L’Islam e il pensiero moderno
S.H.Nasr
Pochi argomenti suscitano tanta passione e sono oggetto di tante discussioni tra i musulmani di oggi quanto l’incontro tra l’Islam e il pensiero moderno. L’argomento è indubbiamente vasto e abbraccia campi che vanno dalla politica all’arte sacra, temi che spesso provocano vere e proprie eruzioni vulcaniche di emozioni, passioni e invettive, le quali non favoriscono certo un’analisi obiettiva e una chiara visione dei problemi in questione. L’intera discussione è condizionata anche da un senso psicologico di inferiorità e debolezza di fronte al mondo moderno, sentimento che impedisce a molti musulmani di dare un giudizio critico sulla situazione attuale e di affermare la verità, a prescindere che questa incontri più o meno il favore dell’opinione pubblica o che sia “alla moda”. Iniziamo col definire cosa si intende per “pensiero moderno”.
E’ stupefacente constatare quante sfumature di significati vengono attribuite alla parola “moderno”: “contemporaneo”, “innovativo”, “creativo” o, semplicemente, “in sintonia coi tempi”. Quando si discute di modernismo, i principi, cioè la verità stessa, non sono quasi mai presi in considerazione. Raramente ci si chiede se questa o quell’idea, forma o istituzione, siano conformi a qualche aspetto della verità, essendo la sola preoccupazione quella di sapere se sia moderna o meno. La mancanza di chiarezza, di precisione e di acume, sia mentale che artistico, che caratterizza il mondo moderno sembra aver offuscato la capacità dei musulmani contemporanei di comprendere il modernismo, sia che essi intendano adottarne i “principi”, sia che siano contrari ad esso. L’influenza del modernismo sembra aver fatto venir meno quella lucidità e intorbidito quella trasparenza cristallina che erano le caratteristiche delle manifestazioni intellettuali e artistiche dell’Islam (1).
Quando usiamo il termine “moderno”, non intendiamo né contemporaneo né in sintonia coi tempi; e tanto meno quel qualcosa che sarebbe riuscito a dominare la natura. Per noi “moderno” significa ciò che è reciso dal Trascendente, dai principi immutabili che, in realtà, reggono ogni cosa e che l’uomo conosce grazie alla rivelazione, nel suo senso più universale. Il modernismo si oppone quindi alla tradizione (al-din); infatti, come abbiamo già detto, il suo ambito è limitato alla sfera meramente umana e attualmente si estende sempre più verso l’infraumano e verso tutto ciò che è separato dalla sorgente divina (2). Con ogni evidenza, la tradizione ha sempre accompagnato e di fatto caratterizzato l’esistenza umana, mentre il modernismo è un fenomeno recente.
Da che l’uomo è sulla terra ha sempre seppellito i morti e creduto nell’aldilà e nel mondo dello Spirito. Durante le centinaia di migliaia di anni in cui ha vissuto sulla terra l’uomo è rimasto legato al punto di vista tradizionale e non si è “evoluto” per quanto attiene il suo rapporto con Dio e con la natura, vista come creazione e teofania di Dio (3). Al confronto con questa lunga storia, nel corso della quale l’uomo ha sempre celebrato il divino e adempiuto al suo ruolo di vicario di Dio in terra (khalifah), il periodo del dominio del modernismo, che va dal XV secolo, epoca caratterizzata in Occidente dal Rinascimento europeo, fino ai giorni nostri, non appare più lungo del tempo di un battito di ciglia (4). Eppure, è entro certi limiti di questo breve istante che trascorrono le nostre vite; di qui l’illusorio dominio del modernismo, di fronte alla potenza del quale così tanti musulmani si ritraggono impotenti, o al quale si alleano con quel senso di superficiale felicità che spesso accompagna le seduzioni mondane.
Alcune precisazioni sul termine “pensiero” (thought nel testo originale), così com’è inteso nell’espressione “pensiero moderno”, ci sembrano inutili: in questo contesto è esso stesso più moderno che tradizionale. L’espressione araba fikr e quella persiana andishah, che si utilizzano abitualmente come suoi equivalenti, non hanno precisamente lo stesso significato nei testi tradizionali. La parola occidentale che più si avvicina all’eccezione tradizionale di pensiero è forse il francese penseé come la usò Pascal, il cui senso sarebbe meglio reso dall’inglese meditation che non da thought. Fikr e andishah, infatti, rimandano entrambi più all’idea di meditazione e contemplazione che all’attività mentale meramente umana, e quindi non-divina, che il termine pensiero normalmente evoca (5). Se comunque impieghiamo questa parola (thought), è perché ci rivolgiamo a un pubblico avvezzo ai molteplici sensi che essa implica, e anche perché usiamo un medium e un linguaggio nel quale non è possibile, senza gravi inconvenienti, ricorrere ad un altro termine che abbia la stessa ricchezza semantica, in grado cioè di comprendere tutte le molteplici forme di attività mentale e che, al tempo stesso, sia privo della limitazione (in senso verticale) che la parola “pensiero” presenta nel linguaggio corrente.
