Botanica (A. Shariati)

Botanica

Ali Shariati

In una breve favola di Gianni Rodari, Giacomo di cristallo, si narra di un uomo trasparente al quale è possibile leggere i pensieri. Anche quando viene ingiustamente imprigionato, il suo desiderio di libertà è visto da altri uomini che accorrono in suo aiuto. Una metafora deliziosa per raccontare la forza delle idee.

Botanica di Alì Shariati evoca la stessa metafora di Rodari, ma forse con maggiore grazia, con quella leggerezza che solo gli orientali possono offrire.

Il parallelo tra gli uomini e le piante di questa breve storia, prende corpo e sostanza delicatamente, quasi per accumulazione di elementi, ma senza retorica, né morali esplicite; proprio secondo i canoni della favola dettati da Propp.

Eppure Botanica non è una favola, poiché racconta la vita vera, possibile, reale, di un maestro che non è solo un divulgatore di nozioni, ma può, deve, essere uno strumento utile a svelare la stessa vita.

Anzi, diremmo più esattamente, che è lui a tracciare la via: agire in armonia con il mondo circostante, sintonizzarsi con l’universo variegato di tutte le creature.

Botanica racconta proprio questa ricerca, il distacco dal mondo dei beni edonistici per un viaggio nella spiritualità, il tentativo di essere in comunione con la natura, con Dio e con gli uomini. Per fare questo, ammonisce l’autore attraverso le parole del maestro, dobbiamo imparare a osservare la piante: il convolvolo, il platano, la zucca, l’abete. Ognuno di loro ha caratteristiche diverse, ma ciascuno riflette il carattere e le attitudini degli uomini, poiché il mondo propone un caotico groviglio di modelli, ed è difficile capire dalle apparenze. Lui, il maestro, insegna a leggere oltre il visibile, ad andare al cuore delle cose, alla vera essenza del mondo, all’autenticità.

In questo viaggio alla ricerca del vero, non possiamo non incamminarci anche noi con l’agile volumetto di Botanica tra le mani.

Luigi Amendola

 

Compianto, era come un faro nel buio.

Era come la vetta di un’altra montagna fra le colline.

Era come un bianco cavallo indomito in mezzo a un gregge di pecore.

Era come un minareto bello e magnifico tra case, capanne e vie strette e buie.

Alzava la testa verso il cielo e il sole.

Egli fra tanti “zeri” era come un “uno”….

Durante i cinque anni delle elementari, egli fu nostro maestro.

Ci insegnava tutto, nel suo viso vedevamo la sapienza, aveva uno sguardo svelto e lucido e noi pensavamo che per lui non vi fosse niente di ignoto al mondo; aveva sempre un sorriso calmo e simpatico e ci sembrava che non avesse nessuna difficoltà nella vita.

Non c’è nessuno al mondo che non ignori qualcosa, indubbiamente vi erano tante cose che lui non sapeva, ma era un uomo saggio che pensava, capiva e conosceva bene il mondo in cui viveva.

Non c’è nessuno al mondo che non abbia difficoltà nella vita, indubbiamente vi erano tante cose che lui non aveva, ma era un uomo di grande spirito, pieno di bontà e simpatia e non soffriva perché la sua casa era piccola o perché le sue tasche erano vuote, ed era tanto innamorato del suo lavoro che non pensava alle cose che gli altri possedevano e che lui non aveva.

Alcuni sono grandi e grossi, ma il loro spirito è piccolo; come dice un poeta arabo, “hanno un corpo da elefante e il cervello di un passero”.

Ma lui, al contrario, aveva un corpo snello, piccolo, tutto ossa, sembrava lo portasse via il vento, ma il suo pensiero oltrepassava la sua città, il suo paese e racchiudeva tutti gli uomini e tutto il mondo.

Non aveva soldi, non aveva un posto importante, né un nome famoso, era stato soltanto innamorato: innamorato di Dio, innamorato della natura e innamorato di tutti i bambini.

Erano gli ultimi giorni di Maggio e la primavera aveva fatto diventare impaziente il nostro appassionato maestro, che non poteva sopportare di stare nell’aula della scuola con la porta chiusa.

Accanto alla scuola c’era un grande campo verdeggiante e le erbe selvagge, i trifogli umidi, il granturco ben maturo e i fiori variopinti e vivaci che avevano adornato il campo, invitavano questo grande poeta alla festa della primavera.

Il nostro caro maestro le conosceva tutte, una per una, le amava come un uccello che è follemente innamorato di fiori e giardini, il suo cuore volava verso di loro e noi non pensavamo che in questa città ci fosse una cosa che per lui valesse anche un mezzo sguardo: lui era sempre assorto, ed era talmente poco interessato che non gli importava di tutte quelle grandi cose, delle macchine, della vita e degli uomini di qualunque razza fossero, ma con gli occhi avidi e lo sguardo che brillava di passione, si sedeva accanto a un’edera sottile che si arrampicava sul muro con i suoi uncini per tirarsi su e arrivare al sole, la guardava fissa per ore e ore, si metteva a pensare e non diceva nulla…

Egli era sempre solo e sempre in mezzo a tutti. Camminava nel campo accanto alla nostra scuola ed era come se parlasse con tutti i cespugli, i fiori, gli alberi, i boccioli e i germogli, uno per uno, li conoscesse e fosse amico di ciascuno.

