Note critiche all’introduzione di A. Negri a “Mezzaluna sciita” di S. Caputo

Note critiche all’introduzione di A. Negri a “Mezzaluna sciita” di S. Caputo

Nel 2018 ha visto le stampe il libro del giornalista Sebastiano Caputo “Mezzaluna sciita”, edito da GOG con il sottotitolo “dalla lotta al terrorismo alla difesa dei cristiani d’Oriente”. Secondo le intenzioni dell’autore, già ideatore e direttore della rivista online “L’Intellettuale Dissidente”, l’obiettivo è quello di “far conoscere lo Sciismo e gli sciiti attraverso l’esperienza sul campo” dopo aver viaggiato “nelle grandi patrie mediorientali dello Sciismo Duodecimano”.

 

Sulla prefazione

La prefazione al libro porta la firma di un noto giornalista come Alberto Negri, che l’autore definisce espressamente “un maestro” (pag. 37). Prima di affrontare il testo vero e proprio ci soffermeremo su alcuni punti di questa prefazione, perché sulla Rivoluzione Islamica dell’Iran presenta delle gravi deformazioni della realtà e spaccia per verità storiche delle ‘teorie’ che definire strampalate è piuttosto riduttivo.

In essa abbiamo rinvenuto infatti i soliti vecchi stereotipi e alcune delle più stravaganti fandonie partoriti dalla propaganda anti-rivoluzionaria. Menzogne che sin dall’inizio della vittoria della Rivoluzione del 1979, e a maggior ragione dopo la fondazione della Repubblica Islamica, hanno trovato vasta eco presso i mass-media atlantisti e sionisti, ma che non ci si dovrebbe aspettare di sentir ripetute da un giornalista generalmente conosciuto per la sua onestà e professionalità.

Negri scrive infatti che l’Imam Khomeyni fece “importare 500 mila chiavi di plastica da Taiwan che simboleggiavano le chiavi del paradiso di Allah”. Si tratta di una diceria diffusa dai gruppi antirivoluzionari agli inizi della guerra che nel 1980 l’Iraq, con il sostegno sovietico-occidentale, impose alla neonata Repubblica Islamica dell’Iran. Il tentativo era quello di ridicolizzare i combattenti iraniani che con il loro eroismo e spirito di sacrificio avevano stupefatto il mondo, ai quali le sedicenti “chiavi” avrebbero “facilitato l’ingresso in paradiso”. C’è chi si è spinto perfino oltre, arrivando a scrivere che le presunte “chiavi di plastica” vennero fabbricate non a Taiwan ma addirittura “in un kibbutz israeliano”! (1) Simili “chiavi” non sono in realtà mai esistite, e chi possiede una conoscenza anche minima del fronte iraniano durante gli otto anni di Guerra Imposta lo sa perfettamente.

“Le chiavi del Paradiso” (Mafatih al-Jinan) è il nome di una raccolta di invocazioni e preghiere realizzata da Shaykh Abbas Qummi che i combattenti iraniani erano soliti recitare al fronte.

Un’altra panzana diffusa a suo tempo dai controrivoluzionari che troviamo ripetuta è quella secondo cui “molti” combattenti iraniani avessero meno “di 12 anni”. Negri scrive inoltre che la Repubblica Islamica dell’Iran adottò “misure coercitive nel reclutamento”, con zone dove famiglie venivano obbligate a far arruolare almeno un figlio. Sfugge forse che in Iran, così come in quasi ogni altro Paese del mondo, e a maggior ragione se in periodo di guerra, esisteva ed esiste la leva militare obbligatoria. Una conoscenza di prima mano degli eventi di quei giorni, o semplicemente rifarsi a fonti attendibili, avrebbe rivelato che tanti adolescenti, senza “misure coercitive”, cercavano in ogni modo di recarsi al fronte, implorando in lacrime i propri genitori, i comandanti militari e gli Imam delle moschee locali affinché, trascurando le norme vigenti, accordassero loro il permesso (2). Tra questi alcuni arrivarono addirittura ad alterare i dati dei propri documenti o a fuggire di casa pur di poter prender parte alle operazioni militari. Si trattò comunque di casi limitati e circoscritti, a differenza dei “molti” di cui vuol far credere Negri.

Egli menziona poi la partecipazione americana “alla battaglia contro il Califfato in Iraq e in Siria”, come se avesse avuto una qualche efficacia nella sconfitta dell’ISIS, mentre tace completamente sui numerosi casi di complicità e sostegno della coalizione a guida americana proprio ai terroristi di DAESH (ISIS) e ad altre compagini terroristiche takfiri. Fatti denunciati non solo da importanti esponenti politici e militari siriani, libanesi, iracheni e iraniani, ma portati alla luce perfino da un dossier della BBC (3).

Ovviamente non ci aspettavamo da questo giornalista particolari competenze teologiche, pertanto non ci dilungheremo nel dimostrare che non esiste alcun “divieto coranico di riprodurre la figura umana”; né immaginavamo una sua qualche comprensione reale e profonda di quanto vi è al di là del mondo puramente materiale e della sfera meramente socio-politica, per replicare laddove ironizza su “una rivoluzione” compiuta in nome di “un dio” scritto volutamente in minuscolo.

Seppur velocemente, per ovvi motivi di spazio, vogliamo però soffermarci sulle esternazioni di Negri rispetto ai Basij, presentati come “milizie” che compiono “ronde stradali per far osservare alle donne, con le buone o con le cattive, la morale islamica” e “per reprimere il dissenso degli studenti, le rivolte popolari o per soffocare gli scioperi.” Quella dei Basij è una delle organizzazioni volontarie sorte all’indomani della Rivoluzione Islamica e uno dei suoi frutti più importanti. Nata originariamente su ordine dell’Imam Khomeyni per raccogliere e organizzare i combattenti volontari che volevano recarsi al fronte per difendere la Rivoluzione e la Repubblica Islamica dall’aggressione occidentale-baathista, le sue attività ed obiettivi vanno però ben al di là di quelli puramente militari. Dopo esser stati in prima linea nel respingere l’aggressione nemica con gesta eroiche che hanno stupito il mondo intero e sono diventate oggetto di studio nelle università di ogni continente − azioni nelle quali durante gli otto anni di Guerra Imposta hanno donato decine di migliaia di martiri, invalidi e prigionieri − in questi ultimi tre decenni i Basij si sono infatti distinti sul fronte culturale, sociale, scientifico, umanitario e sanitario.

