Muhammad nel Vangelo di Giovanni
Claudio Mutti
Parákletos, periklytós, Muhammad
Nei discorsi di commiato che nel Vangelo secondo Giovanni (1) Gesù rivolge ai discepoli alla vigilia della Passione ricorre più volte l’annuncio di un parákletos venturo.
Il vocabolo greco parákletos, che nel Nuovo Testamento compare unicamente nel Vangelo di Giovanni, è stato adattato in latino nella forma paraclitus (2), mentre le traduzioni italiane lo rendono col termine “Consolatore” (3).
Negli autori greci dei periodi classico ed ellenistico, l’aggettivo verbale parákletos (da parakaléo) significa “chiamato”, “convocato” (4). Sostantivato, parákletos acquista valore attivo e viene usato nel lessico giuridico col significato di “difensore”, “avvocato” (5). Negli autori cristiani, parákletos acquista il senso di “intercessore”, “confortatore”, “consolatore” ed è sempre riferito allo Spirito Santo.
Qui è importante notare l’esistenza di un altro aggettivo verbale, periklytós, che presenta una certa omofonia con parákletos.
Periklytós significa “celebrato”, “glorificato”, “lodato” e si trova attestato già in Omero (6) ed in Esiodo (7). Significato analogo ha perikleitós (8), del quale esiste una variante con l’accento ritratto, usata come antroponimo maschile: Períkleitos (9).
Da parte di autori musulmani è stato osservato che, sotto il profilo semantico, periklytós equivale al nome arabo Muhammad, traducibile come “Lodatissimo”. Alcuni hanno arabizzato periklytós in Fâraqlît, “‘colui che distingue tra la verità e l’errore’, riferendosi alla radice faraqa, ‘separare’, ‘discernere’, dalla quale deriva El-Furqân, un nome del Corano” (10).
A tale proposito si può citare la seguente tradizione, risalente ad Anas e riportata da An-Nabahânî. Domandarono a ‘Abd al-Muttalib, nonno del Profeta, “che nome avesse dato al bambino che era appena nato, e lui disse: ‘Muhammad!’ Qualcuno allora obiettò: ‘Come mai gli hai dato un nome che non è mai stato dato a nessuno dei suoi antenati, o della sua gente?’ Lui rispose: ‘Spero che lo lodino tutte le genti della terra!’” Infatti un sogno aveva dato modo a ‘Abd al-Muttalib di dedurre che un suo discendente sarebbe stato lodato dagli abitanti del cielo e della terra.
La stessa radice trilittera HMD, da cui trae origine Muhammad, è presente nel nome celeste del Profeta: Ahmad. Secondo An-Nabahânî, il significato di questo nome è che, tra tutti coloro che lodano il Signore, egli è colui che più di tutti Lo loda. “Egli non diviene ‘lodatissimo’ (Muhammad) sino a quando non è ‘colui che maggiormente loda’ (Ahmad): egli loda il suo Signore, e dunque Questi gli dà l’annuncio e lo onora. Per questo (…) il suo nome Ahmad precede il suo nome Muhammad” (11).
È appunto col nome Ahmad che nella Sura delle file serrate Gesù menziona il Sigillo dei Profeti e degli Inviati: “E [ricorda] quando Gesù figlio di Maria disse: ‘O Figli d’Israele, certo io sono l’inviato di Allah a voi, a confermare quanto prima di me [fu rivelato] nella Tawrâh e ad annunziare un inviato che verrà dopo di me, il cui nome è Ahmad’” (12).
A questo proposito An-Nabahânî cita anche un hadîth in cui Dio dice a Mosè: “Questa è la comunità di Ahmad”. E Mosè risponde: “Mio Dio, fa’ che io sia della comunità di Ahmad!” Dunque Muhammad – commenta An-Nabahânî – “è ricordato come Ahmad prima di essere ricordato come Muhammad: infatti, la sua lode per il suo Signore viene prima della lode degli uomini nei suoi confronti” (13).
