L’Unità Divina (Tawhid)
R.Arcadi
L’Unità d’Iddio Altissimo, sia magnificato ed esaltato, è uno dei pilastri della Rivelazione e del culto divino, nella fattispecie della via della purezza e dell’integrità muhammadica propria ai retti seguaci degli Imam immacolati della Dimora del Vaticinio, la pace su tutti quanti loro. Procedendo dalle altezze inaccessibile della Santissima Essenza, essa si riflette e si articola in primo luogo nell’unicità superna degli Attributi e degli Atti.
Quivi di già l’Unità accenna ad una pluralità, e la produce, identificandosi essa con i singoli elementi di un’articolazione, che essa risolve senza residuo nella sua semplicità, facendoli sussistere in quanto tali, in questa medesima identità semplice, che conferisce loro la massima intensione nel loro massimo estendersi, per procedere quindi al dominio del molteplice, secondo le sue varie configurazioni e le sue varie modalità.
Non è certo questo il luogo atto all’esposizione ed alla disamina accurata di un siffatto argomento, altrove già trattato, e da altri, ben più qualificati che noi non siamo. Quel che qui ci interessa prendere in considerazione, sono le conseguenze ultime, concrete, d’ordine fattivo, di questa dottrina e realtà fondamentale, conseguenze che sono sfortunatamente sin troppo sovente trascurate, per non dire neglette.
Quel che vogliamo qui dire con tutto questo, è che invero Iddio, l’Altissimo, l’Uno, il Reale, sia benedetto e glorificato, a procedere dalle Sue altezze supreme inattingibili, ha voluto fare dono di questa quintessenza dei Suoi tesori sublimi sino all’ultima delle particole create, imponendola d’altra parte come compito e meta a quanti seguano la Sua via, sia nell’ambito personale, che nel dominio comunitario di questo nostro basso mondo.
“Di’, Egli, Iddio, è Uno, Iddio l’Eterno”, così recita Egli stesso, l’Altissimo, sia magnificato ed esaltato nel Sacro Corano (XXII, 1-2): quello ch’Egli stesso ci dice, ingiunge a noi di proclamarlo, per bocca del Suo Messaggero ed Inviato benedetto, di quegli che per noi è l’esemplare, è il modello reale e compiuto d’ogni nostro atto e portamento, del nostro stesso essere, e di tutto quel che ne procede identificandoglisi, ond’abbia a giungere al suo fastigio.
Quel che vogliamo con ciò osservare, sottolineare, e ribadire, è che Iddio Altissimo, ne sia esaltato l’Essere, dopo d’averci creato, ciascheduno e tutti quanti, uno, esige da noi appunto l’unità, come destinazione e fine del nostro essere, in ogni sua guisa. Che cosa significa invero tutto questo? Significa che l’unità è il principio, la condizione, il mezzo, la sussistenza, il compito, il fine, la destinazione, la realtà stessa della nostra esistenza.
Egli, l’Altissimo, l’Uno, ha voluto che lo seguissimo, che lo adorassimo nella prostrazione, per adergerci ed esaltarci, Egli ci ha imposto un modello effettuale a cui conformarci, realizzando l’unità in quanto ufficio attuativo, quella medesima unità che è, nell’articolazione dei suoi svariati livelli, la condizione e la ragione, il concomitante che si converte, e l’identità stessa del nostro essere, dell’essere, e dell’Essere stesso Suo Divino.
Qualunque realtà del modo, sia presa in senso composito che in senso diviso, è una; uno è l’universo, unico nei suoi vari aspetti, segni, “versi” volti all’Uno, che riflettono a distanza infinita, senza nessun supporto previo, la Luce Divina. Uno è l’Uomo, anche nella sussistenza effettuale della sua insussistente alterità da Quegli al cui riflesso egli è conforme, e deve conformarsi, realizzando così la sua destinazione, ovverosia quello ch’egli è ab aeterno.
Una è la natura creata, al di là dei suoi vari aspetti ed articolazioni, che anch’essa si sottomette ed adora, nella sua unicità, con gloria, lode e preghiera, Iddio Altissimo, l’Uno, il Reale, sia magnificato ed esaltato, in una guisa a suo modo percettibile, anche se noi non ce ne avvediamo (S.C., XVII, 44). Uno è l’insieme degli ordini delle sostanze celestiali, delle intelligenze superne, materiate dei raggi del Suo splendore, che esse riflettono da presso la sua stessa sussistenza, moltiplicandolo nella sua unicità.