Queste “milizie” hanno difatti avuto un ruolo centrale e determinante nelle invenzioni e nelle scoperte scientifiche, come quelle effettuate nei campi dell’energia nucleare civile o delle nanotecnologie; nel sostegno alle popolazioni vittime di alluvioni o terremoti, a seguito dei quali hanno mobilitato migliaia di volontari e consegnato imponenti aiuti materiali; nel recarsi nelle zone più remote e povere della nazione (soprattutto nei periodi di vacanza, quando gli altri preferiscono ben altre lande come le spiagge nazionali di Kish o del Mazandaran, o quelle estere della Turchia, della Thailandia o del Dubai) per costruire strade, ponti, scuole, ambulatori, ospedali e moschee e fornire supporto alla locale popolazione; senza dimenticare l’opera di assistenza medica prestata, dalla lotta alla poliomielite – completamente debellata – al più recente Covid-19.

Ma il passo probabilmente più maligno è quello in cui il giornalista de “Il Sole 24 ore”, in riferimento all’elevato sacrificio dei combattenti iraniani nel corso della Guerra Imposta, scrive che “questo suicidio di massa non soltanto permette agli ayatollah di fronteggiare la superiorità tecnologica dell’esercito iracheno…ma consente anche di eliminare la gioventù più esaltata e contestatrice mettendo la rivoluzione sotto il pieno controllo del clero e del bazar”. Ogni commento ci sembra davvero superfluo.

Siamo invece costretti a dilungarci maggiormente su quanto Negri afferma riguardo alle ‘origini’ della Repubblica Islamica, rispetto alle quali egli sposa, facendosene poi megafono, una tesi davvero bizzarra. “Nel novembre del 1978 il presidente americano Jimmy Carter nominò il diplomatico George Ball capo di una task force incaricata di elaborare un rapporto sull’Iran facendo riferimento al Consiglio della sicurezza nazionale, il celebre Zbigniew Brzezisnki. George Ball ricalcò uno studio sul fondamentalismo islamico di uno dei massimi esperti mondiali, l’inglese Bernard Lewis, professore emerito all’Università di Princeton. Il progetto di Lewis era stato reso noto durante l’incontro del Bilderberg Group nell’aprile del 1979 in Austria ma elaborato molti mesi prima della rivoluzione iraniana: il rapporto suggeriva di appoggiare i movimenti radicali islamici dei Fratelli Musulmani e di Khomeini con l’intento di promuovere la balcanizzazione dell’intero Medio Oriente lungo linee tribali e religiose. Più o meno quello che è accaduto negli ultimi decenni. Il disordine sarebbe sfociato in quello che il professore definì un “Arco di Crisi”, per poi diffondersi anche nelle repubbliche musulmane dell’Unione Sovietica. L’espressione “arco della crisi”, coniata da Lewis, ebbe un’enorme fortuna, fu ripresa da Brzezinski insieme alla teoria di utilizzare l’Islam in funzione antisovietica e si diffuse sui media.”

Il passo è quasi una riproduzione alla lettera di quanto scrive William Engdhal, giornalista vicino allo stravagante movimento di Lyndon Larouche, nel suo “A Century of War: Anglo-American Oil Politics and the New World Order” (4), che Negri ha riportato anche in altri suoi articoli senza però mai menzionarne la fonte (5).

Lo stesso Engdhal si guarda bene dal citare alcun documento o fonte delle sue presunte ‘rivelazioni’ riguardanti l’incontro del Bilderberg, e pare essere stato il primo ad aver diffuso questa storiella ripresa poi soprattutto da siti “cospirazionisti” ma non solo, come vediamo anche nel caso di Alberto Negri. Secondo Engdhal, per di più, il citato “Ball caldeggiò l’abbandono di Washington del sostegno allo Scià iraniano a favore dell’appoggio all’opposizione fondamentalista islamica dell’Ayatollah Khomeini” (6). Cerchiamo di passare in rassegna quanto riportato.

Lo studioso inglese di origine ebraica Bernard Lewis (morto nel 2018), che prima di diventare un conosciuto orientalista, durante la Seconda Guerra Mondiale fu un agente dell’intelligence militare inglese, è anche noto per le sue posizioni di fervente sionista e per esser stato un influente consigliere neocon alla Casa Bianca e al Pentagono, nonché un formidabile millantatore (7).

Si afferma che lo “studio-progetto” di Bernard Lewis sarebbe “stato reso noto durante l’incontro del Bilderberg Group”, riunione nella quale, per inciso, era presente Lewis in persona (8). L’esteso articolo di colui che Negri definisce “uno dei massimi esperti mondiali” dell’Islam (9) era in verità apparso nel gennaio 1976 sul “Commentary” con il titolo “The Return of Islam”. In esso, dopo una lunga e per certi aspetti dettagliata ricostruzione storico-dottrinale, egli concludeva dicendo che l’Islam è “ancora la forma più efficace di consenso nei paesi musulmani, l’identità di gruppo di base tra le masse […] L’Islam è una forza molto potente, ma ancora non orientata in politica. Come possibile fattore nella politica internazionale, la prognosi attuale non è molto favorevole” (10).

L’articolo dell’orientalista anglosassone ebbe l’indiscutibile pregio, tre anni prima della vittoria della Rivoluzione Islamica in Iran, di mettere in risalto un aspetto – quello del ritorno politico-sociale dell’Islam e della sua forza di attrazione tra le popolazioni musulmane – in un periodo in cui simile intuizione era completamente ignorata e sottovalutata dalla maggior parte degli studiosi e politici occidentali, anche quelli specializzati nel settore. Il saggio, per l’appunto una lunga disamina storica e teologica che spiegava come l’Islam avesse gradualmente aumentato la sua influenza tra le popolazioni musulmane, non contiene però alcun riferimento all’“arco di crisi”, termine che ci risulta fu coniato, in un discorso tenuto nel dicembre del 1978, non da Lewis ma proprio da Brzezinski (11). Nel lungo scritto non troviamo inoltre la minima indicazione a sostenere il movimento dei Fratelli Musulmani né l’Imam Khomeyni, il cui nome, in tutto il brano, neanche appare.