Tutte le forme di attività mentale che, insieme, costituiscono il pensiero moderno, dalla scienza alla filosofia fino alla psicologia e, per certi aspetti, anche alla stessa religione, hanno molti tratti caratteristici in comune che devono essere riconosciuti e studiati prima di poter dare una risposta islamica al pensiero moderno. Il cardine del pensiero moderno che bisogna tenere a mentre è la sua natura antropomorfica. Come potrebbe non essere antropomorfica una forma di pensiero che nega ogni principio superiore all’individualità umana? Si potrebbe certamente obiettare che la scienza moderna non lo è affatto e che sono piuttosto le scienze post-moderne ad essere centrate sull’uomo. Tuttavia, al di là delle apparenze, questa asserzione è pura illusione se si esamina approfonditamente il fattore epistemologico che la sottende. E’ vero che la scienza moderna descrive un universo in cui c’è posto per l’uomo in quanto spirito, mente e psiche, e che questo universo di conseguenza appare in qualche modo disumano, senza alcuna relazione con lo stato umano. Ma, anche se l’uomo ha creato una scienza che lo esclude dalla sua rappresentazione dell’universo (6), non bisogna scordare che i criteri e gli strumenti di conoscenza che determinano questa scienza sono meramente ed esclusivamente umani. Sono la ragione e i sensi dell’uomo, infatti, a determinare la scienza moderna. Perfino la conoscenza delle più lontane galassie è anch’essa contenuta nella mente dell’uomo. Questo mondo scientifico da cui è stato astratto l’uomo riposa quindi inevitabilmente su delle basi antropomorfiche, per quanto concerne il polo soggettivo della conoscenza, in quanto è il soggetto che conosce e che determina cos’è la scienza.
Per contro, le scienze tradizionali sono profondamente non-antropomorfiche nel senso che, per esse, il luogo e il ricettacolo della conoscenza non è la mente umana ma, in definitiva, l’Intelletto divino. La vera scienza non si fonda sulla sola ragione ma sull’intelletto che appartiene ad un livello di realtà sovra-umano e che, tuttavia, illumina lo spirito umano (7). Le cosmologie medioevali mettevano l’uomo al centro di tutte le cose, non perché fossero umaniste nel senso rinascimentale del termine (secondo il quale l’uomo decaduto e terrestre è la misura di tutte le cose), ma lo erano per permettergli di avere una visione del cosmo come gerarchia di stati, l’inferiore dei quali, occupato dall’uomo stesso, era come una cripta che egli doveva attraversare per trascendere. Nessuno può cominciare un viaggio se non a partire dal luogo in cui si trova (8).
Se l’antropomorfismo è quindi una caratteristica propria della scienza moderna, essa si manifesta in modo ancora più evidente in altre forme del pensiero moderno, come la psicologia, l’antropologia o la filosofia. Il pensiero moderno, dal quale la filosofia è in un certo qual modo la madre e la progenitrice, è divenuto profondamente antropomorfico nel momento in cui fece dell’uomo la misura e il criterio della realtà. Quando Cartesio dichiarò: ”Penso, quindi sono” (cogito, ergo sum), pose la sua consapevolezza individuale, limitata al suo ego, a parametro dell’esistenza, perché l’io di Cartesio non era certamente l’”Io” divino che poté esclamare, attraverso la bocca di Hallaj: “Io sono la verità” (ana’l-Haqq), quell’”Io” divino, che, secondo la dottrina tradizionale, ha diritto di dire “Io” (9). Fino a Cartesio, era il puro Essere, l’Essere divino, che determinava l’esistenza umana e i diversi gradi di realtà. Ma con il razionalismo cartesiano, l’esistenza individuale è diventata il parametro della realtà e anche della verità. Nel pensiero occidentale corrente, con l’esclusione di alcuni suoi sviluppi periferici, l’ontologia è sfociata nell’epistemologia, l’epistemologia nella logica e infine, per reazione, la logica si è dovuta confrontare con quelle filosofie anti-tradizionali che oggi sono prevalenti (10).
Quel che è successo nel periodo post-medioevale in Occidente è che i piani superiori della realtà sono stati eliminati sia nel dominio soggettivo che oggettivo. Non restò nulla di più elevato nell’uomo della sua ragione e nulla di più alto nel mondo oggettivo di ciò che la ragione poteva comprendere con l’ausilio dei normali sensi di percezione. Questo era inevitabilmente destinato ad accadere. Il che appare evidente se si ricorda il noto principio di adeguamento (l’adequatio) di San Tommaso d’Aquino, secondo il quale per conoscere qualcosa occorre avere uno strumento di conoscenza adeguato e conforme alla natura di quel che si vuole conoscere. Dal momento che l’uomo moderno rifiutò di riconoscere un principio d’ordine superiore a se stesso, ovviamente tutto ciò che poteva essere prodotto dalla sua mente doveva necessariamente essere antropomorfico.
Un secondo tratto saliente del modernismo, strettamente correlato all’antropomorfismo, è l’assenza di principi caratteristica del mondo moderno. La natura umana è troppo instabile, volubile e turbolenta per poter fungere da principio. Ecco perché un modo di pensare incapace di trascendere il livello umano, che resta antropomorfico, non può che essere privo di principi. Nella vita attiva, ossia nel dominio della morale (benché questo non possa essere limitato all’azione) e, da un altro punto di vista, in politica e in economia, questa mancanza di principi si fa sentire chiaramente. Si potrebbe obiettare che non è così per quanto concerne le scienze. Tuttavia, ancora una volta, bisogna affermare che né l’empirismo né la conoscenza induttiva, né la fiducia posta su dati sensibili confermati dalla ragione, possono valere come principi in senso metafisico. Queste cose sono tutte valide al loro livello come la scienza che hanno generato; tuttavia sono state decapitate dai principi immutabili, così la scienza moderna che ha scoperto molte cose ad un certo livello di realtà, essendo scissa dai principi superiori, con le sue scoperte e invenzioni, ha portato ad un grande squilibrio. Si può dire che solo la matematica, tra le scienze moderne, possieda dei principi in senso metafisico; la ragione risiede nel fatto che la matematica resta, nonostante tutto, una scienza platonica e le sue leggi, scoperte dallo spirito umano, continuano a riflettere dei principi metafisici così come la ragione stessa non può che rispecchiare il fatto di essere un riflesso dell’intelletto. Anche le scoperte delle altre scienze, nella misura in cui si conformano ad alcuni aspetti della natura della realtà, possiedono naturalmente dei significati simbolici e metafisici, ma questo non significa che esse siano collegate ai principi metafisici né che si integrino a una forma superiore di conoscenza. Questa integrazione avrebbe potuto prodursi ma, di fatto, ciò non è avvenuto. La scienza moderna, di conseguenza, e le sue generalizzazioni, così come gli altri frutti del modo di pensare e di agire che abbiamo associato al modernismo, soffre della mancanza di principi che caratterizza il mondo moderno nel suo insieme. Un’assenza che si fa sentire sempre più, man mano che si svolge il corso della storia.
