Giovanbattista Boetti : dal Monferrato alla conquista di un impero – a cura di Hamza Biondo

       Giovanbattista Boetti : dal Monferrato alla conquista di un impero 

La biografia di Giovanbattista Boetti è ricca di spunti interessanti. Rispetto altri noti avventurieri del Settecento, quali Casanova o Cagliostro, Boetti presenta una figura complessa, poliedrica e poco conosciuta .

La sua esistenza è un romanzo, così come poteva concepirlo la penna di Alexandre Dumas. Le sue imprese e i frenetici viaggi sembrano avere ispirato un secolo dopo alcune storie di Kipling, penso ad esempio al racconto “l’uomo che volle farsi re”. Non credo di esagerare, il teatro delle sue azioni fu vastissimo e al contempo sorprendentemente attuale : dal tranquillo natio Monferrato si sposta nella Mitteleuropa, in Russia, in Turchia e nei domini ottomani del vicino Oriente, crea un effimero impero nel Caucaso. Termina i suoi giorni a Solovetsk, sul Mar Bianco. Boetti nel suo percorso cambia agevolmente identità e abiti : lascia la divisa di cadetto asburgico e indossa il saio dei domenicani, esercita la medicina in oriente, nell’ultima parte della sua vita in “abiti turcheschi“ fonda una nuova religione mischiando elementi presi dal cristianesimo e dall’Islam. Il suo orizzonte ha i confini dell’Eurasia , ama la Vienna asburgica e Damasco, si trova a suo agio nella capitale ottomana, così come nelle montagne della Ossezia. E’ poliglotta, indisciplinato, scorretto e libertino: un personaggio picaresco con tratti di genialità e inaspettatamente attuale. Ma proseguiamo adesso con ordine.

Giovanbattista Boetti nacque a Piazzano, in Piemonte il 2 giugno del 1743. Il padre, il notaio Spirito Bartolomeo, rimase presto vedovo e non tardò a risposarsi. La mancanza della madre unita al rigido carattere paterno posero presto il Boetti in conflitto con la famiglia . Iniziò gli studi di Medicina a Torino ma prima di completarli nel 1762, fuggì dalla casa paterna. Si diresse a Milano, dove si arruolò nell’esercito Asburgico. Poco dopo ,congedatosi, si diresse a Praga, a Ratisbona e poi a Strasburgo e dopo molte peripezie tornò in Italia. I rapporti con la famiglia rimasero tesi , le liti frequenti lo allontanarono nuovamente dalla casa paterna, si stabilì quindi a Roma. In questo periodo prese corpo il suo desiderio di visitare l’oriente, un progetto per l’epoca non facile. Decise pertanto di dirigersi a Venezia , luogo d‘elezione per i contatti col vicino oriente. Nel tragitto sostò al santuario di Loreto, qui avvertì quella che lui chiamò “la chiamata divina”, un ordine di ritirarsi dal mondo. Entrò pertanto nell’ordine domenicano e per cinque anni si dedicò agli studi di teologia. Forse per dare sfogo alla sua incontenibile irrequietezza i superiori dell’ordine lo destinarono alla attività missionaria, non immaginandosi cosa ne sarebbe scaturito. Nel 1769 fu inviato alla sede di Mossul. Durante il viaggio fu derubato dai marinai, giunto ad Aleppo sedusse una nobildonna cattolica e rischiò l’impalamento per una falsa accusa di blasfemia , riuscì comunque ad imparare l’arabo e il greco prima di giungere a Mossul alla fine del 1770. Qui i suoi rapporti con i confratelli furono subito tempestosi, trovò invece protezione presso il pascià del luogo che lo aveva scelto come proprio medico,

Questa protezione non lo salvò dalla responsabilità per la morte di un turco affidato alle sue cure, fu condannato a cinquanta colpi di bastone sulla pianta dei piedi ed esiliato. Trovò rifugio ad Amadiyah nel Kurdistan, presso un nobile nestoriano. da quì sollecitò a lungo un intervento del governo centrale turco, che infine lo riammise a Mossul.

