Ashura: la Via del Sacrificio
Parlare dell’Imam Husayn (A) e del suo sacrificio eccelso sembrerebbe poter dar adito a due opposti inconvenienti: da un lato, il rischio di essere ripetitivi, banalizzando con frivoli artifici retorici la sostanza squisitamente spirituale della sua vicenda terrena; e dall’altro canto, l’immensità stessa della sua figura potrebbe lasciare sbigottiti e senza parole, incapaci di trarne e darne alcunché a chicchessia.
Ma a ben vedere, non ci sembra che questi due rischi si possano inverare per chi si accosti con purità di cuore alla figura e alla vicenda dell’Imam: nessuna banalizzazione è possibile al cospetto di chi sfugge incondizionatamente ad ogni banalità; e nessun vuoto di parola, sia pur nell’insufficienza della parola stessa, nei confronti di chi, nella sua ampiezza ed esaltazione di Uomo Universale, può sempre offrire spunti molteplici e svariati, forieri delle più diverse e proficue applicazioni.
Dice un antico proverbio persiano, che al di là di Abadan non ci sono più villaggi, ma c’è solo il mare; ed al di là del mare non c’è che l’oceano. Al di là delle scienze formali vi è la scienza diretta ed intuitiva, la visione irfanica propria alle genti della conoscenza, agli iniziati ai segreti degli eletti di Dio, dei Suoi Inviati e dei Suoi Imam, ai loro seguaci per eccellenza e per antonomasia; ma questa conoscenza s’annichila e si estingue nell’oceano luminoso della conoscenza e della sostanza profetica ed imamica, che a sua volta s’estingue in quell’Essenza inattingibile di Dio di cui essa proclama la propria servitù assoluta: “Luce su luce” che “rifulge nelle case che Iddio ha permesso d’innalzare, in cui il Suo Nome…è glorificato da uomini che…nulla distrae dal Suo ricordo, dalla preghiera e dalla decima” (XXIV, 35-37), quelle stesse Genti della Casa di cui Iddio ha voluto la purità (XXXIII, 33), quegli stessi che pagano la decima prosternandosi, di cui Iddio ha voluto fare le guide degli uomini (V, 55). L’Imam Husayn (A) è dunque uno degli oceani che si estinguono nell’oceano degli oceani dell’Essenza Divina. Innumerevoli saranno dunque gli aspetti della sua luce vivida che rifulgono nella sua vicenda terrena e nella sua figura, esemplari come quelle di tutti gli Approssimati, di tutti gli Intimi di Dio.
Ora, almeno una volta il Sacro Corano è esplicito a proposito della sua persona. Non ci riferiamo qui alle possibilità dei sensi letterali concomitanti, a quello che gli esegeti hanno definito lo “scorrere” del Libro Sacro dal significato letterale più immediato, a prescindere dai sensi interiori, esoterici, ad essi sovraordinati, e dal suo “Tawil”, dalla sua interpretazione finale e superna che è presso Dio, il “Libro Nascosto” a cui hanno accesso solo i Puri (LVI, 78-79). Giacché è chiaro che in tal senso, come ci dicono le tradizioni delle Genti della Casa, “il Corano parla di noi”; intendiamo invece qui riferirci al senso e alla possibilità immediata del discorso. Per quel che riguarda la persona di Husayn (A), questo significato è ravvisabile in quell’espressione “i nostri figli” che compare nel celebre versetto della “mubahala”, dell’ordalia (III, 61). Hasan (A) ed Husayn (A) dunque, figli dello stesso Muhammad (S) in quanto figli di ‘Ali (A) e di Fatima (A), figli di “noi stessi” e delle “nostre donne”, di quei medesimi che comparvero anch’essi attorno al Nobile Profeta a manifestare la Gloria di Dio.
Se dunque ‘Ali (A) e Fatima (A) appartengono in un certo qual senso, immediatamente, come chiariscono alcuni Hadith, alla sostanza del Profeta, dato che ‘Ali (A) e Muhammad (S) sono stati creati dalla stessa luce, e che la donna primordiale è parte della sostanza dell’uomo archetipico, dell’Uomo Universale, il cui fulgore assume la figura di Muhammad (S), di ‘Ali (A), di Fatima (A) e dei loro discendenti della sequela imamica; sarà può vero che Hasan (A) ed Husayn (A) sono a questa stregua i primi due anelli dell’aurea catena che configura e determina ulteriormente il fulgore della luce muhammadica. Potremo anche dire, sempre appoggiandoci agli hadith sui nomi di Dio menzionati nel Sacro Corano, i quali attestano la loro identità con le Genti della Casa, che il Nome sintetico primordiale è nel contempo sintesi e dettaglio, e si sigilla nella persona di Muhammad (S), donde procede ad articolarsi in quelle di ‘Ali (A) e di Fatima (A): Gloria, Bellezza e Celsitudine, ovvero Maestà e Bellezza che procedono intimamente nella Gloria e dalla Gloria dell’Altissimo; da questo nome sintetico, procedono a loro volta i due nomi onnicomprensivi della Misericordia Divina, Nome di Dio Misericordioso che è Gloria di Dio Misericordioso, ar-rahmani ar-rahim, come recita l’inizio stesso della sura Aprente, la sura della Lode, al-Hamd: la Lode e la Gloria sono nomi onnicomprensivi, primordiali e sintetici di Dio al pari della Sua Misericordia, di quel Dio “il cui Nome è glorificato da uomini che nulla distrae dal Suo ricordo”; uomini che sono appunto la sua stessa Gloria e Misericordia, il Suo duplice Nome di Misericordioso, ar-rahmani, ar-rahim.