Ci si potrebbe chiedere quali mezzi di conoscenza fossero a disposizione delle civiltà anteriori all’evo moderno. La risposta è molto chiara, almeno per quei musulmani che conoscono la vita intellettuale dell’Islam: la rivelazione (kashf) e l’intuizione intellettuale (dhawq) o la visione (shuhud) (11) L’intellettuale musulmano vedeva nella rivelazione la sorgente primaria di ogni conoscenza, non solamente il mezzo per apprendere le leggi morali che attengono alla vita attiva. Egli era anche consapevole della possibilità che l’uomo aveva di purificarsi finché “l’occhio del cuore” (ayn al-qalb), localizzato al centro del suo essere, non si fosse aperto permettendogli di accedere alla visione delle realtà celesti. Infine, egli riconosceva il potere gnoseologico della ragione, ma questa era sempre sostenuta da un lato dalla rivelazione e dall’altro dall’intuizione intellettuale dalla quale si alimentava. I pochi musulmani che recisero questo legame e proclamarono l’indipendenza delle ragione, sia dalla rivelazione che dall’intuizione, non vennero mai accettati dalle principali correnti di pensiero dell’Islam. Essi rimasero delle figure marginali mentre, al contrario, nell’Occidente postmedievale furono coloro che cercavano di sostenere la dipendenza della ragione dalla rivelazione e dall’intelletto ad essere marginalizzati avendo le principali correnti del pensiero moderno rifiutato sia la rivelazione che l’intuizione intellettuale come strumenti della conoscenza. Nei tempi moderni, perfino i filosofi della religione e i teologi raramente difendono la Bibbia come fonte di conoscenza sapienziale in grado di determinare e integrare la scientia, così come sostenuto da San Bonaventura. I pochi che guardano alla Bibbia come a una guida intellettuale sono generalmente a tal punto limitati dalle loro interpretazioni letterali e superficiali del Libro Santo che, inevitabilmente, nelle loro dispute contro le scienze moderne, sono i razionalisti che, il più delle volte, escono vincitori (12).
Riflettendo su queste e altre caratteristiche del modernismo si giunge alla conclusione che, al fine di comprenderlo nelle sue manifestazioni, è essenziale capire il modo di pensare dell’uomo che gli fa da sostrato. Occorre cercare di scoprire quale concezione l’uomo moderno abbia di se stesso e del proprio destino e come veda l’anthropos di fronte a Dio e al mondo. Inoltre, è essenziale capire cosa animi e ispiri gli uomini e le donne i cui pensieri e idee hanno plasmato e continuano a dare forma al mondo moderno. Poiché se oggi uomini come Ghazali e Rumi, Scoto Erigene o Eckhart insegnassero filosofia nelle grandi università occidentali, sarebbe certamente ben altra filosofia quella predominante. Un uomo pensa a seconda di ciò che è, ovvero, come disse Aristotele, la conoscenza dipende dal modo di essere del conoscente. Uno studio sul concetto moderno di uomo “libero”, padrone assoluto del proprio destino terrestre, padrone della terra, ma dimentico di tutte le realtà escatologiche che egli ha rimpiazzato con qualche futuro stato di perfezione calato in un tempo storico profano, indifferente, quando non addirittura avverso, al mondo dello Spirito e alle sue esigenze, privo di ogni senso del sacro, rivelerà quanto vani sono stati e siano gli sforzi di quei “riformatori” musulmani modernisti che hanno cercato di armonizzare l’Islam e la modernità nel senso in cui noi l’abbiamo definita. Se diamo un’occhiata anche rapida alla concezione islamica dell’essere umano, all’homo islamicus, scopriremo l’impossibilità di armonizzare questa concezione con quella di un uomo moderno (13).
