‘Allamah Tabataba’i, filosofo, esegeta e gnostico (H. Algar)

‘Allamah Muhammad Husayn Tabataba’i, filosofo, esegeta e gnostico

Hamid Algar

La trasmissione dell’eminenza della conoscenza all’interno di una data famiglia è stata un evento frequente nella storia dell’Iran islamico, in particolare dopo l’adozione dello Sciismo durante il decimo secolo d.C. (sedicesimo secolo dell’Egira). Pochi, tuttavia, sono i lignaggi che potrebbero competere per la continuità sapienziale con quello di ‘Allamah Tabataba’i, l’autore del Tafsir al-Mizan. Dall’epoca di Aq Qoyunlu, passando per i periodi Safavide, Qajar e Pahlavi, fino all’era della Repubblica Islamica, i membri di questa famiglia sono costantemente stati prominenti sapienti della religione, qadi (giudici religiosi) e shaykh al-Islam[1], soprattutto a Tabriz.

Il capostipite di questa illustre stirpe fu un certo Sayyid ‘Abd al-Wahhab Hamadani che, nato e cresciuto a Samarcanda, successe alla carica di suo padre, Sayyid Najm al-Din ‘Abd al-Ghaffar Tabataba’i, come shaykh al-Islam di Tabriz, non molto tempo prima che i Safavidi soppiantassero gli Aq Qoyunlu nel 907/1501. Dopo aver negoziato con successo la delicata transizione tra dinastie, Sayyid ‘Abd al-Wahhab ottenne la fiducia di Shah Ismail al punto di essere incaricato di una missione diplomatica a Istanbul, dove, tuttavia, fu trattenuto fino alla sua morte avvenuta nel 930/1524.[2]

Da Sayyid ‘Abd al-Wahhab, ‘Allamah Tabataba’i era separato da dodici generazioni.[3] Il suo antenato della settima generazione, Mirza Muhammad ‘Ali Qadi, era stato qadi al-qudat (giudice principale) dell’Azerbaijan, e la designazione ‘Qadi’ rimase affibbiata come nome proprio ai membri successivi della stirpe, indipendentemente dal fatto che esercitassero o meno la professione di giudice.[4] Tra gli antenati relativamente vicini nel tempo ad ‘Allamah, si può menzionare in particolare il suo trisavolo, Mirza Muhammad Taqi Qadi Tabataba’i, allievo del grande giurista Usuli[5] Aqa Muhammad Baqir Bihbahani, e dell’allievo di Bihbahani con inclinazioni gnostiche Mirza Mahdi Bahr al-‘Ulum (m. 1212/1797). Il figlio di Mirza Muhammad Taqi, Mirza ‘Ali Asghar, era un uomo alquanto differente nel temperamento e nel talento: come shaykh al-islam di Tabriz durante il regno di Nasir al-Din Shah fu coinvolto in molti dei disordini che contrapposero la popolazione cittadina alla corruzione della dinastia Qajar e ai suoi agenti locali.[6]

Destinato a oscurare tutti i suoi antenati in quanto a risultati accademici, ‘Allamah Tabataba’i nacque nel villaggio di Shadabad (o Shadagan) vicino a Tabriz il 29 Dhu l-Hijja 1321/16 marzo 1904. Perse il padre, Sayyid Muhammad Tabataba’i, all’età di cinque anni e sua madre morì quattro anni dopo mentre dava alla luce suo fratello, Sayyid Muhammad Hasan. Questa esperienza come orfani contribuì senza dubbio alla vicinanza che legò i fratelli per tutta la vita, una vicinanza che si manifestò in interessi e inclinazioni praticamente identici.

La tutela dei due ragazzi ricadde su uno zio paterno, Sayyid Muhammad ‘Ali Qadi, e fu sotto la sua guida che Tabataba’i iniziò la sua istruzione primaria. In conformità con una convenzione consolidata, inizialmente memorizzò il Corano, studiò testi persiani come il Bustan e il Gulistan di Sa’di e imparò la calligrafia, prima di passare allo studio specializzato delle “scienze arabe” – grammatica, sintassi e retorica, i prerequisiti essenziali per un serio studio dell’Islam – circa dieci anni dopo.

Questa fu un’iniziazione relativamente tardiva al mondo degli studi, che non presagiva affatto l’eminenza che l’‘Allamah avrebbe infine raggiunto. Egli racconta che inizialmente era infatti avverso allo studio e scoraggiato dalla sua incapacità di comprendere appieno quanto leggeva, una condizione che continuò per circa quattro anni. Un punto di svolta fu raggiunto quando fallì un esame sul noto trattato di grammatica di Suyuti, un caposaldo del curriculum elementare tradizionale, e il suo insegnante esasperato gli disse: “Smettila di sprecare il mio tempo e il tuo”. Con vergogna, lasciò per un po’ Tabriz per dedicarsi a una pratica devozionale (‘amal) che si concluse con il ricevere l’elargizione divina della capacità di padroneggiare qualsiasi difficoltà incontrasse, che lo accompagnò fino alla fine della sua vita. In linea con la sua generale reticenza sulle questioni personali, non indicò mai la pratica in questione.[7] Ciò che è certo è che da allora acquisì un amore appassionato per l’apprendimento. In seguito ricordò:

Cessai completamente di associarmi con chiunque non fosse dedito all’apprendimento e cominciai ad accontentarmi di un minimo di cibo, sonno e necessità materiali, dedicando tutto ai miei studi. Capitava spesso, specialmente durante la primavera e l’estate, che rimanessi sveglio a studiare fino all’alba e preparavo sempre la lezione del giorno successivo la sera prima. Nell’affrontare un problema riuscivo a risolvere qualsiasi difficoltà incontrassi, per quanto sforzo mi costasse. Quando arrivavo a lezione, tutto ciò che l’insegnante avesse da dire mi era già chiaro; non ebbi mai occasione di chiedere una spiegazione o che venisse corretto un mio errore”.[8]

Fu presumibilmente durante questi primi anni che Tabataba’i acquisì anche una sorprendente varietà di abilità atletiche che in seguito furono smentite dal suo aspetto fragile e ascetico: equitazione, nuoto, alpinismo, caccia e tiro al bersaglio. Deve aver mantenuto queste abilità almeno abbastanza a lungo da trasmetterle a suo figlio, ‘Abd al-Baqi.[9]

Dopo aver completato il livello intermedio (sutuh) del curriculum di studi religiosi nel 1343/1925, ‘Allamah Tabataba’i si recò insieme al fratello a Najaf per beneficiare delle ampie opportunità offerte da quel centro di apprendimento sciita, tradizionalmente designato come Dar al-‘ilm (“La dimora della conoscenza”). La giurisprudenza (fiqh), allora come in seguito, a Najaf era il fulcro principale dell’insegnamento. Di conseguenza Tabataba’i trascorse molti anni studiando quella disciplina a livello kharij[10] con autorità come Mirza Husayn Na’ini (m. 1355/1936), l’Ayatullah Abu l-Hasan Isfahani (m. 1365/1946), l’Ayatullah Hajj Mirza ‘Ali Iravani e l’Ayatullah Mirza ‘Ali Asghar.

Tra i suoi insegnanti di fiqh, tuttavia, fu Muhammad Husayn Gharavi Isfahani Kumpani (m. 1361/1942) a cui si affezionò particolarmente durante un decennio di studio; in seguito si sarebbe sempre riferito a lui come “il nostro maestro” (shaykh-i ma). Questa vicinanza era dovuta in parte, forse, all’interesse per la filosofia che l’allievo aveva sempre più in comune con il suo insegnante.[11] Il fiqh non divenne mai il principale obiettivo di interesse di Tabataba’i, pur essendo completamente competente nella disciplina. Raggiunse il grado di ijtihad[12] mentre era a Najaf ma, poco incline per temperamento a un ampio coinvolgimento sociale, non cercò mai di diventare un marja’ al-taqlid.[13]

Fu invece la filosofia che, insieme al tafsir, finì per occupare Tabataba’i per la maggior parte della sua carriera. Fu iniziato a questa disciplina mentre era a Najaf da Aqa Sayyid Husayn Badkuba’i (m. 1358/1939). Originario di Baku (o più precisamente di un villaggio vicino a Baku) come indica il suo cognome, questo sapiente aveva studiato filosofia a Teheran con Aqa Mirza Hashim Ishkivari, sotto la cui guida lesse l’Asfar di Mulla Sadra[14], prima di migrare a Najaf.[15]

Tabataba’i trascorse sei anni studiando con Badkuba’i, concentrandosi su testi primari di filosofia come l’Akhlaq di Miskawayh, lo Shifa’ di Ibn Sina (Avicenna), il Qawa’id di Ibn Turka, l’Asfar (rispetto al quale il suo insegnante compilò anche un commento), il Masha’ir di Mulla Sadra e il Manzuma di Shaykh Hadi Sabzavari. Poi, su istruzione di Badkuba’i, studiò matematica tradizionale con Sayyid Abu l-Qasim Khwansari, al fine di rafforzare le sue capacità di ragionamento e deduzione.[16] Fu presumibilmente durante i suoi anni a Najaf che padroneggiò anche materie diverse come l’astronomia tradizionale (‘ilm-i falak) e scienze esoteriche come raml[17], jafr[18] e numerologia.

Più influente su ‘Allamah Tabataba’i di qualsiasi altro dei suoi insegnanti a Najaf fu un cugino, Haj Mirza ‘Ali Qadi Tabataba’i (1286-1365/1869-1947; in seguito, Qadi); fu lui che più di chiunque altro contribuì a plasmare la sua personalità spirituale. Negli anni successivi si dichiarò debitore a Qadi per tutto ciò che aveva ottenuto, e si sarebbe sempre riferito a lui, e a lui solo, come ustad (‘il maestro’), ritenendo presuntuoso citarlo per nome.

L’Ayatullah Qadi, principale maestro spirituale di ‘Allamah Tabataba’i e di gran parte dei sapienti sciiti contemporanei

Qadi era un tipico sapiente dalla vasta realizzazione spirituale. Era stato istruito in fiqh (giurisprudenza) e usul (metodologia della giurisprudenza) da suo padre, Sayyid Husayn Qadi, un allievo di spicco del celebre Mirza Hasan Shirazi, e avendo ottenuto la qualifica di mujtahid[19] avrebbe potuto competere con successo con altri studiosi nell’attrarre studenti di fiqh, il focus principale del curriculum di Najaf. La sua caratteristica distintiva, tuttavia, era un’immersione nel mondo della “gnosi operativa” (‘irfan-i ‘amali), un rigido regime di purificazione ascetica interiore che conduce alla percezione diretta del regno sovrasensoriale. Innegabilmente, in molti modi, reminiscente del Sufismo, questa disciplina implica l’affiliazione a un insegnante che è egli stesso l’erede di una catena iniziatica. La guida iniziatica di Qadi sulla Via era stata Sayyid Ahmad Karbala’i Tihrani ‘Bakka’ (m. 1332/1914), la cui catena riconduceva prima ad Akhund Husayn-quli Hamadani (m. 1311/1893) e poi a Sayyid ‘Ali Shushtari; i collegamenti più lontani nel tempo sono in qualche modo oscuri.[20] Gli aspetti noti dell’aderenza di Qadi alla ‘gnosi operativa’ erano le veglie notturne in luoghi benedetti come la moschea di Kufa e la Masjid al-Sahla e il costante dhikr (ricordo di Dio) quando non insegnava; inoltre, ogni anno spariva completamente dalla vista durante gli ultimi dieci giorni del Ramadan.[21]

Tabataba’i cercò Qadi subito dopo il suo arrivo a Najaf; era, dopotutto, suo cugino e, in quanto sapiente esperto di trentacinque anni più anziano di lui, in grado di dispensare consigli su quali lezioni frequentare. Qadi andò a casa sua e non solo gli suggerì un corso di studi da seguire, ma gli consigliò anche, mentre era a Najaf, di dedicarsi soprattutto allo sviluppo etico e spirituale. Rimase un visitatore abituale della casa di ‘Allamah, consigliando la famiglia su una varietà di questioni. Molti dei figli di Tabataba’i erano morti nella prima infanzia e, quando sua moglie rimase di nuovo incinta, Qadi suggerì che il figlio atteso si chiamasse ‘Abd al-Baqi, nella speranza che l’attributo divino della permanenza (al-Baqi, “l’Eterno”) contenuto in questo nome potesse riflettersi nel bambino.