Le due Misericordie divine, ci sia consentito d’esprimerci così, si identificano dunque con i due “nostri figli” di cui ci parla il Sacro Corano, con l’Imam Hasan (A) e con l’Imam Husayn (A). L’Imam Husayn (A) è pertanto uno dei due aspetti della Misericordia onnicomprensiva dell’Altissimo. Ci insegna l’Imam Khomeyni nel suo “Adabu-Ssalah”, che la Misericordia divina ha due aspetti complementari, uno di espansione, e l’altro di contrazione, quello per cui essa si comunica a tutti gli esseri creati, e quello per così dire intensivo invece che estensivo, per cui essa si ridistribuisce in vari gradi e misure e nella scala di natura, e in quella di grazia e d’elezione ad essa sovraordinata. Questi due aspetti hanno per corrispettivo una discesa ed un’ascesa, la discesa su tutti gli esseri dell’atto divino creatore, e l’articolazione ascendente dei loro ranghi e delle loro dignità. O anche, di converso, l’ascesa all’unità sintetica onnicomprensiva della sostanza divina, e la discesa conforme all’ordine delle dignità degli esseri creati. O anche, conoscenza che include, ed atto che esclude, la natura contemplativa e benefica di Hasan (A), e l’atto guerriero e sacrificale di Husayn (A), che è atto di negazione e separazione dall’ingiustizia, dall’empietà, dall’imperfezione.
Sacrificio dunque come atto, come azione per eccellenza: è questo a nostro avviso il carattere del secondo degli aspetti della Misericordia onnicomprensiva di Dio, della Sua Misericordia intensiva e distributiva, che si dà forma e persona nella figura di Husayn (S) e nella sua vicenda terrena. E tutto questo ha un preciso riscontro coranico: ci assicurano infatti le tradizioni delle Genti della Casa che quel “sacrificio immenso” (XXXVII, 107) che Iddio volle sostituire ad Ismaele (A) che stava per essere immolato da Abramo (A), altri non è che l’Imam Husayn (A), il cui martirio, in questa prospettiva, diventa il sacrificio per eccellenza. Sacrificio che, come abbiamo già rilevato poc’anzi, è una delle manifestazioni eminenti della Misericordia divina, di quella misericordia che, come ci insegna l’Imam ‘Ali (A) nel Du’a Kumayl, “abbraccia tutte le cose.”
E’ dunque a nostro avviso il sacrificio a dar forma alla seconda delle due guise della Misericordia onnicomprensiva di Dio, e a darle figura e persona nella vicenda terrena dell’Imam Husayn (A). In Husayn (A) si esemplifica in una delle sue forme più alte, assolute ed incondizionate, quel “Corano Ascendente” che si manifesta in forma di lettera e di parola nelle sublimi invocazioni (du’a) degli Imam della Dimora Profetica, moto d’ascesa alla Sua Misericordia, al Suo Trono Sublime ed ai Suoi Nomi. Husayn (A), Karbala e Ashura rappresentano e costituiscono la persona, il luogo ed il tempo di una vicenda che, oltre che spaziale e temporale, oltre che storica in un senso squisitamente simbolico e anagogico, è nel contempo cosmica e metafisica.
Karbala, luogo benedetto dal puro sangue innocente di Husayn (A), terra per noi sciiti della prosternazione, della sottomissione, dell’annichilimento al cospetto di Dio, dato che la prosternazione, tra le fasi della preghiera rituale, è il momento della Sua vicinanza, della Sua prossimità, dell’Islam che da sottomissione e rinunzia diviene pienezza e perfezione. Non per nulla le tradizioni narrano della funzione e del rango affatto particolari di Karbala rispetto agli altri siti di martirio: luogo benedetto di Dio sin dall’eternità, nella perennità del tempo, e fonte, per Sua Volontà, di intercessione e di benedizione per un’umanità errante e sofferente; luogo che l’empietà non è mai riuscita, dai tempi dell’Imam, sino alle ultime, tragiche vicende dei nostri giorni, che rinnovano la sua vicenda, e giammai riuscirà, pur tra persecuzioni, orrori, nefandezze indicibili, a sfigurare, a profanare, a snaturare: così facendo essa non farà altro che far risaltare ancor di più, per chiaroscuro e contrappunto, quella luce di Husayn (A), il cui vivido chiarore inestinguibile procede dal fulgore stesso dell’Altissimo, luce della Sua benedizione e della Sua Misericordia, luce della Sua luce, luce dell’Islam.
