In memoria della sorella Nerea Sumaya Lupieri
Nei giorni scorsi, precisamente il 26 gennaio, ricorreva il quattordicesimo anniversario della morte della sorella Nerea Sumaya Lupieri, moglie di Hajj Ammar De Martino. Se Hajj Ammar è stato unanimemente riconosciuto come il “padre” della comunità sciita italiana, la sorella Sumaya può senza ombra di dubbio esserne definita la “madre”. La sorella Rima Dia, alcuni anni dopo la scomparsa della sorella Sumaya, mise per iscritto nella sua lingua madre – l’arabo – quanto a ridosso dell’anniversario le dettava il cuore. Quest’anno ha tradotto quella sua testimonianza, intensa e toccante, e ce l’ha fatta gentilmente pervenire. In ricordo e in memoria della sorella Nerea Sumaya Lupieri la pubblichiamo di seguito.
Ass. Islamica Imam Mahdi (aj)
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E la memoria ritorna…e trascorre un altro anniversario.
Era venerdì 26 gennaio 2007, corrispondente all’ottavo giorno del mese di Muharram 1428 AH, quando il mio telefono squillò. La chiamata era da Roma: “la sorella Sumaya se n’è andata…non c’è più, sì, è morta. Condoglianze, che la sua anima riposi in pace”.
La notizia fu come un fulmine. Come? Dove? E quando? L’avevo sentita il giorno prima e ci eravamo date appuntamento; la settimana dopo sarebbe infatti venuta a trovarmi a Torino e aveva promesso che sarebbe restata da me per qualche giorno.
Sia lodato Allah in un momento di lutto e di shock. Dimentichiamo che il giudizio e il destino non ci danno un preavviso e che il destino è inevitabile ed è solo nelle mani di Dio Onnipotente.
Sumaya: il nome della prima donna martire dell’Islam, ed è anche della prima donna attiva e militante in Italia tra quelle che hanno abbracciato l’Islam secondo la dottrina dell’Ahl al-Bayt (as). Nel 1990 era diventata musulmana facendo seguito al marito Ammar, che aveva abbracciato l’Islam diversi anni prima di lei, nel 1982.
Erano partiti da Napoli diretti verso Rimini, a 600 km di distanza, circa 6 ore di viaggio. L’obiettivo era raggiungere un hotel di Rimini per prepararsi in anticipo alla commemorazione delle cerimonie di Ashura che si sarebbe tenuta sabato 27 e domenica 28 dicembre. Era il sesto anno consecutivo che Ammar e Sumaya si organizzavano per commemorare la ricorrenza di Ashura e di altri eventi islamici nel centro Italia, ed è degno di nota il fatto che, nonostante la loro età avanzata, percorrevano centinaia di chilometri in autostrada per dare maggiore possibilità di partecipazione e garantire la presenza di un maggior numero di persone dalle comunità islamiche sparse in Italia.
A coloro che non conoscono Sumaya, o a coloro che hanno sentito parlare di lei: era davvero Sumaya! Diede ciò che nessuno ha mai dato, apriva le porte della sua grande casa a tutti gli studenti e dava supporto e aiuti alle famiglie. L’appuntamento per l’invocazione del du’a Kumail si teneva ogni giovedì sera a casa sua, insieme alla cena, e persino le cerimonie di matrimonio di alcuni fratelli studenti si svolsero nella sua elegante casa piena di dipinti ornati islamicamente e opere d’arte appese alle pareti, alcune delle quali disegnate dalle sue stesse mani.
Mentre entravi a casa sua non potevi fare a meno di sentire quell’atmosfera viva e naturale tra le pieghe di quel luogo pieno di piante verdi e fiorite.
Con le sue tende appese tra le pieghe delle pareti, senti la nostalgia delle sue mani e la bellezza della sua anima, e con i loro fruscii avverti la calma che incombe su tutto il luogo.
Insieme a suo marito fu fondatrice dell’Associazione Islamica Ahl al-Bayt in Italia e della rivista “Il Puro Islam”, che avevano sede nella loro casa. Erano inoltre entrambi impegnati nell’organizzare regolarmente eventi, incontri e dialoghi culturali tra le diverse religioni in differenti città italiane.
La sua grande famiglia era la comunità musulmana; non aveva mai rinunciato ad aiutare chi veniva da lei a chiedere aiuto. Eravamo tutti suoi figli e suoi amici.
Era il 1992 quando arrivai in Italia, nella città di Napoli, ed ero ancora molto giovane. Non avevo ancora 19 anni quando la conobbi.
Nonostante la grande differenza di età e il conflitto di opinioni tra me e lei, a volte a causa della nostra testardaggine, ci cercavamo a vicenda: per me lei era l’amica, la sorella, la madre, la guida e il mentore. Ricordo quando, nel febbraio dell’anno 1996, ero incinta del mio primo figlio, Mahdi, e non ero in buone condizioni psicologiche, sentendomi sola e alienata a causa del mio stato di salute ed essendo stata ricoverata in ospedale per diversi mesi; oltre al fatto che mio marito era impegnato a dare gli ultimi esami e a preparare la sua tesi alla Facoltà di Ingegneria di Napoli. E nonostante ci fossero molte persone napoletane vicine a me nell’ospedale di questa bella città del Sud Italia, persone che non conoscevo prima ma molto buone, malgrado la vicinanza e l’affetto che ricevetti appunto da tutte queste persone, avevo bisogno in quelle circostanze della presenza della mia amata madre al mio fianco (che Dio le dia lunga vita).