Il coinvolgimento più intimo di ‘Allamah con Qadi iniziò ben cinque anni dopo il suo soggiorno a Najaf. Qadi incontrò ‘Allamah Tabataba’i mentre un giorno si trovava all’ingresso di una madrasa e, per qualche ragione, ritenne l’occasione appropriata per intimargli di eseguire regolarmente la preghiera notturna supererogatoria. Questa ingiunzione ebbe un effetto trasformativo su Tabataba’i e, durante i suoi restanti anni a Najaf, trascorse quanto più tempo possibile con Qadi.[22]

L’influenza di Qadi su di lui fu profonda. Era solito dire che prima di studiare con il suo Ustad pensava di aver capito il Fusus al-hikam di Ibn ‘Arabi, ma rileggendolo con lui si rese conto di non aver capito nulla. Qadi lo istruì anche su un’altra opera chiave di Ibn ‘Arabi, il Futuhat al-Makkiya. Il percorso della ‘gnosi operativa’ implica, tuttavia, molto più dell’immersione nei testi mistici. Si può quindi presumere, nonostante la casta reticenza di Tabataba’i su tali questioni, che sotto la guida di Qadi egli iniziò a impegnarsi in pratiche come dhikr, muraqaba (costante vigilanza su se stessi), veglie notturne e vari atti di devozione supererogatori, più regolarmente e intensamente di prima. In piena conformità con le tradizioni della sua disciplina, Qadi era solito ammonire Tabataba’i e gli altri suoi allievi di ignorare le manifestazioni del regno sovrasensoriale, le forme che riflettevano la bellezza divina, che avrebbero potuto vedere mentre erano impegnati nel dhikr. Tabataba’i ebbe almeno un’occasione per mettere in pratica questo consiglio. Racconta che mentre una notte era assorto nel dhikr alla moschea di Kufa, una houri gli apparve davanti e gli offrì sia la sua persona che un calice di vino paradisiaco. Egli respinse gentilmente le sue avances e lei se ne andò, leggermente offesa, come ricordò Tabataba’i.[23]

Nel 1354/1935, Tabataba’i tornò da Najaf a Tabriz, di nuovo accompagnato dal fratello. Le nuove normative promulgate avevano reso impossibile per loro ricevere i proventi minimi delle proprietà terriere di famiglia nel villaggio di Shadabad che, insieme a prestiti estesi e ripetuti, gli avevano reso possibile di condurre un’esistenza frugale a Najaf. La situazione arrivò al punto che non poteva più permettersi di acquistare generi alimentari e non c’era più nessuno da cui prendere in prestito. Andò al santuario dell’Imam ‘Ali e si sfogò della sua difficile situazione. Poco dopo essere tornato a casa, una persona gli apparve nel cortile. Presentandosi come Shah Husayn Vali, la figura trasmise a Tabataba’i i saluti dell’Imam (presumibilmente l’Imam ‘Ali) insieme al messaggio che Dio non aveva mai abbandonato Tabataba’i durante i diciotto anni che aveva trascorso nello studio della religione. Dopo che la figura scomparve, Tabataba’i si ricordò che Shah Husayn Vali era un derviscio vissuto circa duecento anni prima a Tabriz ed era stato lì sepolto nel cimitero di Sayyid Hamza. Poco prima dell’alba del mattino seguente qualcuno bussò alla porta della casa di Tabataba’i, consegnò un pacco contenente trecento dinari iracheni e si affrettò ad andarsene prima che potesse essere identificato. Questa somma fu esattamente sufficiente a Tabataba’i per pagare i suoi debiti a Najaf ma non per altro; lo prese quindi come un segno che avrebbe dovuto tornare in Iran. In seguito si scoprì che il denaro proveniva da uno shaykh arabo che aveva giurato di donarlo a un uomo di cultura se suo figlio si fosse ripreso da una grave malattia.[24]

Il ritorno a Tabriz determinò una sorta di pausa nella sua attività accademica per circa un decennio, durante il quale si dedicò alla coltivazione delle terre di famiglia. Nonostante il grado di sapienza che aveva già raggiunto, era quasi del tutto sconosciuto in città. Fu quindi solo con difficoltà che un visitatore di Tabriz, un certo Shaykh ‘Ali Ahmadi Miyanji, riuscì a localizzare il suo circolo di insegnamento, che consisteva di soli due studenti ai quali teneva lezioni sulla Surat al-Fatiha.[25] Così isolato dal contatto scientifico e preoccupato per gli affari materiali, Tabataba’i descrisse questo periodo della sua vita come di ‘perdita spirituale’. Ciononostante, durante questa residenza involontaria a Tabriz, egli riuscì a completare non meno di nove trattati (tra cui la serie al-Insan: qabl al-dunya, fi l-dunya, wa-ba’d al-dunya), una storia dei suoi antenati e un commento relativamente breve alle prime sette sure del Corano.[26]

Durante la Seconda Guerra Mondiale, l’Unione Sovietica invase l’Iran settentrionale e istituì un regime separatista di orientamento marxista in Azerbaigian. Ciò spinse Tabataba’i a partire nuovamente, questa volta per Qom, dove arrivò nel marzo del 1946. La scelta del rifugio era stata confermata quando cercò un presagio nel Corano e si posò sul versetto: Ché in tal caso [spetta] ad Allah, il Vero, la protezione. Egli è il Migliore nella ricompensa e nel [giusto] esito” (al-Kahf, 18:44).[27]

Le terre di famiglia a Shadabad, l’unica fonte di reddito per l’‘Allamah e suo fratello, erano state apparentemente usurpate, in tutto o in parte, e non vi era quindi più alcuna ragione per rimanere a Tabriz, un luogo che evidentemente trovava fastidioso o, nella migliore delle ipotesi, poco gratificante.[28] La migrazione a Qom era, tuttavia, ben lungi dall’essere motivata dalla ricerca di circostanze più confortevoli. I soldi raccolti e distribuiti lì, sotto la voce sahm imam[29], erano destinati quasi interamente agli studenti e agli insegnanti di fiqh, una categoria a cui Tabataba’i non apparteneva, e tutti i suoi anni a Qom erano destinati a essere trascorsi in condizioni ascetiche di quasi indigenza.[30] La turbolenza in Azerbaigian fornì la causa prossima della sua partenza; il vero motivo, come egli stesso affermò chiaramente, era un profondo desiderio di aiutare a provvedere alle esigenze spirituali e intellettuali degli studenti.

Qom sarebbe stata la casa di Tabataba’i per il resto della sua vita e la scena della parte più fruttuosa della sua carriera, come insegnante e autore. La città aveva goduto di una certa importanza come centro di apprendimento fin dai primi giorni dello Sciismo in Iran, ma era stata spesso messa in ombra dalle città santuario dell’Iraq e, nei periodi Safavide e Qajar, da Isfahan. Nonostante le politiche antireligiose della dinastia Pahlavi, Qom aveva iniziato a prosperare di nuovo sotto la guida dello Shaykh ‘Abd al-Karim Ha’iri, che durò dal 1922 al 1936, un periodo che incluse l’intero decennio trascorso da Tabataba’i a Najaf. Un numero relativamente grande di studenti aveva iniziato a raggrupparsi attorno ai sapienti della città, e la situazione rimase stabile durante gli otto anni successivi alla morte di Ha’iri, in cui la hawzah ‘ilmiyya fu amministrata da un triumvirato dei suoi sapienti più anziani. La dirigenza unificata fu ripristinata nel 1944 con l’arrivo dell’Ayatullah Husayn Burujirdi, che riuscì a edificarla ulteriormente sulle fondamenta gettate da Ha’iri. Nonostante questi successi istituzionali, Tabataba’i considerava alcuni aspetti della situazione in modo critico:

Quando sono arrivato a Qom, ho esaminato il programma di insegnamento della hawzah ‘ilmiyya rispetto alle esigenze della società islamica. L’ho trovato carente sotto diversi aspetti e ho ritenuto mio dovere porre rimedio alla situazione. Le carenze più importanti nel programma riguardavano l’esegesi del Corano e le scienze intellettuali (‘ulum-i ‘aqli). Ho quindi iniziato a insegnare tafsir e filosofia. Nell’atmosfera prevalente all’epoca, il tafsir non era considerato una scienza che richiedeva precisione di pensiero e ricerca, e impegnarsi in esso era ritenuto indegno di persone capaci di studio nei campi del fiqh e dell’usul. In effetti, insegnare tafsir era visto come un segno di erudizione carente. Non ho considerato nessuna di queste valutazioni come una scusa accettabile a Dio, e ho continuato a insegnare tafsir[31]

Se il tafsir era considerato intellettualmente poco stimolante, la filosofia era vista da alcuni elementi di Qom come decisamente sovversiva, e di conseguenza tentarono di far sì che Burujirdi limitasse le lezioni di Tabataba’i sull’argomento. Cedendo alle loro pressioni, Burujirdi annullò gli stipendi dei circa cento studenti che frequentavano le discutibili lezioni. Ciò pose Tabataba’i di fronte a un dilemma. Se avesse insistito nell’insegnamento della filosofia e gli studenti a frequentarle, sarebbero stati privati ​​dei fondi di cui avevano bisogno per continuare i loro studi. Ma se avesse annullato le sue lezioni, gli studenti sarebbero stati privati ​​di quella che lui considerava una parte importante della loro formazione.

Dopo una lunga riflessione, cercò un presagio nel Divan di Hafiz e si soffermò sul seguente verso: “Questo reprobo non abbandonerà l’amato o il calice; tale non è la mia abitudine, come la polizia morale ben sa“. Il messaggio era chiaro e Tabataba’i rese nota la sua intenzione di continuare a insegnare filosofia. Burujirdi gli scrisse quindi una lettera, ricordando che anche lui aveva studiato filosofia con il celebre Mirza Jahangir Khan mentre era studente a Isfahan, ma lo aveva fatto in segreto, e gli consigliò di fare lo stesso; l’aperto insegnamento della filosofia nella hawzah era inammissibile.[32]

La risposta di Tabataba’i, abilmente formulata e apparentemente remissiva, esprimeva la sua convinzione che l’insegnamento della filosofia fosse una questione di dovere religioso, non il risultato di una predilezione personale. Era profondamente convinto che la società musulmana (o, più precisamente, quella sciita iraniana) stesse affrontando una crisi intellettuale che poteva essere affrontata solo per mezzo della filosofia:

Sono venuto da Tabriz a Qom solo per correggere le credenze degli studenti sulla base della verità e per confrontarmi con le false credenze dei materialisti e di altri. Quando l’Ayatullah [Burujirdi] studiava con Jahangir Khan insieme a un piccolo gruppo di studenti, questi ultimi e le persone in generale erano credenti, lode a Dio. Le loro credenze erano pure e non avevano bisogno di sessioni pubbliche per l’insegnamento dell’Asfar. Ma oggi ogni studente che viene a Qom arriva con una valigia piena di dubbi e problemi. Dobbiamo venire in aiuto di questi studenti e prepararli a confrontarsi con i materialisti su una base solida, insegnando loro l’autentica filosofia islamica. Non abbandonerò quindi [volontariamente] l’insegnamento dell’Asfar. Al tempo stesso, tuttavia, poiché considero l’Ayatullah Burujirdi il depositario dell’autorità religiosa (shar’i), la questione assumerà un aspetto diverso se mi ordina di abbandonare l’insegnamento dell’Asfar”.[33]

Tabataba’i attribuì quindi a Burujirdi la responsabilità morale di impedirgli di assolvere alle sue responsabilità, come lui le percepiva. Non sorprende che non ci fu alcun comando esplicito e l’insegnamento della filosofia continuò.[34] Lo scambio non sembra aver danneggiato le relazioni tra i due sapienti. La prova di ciò è che quando Burujirdi fu contattato per una spiegazione del divieto islamico di alcol da leggere a una conferenza internazionale sull’alcolismo, fu a Tabataba’i che assegnò il compito di preparare una dichiarazione.[35] Si dice inoltre che Burujirdi leggesse con apprezzamento ogni volume di al-Mizan appena venisse pubblicato.