Secondo l’esegesi islamica, l’annuncio dato da Gesù nella Sura delle file serrate riconferma la promessa fatta da Dio a Mosè: “Io susciterò loro un profeta, come te, di mezzo ai loro fratelli e metterò le mie parole sulla sua bocca ed egli annunzierà loro tutto quello che gli avrò comandato” (14).
La promessa fatta da Dio agli antichi profeti è rievocata anche dalla Sura della famiglia di ‘Imran: “Quando Allah ricevette il patto dei profeti, disse loro: ‘Ecco il Libro e la saggezza che vi ho dato; un inviato verrà un giorno a voi, a confermare ciò che sarà presso di voi [cioè la rivelazione precedente]; abbiate fede in lui ed aiutatelo’” (15).
Questi passi coranici, in particolare Cor., LXI, 6, hanno indotto i commentatori musulmani a leggere nei versetti giovannei l’annuncio della futura missione profetica di Muhammad. Nell’omofonia esistente fra parákletos e periklytós e nel significato di questo secondo vocabolo essi hanno trovato la conferma della loro esegesi.
La lettura islamica del Vangelo di Giovanni
Riportiamo qui di seguito i brani del Vangelo di Giovanni in cui viene dato l’annuncio del parákletos venturo.
XIV, 16-17. “E io pregherò il Padre ed Egli vi darà un altro parákletos, affinché sia con voi in perpetuo, lo spirito della verità, che il mondo non può accogliere, perché non lo vede né lo conosce; ma voi lo conoscete, perché rimane presso di voi e sarà con voi”.
XIV, 25-26. “Queste cose ho detto a voi, rimanendo presso di voi. Ma il parákletos, lo spirito santo che il Padre manderà nel mio nome, quegli vi insegnerà tutto e vi rammenterà tutto ciò che io vi dissi”.
XV, 26. “Quando poi verrà il parákletos, che io vi manderò da parte del Padre, lo spirito della verità che procede dal Padre, quegli mi renderà testimonianza”.
XVI, 7-15. “Ma io vi dico la verità: a voi conviene che io me ne vada. Infatti, se non me ne andrò, il parákletos non verrà a voi; se invece partirò, lo manderò a voi. Ed egli, dopo esser venuto, accuserà il mondo di peccato, di giustizia e di giudizio. Di peccato, perché non credono in me; di giustizia, perché mi reco dal Padre e non più mi vedrete. Di giudizio, perché il principe di questo mondo è stato giudicato. Ancora molte cose ho da dirvi, ma non potete portarne il peso, adesso. Quando però verrà lui, lo spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità; infatti non parlerà da se stesso, ma dirà quanto egli ascolta e vi annunzierà l’avvenire. Egli mi glorificherà, poiché prenderà del mio e ve lo annunzierà. Tutto quanto il Padre ha, è mio; per questo dissi che prenderà del mio e ve lo annunzierà”.
Annunciando il futuro avvento di “un altro parákletos”, Gesù dice indirettamente di essere anche lui un parákletos, il parákletos del tempo presente. Un “consolatore”? O non piuttosto, secondo il senso di periklytós, un “lodato”, un “glorificato”? A suggerire questa seconda lettura, d’altronde, è la successiva frase del versetto XVI, 14: “egli mi glorificherà” (ekeînos emè doxásei / ille me clarificabit).
Una lettura islamica di questi versetti riconosce nel parákletos il periklytós, il Lodatissimo, Muhammad. Di lui infatti Gesù dice che rimarrà con la comunità dei credenti “in perpetuo” (eis tòn aiôna / in aeternum), ossia fino al Giorno del Giudizio, suggellando la successione profetica e svolgendo una missione definitiva.
“Spirito della verità” (tò pneûma tês aletheías / spiritus veritatis) è uno degli epiteti del Profeta Muhammad: Rûh al-haqq. Così pure “spirito santo” (tò pneûma tò hágion, spiritus sanctus) corrisponde ad un altro epiteto del Profeta: Rûh al-qudus.