L’homo islamicus è a un tempo il servo di Dio (al-‘abd) e il suo rappresentante in terra (khalifat allah fi’l ard) (14). Non è un animale capace di parlare e pensare ma un essere che possiede un’anima e uno spirito creato da Dio. L’homo islamicus ha in sé l’intero mondo vegetale e animale, poiché egli è il coronamento della creazione (ashraf al-makhluqat); ma non si è evoluto da una qualche forma inferiore di vita. L’uomo è sempre stato uomo. Secondo la concezione islamica egli vive sulla Terra e ha naturalmente dei bisogni terreni, ma non appartiene solamente a questa Terra e i suoi bisogni non sono limitati a questa sfera. Egli regna in terra solo in quanto rappresentante di Dio dinnanzi a tutte le creature. Ed è quindi responsabile di fronte a Dio della creazione e deve veicolare la Grazia divina verso le altre creature. L’homo islamicus possiede il potere della ragione, della ratio, che divide e analizza, ma le sue facoltà mentali non sono limitate al pensiero discorsivo. Egli ha la possibilità della conoscenza esoterica: quella conoscenza del suo essere interiore che non è altro che la chiave verso la conoscenza di Dio secondo il famoso hadith del Profeta: ”Chi conosce se stesso, conosce il Signore” (man’arafa nafsah fadaq’arafa rabbah). Egli è consapevole del fatto che la sua coscienza non è il prodotto di una causa materiale esterna ma che viene da Dio e che è troppo profonda per essere recisa da quell’accidente che è la morte (15). L’homo islamicus è quindi ancora consapevole delle realtà escatologiche e sa che, benché egli viva sulla terra, è come un viaggiatore lontano dal suo paese d’origine. Egli sa che la guida per questo viaggio è il messaggio proveniente dalla sua vera dimora, dall’Origine, ossia la rivelazione a cui resta legato, non solo per i suoi aspetti giuridici rappresentati dalla shari’ah, ma anche per la ricerca della verità e della conoscenza (haqiqah). Inoltre, sa che le facoltà umane non si limitano ai sensi e alla ragione ma che, nella misura in cui egli saprà ritrovare l’integralità del suo essere e attualizzare tutte le potenzialità che Dio ha posto in lui, il suo spirito e la sua ragione potranno essere illuminati dalla luce del mondo spirituale. Allora sarà in grado di accedere alla conoscenza diretta di quel mondo spirituale e intellegibile al quale il nobile Corano si riferisce come l’Invisibile (‘alam-al-ghayb) (16).
Ovviamente tale concezione dell’uomo differisce profondamente da quella dell’uomo moderno, che considera se stesso come creatura esclusivamente terrestre, padrone della natura, ma responsabile solo di fronte a se stesso; e non c’è modo, quali siano le improbabili giustificazioni, di armonizzare questo due concetti. La concezione islamica dell’uomo scarta la possibilità di una rivolta prometeica contro il Cielo e integra Dio in ogni aspetto della vita umana (17). Ne risulta la creazione di una civiltà, un’arte e una filosofia o un modo di pensare e di vedere le cose completamente teocentrico che si situa all’opposto dell’antropocentrismo che è il tratto dominante del modernismo. Niente può essere più irritante per la sensibilità musulmana dell’arte “religiosa”, titanica e prometeica, del Rinascimento e del Barocco, che è agli antipodi dell’arte islamica, radicalmente non-antropomorfica. Nell’Islam l’uomo pensa e agisce come homo sapiens e come homo faber in quanto ‘abd di Dio, e non come creatura in rivolta contro di Lui. Il suo obiettivo resta non la propria glorificazione ma quella di Dio, e il suo scopo principale è quello di diventare “nulla”, di fare l’esperienza del fana’ che gli permetterà di diventare lo specchio in cui Dio contempla i Suoi nomi e le Sue quiddità, e il canale attraverso cui le teofanie dei Suoi nomi si riflettono nel mondo.
Ciò che caratterizza la concezione islamica dell’essere umano presenta, naturalmente, profonde similitudini con quelle delle altre tradizioni, compresa quella cristiana, e noi saremo gli ultimi ad affermare il contrario. Ma il modernismo non è né il Cristianesimo né nessun’altra tradizione ed è dell’opposizione tra Islam e pensiero moderno quello di cui ci stiamo occupando e non il confronto con la cristianità. Altrimenti cosa potrebbe essere più vicino agli insegnamenti islamici, secondo i quali l’uomo è stato creato per cercare la perfezione e la beatitudine finale, attraverso la crescita intellettuale e spirituale, e secondo i quali l’uomo non è tale se non quando cerca quest’azione (talib al-kamal) provando a superare se stesso, dell’adagio scolastico ”Homo non proprie humanus sed superhumanus est?”. Per essere davvero umani occorre tendere ad essere più che umani.
Le caratteristiche del pensiero moderno che abbiamo richiamato ovvero la sua natura antropomorfica e, per estensione, la sua natura profana, la mancanza di principi nei diversi domini che prende in considerazione e il riduzionismo che ne consegue, particolarmente evidente in campo scientifico, sono chiaramente in totale opposizione con i principi del pensiero tradizionale così come, in generale, la concezione moderna dell’essere umano dalla quale derivano queste istanze contraddice quella dell’Islam tradizionale (18). Resta ancora una caratteristica del pensiero moderno che occorre discutere più ampiamente poiché si è diffusa ovunque nel mondo causando degli effetti letali sul pensiero religioso e sulla vita di quei musulmani che ne sono stati toccati: la teoria evoluzionistica (19).
In Occidente nessuna altra teoria o idea moderna è stata così pregiudizievole per la religione quanto la teoria dell’evoluzione, che invece di essere considerata solo un’ipotesi in biologia, zoologia o paleontologia, è stata presentata come un’evidenza scientifica. Inoltre, si è imposta come una tendenza che ha permeato tutto il pensiero moderno fino a farle abbracciare campi assai distanti tra loro quali l’astrofisica e la storia dell’arte. Le conseguenze di questo modo di pensare sono state altrettanto nefaste per musulmani e cristiani. Generalmente i musulmani modernizzati hanno provato ad accomodare l’evoluzionismo con ogni sorta di interpretazione del Corano, dimenticandosi che non c’è modo di armonizzare il concetto coranico di uomo (Adam), al quale Dio ha insegnato tutti “i nomi” e che Egli ha eletto suo khalifah in terra, con la concezione evoluzionistica secondo la quale l’uomo discende dalla scimmia. E’ singolare che, a parte pochi pensatori musulmani tradizionalisti e “fondamentalisti”, che hanno rigettato la teoria evoluzionista generalmente su basi esclusivamente religiose, senza avere cioè argomentazioni razionali e intellettuali per motivare questo rifiuto, pochi musulmani siano stati toccati dalla sua assurdità logica e abbiano accordato la dovuta attenzione a tutte le reputazioni scientifiche che, a dispetto della generale e passiva accettazione della teoria accolta in numerosi dizionari ed enciclopedie, persone come L. Bounoure e D. Dewar (20) hanno prodotto per confutarla. Infatti, come è stato giustamente notato da E.F.Schumacher “l’evoluzionismo non è una scienza; è fantascienza, e perfino una sorta di montatura” (21). Alcuni critici occidentali dell’evoluzionismo hanno anche affermato che coloro che lo sostengono soffrono di squilibri psichici (22), mentre recentemente sono sorte altre numerose argomentazioni contro di esso (23).