Tabataba’i aveva attirato un gruppo di studenti devoti subito dopo il suo arrivo a Qom. Come racconta uno di loro, Sayyid Muhammad Husayn Husayni Tihrani, lui e i suoi amici erano da tempo desiderosi di studiare filosofia. Avevano ottenuto da Mirza Mahdi Ashtiyani la promessa di insegnare loro il Manzuma di Mulla Hadi Sabzavari, ma Ashtiani lasciò bruscamente Qom per Teheran prima che potesse mantenere la promessa. Grandemente impressionato dalla persona e dalla conoscenza di Tabataba’i, il gruppo si avvicinò a lui con la richiesta di un corso e egli accettò prontamente. Il corso si tenne apertamente nella madrasa Hujjatiya, ma alcuni argomenti delicati venivano discussi mentre Tabataba’i tornava a casa in compagnia dei suoi studenti più cari, un’implicita concessione di validità, forse, ad alcune delle obiezioni sollevate da Burujirdi.[36]

I principali testi filosofici insegnati da Tabataba’i erano lo Shifa’ di Ibn Sina e l’Asfar di Mulla Sadra. In generale, egli può essere considerato un seguace della scuola di quest’ultimo saggio. Sebbene ritenesse Ibn Sina superiore a Sadra per quanto riguarda la deduzione razionale, attribuì a Sadra il merito di aver arricchito la filosofia con circa cinquecento argomenti che non erano venuti in mente a Ibn Sina o ai suoi predecessori greci e che quindi meritava il titolo di “rinnovatore della filosofia islamica”.

Tabataba’i, tuttavia, era ben lungi dall’essere un propagatore acritico delle opinioni di Sadra, a differenza, ad esempio, di Mulla Hadi Sabzavari. Non insegnò mai la sezione dell’Asfar sull’aldilà (ma’ad) – o le sue riflessioni sul Manzuma di Sabzavari – perché trovò il concetto di ma’ad di Sadra come una questione di forme, prive di ogni sostanza, contrario ai significati esteriori dei versetti coranici pertinenti. Sebbene non abbia mai esposto in dettaglio le sue opinioni su questo argomento, sembra aver considerato il ma’ad come il punto finale nel progresso dell’uomo verso la perfezione, “un trasferimento da un regno all’altro“.[37]

Inoltre, egli stesso elaborò una serie di nuovi principi filosofici. Uno di questi era la distinzione tra “realtà” (haqa’iq) e “costrutti” (i’tibarat), la prima abbracciando tutte le questioni relative all’essere e agli esistenti esterni, “realtà” nel senso che possono essere dimostrate da prove razionali, e la seconda includendo argomenti come la giurisprudenza e i suoi principi, poiché dipendono dalla convenzione sociale piuttosto che da prove razionali. Elaborò questa distinzione in un trattato arabo inedito, al-Haqa’iq wa-l-i’tibarat, così come in una delle sue principali opere sistematiche sulla filosofia, Nihayat al-hikma. Diede anche un contributo originale alla questione della potenzialità e dell’attualità, dedicando un trattato separato all’argomento, e sviluppò ulteriormente il concetto di moto sostanziale (harakat-i jawhari) di Mulla Sadra trattando il tempo come la quarta dimensione dei corpi.[38]

Tabataba’i si distinse anche da Mulla Sadra separando rigorosamente i metodi e i principi della filosofia da quelli della “gnosi speculativa” ​​(‘irfan-i nazari) e lodò Mulla Muhammad Muhsin Fayz-i Kashani (m. 1090/1679), un allievo di Sadra, per aver fatto lo stesso.[39] La “filosofia trascendente” di Sadra (al-hikmat al-muta’aliya) si basa sull’intuizione che ragione, illuminazione gnostica e Rivelazione, forniscono tutte percorsi per la percezione della verità. Si potrebbe quindi sostenere che la combinazione in un’unica discussione di argomenti e prove derivati ​​da tutte e tre è legittima, se non inevitabile. Da un diverso punto di vista, tuttavia, proprio l’adeguatezza autonoma di ogni percorso suggerisce che le prove che fornisce dovrebbero poter reggere da sole.[40]

La convinzione di Tabataba’i nella necessità di mantenere separate le due discipline complementari della filosofia e della gnosi speculativa si è manifestata, inter alia, nelle lezioni che ha tenuto a Qom su una corrispondenza sul tawhid(Unicità divina) che aveva avuto luogo a Najaf. Le parti della corrispondenza erano l’Ayatullah Kumpani, uno degli insegnanti di Tabataba’i in fiqh, e Sayyid Ahmad Karbala’i, maestro di Qadi in ‘irfan; Kumpani aveva affrontato la questione dal punto di vista della filosofia, e Karbala’i da quello dell’‘irfan. Tabataba’i ha anche scritto una serie di note su questa corrispondenza, spiegando le argomentazioni avanzate dai due sapienti, ciascuna serie valida di per sé. Questo commento è stato completato dopo la sua morte da uno dei suoi studenti più importanti, l’Ayatullah Muhammad Husayn Husayni Tihrani.[41]

Il primato che Tabataba’i attribuiva alla filosofia nel suo insegnamento e nei suoi scritti significava anche che aveva poco tempo da dedicare alla ‘gnosi speculativa’, nonostante la sua padronanza della materia e la sua immersione per tutta la vita nella disciplina strettamente correlata della ‘gnosi operativa’. Non scrisse mai un libro o un trattato separato sull’argomento né tenne alcun corso specifico; la promessa di insegnare il celebre commento di Qaysari sul Fusus di Ibn ‘Arabi rimase incompiuta. Tuttavia, incoraggiò lo studio dell’Iqbal al-A’mal di Ibn Ta’us, del Jami’ al-Sa’adat di Ahmad Naraqi e, in modo più enfatico, del Risala-yi Sayr-o-suluk, un trattato sul cammino spirituale attribuito al suo antenato, Sayyid Mahdi Bahr al-‘Ulum Tabataba’i, e nel 1368-69/1949-50 tenne lezioni di etica, un argomento che può essere considerato sovrapposto alla gnosi.[42]

Abbiamo visto che parte della motivazione di Tabataba’i per l’insegnamento della filosofia era il suo desiderio di aiutare gli studenti che arrivavano a Qom ‘con una valigia piena di problemi’. Molti di quei problemi nascevano dalla conoscenza del pensiero occidentale contemporaneo, in particolare delle sue dimensioni materialiste. Tabataba’i accettò quindi un invito di ‘Izz al-Din Zanjani a dedicare un’ora ogni settimana all’analisi logica e alla confutazione del pensiero materialista.[43] Secondo un altro resoconto, fu la pubblicazione nel 1950 di Nigahbanan-i sihr va afsun (“I guardiani della magia e della mistificazione”), un libro che ridicolizzava tutte le religioni, a spingere Tabataba’i a intraprendere la lotta contro il materialismo.

Il circolo di studio iniziò a riunirsi l’anno seguente ogni giovedì e venerdì sera, con la partecipazione di molte figure che avrebbero poi svolto ruoli importanti nella Rivoluzione Islamica e nei primi anni della Repubblica Islamica.[44] Come testo di base, ai partecipanti fu chiesto di studiare Sayr-i Hikmat dar Urupa di Muhammad ‘Ali Furughi. Ciò che era principalmente in questione era una confutazione della pretesa del marxismo di possedere una visione scientifica del mondo e della sua posizione di ritenere il materialismo e l’idealismo come le uniche due spiegazioni concepibili del mondo; la scelta di una terza parola europea, ‘realismo’, per trasmettere la prospettiva islamica dell’ontologia fu senza dubbio deliberata.[45] La filosofia islamica è ‘realista’ in quanto accetta la realtà di un’esistenza che si trova al di là della percezione umana, e il materialismo del marxismo è in effetti ‘idealista’ a causa del primato che accorda alla mente umana. Queste sessioni private hanno dato vita alla serie in più volumi di Murtaza Mutahhari[46], Usul-i falsafa va ravish-i ri’alizm.[47]

Se la coltivazione e la propagazione della filosofia erano uno degli obiettivi principali che Tabataba’i si era prefissato arrivando a Qom, l’altro era la rinascita dell’esegesi coranica. Iniziò a insegnare la materia subito dopo il suo arrivo a Qom, ma fu solo nel 1374/1954 che si mise al lavoro per scrivere il suo commentario in venti volumi, Tafsir al-Mizan, un compito monumentale che completò nella “Notte del Potere” (laylat al-qadr), ovvero il 23 Ramadan 1392/31 ottobre 1972. Sono stati giustamente profusi encomi superlativi per questa grande opera. È stata definita “un’enciclopedia delle scienze islamiche” e considerata da alcuni come il frutto dell’ispirazione divina, e merita un’analisi più dettagliata di quanto sia possibile in questo schizzo di vita del suo autore.[48] Tuttavia, data la sua centralità nella sua eredità, alcune delle caratteristiche principali del Tafsir al-Mizan devono essere almeno delineate.[49]

Al primo posto tra queste caratteristiche c’è il metodo che sposa, ‘interpretare il Corano tramite il Corano’. Come molto altro, Tabataba’i aveva appreso questo metodo, almeno in senso formale, da Qadi, che aveva scritto lui stesso un commento sui primi sei capitoli del Corano.[50] Alla base di questa modalità d’interpretazione c’è l’idea che ogni parte del Corano serve a delineare il significato del tutto, poiché il Corano rappresenta un singolo esempio di discorso, derivato da una singola e unica fonte, qualunque sia la cronologia della rivelazione delle sue parti; il Corano è quindi la fonte primaria per la propria stessa comprensione. L’attento esame da parte di Tabataba’i della formulazione di ogni versetto, preso insieme a tutti gli altri versetti pertinenti al suo argomento, produce regolarmente risultati nuovi e convincenti. Il risultato è che il Corano – se l’espressione è ammissibile – è in grado di parlare da solo, senza che gli vengano imposti i concetti, le preoccupazioni e la terminologia delle varie discipline tradizionali.[51]