Il nuovo soggiorno nella città dl Tigri fu turbato dai continui contrasti con i confratelli, che presentarono contro di lui alle autorità religiose accuse di condotta immorale e di irregolarità nella conduzione della missione. Nuovamente esiliato da Mossul, fu costretto a rientrare in Italia per giustificarsi. Giunto in Italia gli venne imposto di ritornare al suo convento ferrarese. La richiesta di essere ascoltato dalle gerarchie del suo ordine fu rifiutata. Il rigido atteggiamento dei superiori e la prospettiva di rientrare in convento piacquero così poco al Boetti che decise di riprendere senza alcuna autorizzazione la via dell’Oriente. Era la rottura con Roma. Le conseguenze del suo gesto le avvertì in seguito : dovunque andasse ormai era preceduto dalle lettere della congregazione che mettevano in guardia i cattolici nei suoi confronti, definendolo un apostata. Boetti confidava nelle sue risorse e non si impensierì più di tanto. Ad Urfa, mettendo a frutto le nozioni apprese negli studi a Torino, entrò al servizio del pascià locale in qualità di medico. Seppe assicurarsi la fiducia del potente personaggio, divenendo anche segretario e tesoriere. Non aveva rinunciato alla predicazione, ottenne anzi dal pascià l’autorità amministrativa sulle chiese cristiane e il controllo effettivo di esse. Probabilmente le autorità turche si affidarono a lui per porre termine agli interminabili contrasti tra i cristiani.

Mentre i cattolici gli manifestarono una iniziale ostilità, i cristiani giacobiti lo elessero loro vescovo. Sembra comunque che il Boetti ebbe successo nel suo proposito di conciliare le varie confessioni cristiane. Ma questa singolare posizione politica e religiosa non durò a lungo: le autorità di Istanbul deposero il pascià di Urfa ed anche Boetti dovette abbandonare la città. Ebbe la possibilità comunque di rifugiarsi nella capitale ottomana, qui ottenne la protezione del console francese, del vescovo latino e degli stessi domenicani. Rimase a Istanbul due anni, in questo periodo apprese il turco e il persiano e riuscì a mettere insieme una piccola fortuna con i suoi guadagni di medico e parte con i ricchi doni di una importante dama della corte del Sultano. Riprese il cammino e visitò la Georgia, la Persia e la Siria. Qui fu sorpreso, travestito da armeno, mentre copiava in un taccuino il piano delle fortificazioni di Damasco. Accusato di spiare per conto dei russi, fu arrestato e ricondotto a Istanbul. Ritornò in seguito libero corrompendo i giudici e pagando una sostanziosa cauzione.

Come spiegare questo suo comportamento? Tracciare disegni di fortificazioni può servire a scrivere un libro o ad un fine prettamente militare. Boetti agiva segretamente per conto di qualcuno? Nessuno potrà sciogliere questi dubbi.

Segnato da quest’ultima esperienza decise di ritornare in Italia dove avrebbe voluto diventare prete secolare. Soggiornò cinque mesi a Napoli presso amici, per raggiungere poi Vienna. Qui ricevette una lettera di perdono dal superiore generale del suo ordine, che gli imponeva di ritornare in convento. Era il 1782 e Giovan Battista stavolta obbedì. Venne accolto nel convento di Trino Vercellese, poco lontano da casa sua, dove restò per più di un anno , comportandosi da frate modello. Nonostante la sua buona condotta non arrivò alcun segno di riabilitazione da Roma. Come spiegarsi questa freddezza nei suoi confronti? Boetti aveva un carattere difficile, assai vivace, e la gelosia nei suoi confronti fu notevole. D’altronde l’irregolarità della sua esperienza non era stata senza conseguenze sulla sua ortodossia. Sebbene nella propria cella fosse un asceta devotissimo, la sua predicazione spesso oltrepassava i limiti della convenzionale eloquenza religiosa. La vastità e l’originalità delle sue esperienze influenzavano la sua oratoria. Accusato di predicazione eretica (sapebat heresim) dal superiore del convento, reagì deponendo la tonaca per ritornare avventuriero.

A questo punto è necessario fare una breve digressione. Non deve stupire o trarre in inganno la facilità con la quale il Boetti si spostava e compiva viaggi per l’epoca non comuni. La Chiesa Cattolica aveva investito ingenti risorse nell’apostolato, sopratutto dopo la Controriforma, favorendo i viaggi “privilegiati” motivati dalla necessità della predicazione. Lo status di missionario consentiva incontri con i potenti del tempo ed era riservato a giovani intelligenti , di buona famiglia, sottoposti ad uno studio preliminare intensissimo. Chi era inviato a rappresentare la Chiesa Cattolica nel mondo, doveva avere profonda conoscenza teologica ed una cultura superiore alla media. Coloro che erano destinati alle missioni studiavano nei collegi aritmetica, calligrafia, geografia, architettura, disegno (conoscenze che Boetti utilizzò per copiare la pianta delle fortificazioni di Damasco. Nel caso specifico Boetti possedeva anche rudimenti di medicina appresi all’università di Torino e approfonditi successivamente ).

