Conoscere Dio: dall’obbligo morale all’effusione della Grazia 

Conoscere Dio: dall’obbligo morale all’effusione della Grazia 

La conoscenza dell’uomo può essere suddivisa in due categorie: necessaria, ossia che non può essere negata in quanto auto-evidente, o acquisita, che esige ragionamento e contemplazione. La religione promuove il dovere dell’uomo di conoscere Dio poiché questi è in grado di trovare la sua felicità esclusivamente attraverso tale presa di coscienza. Le gioie fittizie, appartenenti a questo mondo, sono temporanee e illusorie ed è solo conoscendo Dio che l’uomo può trovare una pace e serenità perpetua: “E’ nel ricordo di Allah che i cuori si tranquillizzano” (13:28). La conoscenza di Dio, però, non è necessaria poiché se così fosse non avremmo avuto divergenze di opinione a riguardo. Ne consegue che il primo obbligo morale dell’uomo sia l’utilizzo del proprio intelletto onde conoscere Dio; tale sforzo non solo si rende necessario per il suo beneficio ma è anche causa di quell’amore che lo dovrebbe spingere a far fronte alle proprie necessità esistenziali e avvicinarsi al suo Amato.

Questo dovere è quanto Dio imprime all’uomo come primo passo verso la Sua conoscenza. Non si tratta dunque di “conoscere Dio” poiché senza un processo di contemplazione dell’intelletto ciò non sarà possibile. D’altra parte v’è chi ha detto che il primo obbligo morale dell’uomo sia conoscere Dio, e ciò ha portato alcune correnti di pensiero ad accettare il mero riconoscimento di Dio pronunciato attraverso l’attestazione di fede e l’imitazione consuetudinaria dei contenuti della Rivelazione. E’ però un dato di fatto che in certi casi l’intelletto lavori indipendentemente, senza ausilio della Rivelazione, e ciò avviene anche in relazione all’approvazione della Rivelazione stessa la quale viene confermata dal singolo credente con un atto di volontà consapevole, altrimenti sarà ben difficile poter parlare di vera approvazione. Concludiamo dunque che l’atto di pensare, riflettere e contemplare sia il primo obbligo morale che Dio abbia conferito all’uomo.

La Rivelazione non può imporre in primis questo obbligo morale poiché l’uomo, in origine, non possiede la conoscenza necessaria per accettarla. Se questi non crede in Allah, e sia certo ch’Egli agisce solo secondo giustizia, e che il nobile Corano sia effettivamente la Sua parola, sarà inutile argomentare con esso poiché potrebbe ritenerlo come un errore o addirittura un inganno, che Allah ce ne scampi!

Dio, nella Sua infinita bontà, origina nell’uomo un processo che questi non può negare come la necessità di allontanarsi da un pericolo, l’obbligo morale della gratitudine e il riconoscimento del bene. E’ attraverso questo processo che l’uomo è in grado di ottenere conoscenza, ed è proprio questa sua sapienza a rasserenargli l’animo ed eliminare ogni tipo di ansia o confusione possibile. Per esempio, quando l’uomo avverte il potenziale pericolo della dannazione eterna, dopo aver udito e ascoltato la parola di nunzi, saggi e pie personalità, cercherà di allontanarsene attraverso l’ottenimento di quella conoscenza necessaria per trovare serenità d’animo e sicurezza. Questa scintilla iniziale spingerà l’uomo, col sostegno dell’intelletto, a ricercare le prove dell’esistenza di Dio e della veridicità della ricompensa e del castigo divino. In modo analogo il senso di gratitudine insito in lui lo spingerà a ricercare l’origine e la Fonte dei favori ricevuti, dalla sua stessa esistenza alle varie bontà che gli sono state concesse ch’egli stesso non ha prodotto, dall’aria che respira, al cibo che consuma e a tutte le altre gioie di cui fa diretta esperienza. L’esigenza di ringraziare il Creatore accresce naturalmente laddove la ragione abbia raggiunto un grado sufficiente di maturità. Ribadiamo che tale scintilla iniziale viene scaturita dall’intelletto ancor prima della Rivelazione.