“Quegli vi insegnerà tutto (…) Ancora molte cose ho da dirvi, ma non potete portarne il peso, adesso. Quando però verrà lui, lo spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità”. Per quanto ampio e profondo sia stato l’insegnamento impartito ai discepoli, tuttavia “restano ancora molte cose che Gesù non ha potuto dir loro per la loro insufficiente capacità di comprenderle” (16). Molte cose, inoltre, non rientravano nella missione particolare assegnata a Gesù, ma saranno impartite da Muhammad, destinato a svolgere un compito universale e definitivo.
“Vi rammenterà tutto ciò che io vi dissi. (…) mi renderà testimonianza. (…) Egli mi glorificherà, poiché prenderà del mio e ve lo annunzierà”. Il Lodatissimo confermerà la sostanza della rivelazione portata da Gesù, renderà testimonianza a lui e a tutti gli altri profeti, in conformità con la prescrizione divina contenuta in questo versetto coranico: “Di’: ‘Noi crediamo in Allah e in ciò che è stato fatto scendere a noi e in ciò che è stato fatto scendere ad Abramo, Ismaele, Isacco, Giacobbe e alle tribù, e in ciò che è stato dato a Mosè, a Gesù ed ai profeti da parte del loro Signore; non facciamo alcuna discriminazione fra di loro e noi a Lui siamo sottomessi (muslimûn)’” (17).
Saoshyant, Fâraqlît, Mahdî
Sayyed Ahmad ‘Alawî Isfahânî, teologo sciita dell’XI secolo dell’Egira (XVII sec. e. v.) appartenente alla scuola di Mîr Dâmâd, replicando ad un missionario cristiano di quell’epoca “ci dà una completa esposizione della profetologia sciita del Paracleto” (18). L’argomentazione di Sayyed Ahmad mira a svelare il significato nascosto di Deuteronomio 33, 2 e dei versetti giovannei sul parákletos, evincendone che il ciclo della profezia non si conclude con la missione di Gesù, ma con quella di Muhammad, Sigillo dei Profeti e degli Inviati.
Ancora nel secolo scorso, lo shaykh ‘Alî Akbar Nahâvandî Mashhadî (19), mettendo in parallelo i brani di Giovanni con alcuni passi coranici corrispondenti, giungeva alla conclusione che il parákletos annunciato da Gesù deve essere identificato col Profeta Muhammad, da lui indicato come Fâraqlît (forma araba del greco parákletos).
Per esempio, il fatto che il parákletos venturo “non parlerà da se stesso, ma dirà quanto egli ascolta” da Dio, secondo lo shaykh Nahâvandî trova riscontro in ciò che viene detto del Profeta Muhammad nei seguenti versetti della Sura della stella: “Egli non parla per suo impulso. Esso [il Corano] non è altro se non una rivelazione che gli è stata rivelata” (20).
Ancora: l’affermazione secondo cui il parákletos “insegnerà tutto”, “guiderà a tutta la verità” e dirà cose che gli uomini del tempo di Gesù non hanno la forza di sopportare viene intesa in relazione al fatto che la rivelazione recata dal Profeta Muhammad sarà totale, nel senso che comprenderà conoscenza pura e normativa legale, princìpi metafisici e regole etiche, haqîqat e sharî’at.
Secondo il teologo sciita, l’epifania del parákletos “non può riguardare, come vogliono gli esegeti cristiani, la manifestazione dello Spirito santo ai discepoli, perché la congiunzione (ittisâl) delle anime sante (nofûs qodsîya) con lo Spirito santo, lungi dall’essere incompatibile con la presenza del Maestro di perfezione, che è il mediatore di tutte le Effusioni divine (foyûzât), presuppone invece questa presenza, mentre essa non è per nulla legata a quella d’un altro Inviato” (21).
L’identificazione del parákletos col Sigillo dei Profeti e degli Inviati, tuttavia, non impedisce a Nahâvandî di aderire alla convinzione diffusa nel mondo sciita secondo cui il parákletos si manifesterà nella persona del XII Imam. La parusia del Mahdi, che sigillerà il ciclo della santità così come l’epifania del Profeta Muhammad ha sigillato quello della profezia, induce lo shaykh a postulare la necessità di un altro Paracleto.