Uno è l’ordine dei gradi dei geni, o dei demoni, sostanziati dalla vampa che procede dal suo fulgore, sino a riflettersi nell’unicità variegata, molteplicemente atteggiatesi, delle nostre produzioni immaginali e mentali. Uno è il Giardino superno, con i suoi frutti e con i suoi gradi d’approssimazione all’Unità inattingibile, che all’Uno sono volti, e da Esso procedono.
Ed una è la presenza della Sua Collera, inscindibile dall’Unicità complessiva e dal Nome Supremo, che sostiene da tergo il precipitare delle voragini infernali nell’insussistenza del nulla, al limitare della dissoluzione assoluta, dell’assoluta insussistenza ed annichilazione, nel cui luogo Egli compare empiendolo, nel luogo del nulla, che non è, cedendo il campo all’Uno, all’Essere che è, nella figura e nella guisa di Chi punisce.
Ed una è, ed ha da essere, la comunità dei credenti, al di là di ogni traviamento e tradimento, d’ogni errore od omissione, alla medesima stregua del Messaggio d’Iddio Altissimo, l’Uno, il Reale, sia magnificato ed esaltato, e del Suo culto e della Sua Legge, che si attuano nell’unicità del circolo del Vaticinio, della Rivelazione, che da Lui direttamente discendono, e della Guida Imamica, della tradizione, che presso di noi siamo tenuti ad osservare e preservare.
Abbiamo già detto poc’anzi, che fine di queste nostre brevi note è di mettere a fuoco, quelle che sono le questioni d’ordine concreto e fattivo sottese alla dottrina ed alla realtà stessa dell’Unità Divina, nel suo esternarsi al nostro livello d’esistenza. Questioni fattive che sono invero di due sorte, personale e comunitaria, che definiscono due compiti, complementari ed intimamente uniti tra loro.
Noi già ben sappiamo, com’è che il culto divino consista nell’adempimento del Messaggio Rivelato, del comando dell’Uno, di sottometterGlisi e d’adorarLo, d’attuarLo nella nostra sia pure infinita distanza, riconoscendo la nostra nullità al suo cospetto, e riconoscendo il dono di cui Egli ci ha degnati, e dell’esistenza, e della sua perfezione finale, che è tutto ciò che noi siamo, o possiamo essere, come nostro ufficio e compito.
È necessario a questa medesima stregua realizzare la nostra persona come puro segno d’Iddio, sia magnificato ed esaltato, liberandola dalle sue concrezioni limitative, come mero “verso” del Suo orientamento, se ci è permesso di rendere, con un’ambiguità di locuzione propria alla nostra lingua, il duplice senso del termine arabo ãyaħ, designante la minima partizione coranica, e nella nostra loquela, la partizione di un carme, oltre che con il significato appunto di “segno”.
Significato immediatamente letterale, almeno quanto a noi, quanto al nostro stato presente, nel senso appunto e di questa medesima partizione e degli altri sensi immediati, e significativo ed attuativo nel senso della trascendenza, per cui essa, ma non soltanto essa, al di là della sua centralità, ma tutto quanto il creato, consiste, nella sua stessa sussistenza, del suo orientamento a Lui, “verso” Lui, l’Uno, in quanto appunto “universo”.
AdorateMi, questa è la Sua ingiunzione, come vi ho ingiunto d’adorarMi, siateMi servi, sottomessi, umili, poveri al Mio cospetto, d’assoluta povertà, tutto da Me aspettando, tutto da Me ricevendo, il che altro non è che la nostra immensa ricchezza, il che non è se non il dono della Sua stessa Unità, della Sua Essenza, quale Egli stesso ce l’ha nominata con la Sua favella: “Egli, Iddio, è Uno“.
E non ad altro che a questo Egli ci ha creati: per il nostro essere uno da lui, nostro fine e destinazione, al cui cospetto tutto il creato non è che difetto, privazione, insussistenza priva d’unità, con Lui ed in noi. Ma ora, siccome avevamo già premesso, siffatta unità riflette, ed è riflessa a sua volta in quella della comunità dei credenti, ed anzi, ne viene attuata, siccome in un compendio eminente, quantunque al nostro medesimo livello d’esistenza.