Alcuni teologi hanno però affermato che il ruolo dell’intelletto non preceda quello della Rivelazione e che l’obbligo morale di conoscere Dio giunga solo con l’invio degli apostoli. Questo non significa, secondo costoro, che l’intelletto non abbia ruolo alcuno, anzi questi rimane funzionale ad un sano ragionamento che induce alla verità, ma è il dovere umano che verrebbe a meno senza l’Annunzio Apostolico. Il nobile Corano afferma: “Noi non castighiamo senza prima inviare un Apostolo” (17:15).

Noi diciamo che Dio ha creato l’intelletto già in grado di determinare le verità fondamentali della religione che poi verranno confermate e approfondite dalla Rivelazione. Se l’intelletto fosse stato creato esclusivamente per fini apologetici, per difendere la religione, non vi sarebbe stato nessun movente affinché l’uomo fosse in grado di accettare la Rivelazione e ciò implica la negazione della Rivelazione stessa o perlomeno l’impossibilità di prestarvi fede. Per quanto concerne il passo “Noi non castighiamo senza prima inviare un Apostolo” (17:15), si riferisce ai castighi di questo mondo delle antiche nazioni come la distruzione delle città da parte di Dio causata dalla trasgressione dei suoi abitanti, come è evidente nel passo che segue: “Quando vogliamo distruggere una città, diamo comandamenti ai suoi ricchi ma presto trasgrediscono. Si realizza allora il Decreto e la distruggiamo completamente” (17:16).

V’è poi chi s’è spinto ancora oltre affermando la possibilità d’emulazione sufficiente laddove la fonte d’imitazione sia autorevole e veritiera; in tal guisa sarebbe consentito emulare le deduzioni e conclusioni d’un sapiente saggio, competente e qualificato. Inutile dire, nel suddetto caso, che l’emulazione non possa in alcun modo esser considerata come fonte di conoscenza, foss’anche corretta l’opinione dell’autorità da cui trae origine, e quindi considerabile di valore in tal senso. Certo, se il primo obbligo morale è la contemplazione e da questa l’uomo ne deduce conoscenza, il cieco seguir il dover di contemplare parrebbe sufficiente se questo producesse ogni volta l’effetto desiderato. Dunque quando vien detto al volgo “contempla!”, e questi lo fa, la conclusione che ne deduce potrebbe senza dubbio corrispondere a conoscenza.

Detto questo, si potrebbe inferire però che il processo di ragionamento scaturito dall’intelletto non generi necessariamente conoscenza ma che la conclusione possa essere soggetta a errata interpretazione. Quello che però vien definito “processo di ragionamento” è più generale della funzione dell’intelletto e non “scaturito da esso”; tale funzione, se utilizzata a dovere, è impeccabile. Si dovrà dunque far attenzione a ragionar correttamente affinché l’intelletto possa far il suo corso.

Avendo ammesso adesso l’obbligo morale del ragionamento sotto l’egida dell’intelletto, è possibile chiedersi se tale obbligo scaturisca da un diretto comando di Dio o dalla nostra stessa natura, pur sempre conferita da Dio. Abbiam detto che l’uomo è in grado di riconoscere il bene dal male, la giustizia dall’ingiustizia, concetti quali dovere e responsabilità; ne consegue che i giudizi morali traggano origine proprio da questi fondamenti innati seppur con necessità di imbattersi ben presto in un tipo di conoscenza acquisita. L’ingiustizia è riprovevole, la menzogna non serve alcun nobile scopo e non protegge dal male, ordinare a qualcuno ciò che è oltre le sue capacità è male: son tutti principi che l’uomo coltiva naturalmente in sé. Il ragionamento umano deve trarre sostegno da suddetti principi poiché se abbandonato a sé stesso potrebbe giungere a conclusioni errate in quanto non arriva necessariamente a cogliere tutti gli aspetti e le conseguenze delle azioni umane nei minimi dettagli. Il ragionamento selvaggio, per esempio, potrebbe giungere alla conclusione che pregare sia inutile e fornicare sia un bene.

Far prevalere la funzione dell’intelletto sulle tipologie spurie del ragionamento potrebbe esser cosa non facile o scontata. E’ a questo punto che il supporto della Rivelazione giunge con ruolo provvidenziale e discriminatorio. Quel che essa ci dice riguardo al bene e al male è mera indicazione delle cose come stanno, non trattandosi di farle diventare in un dato modo a causa dell’indicazione stessa, o in altre parole ci dice che la Rivelazione non rende le cose buone o cattive ma semplicemente le indica in quanto tali. L’intelletto, se utilizzato in modo consono e integrale, ci avrebbe detto che v’è un grande beneficio nella preghiera e grande danno nella fornicazione e dunque che il primo è d’obbligo mentre e il secondo proibito. Alla luce di quanto detto, la Rivelazione non rende niente buono o cattivo, giusto o sbagliato, vero o falso, ma ce lo indica.

