L’Islam e le bevande alcoliche*
Seyyed Musavi Lari
Gli insegnamenti dell’Islam hanno una dimensione universale e sono in grado di garantire il bene dell’umanità. Questa nobile religione dimostra in modo argomentato la giustezza dei suoi propositi nei versetti del Sacro Corano.
L’Islam vuole che l’uomo, grazie alla sua innata intelligenza, avanzi verso l’obiettivo supremo della propria esistenza.
Questa religione indica la ragione quale responsabile dell’organizzazione della vita individuale e sociale dell’uomo, e accorda una grande importanza al ruolo di questa facoltà, la quale è considerata come guida e come prova del cuore. L’Islam respinge tutto quello che danneggia la ragione e la naturale attività di questo dono divino, poiché non permette nemmeno per un istante che il suo funzionamento sia perturbato.
L’alcol è una sostanza che influenza direttamente la ragione e che ha effetti nefasti sulla società umana a livello morale, igienico e psicologico. Niente è più disastroso per l’uomo del fatto che la sua ragione e la sua capacità di comprensione siano annichilite e deviate dalla retta via mediante il consumo di alcol.
La Legge islamica vieta rigorosamente le bevande alcoliche che impediscono il normale funzionamento delle facoltà raziocinanti.
Già da quattordici secoli, il nostro Profeta (S) è venuto a mostrare il giusto cammino in una società ignorante, nella quale regnavano la miseria, la violenza e la perversione, come del resto in tutto il mondo in quell’epoca.
Prima dell’Islam, la cattiva abitudine di bere era molto diffusa fra gli Arabi.
Per disabituare la gente da questa nefasta abitudine, l’Islam ha proceduto con moderazione. E’ l’Islam che, per la prima volta, ha definito ciò un peccato, descrivendo altresì la corruzione individuale e sociale che ne risultava.
“In verità col vino e il gioco d’azzardo, Satana vuole seminare inimicizia e odio tra di voi e allontanarvi dal Ricordo di Allah e dall’orazione. Ve ne asterrete?” (Sacro Corano, Sura al-Ma’ida, 5:91)
Non appena il versetto della proibizione fu rivelato, quelli che bevevano distrussero le loro botti di vino e ne versarono il contenuto per strada.
Anas Ibni Màlik riferisce:
“Allorché questo versetto fu rivelato, noi eravamo in procinto di bere a un ricevimento presso Abi Talhah. Fu allora che ascoltammo l’araldo del Profeta (S) proclamare: “O musulmani, sappiate che il vino è d’ora in avanti proibito, e che esso deve essere versato nella strada.” Abi Talhah chiese anche a me di buttare il vino, fu ciò che io feci. Moltissimi rovesciarono i loro recipienti pieni di vino nella strada, molti altri li lavarono e li purificarono con l’acqua. Molto tempo dopo questo avvenimento, quando a Medina pioveva, si poteva sentire l’odore delle grandi quantità di vino che erano state versate nella strada”. (1)
Questa legge ebbe una tale influenza sui musulmani che anche nei territori conquistati si cessò di bere. Benché oggi la corruzione, mascherata da civilizzazione, si sia ampiamente propagata, esistono tuttavia milioni di musulmani che, durante tutta la loro vita, non hanno mai avvicinato le loro labbra a questa bevanda.
Uno degli errori delle leggi promulgate dagli uomini, è costituito dal fatto che esse sono influenzate dai capricci di questi ultimi. Ecco due esperienze degne di nota: la prima è l’esperienza degli Stati Uniti, che proibendo coattivamente l’alcool, volevano obbligare la gente ad abbandonare questa abitudine nociva, nonché fonte di miseria e di depravazione morale, allo scopo di riformare la società. La seconda è quella dei musulmani, allorché il versetto della proibizione (Sacro Corano, 5, 91) fu rivelato. Si possono paragonare questi due avvenimenti e trarne una lezione.