È interessante notare come tali riferimenti siano del tutto assenti anche nel resoconto della Conferenza del Bilderberg alla quale fanno riferimento sia Engdhal che Negri: una relazione dell’incontro, tenutosi in Austria nell’aprile del 1979, cioè appena due mesi dopo la vittoria della Rivoluzione Islamica in Iran, pubblicata dallo stesso Bilderberg. In essa emergono anzi chiaramente le apprensioni e le paure dei membri del “club elitario” per gli esiti iraniani nella sfera politica, culturale, economica e della sicurezza (12). Gli stessi timori li ritroviamo espressi nel resoconto della Conferenza del Bilderberg dell’anno successivo (13).

Sulla posizione assunta dall’Occidente di fronte alla Rivoluzione Islamica, a cui per motivi di spazio potremmo solo accennare, ritorneremo più avanti. Poco dopo la cacciata popolare dello Shah dall’Iran avveniva infatti un altro evento di estrema importanza per il Vicino Oriente e il mondo intero: venivano firmati gli accordi di Camp David. L’avvenimento rappresentò indubbiamente un “successo storico” per la diplomazia di Washington, laddove una nazione di enorme rilevanza strategica come l’Egitto diventava il primo paese arabo a firmare un “trattato di pace” con il regime sionista. Ci appare quindi inverosimile che dopo lunghi anni di trattative per giungere a un accordo sofferto e cruciale come quello tra Egitto e Israele, i governi occidentali optassero per sostenere il principale avversario e la più grande minaccia per la stabilità del governo de Il Cairo, ovvero i Fratelli Musulmani: movimento nato proprio nell’antico paese delle Piramidi, che da sempre era stato il cuore pulsante dell’organizzazione fondata da al-Banna.

Quanto alla posizione che Bernard Lewis assunse a suo tempo rispetto alla Rivoluzione Islamica e all’Imam Khomeyni, è lui stesso, in un libro-intervista della giornalista italo-israeliana Fiamma Nirenstein, a descrivercela: “Con un po’ di buonsenso e di studio era possibile capire tutto. Tutto era esposto alla luce del sole. Tutti sapevano quello che stava accadendo. Era ovvio. Le faccio un paio di esempio. Quando iniziarono ad arrivare le notizie sulla possibile rivoluzione, Khomeini si trovava a Parigi o appena fuori Parigi. Qual è la prima cosa che fa un accademico? Andare nella biblioteca dell’università per verificare se Khomeini avesse scritto dei libri. Ne aveva scritto uno che si intitolava Governo islamico e che negli anni successivi è stato definito il suo Mein Kampf, una definizione piuttosto azzeccata. Lo presi in prestito e lo lessi. In questo libro, egli esponeva in modo molto chiaro e onesto, senza alcuna ambiguità, come vedeva un buon governo islamico e che cosa intendeva fare se fosse riuscito ad andare al potere. Dopo averlo semplicemente visto scritto da lui stesso nero su bianco, sapevo cosa aspettarmi. Negli ambienti politici e intellettuali si pensò in generale soltanto che lo scià era un monarca tirannico e che la rivoluzione contro di lui avrebbe instaurato una repubblica libera, e che quindi le cose sarebbero andate meglio per il popolo. Erano speranzose assurdità. Khomeini non lottava per la libertà, il liberalismo non lo interessava. Lottava contro quello che vedeva come un regime secolare filo-occidentale, allo scopo di realizzare il suo ideale di regime islamico. Cercai di persuadere chi potevo raggiungere delle intenzioni della rivoluzione, ma non mi vollero credere. Parlai loro di questo libro, pubblicato solo in due lingue, arabo e persiano. Si trattava di una serie di conferenze che Khomeini aveva tenuto in Iraq. Non ricordo esattamente quando fu pubblicato, ma credo sette o otto anni prima della rivoluzione. Si rifiutarono di credere all’esistenza e all’autenticità di questo libro. Mi dissero addirittura che il libro non esisteva, che si trattava di un falso…(…) se anche lei avesse letto quel libro non avrebbe avuto dubbi su chi era quest’uomo, da dove veniva e cosa aveva intenzione di fare. Una cosa positiva che si può dire di Khomeini è che non era assolutamente un ipocrita, né un bugiardo” (14).

Bernard Lewis ha raccontato la vicenda anche in un’intervista rilasciata a Barri Weiss e apparsa sul “Wall Street Journal” (15).

Brzezinski, da parte sua, era uno dei consiglieri americani che durante la Rivoluzione Islamica sollecitò maggiormente lo Shah ad impiegare la forza militare per soffocare l’opposizione (16), e dopo l’ignobile fuga di Pahlavi dall’Iran fu tra coloro che maggiormente si attivarono affinché Carter gli concedesse rifugio negli Stati Uniti (17).

È indicativo che perfino l’ex monarca iraniano, neanche lui peraltro alieno alle visioni complottistiche che circolano sulla Rivoluzione del ‘79, nel suo “testamento politico e morale” arrivasse ad ammettere candidamente che con l’instaurazione della Repubblica Islamica “i più grossi perdenti sono gli Stati Uniti: avevamo firmato con essi un trattato commerciale che prevedeva da parte loro una vendita per dieci miliardi di dollari di materiale e di forniture diverse all’anno per cinque anni. Tutto ciò è svanito!” (18)

Lo stesso Negri, alla fine della prefazione, descrive poi l’Iran come “uno stato che ha una connotazione assai strategica perché non si è mai piegato agli Stati Uniti” (!!).