La comunità dei credenti, al di là delle mancanze del singolo, è realizzazione, attuazione, superamento dei suoi limiti al nostro livello d’esistenza, è compendio eminente delle sue qualità, sebbene in una guisa ancora frammentata, che ha la sua attuazione superiore in quella luce muhammadica ed imamica, che a sua volta la compendia, e trascende, e travalica, scaturendo direttamente dalle altezze inaccessibili della Santissima Essenza.
Il nostro essere ha dunque da realizzarsi per quello che è, nell’adorazione d’Iddio Altissimo, sia benedetto e glorificato, nella conformità ai precetti della Sua Rivelazione, onde gli venga dato d’attuarsi nella comunità dei credenti, al di là delle sussistenze individue, col che gli sarà concesso d’approssimarsi alla sostanza di quella luce posta apparentemente di là da lui, che lo trascende e l’include, sua natura ultima e più reale.
È inutile sottolineare, a questa medesima stregua, con quale veemenza Iddio Altissimo, sia magnificato ed esaltato, ci abbia imposto il compito della costituzione, della difesa, della promozione della comunità dei credenti, dei sottomessi a Lui, della comunità islamica, come compito essenziale al nostro livello d’esistenza, tramite ed anello di congiunzione con i livelli superiori dell’essere, con le stazioni spirituali proprie ai Perfetti.
Quello che vogliamo rilevare e ribadire con ciò, è che la costituzione della comunità islamica, nella sua essenziale unità, è un compito fondamentale e centrale, i cui risvolti e le cui ragioni profonde vanno ricercate in ben altri ambiti, che non in quello meramente pubblico e sociale, ma bensì in principi d’ordine eminentemente trascendente, fondamento e scaturigine, in noi e di là da noi, d’ogni nostro atto e stato, d’ogni nostro essere.
A fondare e confermare l’importanza di una nozione e di una realtà siffatte, dell’unità al livello della comunità dei credenti, sta la narrazione celeberrima di Ġadīr Ķumm, che istituisce in essa comunità la funzione imamica, come perfezione e fastigio della Rivelazione divina, in quanto occasione della rivelazione del relativo verso coranico (V, 3), o piuttosto, venendone a palesare, all’interno dell’effettualità, la sussistenza sempiterna nel cospetto d’Iddio Altissimo, nella Sua Intimità, Ne sia esaltato l’Essere.
Nella suddetta tradizione, com’è ben risaputo, l’Inviato d’Iddio Altissimo – ch’Egli lo benedica e benedica la sua Famiglia Immacolata – con una domanda ed un’affermazione che si pongono apparentemente oltre i limiti dell’assurdo, chiede alla folla dei credenti riuniti attorno a lui, in una località nei pressi della Mecca, al ritorno dal suo ultimo pellegrinaggio mortale, se egli sia loro più vicino che non essi stessi, ricevendone una risposta affermativa.
È questa invero l’attestazione più recisa e perentoria, e più assoluta, dell’unità come fondamento e sussistenza dell’umana natura, e della natura creata tutta quanta, giacché la stazione e la funzione imamica, di cui qui si va trattando, sono invero il fondamento e la scaturigine superna di tutti gli esseri creati, i quali soltanto per suo tramite e per sua ragione adorano e lodano e glorificano Iddio Altissimo, sia magnificato ed esaltato.
È così ch’essi si prosternano dinnanzi alla profusione della Sua luce superna, alla quale egli immediatamente sovrasta, della luce muhammadica dell’Uomo Perfetto, ed a maggior ragione, se a ciò sono invero tenute, conformemente alla narrazione ed all’ingiunzione coraniche, le creature più perfette, le pure intelligenze celestiali superne, nei confronti della sua estrinsecazione adamica ad essa subordinata, che di quella è riflesso (S.C., II, 34).
Siffatta vicinanza, nel suo senso più immediato, è unità, che fonda e feconda l’adorazione e l’essere stesso dell’uomo e della natura creata: Iddio Altissimo, si lodato e glorificato, è Uno in Sé, ed Unico nei livelli della Sua manifestazione, e la Sua Unità suprema si riverbera in quella luce a cui pure Egli infinitamente sovrasta, la quale, quanto a noi, palesa la Sua unità nel profondo della sua intimità, vale a dire, del suo esserci intima.