“Bisogna dunque concepire – scrive Corbin – una ripartizione della qualità di Paracleto fra il Profeta e il XII Imam, di cui, d’altronde, ha egli stesso annunciato la parusia. La connessione, poi, fra il Profeta e il XII Imam, suo discendente da lui annunciato, è tale che la loro comunanza paracletica non offre difficoltà” (22).
Ma lo shaykh Nahâvandî non è certo l’unico esponente dell’Islam sciita ad aver individuato nel XII Imam il parákletos annunciato da Gesù.
Già nel VI secolo dell’Egira (XII sec. e.v.) Sohrawardî aveva affrontato l’argomento in una sua opera intitolata I templi della Luce (Hayâkil al-Nûr). Il brano in cui viene citato Giovanni è il seguente. “La rivelazione letterale [tanzîl] è affidata ai profeti, mentre l’ermeneutica spirituale [ta’wîl] e la spiegazione [bayân] sono affidate all’Epifania Suprema [al-mazhar al-a‘zam], la cui natura è tutta Luce e Spirito, e che è al-Fâraqlît, così come lo ha annunciato il Cristo laddove egli ha detto: ‘Io vado al Padre mio e vostro, affinché Egli vi invii al-Fâraqlît, che vi rivelerà il senso spirituale [ta’wîl]’. Egli ha anche detto: ‘Il Fâraqlît, che il Padre vi invierà col mio nome, vi insegnerà tutte le cose’. Dicendo ‘col mio nome’ [bismî], vuol dire che il Fâraqlît sarà chiamato Cristo, perché sarà unto con la Luce. E si fa allusione a lui nel Libro, là dove è detto: ‘Dopo, è a Noi che tocca la spiegazione’ [Corano 75, 16]. La parola ‘dopo’ indica qui il cambiamento di persona” (23).
Tre secoli dopo, il più autorevole commentatore dei Templi della Luce, Jalaloddîn Dawwânî, spiega che il Fâraqlît è il XII Imam. “Certo, il Profeta aveva svelato tutto quello che gli era lecito svelare ed è per questo che ha potuto esser chiamato ‘il Paracleto dell’insieme dei profeti’. Tuttavia è necessariamente rimasto, per il fatto stesso della nobowwat, un certo numero di veli. ‘Togliere questi veli’ può essere opera solamente di colui che è l’Epifania della walâyat mohammadiana, come Sigillo di quella walâyat che è il lato esoterico della profezia” (24).
Sayyed Haydar Âmolî, vissuto nell’VIII secolo dell’Egira (XIV sec. e.v.), riassume nei termini seguenti l’annuncio del parákletos dato da Gesù: “Noi vi rechiamo il tanzîl [la rivelazione della lettera]. Quanto al ta’wîl [l’ermeneutica spirituale], sarà il Fâraqlît a recarlo a voi alla fine dei nostri tempi” (25). L’avvento del Fâraqlît, espressamente identificato col XII Imam, sarà contrassegnato essenzialmente dalla rivelazione totale del tawhîd, di cui Haydar Âmolî, ponendosi sulla linea di Ibn ‘Arabî, espone la dottrina metafisica.
Nel secolo successivo, Ibn Abî Jomhûr Ahsâ’î ripete le parole di Gesù nella forma citata da Âmolî e ribadisce l’identità del Lodatissimo venturo col XII Imam, il cui nome è appunto Mohammad. “Gesù – scrive Ahsâ’î – ha detto: ‘Noi vi rechiamo il tanzîl. Quanto al ta’wîl, sarà il Fâraqlît a recarlo a voi’. Così egli ha inteso dire che Mohammad ibn al-Hasan, Sâhib al-zamân [il XII Imam], è il Mahdî, poiché nel loro linguaggio [dei cristiani] il Fâraqlît è il Lodatissimo [Muhammad] atteso. (…) La sua posizione terminale ed iniziale fa di lui il Sigillo della walâyat, della nobuwwat e della risâlat, il Sigillo dei mondi degli orizzonti [afâq] e delle anime [anfûs], il Sigillo del Corano, della Legge divina, dell’Islam e della religione” (26).