Non è nostra intenzione, in questo studio, analizzare e confutare in dettaglio la teoria evoluzionistica, anche se, dal punto di vista scientifico, metafisico, filosofico, logico e religioso, questa reputazione per dei pensatori musulmani sarebbe essenziale, così come lo è stata in Occidente. Ora, è invece importante notare che il punto di vista evoluzionista, che rifiuta in assoluto il concetto di permanenza, visto che per esso il “più” “deriva” in qualche modo dal “meno” e che ignora totalmente gli stati superiori dell’essere e le realtà archetipiche che determinano le forme di questo mondo, non è altro che il risultato della perdita dei principi di cui si è detto sopra. L’evoluzionismo non è che un tentativo disperato di colmare il vuoto creato dall’uomo moderno quando ha “separato”, negando ogni principio superiore a ciò che è meramente umano, le mani di Dio dalla creazione, il che lo ha fatto inevitabilmente cadere in uno stato infraumano. Una volta che il Principio trascendente è smarrito, il mondo diviene un cerchio senza centro e questa esperienza della perdita del centro resta una realtà esistenziale per coloro che accettano la tesi del modernismo, siano essi cristiani o musulmani.
L’idea di progresso e l’utopismo, che hanno scosso filosoficamente e politicamente il mondo occidentale alle sue radici nel corso dei due secoli passati e che ora stanno contagiando anche l’Islam, sono strettamente collegati all’evoluzionismo. L’idea di progresso unilaterale non è, fortunatamente, più presa in seria considerazione da gran parte dell’attuale élite occidentale ed è gradualmente rigettata anche dal mondo islamico come un “idolo dello spirito”; un idolo ai piedi del quale una generazione di musulmani modernizzati si è prostrata senza esitare (24).
Ma l’utopismo, che è strettamente correlato all’idea di progresso, merita comunque un esame rigoroso e uno studio approfondito, perché continua ad avere effetto devastante su larga parte dell’intellighènzia musulmana modernizzata.
L’utopismo è definito dall’Oxford English Dictionary come un “progetto ideale irrealizzabile, per migliorare o perfezionare le condizioni sociali”. Benché l’origine di questa parola risalga al noto trattato di Sir Thomas More intitolato De optimo reipublicae deque nova insula Utopia (scritto in latino nel 1516), il termine “utopismo”, nell’accezione corrente, ha delle implicazioni anteriori al XVI secolo. La dottrina cristiana dell’Incarnazione, combinata allo spirito idealistico caratteristico del Cristianesimo, esisteva ben prima dei tempi moderni. L’utopismo ha preso forma come caricatura di questo spirito, quale sia stata la sua formulazione particolare, (come il socialismo umanitario di St. Simon, Charles Fourier e Robert Owen, o il socialismo politico di Max ed Engels) e ha condotto a una concezione della storia che è una parodia della Città di Dio agostiniana. L’utopismo dei secoli scorsi, che è uno degli aspetti più significativi del modernismo, combinato con varie forme di messianesimo, ha portato e porta ancora a delle profonde convulsioni sociali e politiche i cui fini e metodi non possono che essere completamente estranei al genio e ai fini dell’Islam tradizionale (25). L’utopismo cerca di stabilire un perfetto ordine sociale attraverso dei mezzi unicamente umani. Trascura la presenza del male nel mondo, inteso nella sua accezione teologica, e mira a fare del bene senza Dio, come se fosse possibile stabilire un ordine fondato su una bontà separata dalla sorgente di ogni bene.
Anche l’Islam ha avuto le sue descrizioni della società ideale nelle opere di Farabi che dipingono la “società virtuosa” o al-madinat al-fadilah, o nei testi di Shaykh Shihab al-Din Suhrawardi, che si riferiscono al paese della perfezione, chiamato, in persiano, na kunja abad, letteralmente “paese senza dove, cioè u-topia. Ma veniva sempre ricordato che questa terra della perfezione è in un non-luogo, ossia al di là del regno terreno e perciò è identificata con l’ottavo clima, al di sopra dei sette di questo mondo. Il realismo presente nella prospettiva islamica, combinato con l’enfasi che il Corano pone sulla perdita progressiva della perfezione nella comunità islamica man mano che si allontana dall’origine della rivelazione, fino a non molto tempo fa ha impedito che l’utopismo presente nella filosofia europea moderna attecchisse nel pensiero islamico. Inoltre, il musulmano ha sempre conservato la consapevolezza che, se uno stato perfetto dovesse esistere, esso non potrebbe realizzarsi senza l’assistenza di Dio. Da ciò consegue che, benché l’idea di un rinnovamento ciclico dell’Islam grazie a un rinnovare (mujaddid) sia sempre stata viva, così come il mahdismo che attende, nel Mahdi, la forza mandata da Dio per restituire all’Islam la sua perfezione originale, l’Islam non ha mai dovuto affrontare quel tipo di utopismo secolarizzato sul quale si basano così tanti aspetti sociali e politici del pensiero moderno. E’ quindi essenziale comprendere la profonda distinzione che c’è tra il moderno utopismo e gli insegnamenti islamici concernenti il mujaddid, ossia il rinnovatore della società islamica, o ancora il Mahdi stesso. Bisogna altresì distinguere tra la figura tradizionale del mujaddid e il moderno riformista che, in genere, data la sua scarsa capacità di reazione al pensiero moderno, difficilmente può essere considerato un vero rinnovatore islamico. Occorre egualmente tenere presente la vera natura di questo rinnovamento, che si basa sull’utopismo ma impiega il linguaggio e le immagini dell’Islam, riscontrabile in certe forme di “fondamentalismo”.