L’assurdo apparente dell’Unità d’Iddio Altissimo, sia benedetto e glorificato, non è se non l’assurdo apparente dell’unità dell’essere, vale a dire, di una prossimità che gli è, e ci è, quanto a noi stessi, più identifica della sua identità stessa, in quanto ne supera e realizza l’effettualità, entro lei stessa, ai suoi vari livelli, nel fondo della sua interiorità ed intimità, nel fondo del suo cuore di luce, che la riconnette direttamente a quell’identità Suprema.
E l’assurdo apparente, ed il segreto della funzione e della realtà imamica, sia pure nella sua esteriore sussistenza, ma nella sua scaturigine di luce, è anch’esso il segreto della prossimità e dell’intimità, come contraltare della lontananza apparente da quella Perfezione Una, che è il fastigio dell’universo creato, ed istmo, barriera, e linea di demarcazione, che lo separa e l’unisce alla trascendenza increata, all’unità, suo principio, e sua destinazione.
La comunità dei credenti pertanto, una ed unica in Iddio Altissimo, l’Uno, Ne sia esaltato l’Essere, nella Sua Identità, e nelle Sue produzioni, è unica ed una in quello di cui Egli ci ha fatto dono, che è dono dell’intimo del Suo amore, in quella luce muhammadica ed imamica, natura profonda della Rivelazione, che discende tra noi, dal suo contatto con l’identità Suprema, ad assumere forma e vestigio di segno, di loquela, di persona.
Ed è questa, siccome invero ci attestano il Sacro Corano (V, 3) e le narrazioni, la perfezione ultima della Rivelazione, l’unità e la perfezione dell’essere dell’uomo sia come persona che come comunità: il Nunzio divino ed i suoi Imam benedetti, che Iddio Altissimo li benedica tutti quanti, sono il modello esemplare compiutamente attinto ab aeterno, della nostra unità esistenziale, modello del quale Iddio Altissimo, sia magnificato ed esaltato, è il culmine, infinitamente infinito ed inattingibile.
La loro unità, in sé ed in noi, è il compito e la sostanza stessa trascendente ed inclusiva della nostra esistenza. Senza questa unità, mancanza che non può essere peraltro se non illusoria e velleitaria, sia la singola persona che la comunità tutta sono invero come scorza senza midollo, come vana e vacua parvenza condannati a vagare od a precipitare indefinitamente, prostituendosi a questo o a quel simulacro fallace.
Dall’altro canto, lo stesso Libro Sacro, in più luoghi (vedi ad esempio V, 55-56, et c.), ci ammonisce a che siano Iddio Altissimo, sia benedetto e glorificato, il Nunzio divino ed i credenti, vale a dire, in senso eminente e sopraordinato, gli Imam della Dimora del Vaticinio, ed in senso inferiore e subordinato, la comunità dei devoti, i nostri amici, i nostri intimi, le nostre guide, qualificati per ciò stesso ad aiutarci, emendarci ed a guidarci.
Ora, a prescindere dal fatto sopraddetto, che in un senso eminente i credenti nostri intimi e nostre guide altri non sono che gli Imam della Dimora del Vaticinio, suppositi e personificazioni della luce muhammadica; sarà pure che, dal punto di vista della comunità, affermare la “wilāyaħ”, l’intimità dei credenti nei confronti dei credenti stessi, altro non sarà, al di là di ogni vuota ripetizione e ridondanza, che ribadirne e sottolinearne l’unità.
Questo, in quanto l’unità è il tratto fondante, è la nota essenziale della comunità, la quale deve essere, ed è di fatto, e come tale è concretamente ravvisabile, in una certa misura effettuale, a dispetto di tutte le deviazioni ed incomprensioni, e di tutti i tradimenti, unica ed una in una sorta di corrispondenza di sensi, che nulla ha che vedere con il dominio quantitativo della “maggioranza”.
Il che significa che essa, a procedere dal modello trascendente superno della realizzazione muhammadica, s’attua di livello in livello, attraverso svariati gradi e stazioni, che si definiscono in ragione dell’approssimazione a Iddio Altissimo, Ne sia esaltato l’Essere, e dell’approssimazione al Nunzio divino ed ai suoi Imam Immacolati, che Iddio li benedica tutti quanti, ovverosia in ragione della Sua e della loro conoscenza.