Non possiamo qui esporre in dettaglio le vicende che portarono alla vittoria della Rivoluzione Islamica dell’Iran e alla confusione e al panico che da allora sconvolse le cancellerie d’Occidente. Un’analisi delle informazioni parziali e delle interpretazioni spesso errate dei governi occidentali della realtà religiosa, politica, sociale e culturale iraniana, dell’incapacità di Washington e dei suoi alleati di comprendere gli eventi in corso e quelle realtà, degli scontri interni rispetto alle strategie da seguire e alle decisioni da prendere che regnavano nella Casa Bianca e tra i vari enti e uffici statunitensi, della tarda conoscenza da parte americana della malattia terminale dello Shah, della missione segreta a Teheran del comandante delle forze Usa in Europa Generale Robert Huyser (19), degli sforzi occidentali per ritardare il rientro dall’esilio da Parigi dell’Imam Khomeyni, delle pressioni americane sul “governo temporaneo” sorto dopo la Rivoluzione, dei differenti tentativi di colpo di Stato successivamente alla nascita della Repubblica Islamica, del sostegno al regime di Saddam nell’invasione dell’Iran, dei complotti orchestrati all’interno della sede diplomatica americana a Teheran fino alla sua occupazione da parte degli studenti rivoluzionari, dell’operazione militare fallita nel deserto di Tabas (20), dell’ospitalità concessa ai criminali del regime Pahlavi in fuga, del finanziamento e sostegno logistico ai gruppi monarchici nostalgici, dell’aiuto ai gruppi terroristici come quello di MKO e dell’appoggio ai movimenti secessionisti nelle regioni iraniane del Khuzistan e del Kurdistan: tutto ciò richiederebbe un saggio a sé stante, che esula dagli obiettivi della presente recensione.

Chiunque volesse sinceramente, seriamente e realmente valutare la posizione degli Stati Uniti e delle centrali di potere mondialiste di fronte agli eventi di quegli anni può però consultare l’ingente materiale esistente al riguardo. Ci riferiamo ai documenti ufficiali declassificati (21), alle testimonianze dirette dei principali protagonisti americani delle vicende di quegli anni (22) e agli studi che su questi documenti, testimonianze e memorie sono stati realizzati da ricercatori e accademici occidentali (23); non di certo alle strampalate, bizzarre e infondate tesi che certuni cercano di spacciare per verità storiche. Di fronte a questa imponente e importante mole di documenti risulterà chiaro come gli Stati Uniti cercarono fino all’ultimo e con ogni mezzo di salvare il regime dello Shah. Dopo aver giocato la carta del Primo Ministro Shapour Bakhtiar l’Occidente prese poi seriamente in considerazione l’instaurazione di un regime militare, avvalendosi dei generali fedeli alla dittatura monarchica, ipotizzando al contempo più volte tanto il rapimento quanto l’eliminazione fisica dell’Imam Khomeyni (24). Quando fu chiaro che non vi era più alcuna possibilità di mantenere in vita il vecchio regime, e con l’ignominiosa fuga all’estero del monarca iraniano, stabiliti già dei contatti con gli elementi liberali e laici dell’opposizione senza tuttavia mai abbandonare del tutto l’ipotesi di ripristinare il sistema monarchico, tentarono di manovrare la Rivoluzione e farle intraprendere – grazie a Dio vanamente − un cammino diverso da quello voluto dalla popolazione religiosa e rivoluzionaria. Popolazione che, compattatasi sin dall’inizio sotto la saggia e luminosa guida dell’Imam Khomeyni, con l’aiuto di Dio l’Altissimo aveva portato alla vittoria una Rivoluzione spirituale e politica per la quale aveva duramente lottato, era stata imprigionata, aveva subito atroci torture e donato numerosi martiri.

Questi tentativi fallimentari vennero ben sintetizzati dallo stesso Imam Khomeyni che, appena atterrato all’aeroporto Mehrabad di Teheran il 1 febbraio 1979, nel primo discorso tenuto appena ritornato in Iran dopo più di quattordici anni di esilio forzato, disse: “Gli agenti degli stranieri durante gli ultimi eventi hanno cercato disperatamente di riportare lo Shah al potere, preservare la monarchia o istituire una forma equivalente di governo. Ma devono sapere che è troppo tardi” (25).

“Tessono strategie e anche Iddio ne tesse. Iddio è il migliore degli strateghi!” (Sacro Corano, III: 54)

 

NOTE

1) Cfr. A. e L. Cockburn “Amicizie pericolose. Storia segreta dei rapporti tra Stati Uniti e Israele”, Gamberetti Editrice, pag. 370.

2) Particolarmente significativo al riguardo è il racconto di un episodio capitato all’attuale Guida della Rivoluzione Islamica, all’epoca Presidente della Repubblica, Imam Khamenei: “Uscivo dal palazzo presidenziale per partecipare ad una cerimonia quando sentii dei rumori. Le guardie del corpo mi dissero che un bambino che diceva di essere venuto da lontano voleva parlarmi con urgenza. Quando andai ad incontrarlo mi disse: “Mi chiamo Marhamat e sono venuto da Ardabil [città dell’Iran nord-occidentale] fino a Teheran per incontrarla e chiederle un favore. Le chiedo gentilmente di ordinare ai sapienti religiosi e ai maddah (recitatori di poesie religiose) di non narrare più le vicende del martirio del nobile Qassem.” Gliene chiesi il motivo. Dopo essere scoppiato a piangere, singhiozzando, mi disse: “Perché Qassem aveva tredici anni quando l’Imam Husayn gli permise di andare sul campo di battaglia [a Karbala] e combattere. Anche io ho tredici anni ma il comandante dei Guardiani della Rivoluzione di Ardabil, per quanto lo abbia implorato, non mi permette di recarmi al fronte, dicendomi che non mandano in battaglia tredicenni. Se andare in guerra non si addice a un tredicenne, allora perché i sapienti religiosi narrano così tanto le vicende del martirio del nobile Qassem?” Poggiandogli una mano sulla spalla gli dissi: “Figlio mio, non devi forse andare a scuola e studiare? Anche studiare è un tipo di Jihad.” L’adolescente continuava però a piangere. Allora dissi al capo delle mie guardie del corpo di chiamare Agha-ye Malakuti, allora Imam della Preghiera del Venerdì di Tabriz, affinché gli concedesse il permesso di recarsi al fronte.” Nel 1985, dopo aver combattuto per tre anni contro l’invasore nemico, all’età di sedici anni, nel corso dell’operazione Badr nell’isola Majnun, Mahramat Balazadeh divenne martire. (cfr. https://www.tasnimnews.com/fa/news/1395/08/10/682090/%D9%85%D8%B1%D8%AD%D9%85%D8%AA-%D8%A8%D8%A7%D9%84%D8%A7%D8%B2%D8%A7%D8%AF%D9%87-%D8%B4%D9%87%DB%8C%D8%AF-11-%D8%B3%D8%A7%D9%84%D9%87-%D8%A7%DB%8C-%DA%A9%D9%87-%D8%AD%DA%A9%D9%85-%D8%AC%D9%87%D8%A7%D8%AF%D8%B4-%D8%B1%D8%A7-%D8%A7%D8%B2-%D8%AF%D8%B3%D8%AA%D8%A7%D9%86-%D9%85%D9%82%D8%A7%D9%85-%D9%85%D8%B9%D8%B8%D9%85-%D8%B1%D9%87%D8%A8%D8%B1%DB%8C-%DA%AF%D8%B1%D9%81%D8%AA)