Inoltre, in contrasto con l’approccio atomistico della maggior parte dei suoi predecessori, che si accontentavano di commentare un versetto alla volta, Tabataba’i presta attenzione alla struttura di ogni capitolo del Corano; raggruppa i versetti in segmenti coesi e chiarisce le relazioni esistenti tra quei segmenti e il capitolo nel suo insieme. Tuttavia non si dovrebbe pensare che il Tafsir al-Mizan sia semplicemente un saggio prolungato di spiegazione testuale, che lascia inesplorate le molteplici implicazioni del Corano per tutte le sfere dell’apprendimento e della vita. La parte strettamente esegetica dedicata a ciascun gruppo di versetti (intitolata bayan, ‘spiegazione’) è seguita non solo da una sintesi delle tradizioni a essi pertinenti (intitolata bahth riwa’i) ma anche da saggi, a volte piuttosto lunghi, su vari argomenti filosofici, storici o sociologici. In accordo con il metodo di Tabataba’i di “permettere al Corano di parlare da sé”, questi sono, tuttavia, chiaramente separati dai paragrafi strettamente esegetici.[52]

Molti precedenti commentatori del Corano avevano considerato le tradizioni dei Ma’sumin – il Profeta e i Dodici Imam – come la fonte primaria per la loro comprensione del testo; le opere classiche di al-Tabarsi e al-Qommi, che sono poco più che raccolte di hadith, sono forse gli esempi più importanti di questo genere di tafsir. Abbastanza chiaramente, e per una buona ragione, Tabataba’i scelse una strada diversa. Tuttavia, era profondamente esperto negli hadith e insisteva affinché i detti del Profeta e degli Imam venissero correttamente trasmessi e compresi. Accettò pertanto un invito a supervisionare la pubblicazione di una nuova edizione del Bihar al-anwar, il vasto compendio di hadith di Muhammad Baqir Majlisi. Sebbene approvasse completamente il modo in cui Majlisi aveva organizzato l’argomento e incluso il commento quando giustificato, aveva tuttavia serie riserve su alcune delle sue spiegazioni. Tabataba’i riteneva che Majlisi fosse occasionalmente caduto in errore a causa della sua ignoranza della filosofia, una lacuna importante considerando il contenuto filosofico di numerosi hadith; alcuni dei suoi errori erano abbastanza significativi da distorcere il chiaro significato di certe tradizioni. Pertanto si assunse l’incarico di aggiungere note correttive alla nuova edizione del Bihar. Ciò non andò giù a quanti a Qom consideravano l’autorità di Majlisi fuori discussione, e l’editore fece pressione su Tabataba’i affinché eliminasse o modificasse le sue critiche. Lui rifiutò, e la sua partecipazione al progetto non proseguì oltre il sesto volume.[53]

Meno conosciute di questa impresa parzialmente abortita sono le note esplicative con cui l’Allamah contribuì a un’edizione di un’altra raccolta di hadith, al-Usul min al-Kafi di Kulayni. Poche in numero, queste note trattano di importanti questioni di fede come il bada’  (l’apparenza del cambiamento nella volontà divina), la differenza tra la volontà divina (iradat) e il desiderio divino (mashiat), il libero arbitrio e la predestinazione e i mezzi per raggiungere felicità o miseria nell’aldilà.[54] Fu anche sulla base di un manoscritto preparato da Tabataba’i che una nuova edizione di un altro compendio di hadith, Wasa’il al-Shi’a ila Tahsil masa’il al-Shari’a di al-Hurr al-‘Amili, fu pubblicata a Beirut nel 1971, insieme a un’introduzione dello stesso ‘Allamah.[55]

La consapevolezza di Tabataba’i della vita intellettuale occidentale includeva un interesse critico per gli scritti degli orientalisti sull’Islam e una conoscenza prolungata con uno dei più celebri tra loro, Henry Corbin (m. 1978). Corbin, direttore dell’Istituto Francese per gli Studi Iraniani a Teheran, era in un certo senso un interlocutore ideale per Tabataba’i. Anche il suo orientamento era principalmente filosofico; contestava la visione allora dominante tra gli studiosi occidentali secondo cui l’attività filosofica nel mondo islamico era giunta al termine con Ibn Rushd; ammirava profondamente l’opera di Sadra e della sua scuola; e, cosa più importante, era convinto del primato dello Sciismo nella vita intellettuale e spirituale dell’Islam.[56]

Il primo incontro di Tabataba’i con Corbin ebbe luogo nell’autunno del 1958. Era venuto a Teheran per vari scopi personali e mentre era in visita dal dott. Jaza’iri, professore all’Università di Teheran e per qualche tempo ministro della Giustizia, venne informato che Henry Corbin era in città ed era interessato a incontrarlo. Tabataba’i aveva già sentito parlare favorevolmente del lavoro di Corbin e accettò prontamente di incontrarlo. Fu quindi organizzato un incontro a casa del dott. Jaza’iri, che si svolse molto cordialmente. Altri tre professori furono coinvolti nel facilitare questo e i successivi incontri: Mahdi Bazargan, professore di termodinamica ma meglio conosciuto per la sua attività letteraria e politica; Muhammad Mu’in, professore di letteratura ora ricordato soprattutto per il suo dizionario persiano in sei volumi, e Seyyid Hossein Nasr, già celebrato all’epoca per i suoi numerosi scritti su filosofia e mistica.[57]

Il secondo incontro ebbe luogo l’anno seguente in un villaggio vicino a Damavand, dove Tabataba’i rimase per un po’ prima di tornare a Qom dal suo soggiorno estivo annuale a Mashhad. Da allora, secondo Nasr, si tennero sessioni settimanali ogni autunno fino al 1977.[58] Nonostante la sua fragilità e la crescente infermità, Tabataba’i prendeva l’autobus da Qom a Teheran per partecipare a queste sessioni, probabilmente un’indicazione del significato che attribuiva loro.[59]

Tabataba’i stilò un breve resoconto della sua prima sessione con Corbin. Lo studioso francese proclamò, con evidente soddisfazione dell’‘Allamah, che gli orientalisti avevano sbagliato ad avvicinarsi all’Islam basandosi esclusivamente su fonti sunnite, un errore che portava a supporre che la filosofia islamica si fosse effettivamente conclusa con Ibn Rushd.[60] Se fossero stati consapevoli della realtà dello Sciismo, sosteneva, vi avrebbero trovato una tradizione ininterrotta di saggezza e spiritualità. Corbin andò ancora oltre l’anno successivo. Descrisse lo Sciismo come “l’unica religione che ha sempre mantenuto il legame della guida divina tra Dio e l’uomo”, un risultato reso possibile dalla sua fede nella realtà continua del Dodicesimo Imam: il legame era stato spezzato nell’Ebraismo e nel Cristianesimo con le partenze da questo mondo rispettivamente di Mosè e Gesù, e nell’Islam sunnita dal fallimento nell’accordare agli Imam dell’Ahl al-Bayt il loro pieno diritto.[61]

Le sessioni successive furono dedicate alla presentazione sistematica di fatti salienti sulla dottrina e la storia sciita. Potrebbe darsi che non esista alcun resoconto scritto per alcuni degli incontri, poiché i testi pubblicati non forniscono alcuna indicazione sulle date coinvolte, né sono tutti nel formato domanda e risposta.[62] Una serie di domande poste da Corbin appare, tuttavia, nel resoconto delle sue sessioni con Tabataba’i. Riguardano l’importanza delle tradizioni degli Imam dell’Ahl al-Bayt per dedurre i significati esoterici del Corano; le origini del pensiero sciita durante l’Imamato di Muhammad al-Baqir e Ja’far al-Sadiq, vale a dire, prima della biforcazione della tradizione sciita in Duodecimani e Ismaeliti; le ragioni della (presunta) restrizione all’Iran del pensiero filosofico tra i musulmani in tempi recenti; e le (presunte) origini del Sufismo nello Sciismo, come variamente manifestate da Farid al-Din ‘Attar e ‘Ala’ al-Dawla Simnani.[63]

Questi argomenti rappresentavano quasi l’intera gamma di interessi accademici di Corbin per lo Sciismo. È interessante che nelle risposte dettagliate che Tabataba’i gli diede, non attribuì all’Ismailismo alcun significato particolare nella storia del pensiero sciita, nonostante l’ovvia speranza di Corbin che lo facesse.[64] Inoltre, non seguì Corbin nel rivendicare origini specificamente sciite per l’intera disciplina del Sufismo, accontentandosi dell’osservazione che gli insegnamenti degli Imam erano effettivamente influenti su molti sufi e che tutte le loro catene iniziatiche tranne una risalgono all’Imam ‘Ali.[65]

Si dice che le sessioni di Tabataba’i con Corbin fossero dedicate in parte allo studio e alla discussione di testi non islamici come il Tao Te-Ching, le Upanishad e il Vangelo di San Giovanni, concepiti come un esercizio di ‘gnosi comparata’.[66] È importante notare che un esercizio del genere difficilmente può essere stato ispirato da un motivo ecumenico. Sembra piuttosto che facesse parte di un esteso programma per lo studio critico di un’ampia varietà di tradizioni religiose e filosofiche e, pertanto, non era del tutto dissimile dallo studio del materialismo. Tabataba’i considerava infatti, chiaramente, la gnosi dell’Islam come inequivocabilmente superiore a tutte le altre forme ed esprimeva opinioni piuttosto critiche sui testi indù e cristiani. Così, pur ammettendo che le Upanishad, in particolare i Veda, contengono elementi di “profondo monoteismo”, ha affermato che la modalità esplicita di discorso che impiegano è destinato a condurre gli incauti all’incarnazionismo e all’idolatria. La gnosi indù, inoltre, incoraggia la negligenza del mondo fenomenico, in contrasto con l’Islam che incoraggia l’uomo a vedere nella natura una vasta esposizione di indicazioni divine, sbagliando inoltre nel privare certe classi di uomini e tutte le donne di una vita spirituale.

Per quanto riguarda la gnosi cristiana, come esposta all’inizio del Vangelo di San Giovanni, cade nella stessa trappola dell’Induismo a livello di pratica, perché il trinitarismo del Cristianesimo è un “trinitarismo idolatra” (tathlith-i wathani).[67] Le credenze cristiane riguardanti Gesù hanno poco che le distingue dalle credenze indù riguardanti Krishna. In un breve pezzo intitolato Dastan-i Masih va Injil (“La storia di Gesù e i Vangeli”), Tabataba’i discute anche le numerose contraddizioni esistenti tra i libri del Nuovo Testamento e la loro inaffidabilità collettiva come resoconto storico. Basandosi sulla terminologia degli studi di hadith, suggerisce che l’intera base scritturale del Cristianesimo è essenzialmente un khabar-i vahid, una tradizione che risale a una sola persona, con la differenza che nel caso delle scritture cristiane non sono noti neanche il nome, la vita e le caratteristiche della persona in questione.[68]

Corbin fece pochi accenni sostanziali a Tabataba’i nei suoi scritti, e fu grazie all’iniziativa di un altro studioso occidentale, il professor Kenneth Morgan della Colgate University, che l’‘Allamah divenne noto a livello internazionale come un’autorità sull’Islam Sciita. Accompagnato da Seyyed Hossein Nasr, Morgan incontrò Tabataba’i nell’estate del 1963 e propose a Nasr che a Tabataba’i fosse affidata la stesura di una serie di opere sullo Sciismo da tradurre in inglese.[69] Il primo della trilogia, Shi’ite Islam[70], apparve nel 1975, con una lunga introduzione e appendici fornite da Nasr, che intraprese anche la traduzione. Fu seguito nel 1979 da A Shi’ite Anthology, composta da selezioni di testi sciiti fondamentali scelti da Tabataba’i, tradotti da William Chittick con un’introduzione di Nasr. Infine, nel 1987, uscì The Qur’an in Islam, tradotto da Assadullah Yate, sempre con un’introduzione di Nasr.[71]

Durante il periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale, e in particolar modo dopo l’emergere dell’Imam Khomeyni sulla scena nazionale nel 1963 come principale leader dell’opposizione al regime Pahlavi, Qom fu un centro di militanza politica e sociale, oltre che di studi accademici. Non solo venivano insistentemente espresse proteste contro lo Scià e la sua schiera di mecenati stranieri; anche i problemi contemporanei del mondo islamico nel suo complesso venivano affrontati in lezioni, libri e periodici. Nonostante la sua immersione nelle attività accademiche che abbiamo descritto, Tabataba’i non rimase indifferente a questi sviluppi. Dedicò ad esempio un saggio al tema frequentemente discusso dello status delle donne nell’Islam che andava oltre la ripetizione delle disposizioni legali pertinenti per affrontare alcune preoccupazioni contemporanee.[72]

In un’altra occasione criticò “il cosiddetto mondo civilizzato” per la sua complicità nei crimini commessi dalla Francia in Algeria con il pretesto che si trattasse di un affare interno del governo francese.[73] Era anche ben consapevole di ciò che Jalal Al-i Ahmad, nel suo saggio del 1341 SH/1962 con lo stesso nome, chiamava Gharbzadagi (“Occidentosi”)[74], come indica la seguente frase: “La logica seguita da coloro che gestiscono i nostri affari, i leader della società e anche gli intellettuali, è che il mondo progressista di oggi – con cui intendono il mondo europeo – è in contrasto con le preoccupazioni religiose e che le norme che governano la nostra società devono essere accettabili per il mondo – vale a dire, per l’Europa”.[75] Numerosi argomenti di interesse contemporaneo sono trattati anche in sezioni del Tafsir al-Mizan intitolate ‘bahth ijtima’i’.