È evidente, a questa stregua, come siffatta vicinanza vari di grado in grado il rango della cerchia degli approssimati e dei devoti, la cerchia della comunità, nei suoi vari gradi anche trascendenti: dai livelli più alti d’intimità, sino a quelli della preponderanza del difetto, che si definiscono a loro volta secondo la ragione della lontananza da questa unicità ed unità finale e reale, sino alla mera velleità della sembianza senza nocciolo: sino al mero vestigio, mera parvenza di similitudine, al di là di ogni sostanziazione superiore, al di sotto dei vestigi di natura, nella loro varia commistione di sostanza ed apparenza.
E da qui, sino all’infimo dell’abiezione (S.C., XCV, 5), all’inversione satanica, riflesso capovolto, nel verso dell’imperfezione, ovvero della separazione e del non essere, dell’unità e dell’intimità principiale. Risulta palese, a questa medesima stregua, il senso profondo e trascendente della comunità dei credenti. Ribadiamolo ancora una volta: si tratta di un compito, che è nel contempo una realtà fondante, a vari livelli d’attuazione.
La sostanza imperfetta si attua e si compie, a questa medesima stregua, nel verso d’Iddio Altissimo, sia magnificato ed esaltato, del Sigillo dei Nunzi e degli Inviati, e degli Imam immacolati scevri da colpa e da errore, li benedica Iddio Altissimo tutti quanti, secondo quelli che sono i differenti gradi della realizzazione della sua unicità, ovverosia nel verso dell’Unità Assoluta, assolutamente trascendente, e compiutamente inclusiva.
È evidente, stando così le cose, vale la pena ripeterlo ancora, com’è che l’unità della compagine dei credenti nulla abbia a che vedere, come sostenuto erroneamente da taluni male illuminati commentatori, le cui asserzioni sono in aperto contrasto con le esplicite asserzioni coraniche (VI, 116), con una facile maggioranza numerica, cosiddetta “democratica”, che esprimerebbe la “volontà popolare”, priva di ogni ragione profonda, oltre che del tutto inconsistente, al di là degli abusi dei termini.
Essa è invece strettamente correlata al fatto d’essere seguaci conformi, ciascuno a suo modo ed al suo livello, della Guida imamica, conformandoci a quella che è la perfezione sia dell’adorazione e della servitù divina, che della stessa esistenza creata. Ed è questo il reale “potere del popolo”: la corrispondenza alla sua guida, al di là delle distorsioni varie, a cominciare da quella che lo riduce ad una mera maggioranza numerica.
Si tratta, vale la pena ribadirlo ancora una volta, di seguire quel che ci è più vicino che non noi stessi, si tratta d’inseguire la nostra unità e interna e superna, la nostra meta di perfezione, al di là di tutte le concrezioni limitative, le scorze, le scorie, gli inganni, le illusioni, i fallimenti, che ne sono anch’essi a loro modo riflessi, ma in una guisa distorta, sfigurata, invertita, alla medesima stregua in cui l’errore e la menzogna sono il riflesso capovolto della realtà.
Si tratta di realizzare alfine la nostra unità, nel verso delle potenze superiori del nostro stesso essere, prendendo dunque le redini della nostra “nafs”, della cieca concupiscenza ed irascibilità istintuale, passionale, ed emotiva della nostra anima, che ci trascina o a vagare senza meta, o a sprofondare nel nulla, con l’aiuto ineludibile d’Iddio Altissimo, sia benedetto e glorificato, col favore della Sua grazia, e la mediazione dei Purissimi.
Quante volte, e Iddio Altissimo, Ne sia esaltato l’Essere, ci chiamerà alfine a renderne conto, quante volte si regolano i nostri rapporti umani, e non solo quelli, che dovrebbero essere invece fraterni, improntati alla ricerca dell’unità, sul fondamento di reazioni passionali, egoistiche, “nafsiche”, che nulla hanno a che vedere colla nostra intelligenza, col nostro dovere di conformarci alla Volontà Divina, seguendo la guida imamica. Quante fatue presunzioni, puntigli insulsi, torbide pervicacie, che ci allontanano da questo compito fondamentale, che ci stornano da questa nostra realtà profonda, da questa nostra meta d’attuazione. E ci riferiamo qui a questo nostro stato imperfetto, a questa nostra modestia e miseria attuali, ben piccola cosa, e non certo alle culminazioni della conoscenza e della realizzazione superna, di cui talora andiamo blaterando dal pozzo oscuro della nostra pochezza.