Intorno alla figura del missionario si creava perciò una profonda suggestione spirituale. Dalle relazioni di religiosi impegnati tra popoli lontani i cattolici traevano un contributo edificante ed una volontà di affrontare pericoli nel nome della fede. Nelle chiese gli affreschi mostravano storie di martirio, persecuzione e morte vittoriosa per chi si arrischiava nei paesi “degli infedeli”. Questa influenza però non ebbe effetto su Boetti, egli era spinto da un profondo desiderio di conoscere altri popoli e culture e si avvicinava ad essi per farsi meglio accettare. Le gerarchie ecclesiastiche raccomandavano al Boetti e agli altri domenicani di annotare ogni vicenda per restituire ai vertici esaurienti relazioni sull’opera svolta. Era una consuetudine di rapporto tra periferia e centro ormai consolidata in ambito missionario. Ma Boetti, più che per conto di altri, scriveva per se stesso, così come per se stesso, viaggiava.

Boetti continuò quindi le sue peregrinazioni. Secondo alcune scarne note, fu a Nizza, ad Alicante, a Cadice, poi in Inghilterra dove sostò sedici giorni, in seguito fu la volta di Amburgo e Pietroburgo, nuova capitale dell’impero degli zar. Qui si fermò quattro mesi, durante i quali scrisse ai suoi superiori a Roma per essere autorizzato a passare nel clero secolare. Non ricevette risposta e, dopo un fallito tentativo di entrare al servizio del principe Potemkin, riprese i suoi misteriosi viaggi. Decise di spostarsi a Mosca, di là attraversando il Kazan e l’Astrakan arrivò in Persia, dove costituì nuovi contatti. Dopo la Georgia e la Crimea fu la volta della Polonia. Era nuovamente ad Istanbul al principio del 1784, alla vigilia ormai della sua più clamorosa avventura. Fu ospitato a Scultari da un ricco negoziante persiano. Sembra si fosse assentato improvvisamente, per riapparire dopo sei mesi con un carico di armi e munizioni, che inviò a Synop attraverso il Mar Nero. Quali fossero i suoi piani non è dato sapere. Certamente le sue manovre catalizzavano la curiosità della comunità diplomatica occidentale residente nel Levante. Gli ambasciatori europei nei loro rapporti segnalavano le attività del Boetti, senza però scoprire per conto di chi agiva o spiava. Ripartì infine dalla capitale ottomana con la carovana del mercante persiano, ed arrivato in Persia, si stabilì in un piccolo villaggio vicino Amadiyah.

Qui si chiuse in casa per il tempo di novantasei giorni, assorto secondo la leggenda , in profonde meditazioni e preghiere. Dopo questa “clausura” non parlò altro che di cielo, di culto e di abusi religiosi. Lo fece piangendo e fremendo di orrore , riuscendo a smuovere l’animo di un numero maggiore di persone. Molti lo ascoltarono rapiti, fu la stessa folla a proclamarlo “profeta”. Il suo verbo era costituito da un curioso miscuglio di Cristianesimo ed Islam. Proclamava con la sua predicazione di voler ripristinare il culto di un Dio unico, da adorare “nei cuori e con i cuori “: la trinità divina, l’idea di premio o castigo eterno, il battesimo , la circoncisione e il sacerdozio sono oggetto della violenta polemica del Boetti. Cristo è un profeta, il Paradiso è assenza eterna del male, l’Inferno una ”dannazione temporanea”. A questo aggiungeva alcune norme morali precise e originali : non costituiscono peccato la fornicazione, l’incesto e il suicidio in certe occasioni. Delitti gravissimi sono invece la preghiera e l’adulterio, l’omicidio e il furto, i voti religiosi. Completava questa grezza teologia un programma sociale semplice ma con caratteristiche oggi realmente “rivoluzionarie”: i codardi, i poltroni , gli avari dovevano essere privati delle ricchezze e mandati a lavorare nei campi.