Illustrativo del fermento nella società iraniana in generale e nei circoli religiosi in particolare fu un altro libro pubblicato nel 1962, Bahthi dar bara-yi marja’iyat va ruhaniyat, un volume collettivo che cercò di esaminare e accrescere il ruolo della dirigenza religiosa. È notevole che il contributo di Tabataba’i, un lungo capitolo intitolato “Vilayat va za’amat” (“Governo e dirigenza”), fosse l’unico nel libro dedicato al tema del governo islamico.[76] L’argomento potrebbe essergli stato suggerito dagli editori, ma è altrettanto probabile che lo abbia scelto lui stesso in quanto urgentemente rilevante per le circostanze del momento. Dopo la morte di Burujirdi nel 1961, si dice che abbia sospeso le sue lezioni di filosofia per affrontare precisamente il tema del governo islamico.[77]

L’approccio di Tabataba’i all’argomento è in primo luogo filosofico, in quanto sostiene la necessità di un governo radicata nella disposizione essenziale (fitrat) dell’uomo e confermata dalla Rivelazione. Tuttavia, il suo saggio è più di un esercizio filosofico, poiché egli si scontra con le ideologie e i sistemi politici contemporanei. Il marxismo, sottolinea, ha screditato la propria visione della storia trionfando non nei Paesi capitalisti avanzati, ma nel mondo sottosviluppato, e le democrazie parlamentari dell’Occidente, oltre a funzionare internamente come dittature della maggioranza, sono esattamente quegli Stati che hanno fatto del loro meglio per schiavizzare e sfruttare il resto del mondo.[78]

Per quanto riguarda il sistema di governo appropriato per i musulmani sciiti durante la continua occultazione del Dodicesimo Imam, Tabataba’i sembra inizialmente ambiguo. Dopo aver sollevato come possibilità la devoluzione del governo all’intera comunità, al corpo collettivo dei fuqaha’, o al più colto dei fuqaha’, osserva che “queste sono questioni che vanno oltre la nostra attuale preoccupazione e devono essere risolte nel contesto del fiqh”.[79] Il suo scopo potrebbe quindi essere stato quello di stimolare la discussione di queste varie possibilità tra i fuqaha’.

Ciononostante, conclude: “L’individuo che eccelle su tutti gli altri nella taqwa (consapevolezza di Dio), capacità amministrativa (husn-i tadbir) e consapevolezza delle circostanze contemporanee, è il più adatto a questa posizione [la guida della società]”.[80] Questa frase suggerisce un’approvazione della tesi della vilayat-i faqih (“governo del faqih“) come propagata dall’Imam Khomeyni, e presenta in effetti una certa somiglianza con l’articolo 109 della Costituzione della Repubblica islamica, che specifica le qualifiche richieste alla Guida (rahbar).[81] Sembra indiscutibile che Tabataba’i abbia approvato la teoria della vilayat-i faqih, almeno nelle sue linee generali.

Questo saggio non è stato in alcun modo l’unico contributo apportato dall’‘Allamah all’elaborazione teorica del governo islamico. Egli tocca il tema in numerosi punti del Tafsir al-Mizan, più in particolare forse nella sua discussione del versetto 200 della Sura 3 del Corano (‘O voi che credete, perseverate nella pazienza e nella costanza…’), dove elenca quelli che considera i dieci elementi essenziali del governo islamico.[82] L’Ayatullah Mutahhari, che ha presieduto il Consiglio della Rivoluzione Islamica dalla sua istituzione nel gennaio 1979 fino al suo assassinio nel maggio di quell’anno, è arrivato al punto di osservare: “Non ho ancora incontrato alcun problema relativo al governo islamico la cui chiave per la risoluzione non sia riuscito a trovare nel Tafsir al-Mizan”.[83]

Il martire Ayatullah Mutahhari insieme al suo maestro, ‘Allamah Tabataba’i

Esteriormente la quintessenza stessa dell’asceta e studioso in pensione, Tabataba’i non era affatto negligente o ignaro della sfera politica.[84] Ha svolto tuttavia un ruolo poco o per nulla riconoscibile nell’intensa e prolungata lotta condotta dall’Imam Khomeyni e dai suoi compagni che culminò nella Rivoluzione islamica del 1978-79 e nella fondazione della Repubblica Islamica dell’Iran. Solo una volta Tabataba’i firmò un comunicato congiunto emesso su argomenti del giorno dagli ‘ulamà di Qom. Ciò avvenne alla fine del 1962, quando si unì ad altri otto firmatari nel denunciare i piani del governo per l’emancipazione delle donne.[85] Quando iniziò la Rivoluzione, era troppo fragile fisicamente per parteciparvi anche marginalmente. Tuttavia, il ruolo di primo piano svolto da molti dei suoi studenti nella Rivoluzione indica che gli atteggiamenti e gli insegnamenti che aveva trasmesso loro erano quantomeno compatibili con il sostegno al nuovo ordine islamico.[86] Molti di loro furono assassinati: l’Ayatullah Murtada Mutahhari nel maggio 1979; l’Ayatullah Muhammad Husayn Beheshti nel giugno 1981; e l’Ayatullah ‘Ali Quddusi, genero di Tabataba’i e Procuratore Generale rivoluzionario, nel settembre 1981[87].[88]

Infine, tra gli interessi dell’‘Allamah, bisogna menzionare la sua devozione alla poesia persiana e alle sue tradizioni. Era in particolare un avido lettore del Divan di Hafiz, i cui versi spesso citava e interpretava nel corso delle sue lezioni di filosofia, nonostante la sua insistenza generale nel mantenere separati il ​​linguaggio e gli argomenti della filosofia da un lato e della gnosi dall’altro. Si dice quindi che Tabataba’i abbia trovato utile il seguente verso per comprendere la relazione tra l’Esistente Necessario e gli esistenti contingenti: “Come è successo che l’ombra dell’amato cadde sull’amante?/Avevamo bisogno di lui, e lui desiderava ardentemente noi“.[89] Tra i poeti arabi, sentiva una speciale affinità con il sufi Ibn al-Farid.[90] Compose egli stesso una certa quantità di poesie, tra cui trattati in versi su argomenti eruditi quali grammatica, logica e calligrafia, nonché ghazal di contenuto gnostico, alcuni dei quali in ‘persiano puro’ (farsi-yi sara), vale a dire un persiano che non fa uso di prestiti arabi.[91]

Indebolito per molti anni da problemi cardiaci e neurologici, Tabataba’i si ritirò dall’attività di insegnamento e si immerse sempre più nella devozione privata man mano che la fine della sua vita si avvicinava. Nel 1401/1981, si fermò come al solito a Damavand mentre tornava a Qom dalla sua visita estiva annuale a Mashhad. Si ammalò gravemente e fu condotto in ospedale a Teheran. Le prospettive di guarigione erano considerate scarse e fu quindi portato a casa sua a Qom, dove venne rigorosamente isolato da tutti ad eccezione dei suoi studenti più intimi. Qualche tempo dopo fu ricoverato in ospedale a Qom e dopo circa una settimana morì, alle nove del mattino del 18 Muharram 1402/7 novembre 1981. Si dice che durante gli ultimi momenti della sua vita ebbe una visione dei Ma’sumin[92] e rilevò con perfetta lucidità ai presenti: “Coloro di cui attendevo l’arrivo sono ora entrati nella stanza“.[93] Fu sepolto il giorno seguente, vicino alle tombe dello Shaykh ‘Abd al-Karim Ha’iri e dell’Ayatullah Khwansari; le preghiere funebri furono guidate dall’Ayatullah Gulpayagani.[94]

Questo schizzo degli eventi e dei risultati accademici che costituiscono la biografia di ‘Allamah Tabataba’i è inevitabilmente insufficiente nel descrivere la totalità della sua persona spirituale, quella natura essenziale di cui i suoi vari risultati furono altrettante manifestazioni. La mancanza può, tuttavia, essere rimediata in una certa misura attingendo ai ricordi dei suoi principali studenti e collaboratori.

Riferiscono all’unanimità che la devozione assoluta all’Ahl al-Bayt era una delle sue caratteristiche principali. Durante la sua visita estiva annuale a Mashhad, baciava la grata che racchiudeva la tomba dell’Imam Rida con grande passione e spesso trascorreva la notte di fronte ad essa, impegnato in suppliche. Durante tutto l’anno, ma soprattutto durante i mesi di Muharram e Ramadan, partecipava alle sessioni di rauza-khwani e si lamentava delle sofferenze che avevano colpito la Gente della Casa del Profeta. Quanto ad ‘Ashura, questo era l’unico giorno dell’anno in cui sospendeva le sue attività accademiche. A parte questi segni di devozione osservabili esternamente, sembra chiaro che Tabataba’i fosse anche uno di quegli gnostici e sapienti sciiti selezionati che, secondo la tradizione, contemplavano e conversavano con i Ma’sumin tramite un’esperienza visionaria.[95]

Una seconda caratteristica senza dubbio correlata era l’estrema modestia e umiltà che l’‘Allamah mostrò per tutta la sua vita. Non lo si sentì mai pronunciare il pronome ‘io’, né in persiano né in arabo.[96] A differenza di molti, se non della maggior parte dei luminari di Qom, non avrebbe mai permesso che gli si baciasse la mano, ritirandola nella manica se qualcuno ci avesse provato.[97] Si rifiutò sempre di guidare chiunque nella preghiera congregazionale, persino i suoi studenti, e quando era a Qom si univa regolarmente alla preghiera del tramonto guidata alla madrasa Fayziya dall’Ayatullah Muhammad Taqi Khwansari.

La stessa umiltà si manifestava nelle sue attività accademiche e pedagogiche. Quando criticava gli studiosi del passato con cui differiva su certe questioni, come, ad esempio, il Majlisi, lo faceva con la massima cortesia e circospezione. Quando l’Ayatullah Nasir Makarim-Shirazi, incaricato di tradurre il Tafsir al-Mizan in persiano, informò Tabataba’i che non era d’accordo con alcune delle sue opinioni, lo autorizzò senza esitazione a registrare il suo punto di vista dissenziente nelle note a piè di pagina della traduzione.[98] Quando insegnava, non si permetteva mai di assumere la posizione di implicita autorità nell’appoggiarsi a un cuscino o al muro, ma sedeva invece dritto per terra, proprio come i suoi studenti.[99] Era paziente e tollerante con le domande e le obiezioni sollevate dai suoi studenti, dedicando generosamente il suo tempo anche agli immaturi tra loro.