Dobbiamo menzionare ancora un’altra delle principali caratteristiche del pensiero moderno che è direttamente correlato a quanto detto precedentemente. Si tratta della perdita del senso del sacro. L’uomo moderno può in pratica, essere definito un uomo che ha perso questo senso, e il suo modo di pensare colpisce per l’assenza della coscienza del sacro. Non potrebbe essere altrimenti, visto che l’umanesimo moderno è inseparabile dalla secolarizzazione. Nulla può essere più lontano dalla prospettiva islamica che esclude il concetto stesso di profano o secolare (26); perché nell’Islam, come si è detto, l’Uno penetra in profondità il mondo della molteplicità senza che nessun dominio della tradizione ne sia escluso. Ciò è evidente non solo nei suoi aspetti intellettuali (27) ma anche, e in modo strabiliante, nell’arte islamica. La tradizione musulmana non potrà mai accettare un sistema di pensiero che non emani alcun profumo sacro e che rimpiazzi l’Ordine divino con un ordine di ispirazione meramente umana. Il confronto tra l’Islam e pensiero moderno non può avvenire seriamente senza prendere in considerazione il primato del sacro nella prospettiva islamica e la sua assenza nel pensiero moderno. L’Islam non può scendere a patti con il punto di vista profano, il che conferirebbe a quest’ultimo una legittimità che non possiede. Può solo prendere il punto di vista profano per quel che è, ovvero la negazione e il rifiuto del sacro che è, mentre ciò che è profano o secolare non è che l’apparenza dell’Essere.
In conclusione, è necessario aggiungere che il riduzionismo, che è una della caratteristiche del pensiero moderno, ha anch’esso contagiato l’Islam nel corso del suo incontro con il modernismo. Uno degli effetti del modernismo sull’Islam è stato quello di ridurre l’Islam, nel pensiero di molti, ad una sola dimensione, quella della shari’ah, e di spogliarlo di quelle armi intellettuali che, sole, gli avrebbero permesso di respingere gli assalti del pensiero moderno. La shari’ah è naturalmente fondamentale per la tradizione islamica; ma le sfide intellettuali poste nel modernismo sotto molteplici forme, come l’evoluzionismo, il razionalismo, l’esistenzialismo e l’agnosticismo, possono essere vinte solo intellettualmente e non certo per via “legale”, né, tanto meno, ignorandole e sperando di assistere, un giorno, ad un magico matrimonio tra la shari’ah, le scienze e le tecnologie moderne. Un corretto incontro tra l’Islam e il pensiero moderno non potrà certo avvenire grazie a espressioni di rabbia e dimostrazioni di arroganza “farisea”, ma solo quando il pensiero moderno sarà compreso alle radici, nelle sue ramificazioni e implicazioni, e qualora la tradizione islamica, nella sua integrità, sarà spinta a risolvere gli enormi problemi che pone il modernismo. Al nocciolo di quest’impresa c’è il rinnovamento della saggezza, quella hikmah o haqiqah che dimora nel cuore della rivelazione islamica e che resterà valida finché gli uomini saranno uomini e renderanno la loro testimonianza a Dio secondo la loro natura teomorfica e in quello stato di servitù dinnanzi al Signore (‘ubudiyyah) che è la raison d’etre dell’esistenza umana.
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NOTE:
1) L’Islam è basato sull’intelligenza, e l’intelligenza è luce, come viene espresso nell’hadith, Inna’l-‘aql nur (ovvero, in verità l’intelligenza è luce). L’espressione più caratteristica dell’Islam è il giardino dell’Alhambra, le cui forme sono tante cristallizzazioni della luce e i cui spazi sono definiti dai raggi di quella luce, che in questo modo simbolizza il divino Intelletto.
2) Se siamo costretti a ridefinire parole come “tradizione” e “modernismo” è perché nonostante la considerevole quantità di scritti sull’argomento da parte di scrittori eccellenti quali R. Guenon, F. Schuon, A. K. Coomaraswamy, T. Buckhardt, M. Lings e altri, ci sono ancora molti lettori , specie musulmani, per cui la distinzione tra “tradizione “ e “modernismo” non è chiara. Essi tuttora identificano la tradizione con gli usi e i costumi e il modernismo con la contemporaneità.
Anche molti studiosi islamici occidentali identificano “moderno” con “avanzato” o “sviluppato” e così via. Come se il passare del tempo garantisse in se un miglioramento. Per esempio C. Leiden, un politologo specializzato nell’Islam contemporaneo, scrive: “E’ importante vedere come lo stesso termine modernizzazione possa far luce su tali questioni. Questa non è la prima volta nella storia che alcune società si confrontano con altre società “avanzate” e in qualche modo vi si adattano. Ogni confronto è stato, in un certo senso, uno scontro o un contatto con la modernizzazione”. J. A. Bill e C. Leiden, The Middle East- Politics and Power, Boston 1974, pp. 48-49. L’autore va oltre citando gli esempi degli incontri tra i romani e i greci e tra gli arabi, i bizantini e i persiani. Tuttavia, nonostante lo stato di decadenza della tarda cultura greca, ne i greci ne, certamente, i teocratici bizantini o i persiani erano moderni nel senso in cui oggi il termine è inteso. In realtà, questa è la prima volta che delle società tradizionali si confrontano realmente col modernismo.
