ha più valore il sonno di uno studente rispetto ad un viaggio di Pellegrinaggio (“Hajj“) di un credente ignorante o la sua partecipazione al Jihad, e che le gocce di inchiostro cadute ad uno sapiente sono più sacre del sangue versato da un martire. Amir al-Mu’minin ‘Ali (A) diceva che la ricompensa ai credenti per le buone azioni compiute verrà stabilita nell’altro mondo in base allo sviluppo del loro intelletto e della loro conoscenza.

L’Islam non ha mai ritenuto che solo la teologia fosse utile e che le altre scienze fossero non significative o trascurabili. Questo concetto è stato inventato da esponenti del clero semi-letterati o da alcuni loro ausiliari che intendevano mantenere la gente comune musulmana nel buio dell’ignoranza e nella fede cieca in modo che non potessero opporsi a governatori ingiusti o resistere al clero legato alle corti dei tiranni. Questo atteggiamento portó non solo alla condanna delle scienze empiriche, ma anche della metafisica e dell'”‘Ilm al-kalam“, che fu la causa del declino della civiltà islamica nella politica e nell’economia. Anche ai nostri giorni, una larga fetta della società musulmana, comprendente sia la gente comune che i teologi, soffre per questo problema. Questo fenomeno inefficace e contrario alla conoscenza favorí la nascita di movimenti che consideravano alcuni elementari libri di teologia sufficienti per un musulmano, e sconsigliavano l’apprendimento e la diffusione della conoscenza terrena in quanto portava all’indebolimento della fede.

A parte Shaykh al-Mufid e altri studiosi sciiti, un buon numero di classici “Fuqaha” e “Ulama’” sunniti, anche quelli considerati conservatori, tra cui Ibn Taymiyya e Ibn Qayyim al-Jawziyya, ritenevano l’emulazione e l’imitazione (“taqlid“) non permesse dalla religione e inutili. Jalal ad-Din as-Suyuti affermava che l’imitazione (“taqlid“) era proibita sia dai “Salaf” che dai “Khalaf” (generazioni di studiosi in epoche diverse). Egli ha citato l’opposizione all’emulazione da parte di al-Shafi’i. Ibn Hazm sviluppó le stesse opinioni. Questi ed altri Fuqaha e teologi sottolinearono l’importanza dell'”‘Aql” e dell'”ijtihad” considerandoli obbligatori per i credenti.

L’Imam ‘Ali (A) diede un ruolo fondamentale alla ragione anche nelle questioni religiose. Abu ‘Ala’ al-Ma’arri pensava che non ci fosse nessun Imam tranne la ragione. Quindi è ovvio che sia gli Sciiti che i Sunniti, tralasciando le differenze riguardo a vari temi, concordano sul ruolo della ragione e sulla necessità dell'”ijtihad“. Purtroppo alcuni movimenti islamici sorti nel mondo Sunnita, ad esempio in Egitto, Arabia Saudita, Marocco, Algeria, Sudan ecc., si oppongono alla ragione e approvano l’emulazione modificando negativamente il ruolo dell'”ijtihad” e disprezzando anche i maggiori teologi salafiti. Non si rendono conto che questo atteggiamento è contraddittorio e sviante per la loro stessa causa. E’ un buon segno che, eccetto il rifiuto della ragione in tempi recenti in alcune zone abitate da Sunniti, sono stati effettuati, e sono ancora in corso, molti tentativi per incoraggiare nuovamente la pratica dell'”ijtihad” e per mettere insieme la conoscenza sociale, scientifica e storica con gli insegnamenti della teologia, “fiqh” (Giurisprudenza), “Usul al-fiqh” (Principi di Giurisprudenza), Ahadith (le tradizioni o narrazioni), “‘Ilm al-rijal” (la scienza che studia le biografie dei trasmettitori di tradizioni), “Kalam” (teologia) e “Tafsir” (commento del Sacro Corano), la cui acquisizione è essenziale per l'”Ijtihad” nelle questioni concernenti la fede e la sua pratica.

Un altro mito diffuso dagli orientalisti, ovvero che la mentalità araba non fosse adatta alla filosofia, al contrario di quella ariana, e quindi anche degli iraniani, che introdussero la filosofia nel mondo islamico, è anch’esso non fondato e una cospirazione contro la storia della filosofia musulmana e il suo significativo contributo allo sviluppo delle scienze da cui ha tratto beneficio non solo il mondo musulmano, ma fu anche un grosso aiuto per l’apprendimento, la cultura e la civiltà umana.