Le circostanze materiali di Tabataba’i a Qom erano in linea con questa totale mancanza di presunzione. Come già osservato, non aveva accesso ai fondi riservati agli studenti e agli insegnanti di fiqh, e a volte non aveva nemmeno i soldi per accendere una lampada nella sua modesta abitazione nel distretto di Yakhchal-i Qadi di Qom.[100] La casa era troppo piccola per ospitare la folla di studenti che veniva a fargli visita, e quindi si sedeva sui gradini di fronte per riceverli. A differenza di molti studiosi, non accumulò una vasta biblioteca personale, sebbene lasciò dietro di sé una piccola collezione di manoscritti.[101] Non furono solo i suoi studenti a beneficiare della sua umile e modesta natura. Tale era il suo affetto per la sua famiglia che spesso si alzava in piedi quando sua moglie o i suoi figli entravano nella stanza, e quando diventava necessario lasciare la casa e acquistare quei due lubrificanti essenziali della vita quotidiana, il tè e le sigarette, l’‘Allamah stesso se ne assumeva il compito invece di imporlo alla sua famiglia.[102]

Tale era il comportamento esteriore di colui che, agli occhi dei suoi discepoli, era diventato “uno specchio per lo spirito dei Ma’sumin“, che aveva raggiunto un grado di distacco da questo mondo che gli consentiva di osservare direttamente le forme dell’invisibile.[103]

 

Note

[1] Lo shaykh al-Islam fu la carica sciita di più alto rango dal periodo Safavide fino al periodo Pahlavi: era responsabile delle questioni relative alla giustizia sociale, della rimozione e nomina dei giudici, della partecipazione alle cerimonie di incoronazione e del rilascio di permessi e certificati accademici.

[2] Per un resoconto dettagliato di ‘Abd al-Wahhab e delle sue risposte alle turbolenze dell’epoca, cfr. Hamid Algar, “Naqshbandis and Safavids: A Contribution to the Religious History of Iran and Its Neighbors” in Michel Mazzaoui (a cura di), The Safavids and Their Neighbors (Salt Lake City: University of Utah Press, 2003), pag. 9-13.

[3] Per la genealogia completa, cfr. Muhammad al-Husayn al-Husayni al-Tihrani, al-Shams al-Sati’a (Beirut, 1417/1997), pag. 31-2. Questa è la traduzione araba, realizzata da ‘Abbas Nur al-Din e ‘Abd al-Rahim Mubarak, di un originale persiano, Mihr-i Taban (Teheran, 1401 SH/1982), non disponibile al presente autore. [L’opera è stata tradotta in inglese con il titolo Shining Sun, Londra, 2011, ICAS Press, ed è disponibile anche online al seguente sito: https://al-islam.org/shining-sun-memory-allamah-tabatabai-sayyid-muhammad-husayn-husayni-tehrani (N.d.T.)].

[4] Lo stesso ‘Allamah Tabataba’i era inizialmente noto come Qadi dopo il suo arrivo a Qom nel 1946, ma scoraggiò questa pratica, preferendo usare Tabataba’i come cognome. Cfr. al-Tihrani, al-Shams al-Sati’a, pag. 13, n. 1.

[5] Quella Usuli é la scuola predominante in seno allo Sciismo Duodecimano. Essa, oltre a fare riferimento al Corano e agli hadith, sostiene un uso attivo e sistematico del ragionamento (ijtihad) attraverso determinati principi razionali al fine di determinare la teologia e il diritto islamici (N.d.T.).

[6] Cfr. Nadi Mirza, Tarikh va-jughrafi-yi dar al-saltana-yi Tabriz (Teheran, 1323/1905), pag. 118, 244.

[7] Potrebbe tuttavia essere stata una lunga prostrazione, nel corso della quale Tabataba’i implorò Dio di concedergli la capacità di superare qualsiasi difficoltà incontrasse, o di togliergli la vita. Conversazione dello Shaykh Sadr al-Din Hai’ri Shirazi con l’’Allamah, citata in al-Tihrani, al-Shams al-Sati’a, pag. 34, n. 1.

[8] Tabataba’i, saggio autobiografico con prefazione al suo Barrasiha-yi Islami, ed. Sayyid Hadi Khusraushahi, (Qom, 1396/1976), pag. 10-11.

[9] ‘Abd al-Baqi ricorda che suo padre considerava la caccia come haram tranne che in casi di estrema necessità. Cfr. Nasir Baqiri Bid-i-Hindi, “Mufassir va hakim-i ilahi, Hazrat-i Ayatullah Sayyid Muhammad Husayn Tabataba’i”, Nur-i ‘Ilm, n. 3:9 (Azar 1368/dicembre 1989), pag. 77.

[10] Con questo termine si intende il livello più avanzato di insegnamento della giurisprudenza islamica nella Hawzah ‘Ilmiyah, il seminario tradizionale sciita. (N.d.T.)

[11] Sebbene celebrato principalmente per i suoi scritti sul fiqh, l’Ayatullah Kumpani compose anche un trattato in versi sulla filosofia, Tuhfat al-hakim, che è stato descritto come “un’opera prodigiosa” (Shaykh Muhammad Hirz ad-Din, Ma’arif al-Rijal, Qom, 1405/1985, vol. II, pag. 264).

[12] Ijtihad significa letteralmente “sforzarsi, sottoporsi ad un duro lavoro”. Nella terminologia giuridica islamica indica il processo di deduzione delle norme della Shari’ah dalle sue fonti: Corano, Sunnah, intelletto e consenso dei sapienti (N.d.T.).

[13] Si tratta del giurisperito e sapiente religioso i cui responsi (fatawa) nelle questioni giuridiche vengono seguite e messe in pratica dai credenti sciiti. Il Marja ha l’autorità di emettere responsi e rappresenta la più alta autorità religiosa per i musulmani sciiti (N.d.T.).

[14] Su Mulla Sadra e la sua opera, cfr. S.H. Nasr ‘La vita, le dottrine e il significato di Sadr al-Din Shirazi (Mulla Sadra)’: https://islamshia.org/la-vita-le-dottrine-ed-il-significato-di-mulla-sadra-s-h-nasr/ (N.d.T.)

[15] Manuchihr Saduqi Suha, Tarikh-i hukama’ va ‘urafa-yi muta’akhkhirin-i sadr al-muta’allihin (Teheran, 1359 SH/1980), pag. 71-72.

[16] Cfr. al-Tihrani, al-Shams al-Sati’a, pag. 21.

[17] Il raml è una forma di divinazione basata su segni tracciati su sabbia o carta da cui vengono poi estratte combinazioni simboliche interpretate secondo regole precise. (N.d.T.)

[18] Il Jafr è una scienza segreta che include lettere dell’alfabeto arabo e alcuni simboli cifrati con lo scopo di ottenere interpretazioni di testi antichi ed eventi. Secondo una leggenda viene attribuita all’Imam Ali, probabilmente a causa di alcune narrazioni che parlano di due jafr (borse di cuoio): una contenente libri, e un’altra contente armi, entrambi passate dall’Imam Ali agli Imam successivi dopo di lui. (N.d.T.)

[19] Il Mujtahid è colui che pratica l’Ijtihad, un esperto in Legge Islamica. (N.d.T.)

[20] Ivi, pag. 27-29. Cfr. anche Ja’far Subhani, “Maqam-i ‘ilmi va farhangi-yi ‘Allamah-yi Tabataba’i”, Kayhan-i Farhangi, n. 6:8 (Aban 1368/novembre 1989), pag. 7. Shushtari potrebbe essere stato un allievo di Sadr al-Din Kashif Dizfuli, l’erede di una linea di trasmissione Dhahabi; cfr. Sayyid ‘Abbas Qa’im-maqimi, “Athar va afkar-i Sadr al-Din Kashif Dizfuli”, Kayhan-i Andishan. 38 (Mihr-Aban 1370/ottobre-novembre 1991), pag. 82, 85. Oltre a Sayyid Ahmad Karbala’i Tihrani, Hamadani formò almeno altri due allievi degni di nota: Mirza Javad Aqa Malik Tabrizi, uno dei primi insegnanti dell’Imam Khomeyni nell’‘irfan, e Shaykh Muhammad Bahari di Hamadan. Altri degni di nota propagatori di questo lignaggio spirituale sono l’Ayatullah Muhammad Taqi Bahjat e l’Ayatullah Hasanzadeh Amoli, entrambi formati, come l’‘Allamah, da Mirza ‘Ali Qadi. (Comunicazione personale dell’Hujjat al-Islam Sayyid ‘Abbas Qa’im-maqami). [Su questa catena misteriosa, in italiano, cfr. Y.C. Bonaud Uno gnostico sconosciuto del XX secolo, Il Cerchio, 2010, pag. 90-91. (N.d.T.)]

[21]Al-Tihrani, al-Shams al-Sati’a, pag. 25, 29.

[22] Ivi, pag. 24.

[23] Ivi, pag. 29-30.

[24] Bid-i-Hindi, “Mufassir va hakim-i ilahi”, pag. 55-56.

[25] Ibid, pag. 48.

[26] Tabataba’i, Barrasiha-yi islami, pag. 11; al-Tihrani, al-Shams al-Sati’a, pag. 58.

[27] Bid-i-Hindi, “Mufassir va hakim-i ilahi”, pag. 48.

[28] Non è chiaro cosa sia successo esattamente alle terre di famiglia. Al-Tihrani cita Tabataba’i che le terre erano state usurpate (presumibilmente dal regime separatista), ma poi osserva, mentre descrive la difficile situazione economica di Tabataba’i a Qom, che il reddito che fornivano era insufficiente persino per le necessità della vita (al-Shams al-Sati’a, pag. 96-97). Il fratello di Tabataba’i, Sayyid Muhammad Hasan Ilahi, scelse di rimanere a Tabriz, dove trascorse i pochi anni che gli restavano della vita insegnando filosofia. Scrisse anche un libro sui benefici spirituali che si possono trarre dalla musica, ma lo distrusse, temendo che potesse essere soggetto a interpretazioni errate (al-Tihrani, al-Shams al-Sati’a, p. 37).

[29] Nell’Islam Sciita esiste una tassa islamica, chiamata Khums, che i credenti devono versare annualmente alle autorità religiose autorizzate. L’utilizzo del ricavato del Khums viene diviso in due parti, chiamate rispettivamente Sahm Imam Sahm Sadat. La prima è quella che spetta all’Imam del Tempo e la seconda ai bisognosi tra i Seyyid, i discendenti del Profeta Muhammad. I proventi di questa tassa vengono utilizzati dalle autorità religiose islamiche per finanziare scuole, ospedali, seminari, biblioteche, moschee, pubblicazioni e aiutare i bisognosi. Per maggiori dettagli, cfr. S.M. Rizvi “Il Khums: una tassa Islamica”, pubblicato a cura dell’Associazione Islamica Imam Mahdi. (N.d.T.)

[30] Al-Tihrani osserva con una certa amarezza che a Qom erano disponibili ampi fondi anche per i più incompetenti e pretenziosi tra loro, e che gli studiosi che lavoravano su discipline diverse dal fiqh dovevano accettare la povertà come prezzo della loro scelta. Come esempio aggiuntivo a quello di Tabataba’i, egli cita uno stretto conoscente dell’‘Allamah, Aqa Buzurg Tihrani (m. 1389/1970), compilatore della grande enciclopedia bibliografica sciita, al-Dhari’a ila tasanif al-shi’a (al-Shams al-Sati’a, pag. 97-8).