Dire che Allah sia giusto solamente perché compie qualcosa non è criterio atto a stabilire ch’Egli sia effettivamente giusto in quanto snaturerebbe il significato stesso di “giustizia”. “Giustizia”, infatti, al-‘adl in arabo, indica la condizione dell’essere o del trovarsi al proprio posto, e non quello di subordinazione ad un volere arbitrario. Le cose non possono essere buone o cattive semplicemente perché Allah le ha dichiarate tali ma piuttosto perché esse lo sono veramente e intrinsecamente; non sarebbe corretto parlare di modalità convenzionale invece che reale nei confronti di Dio.

Il fatto che certi teologi abbiano riposto attenzione a presunte contraddizioni tra Legge Rivelata e intelletto non è conferma delle loro tesi né tantomeno viola l’autorità di quest’ultimo. Essi han detto, a mo’ d’esempio, che certe forme di lievi ingiustizie, idiozia e frivolezza siano da evitare secondo i canoni dell’intelletto ma Dio le ha permesse seppur dichiarandole reprensibili e sconsigliate ma non proibite. Si tratta però di una teoria poco corretta in quanto forme di lievi ingiustizie, idiozie e frivolezze sono sconsigliate secondo la Legge laddove non vi siano danni grandi e evidenti, altrimenti sono proibite, e ciò non è in contraddizione con l’intelletto ma anzi ne conferma il giudizio.

Riguardo l’abilità di giudizio dell’intelletto v’è da dire ch’essa s’adegua al cambiamento di circostanze essendo in grado di distinguere tra bene e male in termini generali ed applicare il discrimine nelle diverse situazioni. Sebbene non sarebbe possibile per nessuna mente sana sancire atti quali l’omicidio, l’adulterio o l’usura, e sia vero che la giustizia possa esser implementata in situazioni particolari come è evidente nei singoli casi giudiziari del diritto islamico, vi sono occasioni in cui l’intelletto possa mancare di prova razionale, non per contrapposizione ma per mancato raggiungimento, ed allora si rende necessaria la provvidenziale regolamentazione della Rivelazione. Tale è il caso dei minuziosi dettagli degli atti di culto e di altri accorgimenti legali presenti nella Legge.

Ora, riguardo all’obbligo morale della contemplazione, e tenuto a mente che questa genera sapienza che infine sfocia nella conoscenza di Dio, una domanda che potrebbe sorgere è per quale motivo Dio abbia imposto il suddetto obbligo all’essere umano. Noi diciamo che il Suo scopo non è quello di premiare o punire arbitrariamente chi Egli vuole in base ad un criterio non meglio identificato ma piuttosto per il bene delle Sue stesse creature. Egli, Trascendente e Perfetto, non trae beneficio da alcunché, non è indigente e non ha bisogno di niente e nessuno, ma è attraverso un atto di Puro Amore ch’Egli ha creato il mondo riservando con questo Suo gesto il massimo vantaggio possibile destinato ai Suoi servi. L’uomo non è quindi privo di alcunché che gli sia di vantaggio e beneficio spirituale, sia esso ricco o povero, malato o in buona salute, poiché Dio ha creato il mondo con ivi la possibilità di trarre il massimo vantaggio per l’uomo e per ognuna delle Sue creature.