Prima del 18° emendamento alla costituzione statunitense, alcuni benefattori avevano lanciato una vasta propaganda nel paese contro il consumo di alcol. Per dieci anni, essi pubblicarono libri e proiettarono film che mostravano la vita miserabile degli alcolizzati. Essi pronunciarono innumerevoli discorsi per informare la gente dei danni fisici, morali ed economici provocati dall’alcol, affinché essi si astenessero dal bere.
Sessantacinque milioni di dollari furono spesi per questa attività propagandistica, fin dall’inizio di questo movimento, nel 1925. Infine, su richiesta della maggioranza degli statunitensi, la proibizione fu proposta all’assemblea legislativa. Dopo un minuzioso studio, essa fu ratificata dal Congresso e dal Senato.
Ma, quando ancora questa legge non era stata applicata la gente, tentata dall’alcol, cambiò parere. Così furono creati spacci clandestini di bevande alcoliche, nei quali si vendevano e si consumavano le bevande più nocive. I centri di contrabbando si moltiplicarono. L’alcol era acquistato e venduto con ogni mezzo. Prima dell’approvazione della legge, il numero delle fabbriche che producevano bevande alcoliche si limitava a quattrocento, mentre sette anni dopo la proibizione, il contrabbando vantava 80.000 centri di produzione. A poco a poco, anche i giovani si aggiunsero alla clientela di questi centri. Al fine di accrescere la clientela, i venditori ambulanti consegnavano le bevande a domicilio, così come facevano nei parchi e negli alberghi. Nemmeno le scuole erano risparmiate.
Anche i villaggi furono contaminati. Il numero dei delitti e dei crimini non fece che aumentare. Secondo le statistiche della Corte di Giustizia, duecento persone furono uccise, cinquecentomila arrestate e quasi quattrocento milioni di dollari confiscati ai cittadini, durante i tredici anni di proibizionismo. Le ammende pagate per infrazione alla legge ammonteranno a un milione e mezzo di dollari.
Anche la delinquenza giovanile era aumentata in maniera tale che i giudici statunitensi affermeranno: “Mai, durante la storia del nostro paese, tanti adolescenti erano stati arrestati in stato di ubriachezza. Secondo i rapporti, dall’anno 1920 al 1928, il consumo di alcol fra i giovani aveva segnato un aumento molto rapido. Il numero degli alcolizzati era tre volte superiore rispetto al periodo precedente il proibizionismo. Ciò determinerà anche un notevole numero di morti” (2)
Nel 1918, prima della raffica del proibizionismo, il numero degli alcolizzati era, a New York, di 3.741. Quello dei morti non superava i 252. Ma nel 1927, il numero degli alcolizzati aveva superato i diecimila e quello dei morti aveva raggiunto i 7.500.
In breve, nonostante le perdite materiali e in vite umane che gli Stati Uniti avevano subito, il proibizionismo non aveva raggiunto il suo scopo, tanto che, alla fine, fu abolito. Nel 1933, la vendita e il consumo di alcol fu autorizzato. Dopo qualche mese, all’inizio del mese di dicembre, fu pubblicato un comunicato ufficiale secondo il quale il 18° emendamento alla costituzione era abolito. Un popolo del mondo civilizzato, dopo aver sofferto per quattordici anni a causa del proibizionismo, può così riprendere liberamente le sue sbicchierate.
In Inghilterra, a causa del considerevole aumento della produzione delle bevande alcoliche, i dirigenti politici avevano stabilito aggravi fiscali, ratificati dal parlamento, al fine di ridurne il consumo. Gli Inglesi ne furono così colpiti che essi chiusero i loro magazzini e le loro imprese in segno di protesta. Il governo fu così obbligato a tornare sulla sua decisione.