[31] Citato in Bid-i-Hindi, “Mufassir va hakim-i ilahi”, pag. 49.

[32] Al-Tihrani, al-Shams al-Sati’a, pag. 101-104.

[33] Ibid, 104-5; Bid-i-Hindi, “Mufassir va hakim-i ilahi”, pag. 48.

[34] Ibid, pag. 49.

[35] Per il testo della sua comunicazione, vedere Tabataba’i, Barrasiha-yi Islami, pag. 67-72.

[36] Al-Tihrani, al-Shams al-Sati’a, pag. 12-14.

[37] Ja’far Subhani, “Maqam-i ‘ilmi va farhangi-yi ‘Allamah Tabataba’i”, pag. 6.

[38] Ja’far Subhani, “Shakhsiyati ki ba tanha’i millati bud”, in Yadbud: Yadvara-yi ‘Allamah Tabataba’i dar Kazarun, ed. Manuchihr Muzaffarian (Shiraz, 1369 SH/1990), pag. 107-8. Per un elenco apparentemente completo delle opere di ‘Allamah, sulla filosofia e su tutti gli altri argomenti, cfr. Qanbar ‘Ali Kirmani, Kitab-shinasi-yi ‘Allamah Tabataba’i (Teheran, 1373 SH/1994).

[39] Al-Tihrani, al-Shams al-Sati’a, pag. 40; Ahmad Ahmadi, “Akhlaq-i ‘Allamah va yek bahth-i falsafi”, Yadnama-yi ‘Allamah Tabataba’i (nessun editore indicato), Teheran, 1362 SH/1983, pag. 173-4.

[40] Ciò non significa, tuttavia, che l’intelletto sia onnicomprensivo, secondo il punto di vista di Tabataba’i o di altri esponenti della filosofia islamica tradizionale. Ci sono questioni che vanno completamente oltre il suo ambito, soprattutto la resurrezione e l’aldilà (ma’ad); qui, il compito dell’intelletto è confessare i suoi limiti e sottomettersi interamente alla Rivelazione.

[41] Al-Tihrani, al-Shams al-Sati’a, pag. 18-19.

[42] Nell’introduzione alla sua edizione di Risala-yi Sayr-o-suluk (Teheran, 1360 SH 1981, pag. 11-12), l’Ayatullah Sayyid Muhammad Husayn Tihrani cita Tabataba’i come aderente al punto di vista di Qadi secondo cui l’opera è stata effettivamente scritta da Bahr al-‘Ulum Tabataba’i, con l’eccezione di tre capitoli inseriti in alcuni manoscritti da copisti ignoranti. Le annotazioni delle lezioni di Tabataba’i sull’akhlaq (etica) furono pubblicate dall’Ayatullah Husayni Tihrani con il titolo “Lubb al-albab dar sayr-o-suluk-i uli l-albab” in Yadnama-yi ustad-i shahid Murtada Mutahhari, ed. ‘Abd al-Karim Surush (Teheran, 1360 SH/1981), pag. 193-255. [L’opera di Bahr al-‘Ulum Tabataba’i è stata tradotta in inglese con il titolo Treatise on Spiritual Journeying and Wayfaring, 2013, Kazi Publications. L’Associazione Islamica Imam Mahdi ha invece curato la traduzione dell’importante opera dell’Ayatullah Husayni Tihrani in italiano, che si spera di dare alle stampe quanto prima, a Dio piacendo (N.d.T.)].

[43] ‘Izz al-Din Zanjani “Ayatullah Tabataba’i, Jami’-i hikmat va shari’at”, Kayhan-i Farhangi, n. 8 (Aban 1368/ottobre 1989), pag. 2.

[44] Tra loro c’erano gli Ayatullah Murtaza Mutahhari, Muhammad Husayn Beheshti, Muhammad Mofatteh, Husayn ‘Ali Montazeri e ‘Ali Qoddusi. Altri partecipanti erano Ibrahim Amini, ‘Abd al-Hamid Sharabiani, Morteza Jaza’eri, Ja’far Subhani e Musa Sadr, fondatore dell’organizzazione Amal in Libano. Cfr. Ja’far Subhani, “Shakhsiyati ki ba tanha’i millati bud”, pag. 110, e Husayn ‘Ali Montazeri, “Hakim-i farzana”, in Yadnama-yi ustad-i shahid Murtada Mutahhari, ed. ‘Abd al-Karim Surush, p. 172.

[45] ‘Ali Shari’atmadari, “Naqsh-i ‘Allamah Tabataba’i dar barkhurd ba maktabha-yi jadid-i falsafi”, Yadbud: Yadvara-yi ‘Allamah Tabataba’i dar Kazarun, pag. 144-5.

[46] Su questo importante pensatore e filosofo islamico contemporaneo, cfr. “Biografia dell’Ayatullah Martire Motahhari”: https://islamshia.org/biografia-dellayatullah-martire-motahhari/ (N.d.T.)

[47] Se le confutazioni del marxismo e di altre forme di pensiero materialista sperimentate da Tabataba’i e altri siano state decisive per la sconfitta del marxismo in Iran può essere legittimamente messo in discussione. L’eclissi della sinistra in Iran potrebbe essere stata dovuta in misura molto maggiore alla superficialità delle sue radici sociali e alla crescente chiarezza e coerenza dell’alternativa islamica come veicolo rivoluzionario, per non parlare del crollo finale del blocco sovietico.

[48] La prima è l’opinione dell’Ayatullah Javadi Amuli (cfr. il suo “Sayri dar andishaha-yi dini va falsafi-yi ‘Allamah Tabataba’i”, Kayhan-i Hava’i, n. 958, 6 Adhar 1370/27 Novembre 1991, pag. 12), e la seconda è la convinzione dell’Ayatullah Mutahhari (citato in Ayatullah Misbah Yazdi, “Hukumat dar Qur’an az nazar-i mufassir-i al-Mizan”, Yadbud: Yadvara, pag. 204).

[49] La monumentale esegesi coranica dell’’Allamah Tabataba’i è stata tradotta integralmente anche in inglese. E’ consultabile online al seguente sito: https://almizan.org/. (N.d.T.)

[50] Tihrani, al-Shams al-Sati’a, pag. 26, 58.

[51] Si dice che nessun altro se non l’Imam ‘Ali abbia detto: “Consentite al Corano di parlare, perché non parlerà (da solo)”. Citato in Tafsir al-Mizan (3a ed., Teheran, 1397/1977), vol. II, pag. 275.

[52] Tabataba’i fornisce una breve spiegazione del suo approccio all’esegesi nell’introduzione al primo volume del Tafsir al-Mizan (2-16). Tra i numerosi studi sui suoi metodi esegetici si ricorda in particolare ‘Ali al-Ausi, al-Tabataba’i wa Manhajuhu fi tafsirihi ‘al-Mizan‘ (Teheran, 1405/1985), tradotto in persiano come Ravish-i ‘Allamah Tabataba’i dar Tafsir al-Mizan (Teheran, 1381 SH/2002) di Sayyid Husayn Mir-Jalili; e Jawad ‘Ali Kassar, al-Manhaj al-‘Aqa’idi fi Tafsir al-Qur’an: Hiwar ma’a al-Sayyid Kamal al-Haydari [Qom], 1424/2004).

[53] Cfr. al-Tihrani, al-Shams al-Sati’a, pag. 51-53, e Sayyid Ibrahim Sayyid ‘Alavi, ‘Ta’liqat-i ‘Allamah Tabataba’i bar Bihar al-Anwar’, Kayhan-i Andisha, n. 38 (Mihr-Aban 1370/Ottobre-Novembre 1991), pag. 12-30, e N. 39 (Adhar-Day 1370/dicembre 1991-gennaio 1992), pag. 49-61.

[54] Sayyid Ibrahim Sayyid ‘Alavi, “Mitud-i naqd va tahqiq-i hadith az nazar-i ‘Allamah Tabataba’i”, Kayhan-i Andisha, n. 36 (Mihr-Aban 1368/ottobre-novembre 1989), pag. 25-38.

[55] Sul contributo generale di ‘Allamah allo studio degli hadith, cfr. Shadi Nafisi, ‘Allamah Tabataba’i va Hadith (Teheran, 1384 SH/2005).

[56] Per una stima dell’opera di Corbin, cfr. Hamid Algar, “The Study of Islam: the Work of Henry Corbin”, Religious Studies Review, 6.2 (aprile 1980), pag. 85-91. [In italiano, “Lo Studio dell’Islam: l’opera di Henry Corbin” (N.d.T.)]. Per quanto riguarda il suo complesso e prolungato impatto sulla vita intellettuale in Iran, cfr. Daryush Shayegan, La topographie spirituelle de l’islam iranien (Parigi: Editions de la Difference, 1990); Dar Ahval va andishaha-yi Hanri Kurban, un volume collettivo pubblicato dall’Institut Francais de Recherche en Iran, Teheran 1379 SH/2000; Mehrzad Boroujerdi, Iranian Intellectuals and the West: the Tormented Triumph of Nativism (Syracuse: Syracuse University Press, 1996), pag. 85-6, 125 n. 20, 150; e Matthijs van den Bos, Mystic Regimes: Sufism and the State in Iran from the Late Qajar Era to the Islamic Republic  (Leida: EJ Brill, 2002), pag. 31-44.

[57] Tabataba’i, Shi’a: Majmu’a-yi Mudhakarat ba Prufisur Hanri Kurban, a cura di ‘Ali Ahmadi e Hadi Khusraushahi (Qom, 1397/1977), 10. Nasr riferisce di aver svolto il ruolo di traduttore e interprete per queste sessioni (introduzione a Tabataba’i, Shi’ite Islam, Albany NY, 1975, pag. 24]. È notevole che, nonostante la lunga residenza in Iran e un’appassionata devozione allo studio di quello che lui chiamava ‘Islam iraniano’, Corbin fosse evidentemente incapace di esprimersi adeguatamente in persiano.

[58] S.H. Nasr, “Tabataba’i, Muhammad Husayn”, Oxford Encyclopedia of the Modern Islamic World, iv. 161.

[59] Al-Tihrani, al-Shams al-Sati’a, pag. 70. Ci si chiede se Corbin abbia mai ricambiato questo gesto di rispetto andando a trovare Tabataba’i a Qom.

[60] Per un esempio dell’approccio giustamente criticato da Corbin, cfr. T.J. de Boer, The History of Philosophy in Islam, pubblicato per la prima volta nel 1903 ma spesso ristampato come opera autorevole fino al 1967.

[61] Tabataba’i, Shi’a: Majmu’a-yi Mudhakarat ba Prufisur Hanri Kurban (Qom, 1397/1977), pag. 12-16. È curioso che Corbin abbia affermato la superiorità dello Sciismo nonostante il suo autodefinirsi “orientalista protestante” (ibid, 13). Dopo aver sentito che Corbin si era commosso fino alle lacrime leggendo Sahifat al-Sajjadiyya, Tabataba’i alla fine giunse a credere che Corbin avesse abbracciato l’Islam, ma che fosse troppo timido per rendere pubblica la sua conversione (secondo il figlio dell’‘Allamah, ‘Abd al-Baqi, citato in al-Tihrani, al-Shams al-Sati’a, pag. 73, n. 1). Se così fosse, Corbin evidentemente non fu in grado di vincere la sua timidezza al momento della sua morte, poiché venne sepolto da cristiano (vedi necrologio su Le Monde, 11 ottobre 1978). [Sul Sahifat al-Sajjadiyya, cfr. L’autenticità del Sahifa Sajjadiyah: https://islamshia.org/lautenticita-del-afah-al-sajjdiyyah/ N.d.T.]