Ashura, tempo del pianto, del lamento, del lutto, è anche il tempo della purificazione al cospetto di Dio, tempo della Sua grazia, per chi sappia, ognuno secondo il suo proprio livello, conformarsi alla guida ed all’esempio dell’Imam, ed immergersi nel suo splendore. Se la terra di Karbala è il simbolo del simbolo, simbolo di quella terra che noi siamo ed in cui dobbiamo riconoscerci per estinguerci in Dio, Ashura è per parte sua il tempo del dolore, dell’umiliazione, della morte, di quell’annientamento che è premessa necessaria alla nostra pienezza e perfezione nelle dimore paradisiache della prossimità divina. E non sembri troppo audace il nostro modo di vedere le cose: nei dieci giorni di Muharram il nostro pianto e la nostra disperazione sono per l’ingiustizia inflitta all’Imam da parte dei suoi stessi carnefici, sono per gli orrori dell’ipocrisia e dell’empietà, e per la tiepidezza e l’ignavia di quanti lo tradirono per convenienza e timore, e che al pari dei primi, degli empi e degli ipocriti, sono e verranno rigettati dal cospetto divino e sprofondati nell’abisso, e non per la sorte di Husayn (A) e di quelli che ebbero il privilegio di condividerne il sacrificio, e ne condividono la dimora paradisiaca e l’intimità divina.
Husayn (A), raggio della Gloria di Dio, è estinto dall’eternità nella Sua luce, e per quanto egli abbia voluto ribadire la sua natura di servo dell’Altissimo sottomettendosi agli orrori più indicibili della condizione umana, nulla potrà lederne la dignità primordiale ed eterna d’eletto, nulla potrà mai menomarne il fulgore. Ad Ashura in definitiva siamo noi, che diciamo di essere dalla parte dell’Imam, a piangere noi stessi, i nostri falli, le nostre debolezze, le nostre ingiustizie, il nostro continuo tradimento. Ma per ciò stesso ci riavviciniamo a Dio, nella luce del suo martire prediletto, nella scia di quel medesimo fulgore disceso tra gli uomini nella notte del destino, nella notte del valore muhammadico del mese di Ramadan, fulgore fattosi parola, lettera e persona; scia che noi abbiamo modo di accogliere nel mese di Ramadan, ed abbiamo modo di percorrere a ritroso nel mese di Muharram, attraverso il pianto, l’umiliazione, il dolore, attraverso una purificazione apparentemente dissolvente, ma che ha il potere di liberare in noi la scintilla dell’Uomo Universale, il riflesso della Gloria divina.
La persona dell’Imam Husayn (A) da ultimo, che è quel che più importa: la sua figura e vicenda mortale, come di quegli che precedette il Profeta (S) al cospetto dei cristiani di Najran a manifestare la Volontà e la Sapienza divina, e di cui venne fatto strazio non dalla miscredenza, si badi bene, nella sua forma palese e dichiarata, ma dall’empietà degli ipocriti, dei falsi credenti. Ancor oggi i nemici degli Imam della Dimora Profetica, coloro che si ostinano a negare per partito preso, contro ogni evenienza, quella che è per Volontà di Dio la loro funzione di intercessori, di intermediari della Sua grazia, ribadita a iosa dal Corano e dagli Hadith, si celano sotto il rigore esteriore di chi si attacca alla scorza per negare il nocciolo, di chi si appiglia maldestramente alla lettera per tentare di eluderne lo spirito. Atteggiamento sì rozzo e banale, ma dal sicuro impatto emotivo nel suo semplicismo. Di quel medesimo Husayn (A) che precedette il Profeta (S) come via alla sua luce, venne fatto strazio a Karbala a perenne maledizione dell’empietà e dell’impostura degli ipocriti, di tutti gli ipocriti, di allora e di oggi: e la luce che costoro si illusero allora, e si illudono tuttavia di spegnere, rifulge in tutta la sua pienezza ad indicarci ed a tracciare la via che conduce a Dio e ai Suoi Nomi.
A questa stregua l’Imam Husayn (A), che seppe basarsi all’infimo dell’umiliazione mortale, è l’intermediario per eccellenza tra noi e Dio, tra noi ed il pleroma delle Sue Luci, della Sua Gloria, il pleroma dei Purissimi; e questo non in senso figurato, o semplicemente morale, ma in senso reale, essendo egli colui che più si fece carico delle nostre miserie per estinguerle nella sua pura luce, e che appunto in questa sua forma compendia la luce dei 14: egli è la porta che si spalanca sul fulgore del Volto divino, Misericordia di Dio, Nome onnicomprensivo di Dio, che a questa stregua e in questa guisa si ritrae nella costellazione dei Suoi Nomi sublimi, i “Nomi più belli”, traendoci ad essi per Volontà di quell’Altissimo, tra i cui eletti egli è il martire prediletto, il martire per eccellenza, la persona stessa in cui dà figura e si trasfigura il sacrificio salvifico.
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