Ironicamente, nonostante l’affermazione che la civiltà ariana ha introdotto la ricerca scientifica e il pensiero filosofico, la filosofia islamica è definita “araba” dagli orientalisti, e ció implica una contraddizione inerente ai loro pregiudizi contro i Semiti. Nell’Islam – certamente dopo il Corano e i detti del Profeta (S) – le lettere e i discorsi dell’Imam ‘Ali (A), in epoca successiva riuniti col titolo di “Nahj al-Balagha“, contenevano le origini della ricerca filosofica e scientifica, ed egli era un arabo. Allo stesso modo, i mutaziliti, conosciuti come i primi razionalisti fra i musulmani, erano arabi. Anche il primo filosofo musulmano ufficialmente riconosciuto, al-Kindi, era un arabo.

Dopo il declino della ricerca scientifica e filosofica nel mondo islamico orientale, la filosofia e le scienze rifiorirono fra i musulmani occidentali grazie agli sforzi dei pensatori di origine araba come Ibn Rushd, Ibn Tufayl, Ibn Bajah e Ibn Khaldun, il padre della sociologia e filosofia della storia. La filosofia della storia e della società di Ibn Khaldun è la più eccellente fra le prime opere di pensatori musulmani riguardanti l’etica e la politica, ad esempio gli scriti di Miskawayh, al-Dawwani e Nasir al-Din al-Tusi. Il merito di aver posto attenzione seriamente alla filosofia socio-politica va ad al-Farabi, che scrisse trattati riguardo a questi argomenti fra i quali “Madinat al-fadhila”, “Ara’ ahl al-madinat al-fadhila”, “Al-milla al-fadhila”, “Fusul al-madang”, “Sira fadila”, “K. Al-siyasa al-madaniyya“, ecc.

I musulmani non hanno mai ignorato i problemi sociali, politici, economici e di altro tipo appartenenti alla realtà terrena. Essi contribuirono grandemente alla civiltà umana e indagarono, con la loro libera ricerca, in varie aree della conoscenza anche rischiando di essere condannati come eretici o piuttosto come non credenti. Credenti puri e convinti nella fede islamica, come al-Ghazali, Ibn Rushd, Ibn Bajah, al-Haytham, Ibn ‘Arabi e Mulla Sadra, e in tempi recenti Sayyid Ahmad Khan, Iqbal e al-Mawdudi non sono stati colpiti da “fatawa” di miscredenza (“kufr“) da parte dei sostenitori della pura imitazione, che erano ostili al principio di “ijtihad“, alla ricerca e al pensiero critico.

Tra gli astronomi, i matematici, gli scienziati e i fisici musulmani come Ibn Sina, Zakariyya al-Razi e altri che utilizzarono strumenti per contribuire allo sviluppo della conoscenza e della civiltà umana, sarebbe ingiusto non menzionare il contributo significativo degli Ikhwan al-Safa (I Fratelli della Purità), un gruppo di studenti e pensatori sciiti e ismailiti che scrissero trattati originali su svariati argomenti filosofici e scientifici, uno sforzo che denota il primo tentativo di creare un’enciclopedia nel mondo civilizzato. In breve, si potrebbe giustamente affermare che la teoria islamica della conoscenza fu responsabile della nascita di una cultura della libera ricerca e del pensiero scientifico razionale che comprendeva sia la teoria sia la pratica.

 

Note:

[1] La prima Sura del Sacro Corano rivelata fu la sura Al-‘Alaq (96), che inizia cosí: “Leggi! In nome del tuo Signore che ha creato, ha creato l’uomo da un’aderenza…”.
[2] In riferimento al Versetto: “E [Dio] insegnò ad Adamo i nomi di tutte le cose, quindi le presentò agli Angeli e disse: “Ditemi i loro nomi, se siete veritieri.” (Sura al-Baqarah, 2:31)
[3] Cosí sono stati chiamati i Versetti 255, 256 e 257 della Sura al-Baqarah, n.2.

 

Writer : shervin | Comments Off on La concezione islamica della Conoscenza (S.W. Akhtari) Comments | Category : Il pensiero islamico

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