Non nascondo che a volte mi feriva con le sue dure parole e mi accusava di esagerare con la mia presunta sofferenza per la malattia, quando mi diceva che non avevo bisogno di un ospedale, che non ero malata, ma sostenevo di esserlo e la causa era psicologica. Mi sentivo così infastidita dalle sue parole, e anche lei lo percepiva.
Mi ricordo di quel giorno di febbraio di quell’anno in cui mi invitò a pranzo a casa sua, dopo aver chiesto a mio marito la mia data di nascita. Per me fu una sorpresa vedere che l’invito era per festeggiare il mio compleanno: era la mia prima volta che festeggiavo e non ero nemmeno abituata a celebrare questa occasione. Mi ha offerto dei dolci, mi ha portato un regalo e delle rose, ci siamo abbracciate e abbiamo sorriso, e gli sguardi di rimprovero e di lealtà erano reciproci…
Era una donna dura e determinata allo stesso tempo, di grande cuore e di buon gusto.
Quelli passati a Napoli e con lei sono stati i miei giorni più belli, soprattutto quando la accompagnavo nei suoi lunghi viaggi dalle ampie distanze da una città all’altra. Ricordo la sua tenacia e forza e un po’ dei suoi tratti che mascheravano barlumi di tristezza e sofferenza, in quanto nei primi anni della sua vita aveva dovuto subire l’esilio insieme alla sua famiglia, che era rimasta senza casa e in fuga dalla guerra da una delle repubbliche dell’ex Jugoslavia verso la città di Trieste, nell’Italia nord-occidentale.
NEREA …NEREA…NEREA
In quel fatidico giorno, circa un’ora prima di raggiungere l’hotel di Rimini, lungo l’autostrada Sumaya stava parlando al telefono con uno dei fratelli di Roma, organizzando gli ultimi dettagli per il programma di Ashura, seduta sul sedile anteriore accanto al marito Ammar che guidava l’automobile. Un momento, sì, un solo momento di distrazione fu sufficiente perché la sua vita finisse e la sua anima ritornasse al suo Creatore.
E’ bastato un attimo e così l’auto finì contro lo spartitraffico. Ammar la chiamò:
NEREA… NEREA…NEREA
Era il suo nome di battesimo. Più di una volta l’ha chiamata, ma lei non gli ha risposto: a Roma, al telefono, hanno sentito tutto e capito subito cosa fosse accaduto…
Sumaya se ne è andata…e invece di far rivivere il funerale di Abi Abdullah Al-Hussein (pace su di lui), abbiamo commemorato il suo funerale, come se avesse un appuntamento con l’Ahl al-Bayt (as) e la madre delle disgrazie, Zainab, vicino ad ALLAH al-Bari (l’Iniziatore).
La sua perdita per tutti noi è stata come un fulmine. Ho perso Nerea, e anche mio marito l’ha persa, poiché ha sentito la perdita di sua madre per la seconda volta: la madre era infatti morta nel novembre del 1993 in un incidente stradale nelle stesse circostanze. La tragedia per lui si è quindi ripetuta.
La mia famiglia ha perso Sumaya; l’abbiamo perduta tutti noi, noi che eravamo la sua grande famiglia.
Lunedì 29 gennaio, in corrispondenza dell’undicesimo di Muharram, l’ultimo incontro con i suoi cari, giunti da tutte le città italiane per salutarla nella sua ultima dimora nell’area designata per la sepoltura dei musulmani al cimitero di Milano. Il tempo era freddo e gelido ma i momenti di addio erano più gelidi e duri: ci siamo incontrati, abbiamo pianto, pregato e letto versetti del Sacro Corano.
Siamo rimasti scioccati quando l’abbiamo vista seppellita all’interno della bara e non solo nel semplice sudario come chiede la Shari’ah (Legge sacra). Ho pregato Dio Onnipotente di non farci finire la nostra vita lontano dalla nostra terra.
Amica mia, come ti è sempre piaciuto essere chiamata, conservo ancora tutti i tuoi ricordi, e le tende che hai cucito per me sono ancora appese nella mia stanza. Mi sveglio la mattina, le apro e sento la tua nostalgia.
Speravo di esaudire un tuo desiderio. Volevi andare in Libano e visitarne il suo Sud, dopo aver visitato alcuni luoghi santi e aver camminato tra Safa e Marwah, ma il destino è stato più veloce.
Oggi, nel giorno della tua memoria cosa posso offrirti? La distanza è abbastanza lunga per farti visita e regalarti un mazzo di fiori da spargere sulla tua tomba, ma credimi, mia cara amica, quello che ti regalerò farà felice la tua anima. Sì, dedicherò alla tua anima i puri versetti del Sacro Corano affinché ti accompagnino. Non è vero che il Corano ha la sua dolcezza ed è al di sopra di ogni descrizione?!
Vorrei dimostrarti che la tua famiglia, che un giorno hai fondato e abbracciato, è cresciuta e cresce ancora, e nel compimento della tua memoria ha risposto alla chiamata di lealtà e sincerità per ravvivare la memoria e condividere la recitazione completa del Sacro Corano che dedicheremo al tuo spirito puro, a partire da questa sera fino a domenica sera, 26/01/2014.
Per fare spazio alla partecipazione, ho lasciato alcune parti a chi vuole ricevere la ricompensa da Allah Onnipotente.
La tua fedele e leale amica, Rima Dia
Torino: 25/01/2014