Il nuovo verbo trasmesso con una eloquenza immaginosa, la conoscenza delle lingue orientali e una personalità dalle mille risorse spinsero il Boetti, “profeta Mansur” come lo chiamarono i fedeli, alla conquista del suo effimero impero. I primi seguaci furono reclutati ad Amadiyah, dove lo stesso Khan della città si fece propagatore del suo messaggio. La sua predicazione, e le leggende fiorite riguardo le sue presunte capacità soprannaturali, esaltavano il mito della invincibilità.

Gli iniziali scontri vittoriosi con nuclei dell’esercito turco e l’insofferenza delle popolazioni verso il dominio ottomano alimentarono i ranghi del suo esercito di adepti entusiasti. Tartari, Circassi, disertori russi, ingrossavano i suoi contingenti. Boetti – Al Mansur dava fuoco alle polveri in tutto il Caucaso, risvegliava aneliti di libertà ed entusiasmi, predicava la “gazavat”, la guerra santa. Dopo aver assoggettato a tributo la città di Erzurum, il Boetti marciava contro la Georgia, territorio posto sotto la protezione dell’impero russo. Disponeva ormai di un contingente di circa 40.000 uomini esaltati dal nuovo credo e inquadrati con una feroce disciplina. Il condottiero Boetti usava infatti eseguire lui stesso le pene capitali che irrogava alla minima infrazione, prima delle battaglie benediceva i suoi guerrieri promettendo loro l’incolumità al fuoco nemico.

Il re di Georgia Eraclio II°, costretto a capitolare, perse fra caduti e prigionieri, più di trentamila uomini. L’esercito del “ profeta Mansur” occupava, dopo un saccheggio sanguinoso, Tiflis. I feudatari georgiani si affrettarono quindi a pagare tributi e lo stesso Eraclio, privo dell’aiuto russo, fu obbligato a venire a patti. Con ostentata dignità il Boetti riceveva questi omaggi ed elargiva amicizia e protezione. Anche il sultano Selim fece il possibile per ingraziarsi questo bizzarro condottiero: da Istanbul arrivavano al campo di Mansur doni e ambascerie. Il sultano ottomano cercava evidentemente di spingere le orde fanatizzate , cresciute nel frattempo a 80.000 uomini, contro il suo nemico storico, l’impero russo . Tentava inoltre di distogliere il Boetti dal proposito di marciare su Istanbul. Durante un sermone alle sue truppe, questi si era espresso in tal senso : “Chi predicò la caduta di Ninive era uno ed ora non è più. Io predico quella di Istanbul : sono un altro ! Ho visto le rovine di Ninive : le esaminai bene quando ci giunsi, ma Giona non c’era più ! Però io vedrò le rovine di Istanbul…“. Sembra incredibile che l’avventuriero piemontese mirasse tanto in alto , ma è proprio a Istanbul che pensava , Boetti riteneva il sultano Selim “inappropriato per i tempi”, e questo suo giudizio politico appariva fondato.

Durante un colloquio con i dignitari del sultano, uno di questi sembra avesse alzato la voce, mancandogli di rispetto . Boetti lo fece impalare e consegnò la testa al capigi-bascià, ordinando di portarla ad Istanbul e riferire alla Porta che avrebbe trattato così ogni altro ambasciatore se gli si fosse arrecata offesa. Fu il sultano Selim a piegarsi all’ affronto ed inviare nuovi e vistosi doni. Mansur accettò di rinviare la conquista della capitale ottomana. In questo periodo assunse anche il nome di Sheik Oghan Oolò, temine di cui è dubbia la traduzione. Ad Off sul Mar nero, ottenne munizioni e cannoni dai turchi e giunsero in gran numero al suo servizio ingegneri e fonditori europei. Dopo aver sfidato l’impero ottomano , Mansur si rivolgeva contro la Russia. Appena giunse col suo esercito nella regione del Caucaso, ricevette il tributo del principe di Gori. Diversamente si comportò un aghà curdo, sovrano di Bitlis, che tentò di contrastarlo reclutando truppe. Mansur lo prevenne, massacrando i suoi uomini e devastando la città. Finalmente fu l’esercito russo a farsi incontro al Boetti vittorioso, al comando del generale Apraksin : ma venne respinto.