Non è certo nel nome d’Iddio Altissimo, sia benedetto e glorificato, e del Suo Inviato, e dei suoi Imam benedetti, la pace si di loro, e di tutti i sinceri credenti, che siamo pronti ad impegnarci ed a batterci, ma in ragione delle nostre pulsioni immaginali inferiori, causa delle nostre ostinazioni e ripicche, insignificanti ed assurde, tutte radicate in quella “nafs”, in quell’ego che, siccome recita una celebre sentenza, è la “madre di tutti i simulacri”.
Giacché noi siamo così convinti di seguire noi stessi, la nostra natura profonda, quello che ci è intimo, da non renderci nient’affatto conto che tutto questo nulla ha a che vedere con la nostra unità ed il nostro stesso essere: perché dispersione, frammentarietà, alterità, estraneità com’è che potrebbero essere profondamente nostre, senza lacerare ed annichilire la nostra esistenza, ridicendola ad un coacervo insussistente d’incomunicabili?
E com’è che potrebbero dirsi realmente esistenti, piuttosto che inconsistenti ed illusori, tutti coloro che, invece di seguire ed uniformarsi all’unità della perfezione esistenziale, ai suoi vari livelli sopraordinati, preferiscono al contrario conformarsi, nel suo coacervo incoerente, a quella che è l’informe frammentarietà delle pulsioni e delle brame inferiori, proprie al dominio dell’alterità, della separazione, dell’illusione, dell’inesistenza?
Che cos’altro può significare questa sete soverchia e smodata di potere, di danaro, di rinomanza, di piacere sessuale, di cibo, di soddisfacimento emotivo e sensuale, se non estraniarsi da sé medesimi, per precipitarsi nel vortice della contingenza mutevole, che s’illude velleitariamente d’essere indipendente dall’Unità Suprema, e dall’unicità della realizzazione superna? Che peraltro tutto questo lo comprendono eminentemente, nella loro elevatezza sublime, inaccessibile alle intelligenze ottenebrate, menomate, ed invertite, incapaci di sollevarsi dalla loro abiezione.
Come potranno un’intelligenza ed una volontà siffatte, che in realtà altro non sono che una limitazione o, nel peggiore dei casi, una contraffazione, di quelle reali, le quali si ostinino entro siffatti limiti, e dietro a siffatti simulacri disgustosi, elevarsi al grado del proprio reale soddisfacimento, e della propria perfezione? Come potranno passare da ciò che è limitato a ciò che è compiuto, e così attuarsi, conformemente alla realtà della loro natura?
Ci dice Iddio Altissimo, ne sia esaltato l’Essere, nel Suo Libro, che i frutti del Giardino superno (S.C., 25) avranno un aspetto ed un sapore a noi già noti: perché saranno quelli i frutti autentici, perfetti e reali, di là da ogni menomazione. Ed è lassù che ci sarà dato alfine di gustare la realtà reale, anche nel suo aspetto corporeo, della quale cui questa di quaggiù non è che un povero sembiante, un’apparenza anticipatrice, nel migliore dei casi.
Ma rendersi conto di tutto questo, e giunger ad attuarlo, null’altro significa se non seguire la via indicataci da Iddio Altissimo, sia magnificato ed esaltato, e dai Suoi Intimi, la pace su di loro, senza lasciarci fuorviare dal turbine dei frammenti impazziti della nostra percezione, abbandonata a sé stessa, e camuffata all’occorrenza col mero sembiante dell’intelligenza e della ragione, onde vagare nella parvenza, o precipitare nel verso del nulla.
Tutto questo altro non vuol dire altro, che seguire la via ascendente della perfezione e dell’unità, in noi, fuori di noi, al di sotto di noi, al di sopra di noi, quanto all’universo intero, nel senso di non lasciarci involgere nei veli e nelle reti della molteplicità e della separazione, il che ci porterà a non ravvisare in essi nient’altro che sembianti e parvenze, e vestigi e segni dell’unicità superna e dell’unità Suprema, a cui c’è ingiunto d’addivenire.
“Sia esaltato Iddio, Signore del Soglio, di là da quello che gli attribuiscono” (S.C., XXI, 22).
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