Nell’aula, in cui egli era come il sole e i bambini come stelle intorno a lui, era talmente felice per il fatto che loro stessero comprendendo ciò che lui stava facendo capire loro, che gli uomini più felici del mondo, al suo confronto, erano dei derelitti.

Nella sua piccola e semplice casa, sedeva in mezzo a fogli di carta, quaderni, libretti, appunti, con i suoi scritti sparsi e confusi e una fila di libri, tutt’intorno a sé. Si sentiva un grande e potente comandante seduto in mezzo alle sua armate e che il mondo stava sotto il suo comando. Nonostante tutto questo era umile, gentile, amico e compagno dei bambini.

Quel giorno ci aveva invitati ad andare insieme a lui nel campo perché cedessimo con i nostri occhi e conoscessimo com’era in natura ciò di cui si parlava e che veniva disegnato nei nostri libri: non si accontentava di insegnare solo col libro, gli piaceva farci capire la natura, farci conoscere Dio e, soprattutto, pensava a come fare per farci capire che cosa significhi essere uomo.

Con una passione e un entusiasmo che non si possono descrivere, ci parlava della natura, della primavera, dei fiori e di come in primavera la natura sia più splendente e più bella, e celi più sorprendenti misteri, di come nella natura si possa sentire e capire di più e meglio Dio e in Dio si possa riconoscere realmente e molto meglio l’uomo.

Ma io, più cha ascoltarlo, lo guardavo e pensavo a come un uomo, e un uomo così semplice, così anonimo, povero, umile e senza arie possa essere così grande e meraviglioso, così tanto bravo, addirittura sublime, così possente e felice, al modo in cui un uomo così piccolo che il vento se lo porta via, un mucchietto di ossa, con un paio di occhiali e qualche libro, possa essere grande come il mondo, come la natura vivente e misteriosa, come una montagna salda e svettante.

E dicevo a me stesso…”guarda mio padre che ama di più la sua macchina che mia madre, e conosce meglio gli azionisti della sua società che non i suoi figli, che vede tutto questo mondo solo pieno di soldi e in termini di vantaggi commerciali e di gioco di prezzi, che divide il tempo in base alle scadenze delle cambiali e valuta gli uomini secondo quanti soldi hanno, che si ricorda di Dio solo quando ha di fronte degli affari importanti e tra tutti gli eroi, i martiri, i filosofi, i saggi e grandi uomini della storia, brillanti menti del mondo, gli inventori e gli scopritori, gli amanti della libertà, i profeti e gli spiriti eletti dell’umanità, conosce solo qualche mediatore di banca e qualche riccone del bazar, deve avere tutta questa abbondanza, deve aver raccolto così tanta ricchezza, avere tanti palazzi e ville, macchine di lusso, divertirsi la notte e fare baldoria e darsi delle arie… quest’uomo, invece, che sembra più grande del mondo e pare che dio sia presente nella sua anima, la cui esistenza è come un mare immenso, bello e pieno di meraviglie, di cose buone, belle e gentili, è così solo, così povero e…”

All’improvviso si girò verso di me e continuò: “… e questo è un convolvolo, una specie di edera che non è capace di stare in piedi da sola, vive da scroccona e da parassita. Si è arrampicata al tronco di questo alto platano e affonda i suoi avidi uncini nel tronco, succhia la linfa vitale e cresce, si attorciglia intorno all’albero e sale, ma alla fine che succede? Fa seccare il platano e per forza fa seccare anche se stessa e muore; e quando il platano secco viene tagliato alla radice e gettato nel forno, anch’essa brucia insieme al platano e diventa cenere.

E questa – aprite bene gli occhi e le orecchie – questa è la pigra zucca. Vedete, è cresciuta qui, in questo angolo, ma guardate fin dove è andata, quanto è avanzata, guardate quanta strada ha percorso, quanta parte di terreno ha occupato; insomma, così cresce la zucca pigra, si espande sulla terra, si trascina sul terreno e avanza in tutte le direzioni. Tutto ciò che ama è questo: stendersi sulla terra. Tutto ciò che desidera è arrivare da qui al margine del ruscello, da là fino all’aiuola, da quel punto fino ai piedi del muro e poi fino al punto in cui le impediscono di avanzare, o in cui un’altra zucca pigra le sbarrasse la strada; ogni suo sforzo è quello di sopraffare tutte le erbe, i fiori, i cespugli, di schiacciarli e di non permettere a nessun seme sotto il suo corpo spietato di fiorire, diventare verde e crescere. Cresce sì, ma come uno sputo che sia stato calpestato; insomma, il comportamento della zucca pigra è questo, la zucca pigra cresce così.

E questo invece è un senubar, un abete sepidar: dar vuol dire albero, sepidar significa quindi albero bianco. Guardate, ha occupato solo un palmo di terreno, e oltre a questo palmo non ha nient’altro sulla terra. Però, bambini, alzate la testa – attenti che non vi caschi il cappello – guardate verso il cielo in direzione del sole; vedete l’abete fin dove è cresciuto? Sì, l’abete cresce proprio così….

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Writer : shervin | 0 Comments | Category : Il pensiero islamico , Novità

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