Dal fatto che Qotboddîn Ashkevarî, un allievo di Mîr Dâmâd vissuto nell’XI secolo dell’Egira (XVII sec. e.v.), riconosce nella figura dell’ultimo Salvatore [Saoshyant] zoroastriano la persona del XII Imam, Henry Corbin trae la conclusione seguente. “Si può dire che, con la triade Saoshyant – XII Imam – Paracleto, la filosofia iraniana abbia proposto a se stessa la contemplazione di una stessa figura, annunciatrice della stessa speranza all’orizzonte della sua istoriosofia profetica. Eredità abramica ed eredità della Persia zoroastriana si trovano così riunite a comporre l’aura dell’eroe escatologico per eccellenza. Ciò consente inoltre di dire che l’ispirazione della filosofia iraniana è quella di una ‘filosofia paracletica’, la quale si unisce a quelle correnti spirituali che, in Occidente, si sono indirizzate nella medesima direzione” (27).
NOTE
1) Giov., XIII, 31 – XVI, 33.
2) Novum Testamentum graece et latine. Apparatu critico instructum edidit Augustinus Merk S. J., Romae 1964.
3) La Sacra Bibbia, Edizioni Paoline, Roma 1960.
4) Dione Cassio, XLVI, 20.
5) Demostene, XIX, 1; Filone Al., In Flaccum, 22.
6) Il., XVIII, 383 passim; Od., XXIV, 75 passim.
7) Theog. 571, 579 passim.
8) Teocrito, XVII, 34.
9) Plutarco, LXXVI, 1133c.
10) Frithjof Schuon, Forme et substance dans les religions, Dervy, Paris 1975, p. 102.
11) Muhammad ben Sulaymân Al-Giazûlî, Dalâ’ilu l-khayrât ovvero Le indicazioni dei Benefici e gli irraggiamenti delle luci, Al Qibla, Caprara di Campegine 2012, p. 65 nota.
12) Cor., LXI, 6.
13) Muhammad ben Sulaymân Al-Giazûlî, op. cit., ibidem.
14) Deuter., XVIII, 18.
15) Cor., III, 81.
16) Il Vangelo secondo Giovanni. Commento di Hermann Strathmann, Paideia, Brescia 1973, p. 371.
17) Cor., III, 84.
18) Henry Corbin, Vangelo di Barnaba e profetologia islamica, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1985, p. 33.
19) ‘Alî Akbar Nahâvandî Mashhadî, al Kitâb al-‘abqarî al-hossân fî ahwâl Mawlânâ Sahîh al-zamân, Tehran 1363 H., 2 voll.
20) Cor., LIII, 3-4.
21) Henry Corbin, Face de Dieu, face de l’homme. Herméneutique et soufisme, Entrelacs, Paris 2008, p. 322.
22) Henry Corbin, Vangelo di Barnaba e profetologia islamica, cit., p. 32.
23) Shihâboddîn Yahyà Sohrawardî, Oeuvres philosophiques et mystiques, vol. II: Oeuvres en persan (Opera metaphysica et mystica III), éd. par Seyyed Hossein Nasr; prolégomènes et comment par Henry Corbin, Adrien-Maisonneuve, Paris 1970, pp. 40 ss.
24) Henry Corbin, Face de Dieu, face de l’homme. Herméneutique et soufisme, cit., p. 334.
25) Sayyed Haydar Âmolî, Jâmi’ al-asrâr, § 205, in: La Philosophie shî’ite, par H. Corbin et O. Yahya, Bibliothèque Iranienne, Paris-Téhéran 1969, p. 103.
26) Ibn Abî Jomhûr Ahsâ’î, Kitâb al-Mojlî, Tehran 1324 H., p. 308.
27) Henry Corbin, op. cit., p. 347.