Questa contraddizione legislativa generò una contraddizione fra il benessere della società e le sue inclinazioni. Invece, nell’Islam, la sola cosa che conti è la salute e il bene della comunità. Le passioni dei singoli non sono minimamente prese in considerazione.
Più la scienza progredisce e le ricerche si moltiplicano, più la nocività dell’alcol si rivela. Oltre ai crimini, agli atti immorali, alle lamentele familiari e alla corruzione sociale che esso provoca, le sue nefaste conseguenze sulla salute umana risultano innegabili da un punto di vista medico.
Benché da dieci secoli milioni di libri e di riviste riguardanti la nocività dell’alcol siano stati pubblicati in tutte le lingue e benché numerosi sforzi siano stati spiegati per impedirne il consumo, tutti questi atti appaiono tuttavia incomparabili rispetto ai risultati ottenuti dall’Islam grazie al suo ferreo decreto di proibizione. Gli altri non sono stati capaci di salvare gli abitanti di una sola città da questo flagello.
Soprattutto nel periodo iniziale dell’Islam, non esisteva né assemblea né organizzazione né alcuna sorta di propaganda contro il consumo di alcol. L’Islam non ha speso un solo dinaro a tal fine. In un’epoca in cui non esisteva alcun piacere più grande per l’Arabo che di ubriacarsi con il vino, il nostro Profeta (S) annunciò ai musulmani che Dio li avrebbe difesi dal vino.
La voce del Profeta (che la pace e la benedizione di Dio sia su di lui e sulla sua Famiglia) non si era ancora spenta, che i musulmani incominciarono ad astenersi per sempre dal bere.
Uno dei più grandi vantaggi dei precetti divini rispetto alle leggi umane, è costituito dal fatto che se le persone si astengono dal violare la legge, ciò avviene semplicemente per il timore di essere puniti e di cadere fra le mani della giustizia. Mentre la religione, allo scopo di garantire il rispetto delle leggi, si appoggia alla totalità delle facoltà interiori e dei sentimenti umani.
Gli individui hanno paura della legge e delle sue sanzioni. Ma essi hanno nascondigli in cui la legge non può raggiungerli. L’uomo, per sua natura, segue le sue passioni. Non sarà certo per il governo che rinuncerà ai suoi piaceri.
Il governo non potrà mai perseguire tutti i colpevoli; infatti, molti delitti restano impuniti. Fino a quando un tribunale sarà costituito all’unico scopo di limitare le passioni delle masse, ogni sforzo di riforma è anticipatamente votato al fallimento.
Finché le persone credono in Dio e finché credono al Suo castigo, esse non potranno rifugiarsi né nascondersi in nessun luogo, poiché Egli è onnipresente.
Al di fuori della fede, grazie alla quale la vita dell’uomo acquisisce un significato migliore, nulla garantisce l’astinenza dal peccato. Poiché quando l’uomo crede nell’aldilà, egli persegue la sua vita nell’equilibrio e nella serenità.
Inoltre, la Legge divina prescrive all’uomo una direttiva stabile, in ogni dominio, direttiva che non ammette alcun cambiamento. Ciò che è dichiarato illecito, tale permane. Infatti, queste leggi, promulgate con realismo, non mirano che a realizzare il giusto. E il giusto è immutabile, non modificabile. Ciò si riflette quindi anche nei precetti che ne discendono. Le passioni e la volontà umana non possono minimamente influenzarli.
Il mondo civilizzato di oggi è fiero di avere assicurato la libertà della volontà individuale e di avere ammesso come principio fondamentale “la sovranità della volontà popolare”.
Ma, analizzando il fondamento di questa pretesa, si capisce che la sovranità della libertà della maggioranza porta di fatto alla negazione della volontà e della libertà delle minoranze.
Il fatto che basti una maggioranza del 51% che approvi la promulgazione di una certa legge, affinché la minoranza del 49%, la quale è contraria, sia obbligata ad accettarla e a sottomettervisi, è una costrizione contestabile da parte di questa minoranza.