3) Nonostante il carattere fortemente anti-tradizionale della prospettiva che domina la moderna antropologia, anche certi antropologi sono giunti alla conclusione che, da un punto di vista metafisico e spirituale, l’uomo non è progredito ne si è evoluto di una spanna dall’età della pietra. Se, nei primi decenni del XX secolo quest’idea fu appoggiata da pochi studiosi, come A. Jeremias e W. Schmidt, in anni più recenti ha ricevuto un forte sostegno, grazie alle scoperte e agli studi di eruditi come J. Servier e, dal punto di vista dell’antropologia religiosa, di M. Eliade.
4) Occorre ricordare che anche durante questo periodo relativamente breve di cinque secoli, il mondo islamico è rimasto ampiamente legato alla tradizione e non ha subito pienamente l’impatto del modernismo fino al XIX secolo. Si veda S. H. Nasr, Islam and the Plight…, op. cit.
5) Nel famoso detto persiano “prega finché la tua invocazione diventerà meditazione (fikr) e dia alla luce centomila pensieri vergini (andishah)”, la relazione tra attività mentale, pratica spirituale e contemplazione in un contesto tradizionale è evidente.
6) Ci sono stati recentemente dei tentativi di evadere dal riduzionismo della fisica classica e di inserire sia la vita che la psiche come elementi indipendenti dell’Universo, ma la visione generale della scienza moderna resta sostanzialmente riduzionista a limita lo spirito al pensiero, il pensiero agli aspetti esteriori della psiche, questi ultimi al comportamento organico e l’organismo alle strutture molecolari. L’uomo che sa, che ha certezza della propria coscienza, è così ridotto ad un insieme di elementi chimici e fisici che in realtà sono dei concetti che il suo spirito applica al regno della natura. Si vedano A. Koestler e J. R. Smythies, Beyond Reductionism, Londra 1959, specie l’articolo di V.E. Frankl, Reductionism and Nihilism, in cui egli scrive “In realtà il pericolo attuale non risiede nella perdita di universalità da parte della scienza, quanto piuttosto nella sua rivendicazione e pretesa di totalità.(…) Il vero nichilismo oggi è il riduzionismo.(…) Il nichilismo contemporaneo non invoca più il “nulla”ma oggi stesso si camuffa dietro il “null’altro che”. I fenomeni umani sono così trasformati in epifenomeni”. Si veda anche E. F. Schumacher, A Guide for the Perplexed, New York 1977, in particolare il primo capitolo.
7) Si veda F. Brunner, Science et realite, Parigi 1956, in cui l’autore mostra chiaramente la natura non-antropomorfica della scienza tradizionale, basata sull’Intelletto divino piuttosto che sulla sola ragione.
8) A proposito del cosmo come cripta per quanto concerne l’Islam rimandiamo al nostro studio S. H. Nasr, An Introduction to…, op. cit., cap. 15.
8) Si veda S. H. Nasr, Self-awareness and Ultimate Selfhood, “Religious Studies”, vol.13, no.3, sett.1977, pp.319-325.
9) Il classico studio di E. Gilson, The Unity of Philosophical Experience, Charles Scribrer, New York 1937, è tuttora valido nel tracciare lo sviluppo del pensiero occidentale.
10) Fu specialmente Sadr al-Din Shirazi che chiarì, forse più di ogni altro filosofo musulmano, la relazione tra le tre vie (ragione, intuizione e rivelazione) aperte all’uomo nel suo cammino verso la conoscenza. Si veda, S. H. Nasr, Sadr al-Din Shirazi and…, op. cit.
11) Abbiamo trattato questo argomento ampiamente nel nostro libro, Knowledge and…, op. cit., cap.4.
12) Ci sono naturalmente molti uomini e donne che vivono nel mondo moderno che non si riconosceranno in questa descrizione. Ma queste persone, il cui numero è in continua crescita in Occidente, pur essendo contemporanee non sono moderne. Le caratteristiche di cui abbiamo parlato riguardano il modernismo in se e non le singole individualità che infatti gli possono essere anche avverse.
13) Circa la concezione islamica dell’uomo si vedano S. H. Nasr, “Who is Man? The perennial answer of Islam”, in The Sword of Gnosis, J. Needleman (ed.) Penguin Books Inc., 1974, pp. 203-17, e Knowledge and…, op. cit., cap.5.
14) La coscienza non ha origine nel tempo. Per quanto tentiamo di risalire indietro, ovviamente, non raggiungeremo mai il momento del suo inizio. Al cuore di questa facoltà risiede, infatti, l’Infinita Coscienza di Dio, che è a un tempo la Realtà assolutamente trascendente e il Se infinito che sta al centro del nostro essere. In genere, il Sufismo ha messo l’accento più sull’aspetto obbiettivo mentre l’Induismo più su quello soggettivo dell’unica Realtà, che è puro oggetto e puro soggetto, ma il concetto di divinità come puro soggetto è sempre stato presente nell’Islam, come si può vedere nel Corano quando ci si riferisce a Dio come all’interiore (al-batin), nell’hadith già citato e in alcuni classici trattati sufi come Mantiq al-tayr (Il parlamento degli uccelli). (Trad. it. Farid ad-Din Attar, Il verbo degli uccelli, SE, Milano 1986).