Nelle corti europee cresceva intanto la fama delle imprese di Sheik Oghan alias Mansur alias Boetti da Piazzano. Le notizie più fantasiose riguardavano la sua personalità : alcuni riferivano fosse un inviato del Gran Lama tibetano, altri un bramino apostata, un granatiere piemontese rinnegato proveniente da Algeri. Correva anche voce che fosse un domenicano inviato in missione in Persia. La confusione era comprensibilmente notevole. Ma la preoccupazione maggior per i russi riguardava gli sconvolgimenti che stava arrecando nella regione tra il Caspio e il Mar Nero: Mansur appariva ai militari qualcosa di simile a un “Pugaciov ceceno” , colui che pochi anni prima aveva guidato la grande rivolta cosacca. Inoltre il sospetto di un coinvolgimento della Sublime Porta nella ribellione era consistente. Il Caucaso del XVIII° secolo era un vulcano in ebollizione, una mistura di popoli e religioni su i confini dell’impero turco, russo e persiano. I russi, padroni della Crimea e della Tartaria avevano posto i loro confini a due giorni da Istanbul e col possesso del Kuban si erano assicurati lo sbocco verso l’Asia. L’impero di Caterina perseguiva un progetto geopolitico ambizioso, era perciò fondamentale eliminare la minaccia delle orde del Mansur. Il Caucaso, ieri come oggi, era terra di influenza e scontro tra le potenze. La “modernità” del Boetti sta anche in questo.

Sul finire del 1786 le fortune di sheick Mansur iniziarono però ad esaurirsi. Una serie di disfatte inflittegli dall’esercito russo lo costrinsero a rifugiarsi tra i monti del Caucaso con i sopravvissuti della armata a lui ancora fedeli. Iniziava quindi una incessante guerriglia nel territorio della odierna Cecenia. La guerra tra l’impero ottomano e russo, conclusasi in seguito con la pace di Jassy del 1792 , offrì a sheick Mansur la possibilità di supportare le operazioni dei turchi. L’avventuriero piemontese sperava ancora di conquistare un regno, a tal fine occupava la città di Anapa e organizzava la resistenza. Qui doveva concludersi la sua straordinaria vicenda. I suoi seguaci furono infatti massacrati dall’artiglieria del generale russo Gudowitz. Secondo le cronache, l’ex domenicano si difese come un leone ma fu catturato mentre tentava una sortita . Condotto a Pietroburgo al cospetto dell’imperatore, gli fu risparmiata la vita e venne imprigionato nel monastero – fortezza di Solovetsk sul Mar Bianco, poco distante dal circolo polare artico, dove Lenin, dopo la Rivoluzione d’Ottobre avrebbe creato il suo primo gulag. Da tale luogo avrebbe scritto un’ultima lettera alla famiglia nel settembre del 1798. Il parroco di Piazzano che vide quella missiva, sostenne che in essa Boetti chiedeva “perdono ai genitori, ai fratelli, alle sorelle dei dispiaceri che loro aveva procurato e si raccomandava caldamente alle loro preghiere, in quanto prossimo ala morte”. Questa è l’ultima notizia riguardo la sua sorte.

Dopo la sconfitta del condottiero piemontese, i russi dovettero faticare molto per conquistare il Caucaso. La Circassia cadde nel 1881, e cosi l’Ossezia. L’Abkhazia, la Mingrelia, il Daghestan e il Nagorno-Karabak furono russi nel 1825. Georgia e Armenia furono definitivamente occupate nel 1855. A Boetti-Mansur rimase il merito di avere per primo coniugato la resistenza nazionalista al fattore religioso. Altri capi seguirono il suo esempio: Khazi Mullah, Gamzat Bek , nel 1834 il leggendario imam Samyl (di lui scrisse perfino A. Dumas), ai giorni nostri gli indipendentisti ceceni Basaev e Maskhadov. Lo sceicco rimane ancora oggi l’eroe del Caucaso : nel 1991, quando la Cecenia proclamò la sua indipendenza, piazza Lenin, nel centro della capitale, divenne «piazza Al Mansur». Da allora non passò anno senza che i russi dovettero fronteggiare una nuova ribellione.                                                                                        

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Writer : shervin | Comments Off on Giovanbattista Boetti : dal Monferrato alla conquista di un impero – a cura di Hamza Biondo Comments | Category : Al-Qantara

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