[62] Cfr., ad esempio, la sezione intitolata “Chiguna Shi’a ba vujud maya” (Tabataba’i, Shi’a: Majmu’a-yi Mudhakarat, pag. 18-66; stampato anche separatamente come Tabataba’i, Zuhur-i Shi’a, Teheran, s.d).

[63] Tabataba’i, Shi’a: Majmu’a-yi Mudhakarat, pp. 67-70.

[64] Ivi, pag. 77.

[65] Ivi, pag. 81-3.

[66] Seyyed Hossein Nasr, Introduction to Shi’ite Islam (Albany, NY, 1975), pag. 24.

[67] Tabataba’i, Barrasiha-yi Islami, 221-2. Tabataba’i consiglia ai suoi lettori un libro intitolato al-‘Aqa’id al-wathaniyya fi l-millat al-nasraniyya (“Dogma idolatri della religione cristiana”, ibid, pag. 22, n. 1). Per le sue opinioni sul Cristianesimo, vedere anche al-Tihrani, al-Shams al-Sati’a, pag. 181-189. [In italiano, cfr. Allamah Tabataba’i, Gesù e Maria nel Corano, Irfan Edizioni, 2012, N.d.T.].

[68] Tabataba’i, Barrasiha-yi Islami, pag. 54-8.

[69] Nasr, Introduction to Shi’ite Islam, pag. 17-18.

[70] In italiano, Allamah Tabataba’i, La Shi’a nell’Islam, Semar, Roma, 2002 (N.d.T.).

[71] Il quarto libro di Tabataba’i ad essere reso disponibile in inglese, Islamic Teachings: An Overview (trad. R. Campbell, New York, 1989), non faceva parte dello stesso progetto. [In italiano, Allamah Tabataba’i Compendio della dottrina islamica, Associazione mondiale dell’ Ahlulbait, Qom, 2009 (N.d.T.)].

[72] Tabataba’i, Barrasiha-yi Islami, pag. 93-122. È un peccato che questa raccolta di pezzi occasionali di Tabataba’i non fornisca informazioni sui luoghi e le date di pubblicazione originali.

[73] Ivi, pag. 258.

[74] Del testo esistono due traduzioni in lingua inglese: Occidentosis. A Plague From the West (Mizan Press, 1984) e Gharbzadegi: Weststruckness (Mazda, 1983). [In italiano è disponibile la traduzione del primo capitolo, curata da Simone Ruffini e consultabile su: http://meykhane.altervista.org/QMEY_6-_2RUFFINI-GharbzadegixQSIM6.pdf (N.d.T.)]

[75] Ivi, pag. 31.

[76] Bahthi dar bara-yi marja’iyat va ruhaniyat (Teheran, 1341 SH/1962), pag. 71-100. Il saggio è riprodotto in Tabataba’i, Barrasiha-yi Islami, pag. 169-95.

[77] Ahmad Luqmani, ‘Allamah Tabataba’i, Mizan-i ma’rifat (Teheran, 1374 SH/1995), pag. 78, citando l’Ayatullah Javadi-Amuli.

[78] Tabataba’i, “Vilayat va za’amat”, pag. 91-22.

[79] Ivi, 97.

[80] Ivi.

[81] Qanun-i asasi-yi jumhuri-yi islami-yi Iran (Teheran, 1372 SH/1993), pag. 54-5.

[82] Tafsir al-Mizan (Teheran, 1362 SH/1983), iv. 97-141. Cfr. anche Subhani, “Shakhsiyati ki ba tanha’i millati bud”, pag. 114.

[83] Citato da Misbah Yazdi, “Hukumat dar Qur’an az nazar-i Tafsir al-Mizan”, in Yadbud: Yadvara-yi ‘Allamah Tabataba’i dar Kazarun, pag. 204. Sulla filosofia politica di Tabataba’i, Cfr. inoltre Muhammad Javad Sahibi, “Falsafa-yi siyasi az didgah-i ‘Allamah Tabataba’i”, Kayhan-i Andisha, n. 36 (Mihr-Aban, 1368/settembre-ottobre 1989), pag. 13-19.

[84] Rispetto al presunto ‘quietismo’ di ‘Allamah, gioverà ricordare che durante l’atmosfera oppressiva del regime dello Shah Pahlavi, nella quale pochissimi osavano proferire qualcosa contro Israele, il 9 maggio 1970 ‘Allamah Tabataba’i – insieme all’Ayatullah Mutahhari e all’Ayatullah Abulfazl Musavi – in un comunicato congiunto distribuito nel Bazar di Teheran definì il regime sionista “un governo di paglia e fantoccio”, aprendo inoltre tre conti bancari dove si invitavano i credenti a sostenere anche finanziariamente il popolo palestinese. Un’azione che attirò le attenzioni della tristemente famosa polizia politica dello Shah, la Savak (creata dai servizi segreti americani e israeliani), che impedì di pubblicare il comunicato sui quotidiani nazionali e fece forti pressioni per impedire la raccolta di fondi che secondo le forze di sicurezza del regime Pahlavi erano destinati “non ai rifugiati ma ai comando palestinesi”. Cfr. .http://motahari.org/index.aspx?pageid=186&p=1 (N.d.T).

[85] Sayyid Hamid Ruhani, Nahzat-i Imam Khumayni (Najaf, nd), vol. I, 296-302. Pur respingendo innegabilmente la liceità religiosa del suffragio femminile, la dichiarazione pone un forte accento sul modo incostituzionale in cui la misura stava per essere implementata, nonché sulle condizioni di severa repressione prevalenti all’epoca.

[86] S.H. Nasr ha cercato ripetutamente di insinuare, tuttavia, che esiste una discrepanza di base tra “la prospettiva islamica tradizionale” rappresentata da ‘Allamah Tabataba’i e le tendenze fondamentali della Rivoluzione Islamica. Così nel 1979 ha osservato che un’antologia di testi sciiti preparata da Tabataba’i era “particolarmente pertinente nel momento attuale in cui eruzioni vulcaniche e potenti ondate di natura politica associate all’Islam in generale e allo Sciismo in particolare hanno reso imperativa una conoscenza autentica delle cose islamiche” (introduzione ad A Shi’ite Anthology, a cura e trad. di William C. Chittick, Londra, 1980, pag. 11). Sette anni dopo, Nasr arrivò al punto di parlare delle “attuali aberrazioni propagate in nome dell’Islam in generale, e dello Sciismo in particolare“, queste, ancora una volta, fornendo una ragione particolare per leggere le opere dell’‘Allamah (Nasr, prefazione a Tabataba’i,  The Qur’an in Islam: Its Impact and Influence on the Life of Muslims, trad. Assadullah Yate, Londra, 1987, pag. 13). Nasr, l’unico importante collaboratore di Tabataba’i ad abbandonare l’Iran in seguito alla Rivoluzione Islamica, scrisse quanto segue in un testo preparato per un seminario che si sarebbe tenuto nell’estate del 1960 ma pubblicato nel 1967, ben quattro anni dopo il massacro dei dimostranti da parte dello Scià nel giugno 1963: ‘…nella teoria politica sciita, fino al ristabilimento del vero califfato da parte dell’Imam nascosto, la regalità è la migliore forma possibile di governo, ed è così che in Persia, con l’avvento dei Safavidi, la regalità divenne il principale sostegno dello Sciismo e da allora è sempre stata inestricabilmente legata alla vita religiosa del Paese’ (cfr. il suo  Islamic Studies Beirut, 1967, pag. 18). Questa visione, che può essere giustamente definita un”aberrazione’, difficilmente può essere supportata da riferimenti a uno qualsiasi degli scritti dell’‘Allamah.

[87] L’autore ha dimenticato di menzionare anche l’Ayatullah Mofatteh, assassinato nel dicembre del 1979, e l’Ayatullah Bahonar – allora Primo Ministro della neonata Repubblica Islamica – assassinato nell’agosto del 1981 (N.d.T.).

[88] È stato plausibilmente suggerito che la ‘rivoluzione culturale’ inaugurata da Tabataba’i con l’insegnamento della filosofia e del tafsir sia servita come necessario complemento al movimento politico lanciato dall’Imam Khomeyni più o meno nello stesso periodo. Cfr. Muhammad Taqi Misbah, “Naqsh-i ‘Allamah Tabataba’i dar ma’arif-i islami”, Yadnama-yi ‘Allamah Tabataba’i, pag. 190.

[89] Ahmadi, “Akhlaq-i ‘Allamah va yek bahth-i falsafi”, pag. 174-6.

[90] Al-Tihrani, al-Shams al-Sati’a, pag. 83.

[91] Non sembra che sia stata pubblicata alcuna raccolta completa delle poesie di Tabataba’i. Per degli esempi, tuttavia, cfr. Kayhan-i Farhangi, n. 6.8, 4, 7 e 9; Ja’far Subhani, “Shakhsiyati ke ba tanha’i millati bud”, pag. 114; il giornale Astan-i Quds (Mashhad), n. 2.249 (24 Aban 1368/15 novembre 1989); e al-Tihrani, al-Shams al-Sati’a, pag. 83-92.

[92] Con questo termine, che potremmo tradurre con “Infallibili”, nell’Islam Sciita ci si riferisce al pleroma dei quattordici: il Profeta Muhammad, sua figlia Fatima Zahra e i dodici Imam (N.d.T.).

[93] Subhani, “Shakhsiyati ki ba tanha’i millati bud”, pag. 116.

[94] Al-Tihrani, al-Shams al-Sati’a, pag. 123. Per il messaggio di condoglianze dell’Imam Khomeyni alla famiglia e agli studenti dell’‘Allamah, cfr. Khomeyni, Sahifa-yi Nur (Teheran, 1361 SH/1982), vol. XV, pag. 220.

[95] Bid-i-Hindi, “Mufassir va hakim-i ilahi”, pag. 63, 77; Ahmad Luqmani, ‘Allamah Tabataba’i, Mizan-i ma’rifat, pag. 90; Ahmadi, “Akhlaq-i ‘Allamah va yek bahth-i falsafi”, pag. 172; al-Tihrani, al-Shams al-Sati’a, pag. 93.

[96] Subhani, “Maqam-i ‘ilmi va farhangi-yi ‘Allamah Tabataba’i”, pag. 7; Bid-i-Hindi, “Mufassir va hakim-i ilahi”, pag. 63, citando l’Ayatullah Muhammad Taqi Misbah.

[97] Al-Tihrani, al-Shams al-Sati’a, pag. 106.

[98] Luqmani, ‘Allamah Tabataba’i, Mizan-i ma’rifat, pag. 82.

[99] Al-Tihrani, al-Shams al-Sati’a, pag. 75.

[100] Ivi, pag. 97.

[101] Per un elenco di questi manoscritti, cfr. al-Sayyid Ahmad al-Husayni “Maktabat al-‘Allamah al-Tabataba’i”, Turathuna, n. 8.7-8 (Rabi’ II-Ramadan, 1407/dicembre 1986-aprile 1987), pag. 150-63.

[102] Bid-i-Hindi, “Mufassir va hakim-i ilahi”, pag. 76.

[103] Al-Tihrani, al-Shams al-Sati’a, pag. 101; Bid-i-Hindi, “Mufassir va hakim-i ilahi”, pag. 63, citando l’Ayatullah Mutahhari.

 

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Writer : shervin | 0 Comments | Category : Il pensiero islamico

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