15) E’ interessante notare come uno dei migliori trattati di filosofia islamica che si occupa di metafisica ed escatologia è l’opera di Sadr al-Din Shirazi intitolato Mafatih al-ghayab, letteralmente “Chiavi del Mondo Invisibile”.
16) ”Nell’Islam, come abbiamo visto, il raggio divino passa direttamente attraverso tutti i gradi dell’esistenza, come un’ascia, e li collega tra loro armoniosamente e dà a ognuno ciò di cui ha bisogno; abbiamo anche visto come un raggio dritto possa fare una curva al suo ritorno e diventare un cerchio che riporta tutto al punto di partenza…” L. Schaya, Contemplation and Action in World religions, Seattle and London 1978, p.173.
17) Naturalmente, le ramificazioni e i dettagli relativi a ogni campo sono tali che potrebbero essere discussi indefinitamente. Ma qui noi privilegiamo i principi alle loro applicazioni. Alcune di queste problematiche sono state discusse in dettaglio nel nostro Islam and the Plight of Modern Man.
18) “…Nel mondo moderno la teoria dell’evoluzione, più che di ogni altra cosa, è stata causa della perdita della fede religiosa…le persone più razionali sono costrette a scegliere tra la dottrina della caduta dell’uomo e la “dottrina” della sua evoluzione ascendente e devono rigettare in blocco quella scartata…” M. Lings, Recensione de D. Dewar The Transformist Illusion in “Studies in Comparative Religion”, vol.4, no.1, 1970, p.59. Si potrebbe anche spiegare la rapida diffusione della teoria evoluzionista come pseudo-religione in Occidente dicendo che, almeno fino ad un certo punto, ha colmato un vuoto lasciato dall’indebolimento della fede. Ma per quel che riguarda l’Islam, il suo effetto è stato quello di corrodere e indebolire una fede esistente, così come era già successo per i cristiani che erano fortemente credenti fino alla diffusione di questa teoria alla fine del XIX secolo, effetto che dura tuttora.
19) Si vedano L. Bounoure, Determinism et finalite, double loi de la vie, Parigi 1964; e D. Dewar, The Transformist Illusion, Newfreesboro (Tenn.) 1957. Abbiamo anche noi trattato la questione in Man and Nature, Londra 1977 (trad. it. L’Uomo e Natura, Rusconi, Milano 1974).
20) E. F. Schumacher, Guide for the Perplexed, p.114: “ E’ molto meglio credere che la terra sia un disco appoggiato sulla schiena di una tartaruga affiancata da quattro elefanti che non credere, nel nome dell’evoluzionismo, nella venuta del Superuomo”. F. Schuon, Dal divino all’umano, Mediterranee, Roma 1993: “Un’interpretazione letterale dei simboli cosmologici è, se non proprio utile, almeno innocua, mentre l’errore scientifico –come l’evoluzionismo- non è vero ne letteralmente ne simbolicamente; e le ripercussioni della sua falsità sono immense”.
21) “Se volessimo presentare la teoria dell’evoluzione in modo estremamente scientifico, dovremmo dire qualcosa del genere: – e a un certo punto, la temperatura sulla Terra divenne tale che l’aggregazione degli atomi di carbonio e di ossigeno con il nitrato di idrogeno divenne più facile, e da queste grandi concentrazioni molecolari casualmente nacque la vita, che da quel momento attraversò varie fasi, finché dal processo di selezione naturale finalmente rimase un essere capace di scegliere l’amore sull’odio e la giustizia contro l’ingiustizia, di scrivere poesie come Dante, di comporre musica come Mozart e di disegnare come Leonardo -. Naturalmente, una tale visione della cosmogenesi è pazzesca e io non intendo pazzesca nella sua accezione colloquiale ma proprio nel senso di psicotica. Una visione del genere ha infatti molto in comune con alcuni aspetti del pensiero schizofrenico”. K. Stern, The Flight from Woman, New York 1965, p.290. L’autore è un noto psichiatra che è giunto a questa conclusione non partendo dal punto di vista della Tradizione ma attraverso numerosi studi contemporanei.
22) Si rimanda specialmente all’opera di A. E. Wilder Smith, Herkunft und Zukunft des Menschen, Basilea 1966. Abbiamo messo insieme diverse referenze presenti nella letteratura anti-evoluzionista occidentale in S. H. Nasr, Knowledge and…, op. cit., pp.249, 250.
23) Abbiamo discusso l’idea di progresso e la sua refutazione nel nostro Islam and the Plight of Modern Man e in Progress and evolution: A Reappraisal from Traditional Perspective, Parabola, vol. VI, no.2, Primavera 1981, pp. 44-51. Si veda anche M. Jameelah, Islam and Modernism, Lahore 1968. Inoltre M. Lings Ancient Beliefs and Modern Superstitions, Londra 1967 (trad. it. Antiche fedi e moderne superstizioni, Il leone verde, Torino 2002); e Lord Northbourne, Looking back on Progress, Londra 1968.
24) Circa le radici più profonde dell’utopismo in Occidente si veda J. Servier, Histoire de l’utopie, Parigi 1967 (trad. it. Storia dell’utopia, Mediterranee, Roma 2004).
25) Questo è provato dalla mancanza di un tale termine in arabo e in persiano classico.
26) Abbiamo discusso della qualità del sacro negli insegnamenti islamici, scienza compresa in S. H. Nasr, Scienza e civiltà nell’Islam, op. cit.; e anche in Islamic Science …op. cit.
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