A questo punto, bisogna chiedersi perché la minoranza è privata del suo diritto e perché la sua volontà è negata. La schiavitù è forse diversa rispetto alla privazione della libertà? Che la maggioranza imponga la sua volontà alla minoranza, ciò non significa forse schiacciarla?
In verità, sotto la maschera di questa libertà si nasconde il viso della schiavitù. Ma le leggi divine liberano gli uomini dal giogo della loro natura. Non è più questione di maggioranza né di minoranza. Queste leggi tengono conto del bene di tutti. Il loro obiettivo è di assicurare il bene dell’umanità.
Il credente sa che Dio è il legislatore supremo e che la sottomissione alle Sue leggi è nel suo interesse e in quello di tutti. È per questo motivo che egli sta attento al fatto che i suoi comportamenti rimangano nel quadro dell’obbedienza a Dio e ai precetti divini. Di nascosto o in pubblico, egli non commette alcun atto proibito: egli non ha bisogno di qualcuno che lo sorvegli.
Con riferimento alle leggi promulgate dagli uomini, reiterate esperienze hanno provato che esse sono incapaci di accrescere il senso morale tra gli uomini. Il mondo continua a progredire a livello scientifico, e il livello culturale delle nazioni si eleva di giorno in giorno, ma l’uomo resterà sempre sotto il diabolico giogo delle passioni. Solo la fede in Dio e la sottomissione alle leggi divine possono salvarlo dalla degradazione e dal peccato. L’esperienza umana, stratificata nel corso dei secoli, ha provato che o si segue la guida divina o ci si perde nell’oceano delle passioni.
Si possono citare le dichiarazioni di alcuni studiosi non-musulmani a proposito della proibizione delle bevande inebrianti da parte dell’Islam. Un intellettuale inglese dichiara:
“Tra le qualità della legge islamica, si può citare la proibizione del vino, poiché i figli d’Africa che hanno bevuto si sono approssimati alla follia e in Europa gli alcolizzati hanno completamente perduto la ragione. L’alcol deve essere proibito in Africa e gli Europei debbono pagare per ciò che hanno fatto. Si può dire, in generale, che l’alcol inebetisce la gente del nord e rende folle quella del sud” (3)
Voltaire afferma:
“La religione di Muĥammad è una dottrina ragionevole, seria, pura e umana. Ragionevole, perché non è mai stata corrotta dall’idolatria, perché non ha mai assimilato chicchessia a Dio e perché essa non si è fondata su dogmi contraddittori e assurdi. Seria, poiché essa ha dichiarato illecito il gioco d’azzardo, il vino e altri mezzi di dissolutezza, per altro sostituiti con le cinque preghiere quotidiane. Pura, poiché essa ha limitato a quattro il numero delle donne che possono condividere l’alcova dei sovrani asiatici. Umana, in ragione della priorità che essa accorda, in relazione all’Hajj, alla Zakat e alla cura degli altri. Tutto ciò è una prova della verità dell’Islam”. (4)
Jules Laboum afferma:
“Gli Arabi bevevano vino in eccesso. Il gioco d’azzardo era loro consentito. L’uomo prendeva quante donne voleva e divorziava quando lo desiderava. Le vedove facevano parte dell’eredità; dopo la morte del marito esse erano legate ai figli. L’Islam ha abolito tutti questi costumi” (5)
Il professor Edouard Monté dichiara:
“L’Islam ha proibito l’olocausto, il martirio delle fanciulle, il consumo del vino e il gioco d’azzardo, ovvero pratiche correnti tra gli Arabi. Il beneficio che risulterà da questi divieti, sarà così importante che si considera oggi Muhammad come il più grande benefattore dell’umanità” (6)
Tratto da: S.Musavi Lari, “L’Islam e la civilizzazione occidentale”, Fondation of Islamic C.P.W., Qom, I.R.Iran+
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