3) Cfr. l’articolo “Raqqa’s dirty secret”: https://www.bbc.co.uk/news/resources/idt-sh/raqqas_dirty_secret.

4) W. Engdhal, “A Century of War: Anglo-American Oil Politics and the New World Order”, Londra: Pluto 2004, pagine 171-174.

5) Si vedano ad esempio “Chi ha soffiato sul fuoco della destabilizzazione”, 3 aprile 2018: https://www.we-wealth.com/it/news/investimenti/outlook-e-previsioni/chi-ha-soffiato-sul-fuoco-della-destabilizzazione/; e “Siria: chi semina vento…”, 24 aprile 2018,  https://www.patriaindipendente.it/persone-e-luoghi/servizi/siria-chi-semina-vento/

6) Si veda l’estratto del libro di William Engdhal, tradotto e pubblicato in italiano su diversi siti. Ad esempio: https://comedonchisciotte.org/cosa-accadde-davvero-allo-scia-delliran/ e https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=3090.

7) Cfr. B. Lewis, “August 22”, 8 agosto 2006, The Wall Street Journal, https://www.wsj.com/articles/SB115500154638829470 . In questo articolo egli scriveva che l’anniversario dell’ascensione celeste (Miraj) del Profeta Muhammad – avvenuta il 27 del mese islamico di Rajab e che quell’anno corrispondeva al 22 agosto – era “una data appropriata per la fine apocalittica di Israele e, se necessario, del mondo.” Egli prevedeva infatti, per via della “visione del mondo apocalittica” della dirigenza iraniana e del “complesso del martirio o suicidio che affligge parti del mondo islamico oggi”, un attacco nucleare contro Israele da parte della Repubblica Islamica. L’articolo di Lewis ebbe ovviamente un’ampia eco sulla stampa mondiale, ma il giorno annunciato passò e naturalmente nulla di quanto profetizzato avvenne. Si legga in proposito l’esilarante articolo di Alex Koppelman  “It’s August 23rd. Why Aren’t We Dead?”, https://www.huffpost.com/entry/its-august-23rd-why-arent_b_27868 .

8) Si veda la lista dei partecipanti pubblicata all’interno del resoconto della Conferenza del Bilderberg tenutasi dal 27 al 29 aprile 1979 a Baden (Austria), pag. 6: https://info.publicintelligence.net/bilderberg/BilderbergConferenceReport1979.pdf

9) Sulle credenziali scientifiche di Lewis rimandiamo alle interessanti critiche mossegli dallo studioso cristiano palestinese Edward W. Said nella sua importante opera “Orientalismo. L’immagine europea dell’Oriente” (Feltrinelli, 2013) e al dibattito che ne seguì tra i due sul New York Review of Books  (https://www.nybooks.com/articles/1982/08/12/orientalism-an-exchange/). Anche un intellettuale della levatura di Noam Chomsky, tra gli altri, ne ha seriamente messo in dubbio l’autorità accademica, definendolo “non uno studioso ma un volgare propagandista” (“Hot Type on the Middle East. Noam Chomsky interviewed by Evan Solomon”, Dissident Voice, 16 aprile 2002, trascrizione riportata in: https://chomsky.info/20020416/).

10) Cfr. B. Lewis “The return of Islam”, https://www.commentarymagazine.com/articles/the-return-of-islam/ .

11) Cfr. Raymond Garthoff, “Détente and Confrontation: American–Soviet Relations from Nixon to Reagan” (Washington, DC: The Brookings Institution, 1994), pag. 728. 

12) Cfr. il resoconto della Conferenza tenutasi dal 27 al 29 aprile 1979 a Baden (Austria): https://publicintelligence.net/bilderberg-conference-1979/ e specificatamente le pag. 44-47; 49-57; 74-78 e 97-100. Non troviamo accenni all’Imam Khomeyni o ai Fratelli Musulmani neanche nelle Conferenze del Bilderberg tenutesi nel 1977 e nel 1978, negli anni quindi immediatamente precedenti la Rivoluzione Islamica. Si consultino infatti i resoconti della Conferenza del Bilderberg tenutasi dal 22 al 24 aprile del 1977 a Torquay (Regno Unito): https://info.publicintelligence.net/bilderberg/BilderbergConferenceReport1977.pdf e quello della Conferenza tenutasi dal 21 al 23 aprile 1978 a Princeton (Stati Uniti): https://info.publicintelligence.net/bilderberg/BilderbergConferenceReport1978.pdf.

13) Cfr. il resoconto della Conferenza tenutasi dal 18 al 20 aprile 1980 a Bad Aachen (Germania) https://info.publicintelligence.net/bilderberg/BilderbergConferenceReport1980.pdf, e specificamente da pag. 33 a pag. 49.

14) Cfr. F. Nirenstein “Islam. La guerra e la speranza. Intervista a Bernard Lewis”, Rizzoli, 2003, Milano, pag. 72-75.