La storica obiezione di suddetta tesi viene riassunta nell’Aneddoto dei Tre Fratelli in cui uno di essi muore da infante, un altro cresce adulto morendo da credente, e un altro ancora muore adulto da miscredente. Il primo viene posto in un’area inferiore nei pressi del Paradiso, il secondo nei livelli superiori di esso, e il terzo viene gettato all’Inferno. Il primo fratello chiede a Dio di farlo risiedere nei livelli superiori con il secondo fratello, ma ciò gli viene negato in quanto quest’ultimo si è guadagnato la sua posizione con le buone opere. Quando allora Gli chiede per qual motivo non gli ha fatto raggiungere l’età adulta affinché anch’egli potesse compiere buone opere, Dio risponde dicendo che se così fosse stato sarebbe diventato miscredente morendo come tale. A quel punto il terzo fratello gettato nell’Inferno chiede a Dio per qual motivo non ha fatto morire da infante anche lui visto che sapeva che sarebbe diventato miscredente morendo come tale. In tal guisa, il massimo vantaggio dell’uomo non sembrerebbe applicabile a tutti. C’è però un particolare che forse sfugge a questi obiettori ossia che, seppur Dio abbia imposto un obbligo morale a chi già sapeva che non avrebbe creduto, non lo ha fatto per premiarlo o punirlo indiscriminatamente ma per dargli una possibilità di ottenere una ricompensa a cui il soggetto si sottopone per mezzo del suo stesso volere. Inoltre al miscredente o al peccatore viene data una costante opportunità di rimediare e pentirsi fino all’ultimo respiro della sua vita e ciò è benevolenza e misericordia. L’onniscienza di Dio non rappresenta un’ostruzione al beneplacito dell’uomo e anzi il suo massimo vantaggio è per lui sempre raggiungibile in quanto la volontà divina non interferisce su quella dell’uomo nel percorso mondano.

Nel rispondere invece ad un’altra obiezione, quella inerente al motivo per cui Dio non abbia già posto l’uomo in paradiso, esenti da obblighi morali, diciamo che Dio è di gran lunga più nobile del privare i Suoi servi del massimo vantaggio per loro, concedendogli misera beatitudine di ben poco conto, facile e gratuita. Se è pur vero che Dio possa aver compiuto un atto simile, non lo ha fatto in funzione della Sua nobiltà, eccellenza e di quello stesso amore che lo ha indotto a creare l’universo.

Il massimo vantaggio dell’uomo non è però un tipo di beneficio sopra al quale non ve ne son altri come l’espressione potrebbe indurre a pensare. V’è infatti anche un altro fattore che può essergli conferito che è quello della Grazia (lutf) intesa come quel che avvicina l’uomo all’ubbidienza del Creatore e lo allontana dal peccato. La conoscenza di Dio è indubbiamente una Grazia perché conoscendoLo se ne conosce l’agire, e conoscendo il Suo agire si conosce quando premia e quando castiga, e ciò è motivo di ubbidienza e avvicinamento a Lui. Ma la vera Grazia non è solo stimolo di ubbidienza e superamento del peccato, ma un’irruzione della presenza di Dio nel cuore del credente, è il Suo potere e la Sua forza che soggioga l’umana libertà e l’umana coscienza. Dio, attraverso la Sua Grazia, induce un miscredente a credere e un trasgressore a pentirsi e rettificare il suo comportamento.

Ora, il fatto che Dio effulga la Sua grazia in certe persone e non in altre potrebbe voler dire ch’Egli non agisce per il massimo vantaggio di tutti gli uomini ma che vi sia una selezione in tutto ciò. Il fatto però è che questa effusione si pone ad un altro livello del massimo vantaggio dell’uomo superandolo e trascendendolo e dunque non della stessa tipologia. In altre parole l’effusione della Grazia non viene concepita in termini inerenti al massimo vantaggio dell’uomo bensì si presta a un discorso di altra natura. Alcuni teologi han detto che quando un uomo agisce sotto la tutela della Grazia di Dio non sia soggetto alla stessa ricompensa di colui che lo fa senza di essa poiché il suo sforzo è maggiore; ciò significa che non rientra nel massimo vantaggio dell’uomo essere assistito da codesto ausilio. In realtà il problema non è inerente a presunti vantaggi e svantaggi relazionati alla ricezione della Grazia ma alla diversa porzione di ogni singola persona che è chiamata a vivere la fede in base alle circostanze particolari in cui si trova. Colui che osserva l’ubbidienza senza esser soggetto di alcuna Grazia potrebbe esser chiamato ad affrontare le proprie sfide combattendo contro l’aridità spirituale mentre chi ne è soggetto si è reso in qualche modo protagonista nell’avere questa forza di attrazione su di sé. V’è un motivo particolare in ogni caso dettato dalla saggezza divina ed è Dio che guida i Suoi servi lungo le Sue vie ponendo il Suo criterio che vien rivelato a ognuno nel profondo della propria intimità.

 

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Writer : shervin | 0 Comments | Category : Dottrina , Novità

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