15) Cfr. Bari Weiss, “The Tyrannies Are Doomed”, sul The Wall Street Journal: https://www.wsj.com/articles/SB10001424052748703712504576234601480205330. L’“allarme” che Bernard Lewis cercò di creare negli ambienti giornalistici, accademici e politici occidentali è confermato anche dalla giornalista Judith Miller che, risentitasi per le parole di Lewis, in una lettera indirizzata al direttore del Wall Street Journal dal titolo “Not Everyone Ignored Khomeini’s Radical Philosophy” ricorda come, proprio grazie ai ‘timori’ sollevati da Lewis e attraverso degli intermediari entrò in contatto con l’orientalista inglese, che le ispirò un articolo “esclusivo” che venne pubblicato il 30 dicembre 1978 sul Times con il titolo “Shah’s Foe Said to Have Denounced Non-Muslims” che trattava del “libro poco noto di Khomeini, dei suoi sentimenti anti-ebraici e anti-cristiani, del suo odio per la democrazia e dell’approvazione della teocrazia come la migliore forma di governo.” Cfr. Judith Miller, “Not Everyone Ignored Khomeini’s Radical Philosophy”, sul The Wall Street Journal: https://www.wsj.com/articles/SB10001424052748704013604576246974124048318 .

16) Il giornalista americano Scott Armstrong è stato autore di una serie di articoli pubblicati sul “Washington Post”, basati su documenti del governo, secondo i quali Zbigniew Brzezinski sollecitava continuamente lo Shah a impiegare la forza militare per stroncare la crescente opposizione popolare contro la sua dittatura. Fonti del Dipartimento di Stato USA indicano che Brzezinski arrivò a preparare la minuta di una lettera per lo Shah “in cui senza ambiguità lo sollecitava a usare la forza per soffocare le dimostrazioni”, anche se i funzionari del Dipartimento di Stato riconoscevano che questo avrebbe significato la morte di decine di migliaia di manifestanti iraniani. Dopo il massacro di dimostranti avvenuto nel “venerdì nero” del settembre 1978 – riferisce Armstrong – “i governanti americani vedevano come un buon segno la disponibilità dello Shah a usare la forza”. Cfr. Nafeez Mosaddeq Ahmed, “Dominio”, Fazi Editore, 2003, pag. 34-35. Lo specialista americano sull’Iran Eric Hooglund ha giustamente evidenziato: “Più il regime (dello Scià) diveniva dittatoriale, più stretti si facevano i rapporti tra USA e Iran“. (citato in M. Curtis “The ambiguities of Power: British foreign policy since 1943”, Londra, Zed Books, 1995).

17) Furono infatti proprio le pressioni di Zbigniew Brzezinki, dell’ex Segretario di Stato Henry Kissinger e del banchiere David Rockefeller a convincere Carter, secondo la sua stessa ammissione, ad ospitare lo Shah sul territorio americano, nonostante le ripercussioni che questa scelta poteva avere, ed effettivamente avrà, nell’ulteriore inasprimento dei rapporti tra Stati Uniti e Repubblica Islamica. Cfr. J. Carter “Keeping Faith: Memoirs of a President” (New York, Bantam Books, 1982) pag. 452-453. Non è qui fuori luogo citare le parole con cui Kissinger ebbe a descrivere il dittatore Pahlavi: “Un leader impareggiabile, un alleato senza condizioni (…) pilastro della stabilità in una regione animata e turbolenta”, “appassionato riformatore” con le più “nobili aspirazioni. (…) Il meno che gli dobbiamo è di non svilire, retrospettivamente, le sue iniziative, accolte con gratitudine da otto presidenti americani, compreso quello attualmente in carica” (cfr. G. Sick “All fall down: America’s Fateful Encounter with Iran”, Londra, Random House, 1985, p. 30; anche G. Kolko “Confronting the Third World: United States Foreign Policy 1945-1980”, New York, Pantheon, 1988).

18) M.R. Pahlavi “Risposta alla storia. Testamento politico e morale” (Editoriale Nuova, 1980), pag. 289.

19) Cfr. Robert E. Huyser, “Mission to Tehran”, Andre Deutsch, 1986 [tr. It. Robert E. Huyser, “Missione a Teheran”, Arnoldo Mondadori Editore]. Si veda anche: “Declassified diplomacy: Washington’s hesitant plans for a military coup in pre-revolution Iran”: https://www.theguardian.com/world/iran-blog/2015/feb/11/us-general-huysers-secret-iran-mission-declassified

20) Cfr. G. Chiesa “Obiettivo Teheran. Il bliz di Carter e i suoi retroscena”, Bari, De Donato, 1980. Kissinger, in un’intervista rilasciata nel 1982 al giornalista uruguaiano Martìnez, riaffermò che l’obiettivo principale di quell’operazione era la liberazione del personale dell’ambasciata detenuto a Teheran, ma confermò che una volta raggiunto questo obiettivo e messi in salvo i diplomatici statunitensi, gli ufficiali del gruppo di élite erano stati addestrati per una seconda e più determinata fase, che era quella di “decapitare politicamente” la Rivoluzione Islamica. Cfr. J.C. Martìnez “Iran, el pais que Estados Unidos quiere destruir” (Elhame Shargh, Iran, 2008), pag. 158.

21) DIA Report (1978) “Assessment of the political situation in Iran, 9/30/78”, NSA, vol. 1, 47; US Cia, National Intelligence Daily Article (1978), “Iran: Shah’s Strategy”, 13 November 1978, in “Making of US Policy”, doc. 01728; US House of Representatives, Subcommittee on Evaluation, Permanent Select Committee on Intelligence, Staff Report (1979), “Iran: Evaluation of U.S. Intelligence Performance Prior to November 1978”, Washington DC; “The Fall of the Shah of Iran: A Chaotic Approach”, unclassified, Approved for release by NSA on 12-01-2011, Transparency Case# 6385J: https://www.nsa.gov/Portals/70/documents/news-features/declassified-documents/cryptologic-quarterly/The_Fall_of_the_Shah_of_Iran.pdf; i documenti segreti scoperti dagli studenti rivoluzionari dopo esser riusciti a impossessarsi del “covo di spie” (la rappresentanza statunitense a Teheran) il 4 novembre 1979 e successivamente pubblicati in 80 volumi, consultabili e scaricabili anche online: http://basij.aut.ac.ir/revolution/1392/05/16/%D9%85%D8%AA%D9%86-%D8%A7%D8%B3%DA%A9%D9%86-%D8%B4%D8%AF%D9%87-%D8%A7%D8%B3%D9%86%D8%A7%D8%AF-%D9%84%D8%A7%D9%86%D9%87-%D8%AC%D8%A7%D8%B3%D9%88%D8%B3%DB%8C/; “The Carter Administration and the “Arc of Crisis”: Iran, Afghanistan and the Cold War in Southwest Asia, 1977-1981”. Raccolta di 600 pagine di documenti, cablogrammi, lettere, analisi, memorandum e resoconti confidenziali e secretati della CIA, del Dipartimento di Stato, del Presidente Carter, dell’Ambasciatore Sullivan, di Brzezinski ed altri: https://www.wilsoncenter.org/sites/default/files/media/documents/publication/the_carter_administration_and_the_arc_of_crisis_1977-1981.pdf; “Islam in Iran. A researcher paper”, documento declassificato della Cia: https://www.cia.gov/library/readingroom/docs/CIA-RDP81B00401R000400110013-5.pdf .

22) Si veda quanto scritto dal direttore della sezione iraniana nel Dipartimento di Stato dal 1978 al 1980 H. Precht in “The Iranian Revolution: An Oral History With Henry Precht, The Stat Department Desk Officer”: https://iranian.com/Opinion/2004/February/HP/Images/hp.pdf; dall’allora consulente di Consiglio di sicurezza nazionale, del Dipartimento di Stato e del Dipartimento della difesa USA M. Ledeen, in M. Ladeen-W.Lewis “Debacle: the American Failure in Iran”, Knopf, New York, 1981 [tradotto in italiano in “Debacle: Il fallimento americano in Iran”, Editoriale Nuova, Milano, 1981]; dall’allora direttore della CIA Stansfield Turner in “Intelligence for a New World Order”, autunno 1991, Foreign Affairs, https://www.foreignaffairs.com/articles/united-states/1991-09-01/intelligence-new-world-order; dal Capitano Gary Sick, membro del Consiglio di Sicurezza Nazionale e principale consigliere di Carter per la regione del Golfo Persico “All Fall Down: America’s Fateful Encounter with Iran”, Londra, Random House, 1985; dal già citato comandante delle forze americane in Europa Generale Robert E. Huyser, “Mission to Tehran”, Andre Deutsch, 1986 [tr. It. Robert E. Huyser, “Missione a Teheran”, Arnoldo Mondadori Editore]; dall’Ambasciatore Americano a Teheran W.H. Sullivan in “Mission to Iran”, W.W. Norton, New York, 1981 e in “Dateline Iran the road not taken”, Foreign Policy, n. 40 (Fall 1980); dal Presidente USA J. Carter “Keeping Faith: Memoirs of a President”, New York, Bantam Books, 1982; dal Presidente USA J. Carter “White House Diary”, New York: Farrar, Strauss and Giroux, 2010; dal consigliere per la Sicurezza Nazionale Z. Brzezinzki “Power and Principle: Memoirs of the National Security Adviser, 1977–1981”, Farrar, Straus, Giroux, 1983; dal Consigliere capo della politica interna del presidente Jimmy Carter e direttore esecutivo dello staff di politica interna della Casa Bianca S. E. Eizensta “President Carter: The White House Years”, Thomas Dunne Books, 2018; dal funzionario CIA in Iran a quel tempo Bruce Riedel, nell’intervista riportata nel documentario della BBC “The Man Who Changed the World”, nella serie “Iran and the West”, 7 febbraio 2009 e le dichiarazioni dello stesso rese il 9 novembre 2011 a D.P.Houghton riportate nel suo studio “Getting the Ayatollah wrong: perceptions and misperctions of Iran’s Revolutionary leadership”, Annual Convention of the International Studies Association, San Diego, April 2012; dal Segretario di Stato C.R. Vance “Hard Choices: Critical Years in America’s Foreign Policy”, New York, Simon and Schuster, 1983; dal già Segretario di Stato USA nonché consigliere per la Sicurezza Nazionale Henry Kissinger in “White House Years” Boston, Mass., Little, Brown and. Company, 1979, e nel suo articolo “Kissinger On the Controversy Over the Shah”, Washington Post, 29 novembre 1979: https://www.washingtonpost.com/archive/politics/1979/11/29/kissinger-on-the-controversy-over-the-shah/a3153d91-02be-40d5-958b-8784c4991941/; dal consigliere al Consiglio di Sicurezza Nazionale G.W.Ball “The Past Has Another Pattern: Memoirs”, New York, Norton, 1982: https://archive.org/stream/BallGeorgeThePastHasAnotherPatternMemoirs/Ball%2C+George+-+The+Past+Has+Another+Pattern++Memoirs_djvu.txt; si legga anche il suo “Iran’s Coming Blacklash”, The New York Times, 27 maggio 1979: https://www.nytimes.com/1979/05/27/archives/foreign-affairs-irans-coming-backlash.html; meritano attenzione anche le memorie del Generale Hussein Fardust, amico intimo dello Shah e suo sodale, pubblicate in inglese con il titolo “The rise and Fall of the Pahlavi Dynasty. Memoirs of Former General Hussein Fardust”, Motilat Banarsidass Publishers, Delhi, 1999.

23) Cfr. Robert Jerwis “Why Intelligence Fails: Lessons from the Iranian Revolution and the Iraq War”, Cornell University Press: Ithaca, 2010; Uri Bar-Joseph “Forecasting a Hurricane: Israeli and American Estimations of the Khomeini Revolution”, The Journal of Strategic Studies, vol. 36, n. 5, 2013; Daugherty, William J. “Behind the Intelligence Failure in Iran”, International Journal of Intelligence and Counterintelligence 14, N°4 (Hiver 2001-2002), p.449-484; M. Donovan “National intelligence and the Iranian revolution”, Intelligence and National Security, 1997; Alexander Moens, “President Carter’s Advisers and the Fall of the Shah,” Political Science Quarterly, Vol. 106, No. 2, Autunno 1980; A. Moens “President Carter’s Advisers and the Fall of the Shah” Political Science Quarterly (Summer 1991), JSTOR; W. Bill “The Eagle and the Lion: The Tragedy of American-Iranian Relations”, London, Yale University Press, 1988; D.MacEachin-J.Nolan “Iran: Intelligence Failure or Policy Stalemate?”, Working Group Report, no. 1, Edmund Walsh School of Foreign Service, Georgetown University; S.S. Bakken “A Difficult Balancing Act. US Policy towards Iran 1977-1979”, Universitas Osloensis, Spring 2015; S. McGlinchey “Arming the Shah. U.S. Arms Policies Towards Iran, 1950-1979”, Cardiff University, 2012; Javier Gil Guerrero “The Carter Administration and the Fall of Iran’s Pahlavi Dynasty: US-Iran Relations on the Brink of the 1979 Revolution”, Palgrave Macmillan US; W. Shawcross “The Shah’s last ride. The Fate of an Ally”, 1988, Simon & Schuster Inc., New York; M.J. Gasiorowski “U.S. Foreign Policy and the Shah: Building a Client State in Iran”, Ithaca, N.Y., Cornell University Press, 1991; C. Emery “US Foreign Policy and the Iranian Revolution: The Cold War Dynamics of Engagement and Strategic Alliance”,New York, Palgrave Macmillan, 2013; Jean-Charles Brotons “U.S. Officials and the Fall of the Shah. Some Safe Contraction Interpretations”, Lexington Books, 2010, United States; Babak Ganji, “Politics of Confrontation: The Foreign Policy of the USA and Revolutionary Iran”, I.B.Tauris, 2006;Ofira Seliktar “Failing the Crystal Ball Test: The Carter Administration and the Fundamentalist Revolution in Iran”, Praeger Publishers, 2000, USA; C. Kurzman “The Unthinkable Revolution in Iran”, Harvard University Press, England, 2004; Krysta Wise “Islamic Revolution of 1979: The Downfall of American-Iranian Relations”, Legacy, vol 11, Iss. 1, article, 2, consultabile su: http://opensiuc.lib.siu.edu/legacy/vol11/iss1/2?utm_source=opensiuc.lib.siu.edu%2Flegacy%2Fvol11%2Fiss1%2F2&utm_medium=PDF&utm_campaign=PDFCoverPages; Burton I. Kaufman “The Carter Years”, Facts on File, New York, 2006;M.G. Pasqualini “La rivoluzione islamica iraniana nelle memorie degli ambasciatori Sullivan e Parsons”, Rivista di Studi Politici Internazionali, Vol. 52, No. 4 (208) (Ottobre-Dicembre 1985), pp. 643-651; M.G. Pasqualini “La rivoluzione islamica iraniana nelle memorie del generale Huyser”, Rivista di Studi Politici Internazionali, Vol. 56, No. 1 (221), Gennaio-Marzo 1989, pp. 135-137.

24) Nel pieno delle proteste popolari in Iran contro la dittatura Pahlavi, il Presidente francese Valèry Giscard d’Estaing aveva inviato l’ex Ministro degli Interni Michel Poniatowski a Teheran per proporre allo Shah l’uccisione dell’Imam Khomeyni, che si trovava in quel momento in esilio in Francia, fingendo un incidente. Il monarca rifiutò dicendo che così lo avrebbero “trasformato in un martire.” Lo Shah respinse anche la proposta francese di espellere l’Imam dal proprio territorio perché temeva che avrebbe poi trovato rifugio in Siria o Libia, da dove sarebbe stato più pericoloso per il suo regime. Informato del rifiuto della proposta francese da parte dello Shah, il capo dei servizi d’oltralpe Alexandre de Marenches, che del monarca iraniano era intimo amico, decise di recarsi di persona a Teheran per parlargliene nuovamente, ma anche lui ricevette la stessa risposta. (C. Ockrent-A. De Marenches “I segreti dei potenti”, Longanesi, 1986, pag. 201-202) Le due proposte francesi al satrapo Pahlavi sono state confermate dallo stesso Poniatowski in un’intervista concessa a “Le Nouvel Observateur” del 05/09/1986, pag. 30 (cfr. http://referentiel.nouvelobs.com/archives_pdf/OBS1139_19860905/OBS1139_19860905_030.pdf). De Marenches, abbandonato il suo incarico in Francia una volta che a Parigi erano saliti al governo i socialisti nel 1981, e diventato nel frattempo consigliere di Carter, propose al presidente americano un dettagliato piano per rapire l’anziana guida religiosa islamica. Piani che ottennero l’approvazione della CIA ma non quella di Carter (“I segreti dei potenti”, pag. 215; cfr. anche http://content.time.com/time/magazine/article/0,9171,164096,00.html)

L’ex agente del Mossad Yossi Alpher, nella sua opera “Periphery: Israel’s Search for Middle East Allies” (Lanham: Rowman & Littlefield, 2015), racconta di come l’idea dell’uccisione dell’Imam Khomeyni venne presa in considerazione anche da Israele. Alpher ne discusse insieme al capo del servizio segreto israeliano Yitzhak Hofi, dopo che l’ipotesi era stata formulata dal rappresentante del Mossad a Teheran Eliezar Shafrir su proposta del primo ministro iraniano Shapour Bakhtiar. Il progetto dell’uccisione dell’Imam venne discusso anche tra i Generali iraniani fedeli allo Shah e il Generale americano Huyser durante la sua missione segreta a Teheran (cfr. il già citato “Missione a Teheran”). Il progetto di assassinare l’Imam Khomeyni, avvelenandone il cibo, venne riproposto nuovamente a metà degli anni ’80 dal capo del Mossad David Kimche. Lo rivelò l’ex consigliere del presidente Reagan, Robert Mcfarlane, nel suo “Special Trust. Pride, Principle and Politics Inside the White House.” (Cadell & Davies, New York, NY, 1994).

25) “Declaration Upon Arrival at Tehran”, in “Islam and Revolution. Writing and declarations of Imam Khomeini”, Mizan Press, 1981, pag. 252-253.

 

Per leggere la recensione al libro di S. Caputo: “Recensione a “Mezzaluna sciita” di S. Caputo”: http://islamshia.org/recensione-a-mezzaluna-sciita-di-s-caputo-seconda-parte/

 

A cura di Islamshia.org © E’ autorizzata la riproduzione citando la fonte

Writer : shervin | 0 Comments | Category : Attualità, politica e società , Novità

Comments are closed.